PARENZO
(lat. Parentium; serbo-croato Poreč)
Città dell'Istria (Croazia), posta su di una piccola penisola lungo la costa occidentale. Il sito, forse già abitato in epoca preistorica, divenne colonia romana con il nome di Colonia Iulia Parentium; in epoca tardoantica e altomedievale passò sotto il controllo dei Goti e dei Bizantini, per divenire poi in età medievale dominio dei patriarchi di Aquileia e infine, dal 1267, possedimento veneziano.Le trascurabili alterazioni subìte dall'impianto urbano nelle epoche successive consentono di individuare nella pianta di P. sicure tracce della limitazione romana. Essa si riconosce nel tracciato delle due vie principali, il decumanus maximus da E a O (cioè dalla porta di terraferma al foro) e il cardo maximus perpendicolare al primo, da N a S, con corrispondenti vie parallele che dividono l'abitato in insulae. Su questo impianto si sviluppò l'attuale centro storico, dove le costruzioni susseguitesi dal sec. 11° al 16° si ricollegano quasi sempre al sistema geometrico dell'antica struttura urbana.Che la città fosse munita di una cinta muraria almeno fin dal sec. 4°-5° è noto anche attraverso una delle due testimonianze epigrafiche relative alla traslazione delle reliquie di s. Mauro dal cimitero suburbano di Cimarè nella basilica intra muros huius civitatis Parentinae (Degrassi, 1934, pp. 57-58, nr. 187). Inoltre non è da escludere che tratti della cinta patriarchina e veneta, conservati a N e a E, insistano su precedenti fondazioni romane.Delle quattro porte si può determinare solo la posizione di quella verso la terraferma, sul vertice orientale del decumano, probabilmente mantenuta nella cinta veneta e tuttora affiancata da una torre pentagonale, del 1447.La tradizione storica e, soprattutto, la verifica archeologica sono in grado di illuminare il travagliato passaggio di P. dall'Antichità al Medioevo. La stratificazione archeologica della zona del complesso cultuale cristiano, dalla domus romana alla basilica del vescovo Eufrasio, e le cospicue testimonianze epigrafiche forniscono infatti sufficienti, anche se dibattuti, elementi di giudizio.A N dell'od. cattedrale, costruita dal vescovo Eufrasio intorno alla metà del sec. 6°, sono stati messi in luce alcuni resti di una casa di abitazione della seconda metà del sec. 3°, in cui, secondo un filone di studi solo ultimamente messo in discussione, si riteneva di poter riconoscere una domus ecclesiae: qui Mauro avrebbe esercitato il ministero episcopale e forse anche subìto il martirio, secondo le suggestioni di una seconda epigrafe che ne ricorda la traslazione delle reliquie dal cimitero suburbano (Degrassi, 1934, pp. 29-31, nr. 64).Già Marucchi (1896) era convinto di trovarsi di fronte a una ecclesia domestica, ricavata dalla sala di una casa romana, ma non poteva precisarne la forma e l'estensione. Viceversa Šonje (1965; 1971) ha creduto di poter individuare nel tablinum dell'edificio antico l'aula della sinassi e all'estremità settentrionale di esso la sistemazione di un battistero, a conferma del carattere cultuale della domus: questa sarebbe stata la primitiva ecclesia che l'iscrizione di Mauro dice restaurata per sua intercessione. Purtroppo lo stato attuale dello scavo non consente di verificare tali conclusioni, tanto che oggi si tende a respingere il martirio del protovescovo Mauro e a considerare come punto di partenza per il primo complesso di culto le tre aule parallele databili agli ultimi decenni del sec. 4° (Cantino Wataghin, 1989; 1996; Cuscito, in corso di stampa).Allora sul posto della domus fu impiantato un complesso costituito da tre aule rettangolari, lunghe m 20 e di varia larghezza, terminanti su un unico allineamento con un muro rettilineo che avrebbe ampliato fino alla strada romana il tablino della casa antica. In questo complesso sarebbero da riconoscere l'aula per la sinassi, al centro, il martyrium di Mauro, a S, e il battistero con il catecumenium, a N. Il ritrovamento di monete di Valente (364-378) e di Graziano (367-383) sotto il pavimento musivo e in un muro delle tre aule attigue offre un sicuro termine post quem per la datazione.L'epigrafe nel catino absidale della basilica eufrasiana riporta che essa era stata preceduta da un altro edificio religioso, più modesto, che intorno alla metà del sec. 6° risultava ormai fatiscente. Gli scavi condotti tra il 1889 e il 1937 portarono alla luce molti resti di quell'impianto cultuale. Si tratta di un'aula rettangolare (m 18,535) divisa in tre navate corrispondenti alle attuali della ricostruzione eufrasiana. L'interno, scandito da due filari di dieci colonne, presentava la novità di un presbiterio rettangolare leggermente rialzato rispetto al piano dell'aula, collegato a un banco presbiteriale, con il muro semicircolare distaccato dalla parete di fondo, secondo una tipologia già attestata a Salona, in Dalmazia, alla fine del sec. 3° e ricorrente sul principio del 5° in molte basiliche dell'Istria e del Norico, dove è ritenuta importata da Aquileia. Il pavimento musivo del presbiterio, a simbolici tralci di vite, si conserva solo per alcuni tratti dell'emiciclo.I muri esterni erano scanditi da lesene, mentre l'interno, privo di mosaici parietali, fu interamente rivestito da un pavimento musivo per lunghi tratti ancora superstite, esemplato su modelli di Aquileia. Quanto alla possibile datazione di tali strutture, il tipo di aula e gli ornati del pavimento trovano puntuali richiami in edifici altoadriatici della prima metà del 5° secolo.A N della basilica pre-eufrasiana si sviluppava una stretta e lunga aula a navata unica (m 337), di cui sono riconoscibili i muri perimetrali nord e sud: la sua destinazione liturgica è stata variamente interpretata (consignatorium o catecumenium), ma forse potrebbe trattarsi di un ambiente per il culto martiriale. Il battistero del complesso pre-eufrasiano è da riconoscersi in alcune strutture di quello attuale (Šonje, 1964; 1971); allo stesso modo, si è creduto di poter individuare nell'episcopio dell'epoca di Eufrasio alcune tracce di una precedente fase costruttiva.La nuova basilica voluta da Eufrasio utilizzò fino a una certa altezza i muri perimetrali dell'aula precedente, tranne quello orientale, in quanto fu lievemente ridotta in lunghezza (m 34,70). È divisa in tre navate e si conclude con tre absidi semicircolari, di cui solo quella mediana sporge esternamente con perimetro esagonale. Le diciotto colonne che scandiscono le navate, sormontate da capitelli di vario tipo e da pulvini con il monogramma del vescovo, furono probabilmente importate dalle officine del Proconneso. Gli stucchi superstiti nei sottarchi del colonnato settentrionale, probabilmente realizzati da abilissimi gypsoplastae venuti dall'Oriente, sono un'ulteriore testimonianza del fasto decorativo che doveva caratterizzare l'interno della basilica.Del pavimento originario rimangono solo poche tracce nella parte orientale della navata destra. Le epigrafi votive ricordavano i nomi dei donatori, alcuni dei quali sono conservati nella trascrizione di Ciriaco d'Ancona, della metà del sec. 15° (Degrassi, 1934, pp. 41-42, nr. 87).Nel 1937 fu ricomposto l'antico recinto del presbiterio, riutilizzando i plutei marmorei del sec. 6°, che erano stati dispersi o rilavorati: i piatti rilievi presentano cornucopie affrontate entro un clipeo con il monogramma di Cristo, croci alle estremità di un nastro che si affiancano al solito monogramma, colombe e cervi affrontati a un vaso ansato.Al posto dell'antico altare a cippo con l'iscrizione di Eufrasio e con la fenestella confessionis ne sorge uno rettangolare, ornato sulla faccia anteriore da un paliotto d'argento del 1452. Sopra l'altare si eleva il ciborio voluto dal vescovo Ottone nel 1277, opera di ambiente veneto, decorato da mosaici (Annunciazione e immagini clipeate di santi) e sorretto da colonne di marmo pentelico con capitelli bizonali, forse appartenuti al precedente ciborio, riferibili al 6° secolo.Alla parete dell'abside si addossa un banco presbiteriale in marmo greco, interrotto al centro dalla cattedra, sopra il cui dossale si stende una serie di tredici scomparti marmorei decorati a opus sectile. A coronamento di questa zona marmorea corre una cornice di stucco a foglie d'acanto, che delimita in basso la decorazione musiva.Negli spazi tra le finestre sono campite con rigida frontalità tre figure sormontate da un padiglione a conchiglia: un arcangelo, al centro; S. Zaccaria, a sinistra; S. Giovanni Battista, sicuramente rimaneggiato, a destra. Tra le finestre e l'inizio del giro absidale sono raffigurate l'Annunciazione e la Visitazione.In armonia con questo programma iconografico imperniato sulla venerazione della Madre di Dio, nel catino si sviluppa una grandiosa composizione dominata dalla Theotókos in trono, tra due angeli dalle candide vesti, che tiene sulle ginocchia il Bambino. A sinistra, si stagliano quattro personaggi accompagnati da iscrizioni: l'unico nimbato è S. Mauro, al quale, insieme con la Vergine, è dedicata la basilica. Seguono il vescovo Eufrasio, con il modellino del tempio, e l'arcidiacono Claudio, forse suo fratello. Tra questi ultimi è raffigurato un giovanetto, Eufrasio, figlio dell'arcidiacono. A destra, tre santi, aureolati ma senza scritte indicative, avanzano verso il trono della Madonna.I mosaici dell'arco trionfale, con il Cristo sul globo e i dodici apostoli, scoperti alla fine del secolo scorso sotto uno strato di intonaco, furono in gran parte restaurati e rifatti. L'intradosso dell'arco è decorato da tredici immagini clipeate. Il medaglione centrale con il mistico agnello è completamente rifatto e forse anche erroneamente supposto sulla base delle scarse tracce trovate.Sulla qualificazione estetica di questi mosaici esistono giudizi discordanti, anche se tutti acconsentono nel rilevare evidenti rapporti con quelli ravennati, a meno di non ammettere delle corruzioni 'ravennatizzanti' dovute ai restauri del secolo scorso (Tavano, 1975). Per eventuali nuove conclusioni sulla portata dei restauri eseguiti si attendono i risultati dell'analisi termografica e dell'indagine mediante l'impiego di georadar recentemente effettuate da A. Terry.Un'idea più esatta del loro aspetto formale potrebbe venir fornita dai pochi brani conservati nelle absidiole laterali, con due scene di coronatio quasi immuni da restauri, in cui appare il busto nimbato di Cristo tra i ss. Cosma e Damiano a sinistra, Severo e, forse, Apollinare a destra. Altri resti di decorazione musiva si trovano, in condizioni pietose, all'esterno, nella parte superiore della facciata e sulla parete postica della basilica, sopra l'abside.Sullo stesso asse della basilica si dispongono l'atrio e il battistero di epoca eufrasiana, nonché il campanile romanico rifatto nel 1522. Per ogni lato del quadriportico si sviluppano tre arcate su colonne marmoree sormontate da capitelli-imposta e da pulvini.A N-E della zona absidale della basilica sorge una cella tricora con un atrio a forcipe: nei due ambienti rimane ancora una modesta pavimentazione musiva. È molto probabile che il sacello sia stato destinato al culto dei martiri locali, come la tricora del duomo di Grado. In effetti nella tricora di P. si conserva tuttora l'arca marmorea eseguita dai magistri Nicola Benevento e Nicola d'Ancona nel 1247 su commissione del vescovo Pagano, che vi ripose i corpi dei ss. Mauro ed Eleuterio.Infine, una struttura sempre di epoca eufrasiana è stata riconosciuta, nonostante i rimaneggiamenti dei secc. 15° e 17°, anche nell'episcopio a N del quadriportico, che presenta alcune tracce di una precedente fase costruttiva. Dell'organismo a tre navate absidate si conservano i muri perimetrali e due delle tre absidi, scandite all'esterno da lesene e arcatelle; dell'arco trionfale in corrispondenza dell'abside mediana rimangono tracce della decorazione a stucco (volatili su tralci di vite) e il capitello della sottostante colonna; allo stesso modo si sono conservati resti di transenne nelle finestre alte del vano centrale. L'interno era diviso in due piani, di cui il terreno adibito a magazzino e il superiore a funzioni liturgiche e ufficiali.Sull'insula del complesso eufrasiano, lungo la strada parallela al decumano massimo, si affaccia la canonica costruita nel 1251, che presenta, al primo piano, sei eleganti bifore con l'archivolto monolitico, caratteristico dell'architettura romanico-istriana.La nuova cinta di mura, compiuta nel 1249 dal podestà Warnerio de Gillaco, seguì per lo più le linee delle antiche fortificazioni, ma i centri cittadini di età classica e del primo Medioevo (i quartieri di Marafor e Predol e l'area del complesso eufrasiano) vennero gradualmente abbandonati, così che nei secc. 14° e 15° il centro della città si sviluppò all'incrocio tra il cardo e il decumanus massimi (crosera), dove si concentra il maggior numero di palazzi. Le case a schiera poste intorno a questo nucleo sono espressione sfarzosa del Gotico fiorito: tra gli edifici più belli e monumentali si segnalano i palazzi Zuccato, Manzin e Leone.Lungo la strada grande decumana, nel suo tratto occidentale verso Marafor, è tuttora superstite un esemplare di casa romanica (sec. 13°). Nel quartiere di Predol va infine ricordata la casa dei Santi, così chiamata per due ieratiche sculture, prodotto caratteristico dell'arte medievale istriana del sec. 12°, qui reimpiegate come cariatidi in una finestra.All'età di transizione tra il Romanico e il Gotico appartiene la facciata dell'ex chiesa di S. Francesco, sorta, insieme al convento, nella prima metà del sec. 13° sul versante nordoccidentale della città, al posto della chiesa paleocristiana di S. Tommaso, di cui sono venuti in luce alcuni lacerti del pavimento musivo. Salvo la facciata, il monumento è stato completamente obliterato da una serie di inopinati interventi dopo le soppressioni napoleoniche del 1806.
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