PARENZO (Παρέντιον, Parentium)
Città della Jugoslavia (in croato Porecv) posta su una penisola della costa occidentale dell'Istria tra il Quieto (Ningus) a N e il canale di Leme a S. Recenti ritrovamenti di frammenti di ceramica e di utensili dell'Età del Bronzo tornati in luce sotto le fondazioni dei templi romani fanno pensare che il luogo ove sorge l'attuale cittadina sia stato abitato sin dal secondo millennio a. C. Però P. come vero e proprio centro ci appare piuttosto, come indica il suo nome di origine non latina, l'erede dei tre castellieri che sorgevano sulle colline dei Pizzughi a otto km verso l'interno, dovuti a una popolazione illirica.
Gli scavi compiuti tra la fine del secolo scorso e i primi anni del novecento hanno messo in luce i resti di tali castellieri (uno di essi è a tre cinte) assieme alle necropoli coeve di incinerati che riflettono chiaramente due periodi, uno più antico (VI sec. a. C.) di rozze urne di ceramica locale con la tipica decorazione a meandri incisi e riempiti di pasta bruna (collegata con la ceramica a nastro diffusa in tutto il Mediterraneo orientale e l'Adriatico) e uno più recente in cui appaiono anche vasi atestini rossoneri, situle a cordoni nonchè qualche vaso àpulo di tipo geometrico (V-IV sec. a. C.). Mancano invece tracce, come in genere nell'Istria, di cultura gallica, per cui si deve, almeno per ora, pensare a un periodo di frattura tra Pizzughi e il centro che ne prese il nome in età tardo-repubblicana.
Il nome appare nella forma greca in Tolomeo (iii, 1, 23) insieme con Τέργεστρον (Trieste) e Πόλα e più tardi, come porto, in Stefano Bizantino (s. v.), nella forma latina in Plinio (Nat. hist.; iii, 19, 129), indi nell'Itinerario Antoniniano (p. 40, ed. Kuntz), nella Tabula Peutingeriana, nel Geografo Ravennate (iv, 30, 31 v, 14). Si è a lungo ritenuto che già alla fine della Repubblica o al più al principio dell'impero P. fosse diventata colonia con l'appellativo di Iulia. In realtà in tale epoca vi sorse appena un municipium retto da quattuorviri secondo la tradizione pliniana che lo menziona con Aegida (Capodistria) tra gli oppida Histriae civium Romanorum, tradizione convalidata da recenti scoperte epigrafiche. Che esso sia stato istituito direttamente da Ottaviano dopo la fondazione delle colonie di Pola e di Trieste è dimostrato dalla scarsezza di nomi indigeni e dalla tipica pianta a reticolato della cittadina, evidentemente concepita di getto e conservatasi intatta sino ad oggi. A questa fondazione può forse collegarsi un primo tempio di cui di recente è stato scoperto parte dello stilobate fra i due più tardi edifici sacri.
Con Tiberio o Caligola divenne colonia ascritta alla tribù Lemonia, e sotto Vespasiano fu unita a Pola e a Trieste dalla via Flavia, di cui un tratto di 500 m è tornato in luce a S della cittadina presso monte S. Angelo.
Non mancano monumenti romani: parte del lastricato del Foro sta ancora sotto le case che circondano il cosiddetto Marafor. A occidente di questo si eleva il podio di un tempio di notevoli dimensioni, contemporaneo della istituzione della colonia e restaurato già nella seconda metà del I sec. a. C. da T. Abudio Vero, sottoprefetto della flotta di Ravenna (Inscr. Ital., x, f. 2, n. 3); il tempio è notevole per la pianta con pronao ed opistodomo e per i suoi resti architettonici. Di un altro edificio più piccolo restano in piedi due colonne pilastro. La presenza di un flamen e di sexviri Augustales nonché un cippo dedicato al Genius liberi augusti testimoniano il culto della domus imperatoria (loc. cit. nn. 2, 16, 15, 18, 20-24), l'ara di T. Abudio Vero quello a Nettuno e agli Dei Angusti, un'altra di Carminia Prisca quello dell'Histria Terra (loc. cit., n. 1). La costruzione di un molo è dovuta ancora a T. Abudio: se ne vedono le tracce sott'acqua per 400 m circa.
Le are e le stele sepolcrali, i sarcofagi, le sculture e gli oggetti d'uso non sono moltissimi né di particolare interesse. Importanti invece, anche se con motivi di tipo corrente nel quadro dei mosaici dell'alto Adriatico, i resti musivi scoperti a N del luogo ove poi sorsero gli edifici religiosi preeufrasiani ed eufrasiani nel V-VI sec. d. C. È probabile appartenessero alla casa privata del cittadino Mauro, morto, a quanto sembra, martire sotto Valeriano (253-260), dove si riuniva la prima comunità cristiana di Parenzo. Di fianco ad essa fu eretta una vera basilica ricca di mosaici già datati, per il ritrovamento al di sotto di essi di monete del tempo, alla fine del sec. IV. I riquadri centrali sono comunque di così notevole finezza ed eleganza che ostano di per sè a una più tarda datazione. La basilica fu poco dopo raddoppiata con la costruzione di un'altra aula, forse anche essa chiesa oppure consignatorium, pure ricca di bei mosaici. Ivi fu trovata l'iscrizione che ricorda la traslazione del corpo del Santo agli inizî del sec. V e il restauro della chiesa primitiva (Inscr. Ital., x, f. 2, n. 63).
Bibl.: A. Pogatschnig, Guida di Parenzo, Parenzo 1914; F. von Duhn, in Reallexikon der Vorgeschichte, X, 1927-28, s. v. Pizzughi; A. Degrassi, Inscr. Ital., r. X, f. 2, Parentium, Roma 1934; id., Il Museo Lapidario Parentino, Parenzo 1934; id., Il confine Nord-Orientale dell'Italia romana, Berna 1954, p. 68 ss.; B. Molaioli, La Basilica Eufrasiana di Parenzo, Parenzo 1940; Lambertz, in Pauly-Wissowa, XIX, 1949, c. 1461-68, s. v. Parentium; Poreč (Parenzo), Guide Touristique, 1961, pp. 19, 29, e 49; Atti e Memorie della Società istriana di Archeologia e Storia patria, passim.