parentesi
Il termine parentesi (dal gr. pará «accanto», én «in» e títhēmi «porre») risale alla tradizione retorico-grammaticale antica, in cui indica una figura di pensiero chiamata in greco parénthesis e in latino interclusio, interiectio o interpositio. L’uso come segno interpuntivo (➔ punteggiatura), invece, è attestato per la prima volta nel De nobilitate legum ac medicine dell’umanista Coluccio Salutati (1399), mentre i segni ‹(› e ‹)› sono accolti nella trattatistica a partire dal Doctrina punctandi di Gasparino Barzizza (1360-1431) (cfr. Roncaglia 1941: 6-9; Lennard 1991: 3; Cignetti 2001: 74).
Il termine parentesi indica due diversi fenomeni:
(a) una sequenza di una o più parole che interrompe il discorso per aggiungere una precisazione, un rinvio o simili (➔ incidentali, frasi; ➔ parentetiche, frasi);
(b) vari tipi di segni paragrafematici, che ricorrono quasi sempre in coppia, detti, rispettivamente, parentesi tonde ‹(› ‹)›, parentesi quadre ‹[› ‹]›, parentesi graffe ‹{› ‹}›, parentesi uncinate ‹‹› ‹›› (➔ punteggiatura; ➔ paragrafematici, segni).
Le parentesi tonde appartengono al gruppo dei segni di punteggiatura, come ➔ puntini sospensivi, lineette e virgolette, il cui uso è definito in termini metalinguistici (cfr. Lepschy & Lepschy 2008: 16) ed espressivi (cfr. Antonelli 2008: 197 segg.). Esse possono delimitare contenuti appartenenti a un’ampia tipologia morfo-sintattica: una o più parole (come in 1), intere frasi (subordinate e principali, come in 2; cfr. Serianni 1988: 80), capoversi, ma anche singoli segni paragrafematici:
(1) a. Carlo (il fratello di Luigi) è venuto a trovarmi ieri
b. Serianni (1988) sostiene che …
(2) a. Carlo (Dio non voglia) viene a trovarmi domani
b. un famoso verso di Leopardi («Silvia, rimembri ancora …») …
Ogni sequenza di testo o di segni tra parentesi deve tuttavia essere sempre espletiva, ossia poter esser rimossa senza che la frase restante risulti sintatticamente danneggiata (cfr. Cignetti 2001: 78-81).
Le parentesi tonde introducono una discontinuità enunciativa dai caratteristici effetti polifonici (cfr. Mortara Garavelli 2003: 105), riconducibile, in termini generali, a funzioni come l’integrazione o il commento. L’integrazione parentetica è sempre funzionale a quanto detto nella frase principale o in una sua parte (cfr. Cignetti 2004: 168-169) e può introdurre informazioni utili alla comprensione del testo:
(3) Sui prominenti non ebrei c’è meno da dire, benché fossero di gran lunga i più numerosi (nessuno Häftling «ariano» era privo di una carica, sia pure modesta) (Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 199436, p. 123)
Altrimenti può essere usata come spiegazione, esempio, giustificazione, enumerazione e simili. L’integrazione parentetica può avere anche la forma del rinvio, intertestuale o intratestuale, con valori esplicativi analoghi a quelli di apparati paratestuali come le note a piè di pagina (cfr. Cignetti 2003a: 102-103), oppure quella della citazione o del discorso diretto, casi in cui si accompagna in genere alle virgolette o al corsivo:
(4) In queste interviste Levi sviluppa straordinarie capacità di riflessione critica su di sé [...]: il tono della voce che ci par di sentire, insieme acuto e pacato («non mi piace parlare forte») è lo stesso della sua scrittura, calibrato, essenziale («Corriere della sera» 25 maggio 1997)
Il commento parentetico è un intervento soggettivo dell’autore, che può riguardare il grado di verità della frase (spesso in combinazione con avverbi come probabilmente, forse, certamente, ecc.) oppure l’evento, il processo o lo stato di cose denotato (in combinazione con avverbi come fortunatamente, purtroppo, stranamente, ecc.). Frequente è anche il commento parentetico di tipo metalinguistico, introdotto per chiarire il significato o l’origine di una o più parole, o anche di altri segni paragrafematici, come nel celebre passo manzoniano:
(5) Era figliuolo d’un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo) che, ne’ suoi ultim’anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell’unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s’era dato a viver da signore (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, Firenze, Le Monnier, 1845, p. 49)
Altri casi comuni di commento parentetico sono le espressioni esclamative e le interiezioni, introdotte per segnalare stati emotivi come stupore, gioia, disappunto e simili. Nella scrittura letteraria quanto in quella funzionale (soprattutto saggistica, giornalistica e pubblicitaria) si possono trovare parentesi collocate all’interno di una parola, dette parentesi endolessematiche, o all’interno di un sintagma, dette parentesi endosintagmatiche (cfr. Cignetti 2003b). Sono costruzioni fortemente marcate dal punto di vista stilistico, usate per introdurre una reinterpretazione in senso correttivo della forma modificata (nell’esempio citato si legga: «diagnosticata, o meglio autodiagnosticata»):
(6) Quanto però caratterizza la dissociazione noètica di chi pratichi un uso minore della parola [...], è la sua carica critica [...] e, direi piuttosto, patita – al limite anatomizzata e (auto)diagnosticata – più che programmaticamente agìta (Andrea Cortellessa, Per limina, in Id., La fisica del senso, Roma, Fazi, 2006, p. 35).
Le parentesi quadre si usano per segnalare le incidentali inserite in altre incidentali (➔ incidentali, frasi), per le integrazioni quando necessarie per comprendere i passi citati, o ancora per racchiudere i puntini sospensivi quando si vuole indicare che una parte del testo è stata omessa (cfr. Mortara Garavelli 2003: 40-41).
Parentesi quadre endolessematiche sono anche usate nei dizionari e nelle enciclopedie per isolare le lettere o le sillabe che possono essere tralasciate e nelle edizioni filologiche per segnalare le integrazioni dell’editore o le parti da espungere (cfr. Mortara Garavelli 2003: 108). Altri usi appartengono alle convenzioni delle singole discipline.
Le parentesi graffe (o a graffa) e le parentesi uncinate (o ad angolo) sono segni paragrafematici usati esclusivamente in contesti settoriali: le prime soprattutto in matematica, per delimitare espressioni letterali e numeriche; le seconde nelle edizioni critiche dei testi, per contrassegnare integrazioni congetturali. Nella lingua parlata, ma anche in alcune varietà di scrittura, è attestato anche un uso ‘verbalizzato’ delle parentesi, in formule come detto tra parentesi, apriamo una parentesi, chiudiamo la parentesi e simili (cfr. Cignetti 2008).
Antonelli, Giuseppe (2008), Dall’Ottocento a oggi, in Mortara Garavelli 2008, pp. 178-210.
Cignetti, Luca (2001), La [pro]posizione parentetica: criteri di riconoscimento e proprietà retorico-testuali, «Studi di grammatica italiana» 20, pp. 69-125.
Cignetti, Luca (2003a), Le parentesi prima dell’ipertesto, «Italiano e oltre» 18, 2, pp. 100-103.
Cignetti, Luca (2003b), Parentesi “endolessematiche” ed “endosintagmatiche”, «Studi italiani di linguistica teorica e applicata» 22, 2, pp. 273-285.
Cignetti, Luca (2004), Le parentesi tonde: un segno pragmatico di eterogeneità enunciativa, in La lingua nel testo, il testo nella lingua, a cura di A. Ferrari, Torino, Istituto dell’Atlante Linguistico Italiano, pp. 165-189.
Cignetti, Luca (2008), “Dire” la punteggiatura. Sul fenomeno della verbalizzazione dei segni interpuntivi nell’italiano scritto e parlato, in Prospettive nello studio del lessico italiano. Atti del IX congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Firenze, 14-17 giugno 2006), a cura di E. Cresti, Firenze, Firenze University Press, 2 voll., vol. 2º, pp. 389-396.
Lennard, John J. (1991), But I digress. The exploitation of parentheses in English printed verse, Oxford, Oxford University Press.
Lepschy, Anna Laura & Lepschy, Giulio C. (2008), Punteggiatura e linguaggio, in Mortara Garavelli 2008, pp. 3-24.
Mortara Garavelli, Bice (2003), Prontuario di punteggiatura, Roma - Bari, Laterza.
Mortara Garavelli, Bice (a cura di) (2008), Storia della punteggiatura in Europa, Roma - Bari, Laterza.
Roncaglia, Aurelio (1941), Note sulla punteggiatura medievale e il segno di parentesi, «Lingua nostra» 3, pp. 6-9.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.