PARESCHI, Carluccio , poi Carlo
– Nacque a Poggio Renatico (Ferrara) il 19 agosto 1898 da Carlo, piccolo costruttore, e da Edvige Tracchi.
La sorella minore, Gianna, nacque nel 1904.
Diplomatosi perito agrimensore presso l’istituto tecnico di Ferrara, nel 1916 Carlo si iscrisse alla Scuola superiore di agraria dell’Università di Bologna. Chiamato alle armi nel marzo 1917, prestò servizio come tenente di complemento nel 6° reggimento di artiglieria pesante e venne decorato con la medaglia di bronzo.
Si avvicinò alle idee del combattentismo e del nazionalismo e, dopo il ritorno a casa, nell’aprile 1920 contribuì a fondare dapprima la sezione dell’Associazione nazionale combattenti di Poggio Renatico, e poi il fascio locale allineandosi alle posizioni di Italo Balbo, del quale divenne amico. Nel frattempo, il 2 dicembre del 1920, completava gli studi laureandosi in scienze agrarie.
Trovò impiego nel mondo della cooperazione rurale – che sarebbe poi rimasto il principale punto di riferimento di tutta la sua carriera –, assumendo la direzione di una piccola cooperativa agricola dell’Opera nazionale combattenti nelle campagne tra Ferrara e Mantova. Si accostò anche ai sindacati autonomi fascisti che nel Ferrarese erano stati organizzati da Edmondo Rossoni a partire dal giugno 1921.
La creazione e la penetrazione nelle campagne di una propria struttura sindacale fu un nodo importante nell’organizzazione del potere fascista dopo la marcia su Roma. Le varie associazioni provinciali degli agricoltori avrebbero dovuto essere integrate nel nuovo sindacato padronale – la Federazione italiana sindacati agricoli (FISA) – fondato a Bologna nel dicembre 1922, ma diverse fra di esse si rifiutarono. Così fu a Parma dove, grazie ai forti legami con le banche locali e con il consorzio agrario, l’Associazione agraria riuscì a mantenersi indipendente.
Nel 1923 Pareschi si trasferì nella città emiliana chiamato alla direzione tecnica del consorzio agrario. Qui fu subito molto attivo nel rafforzamento della rete sindacale e consortile, contribuendo a fondare il locale sindacato fascista dei tecnici agricoli, di cui rimase segretario fino al 1929, e divenendo, nel 1924, presidente del sindacato provinciale bieticoltori.
Nel 1925 sposò Letizia Benfenati, anch’ella di Poggio Renatico e, nel 1928, nacque il loro primo figlio Giancarlo. Successivamente, a Roma sarebbero nate Edda (1931) e Maria Luisa (1935).
Pareschi appartenne senza dubbio a quella generazione in gran parte emiliana di laureati in agraria che, formatisi al ‘credo’ del ruralismo tecnocratico, del primato dell’agricoltura e delle proposizioni meritocratiche promosse dal fascismo, costituì il nerbo dell’organizzazione sindacale e consortile che prese definitivamente forma con la creazione dell’ordinamento corporativo a partire dalla legge 3 aprile 1926 n. 563. Essa prevedeva la riorganizzazione della FISA nella Confederazione nazionale fascista degli agricoltori (CNFA), fondata sulle neonate federazioni provinciali, sul completo inglobamento delle precedenti istituzioni degli agricoltori e sulla sostituzione di tutti i loro dirigenti ancora legati alle autonomie del modello liberale.
Di questa delicata fase di assestamento e di fascistizzazione delle organizzazioni del padronato rurale, Pareschi fu un assoluto protagonista. Tecnico capace e abile organizzatore, nel 1926 assunse la guida della federazione provinciale fascista degli agricoltori di Parma entrando anche nella giunta esecutiva della nuova Confederazione nazionale.
Divenne poi vicecommissario della piacentina Federconsorzi di cui, nel giugno 1927, il governo aveva decretato il commissariamento. L’anno successivo, forse con l’appoggio del segretario del Partito nazionale fascista (PNF) Augusto Turati, fu nominato anche segretario generale della CNFA.
Nessuna questione fu sollevata da Pareschi che concepiva come distinti, ma perfettamente integrati, per le campagne gli aspetti sindacale e consortile: all’uno spettavano i compiti più strettamente tecnici e promozionali; all’altro quelli più puramente economici e distributivi. Questa sua doppia appartenenza si prolungò fino al 1932, quando il tecnico ferrarese, sollecitato dal presidente confederale Giuseppe Tassinari, optò infine per la direzione generale della Federconsorzi. Nello stesso anno fondò la rivista Cooperazione rurale che avrebbe diretto fino al 1943.
L’inserimento della vecchia Federazione dei consorzi agrari nel quadro del sindacalismo fascista prese corpo nel contesto della crescente crisi che colpì l’agricoltura a partire dal 1926 con gli effetti della rivalutazione della lira ‘a quota 90’, la caduta dei prezzi di alcuni prodotti fondamentali e il sopraggiungere della grande depressione nei primi anni Trenta. Un enorme debito si trovò a gravare sulla proprietà fondiaria, mentre il credito agrario si presentava sempre largamente insufficiente.
Il dissesto di alcune banche locali e di numerosi consorzi agrari maturato in quel lungo frangente offrì ai tecnici del regime l’occasione di una efficace riorganizzazione centralizzata del settore consortile tanto su base provinciale quanto federale, proprio mentre si riaccendeva con gli industriali il cruciale conflitto sul prezzo dei concimi chimici e delle macchine agricole, che vedeva la Federconsorzi schierata a difesa del loro contenimento come inderogabile necessità degli agricoltori.
Carlo Pareschi, che proprio nel 1932 impose lo spostamento della sua organizzazione a Roma, puntava a inserirla nel quadro della pianificazione statalista del settore primario gradualmente promossa dal fascismo, senza tuttavia rinunciare a quella componente privatistica costituita dall’azione diretta degli agricoltori, specialmente padani, all’interno degli stessi consorzi.
Gli interventi statali già maturati includevano la ricostituzione del ministero dell’Agricoltura, soppresso nel luglio 1923 e reistituito nel settembre 1929, e la riorganizzazione delle casse di risparmio trasformate in una capillare rete di distribuzione del credito. Ai consorzi agrari doveva spettare soprattutto il mantenimento dell’equilibrio fra costi e prezzi, a cominciare dalla diretta gestione dei livelli produttivi e commerciali. Il cardine di tale politica fu identificato negli ammassi cerealicoli, dapprima volontari e poi resi obbligatori dal 1936, nel contesto del rilancio corporativo della seconda metà degli anni Trenta.
Gli eventi internazionali precedenti la guerra determinarono l’accentuarsi del dirigismo statale nella vita economica italiana legata ai programmi dell’autarchia e dell’organizzazione totalitaria della nazione dei produttori. Di questo passaggio si fece interprete Rossoni, dal 1935 ministro dell’Agricoltura e foreste, creando, nel giugno del 1938, i Consorzi provinciali tra i produttori dell’agricoltura, in cui vennero obbligatoriamente inquadrate tutte le organizzazioni consortili degli agricoltori. Essi furono rigidamente sottoposti al controllo delle confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori dell’agricoltura per tutto quello che concerneva i piani produttivi, le autorizzazioni, i conferimenti agli ammassi, i contingentamenti e la regolamentazione dei prezzi. Ciò esautorò di fatto la Federconsorzi, mentre i consorzi agrari, nel febbraio 1939, furono eretti a enti morali con l’esclusione degli agricoltori dalla loro gestione diretta, esclusione giustificata soprattutto con le necessità dell’economia di guerra.
Pareschi espresse apertamente la propria contrarietà a queste riforme e, dopo un aspro scontro con il ministro, si dimise.
Il 23 marzo 1939 fu designato membro della Camera dei fasci e delle corporazioni (dove rimase in carica fino al 2 agosto 1943) e, negli stessi giorni, fu chiamato da Vittorio Cini a ricoprire la carica di segretario generale dell’E42, l’ente organizzatore dell’Esposizione universale che si sarebbe dovuta tenere a Roma nel 1942, di cui l’industriale ferrarese era diventato commissario.
Nel 1941 Pareschi partì volontario per l’Africa settentrionale con il grado di capitano d’artiglieria, ma il 31 ottobre dello stesso anno fu nominato presidente della CNFA e poi il 26 dicembre, in seguito all’improvvisa rimozione di Tassinari, ministro dell’Agricoltura e Foreste.
Il problema fondamentale del ministero in quel momento era la gestione delle risorse agricole, indicata da più parti come la principale causa della cattiva situazione alimentare del Paese. Fin dal marzo 1942, Pareschi provvide a sopprimere i Consorzi provinciali tra i produttori dell’agricoltura riformandoli negli Enti economici dell’agricoltura e restituendo ai consorzi agrari e agli agricoltori una certa autonomia esecutiva. In questa sua opera, il tecnico ferrarese ebbe il sostegno di Mussolini; il che gli valse la sopravvivenza nell’ultimo e gigantesco rimpasto di governo che il duce impose il 6 febbraio 1943, sostituendo nove dei dodici ministri in carica.
Ma ormai, sotto l’incalzare delle sconfitte militari, della generale disorganizzazione e dei bombardamenti, il Paese si avviava alla frammentazione territoriale, alla frantumazione dei mercati e alla disgregazione politica e sociale. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943, nell’ultima seduta del Gran Consiglio del fascismo anche Pareschi votò a favore dell’ordine del giorno presentato da Dino Grandi, probabilmente nell’intento di contrastare l’evidente sbando degli ordinamenti nazionali.
Rimasto a Roma fra la caduta del fascismo e il sopraggiungere dell’armistizio, il 4 ottobre 1943 venne arrestato a casa sua dai militi del neonato Partito fascista repubblicano (PFR), incarcerato a Regina Coeli e successivamente trasferito a Padova. Processato e condannato per tradimento, fu fucilato – insieme a Emilio De Bono, Galeazzo Ciano, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli – a Verona, presso il poligono di tiro di Forte S. Procolo, l’11 gennaio 1944.
Scritti e discorsi: Attualità della cooperazione, in Giornale di agricoltura della domenica, 13 maggio 1934; L’agricoltura e la guerra, Roma 1941; Discorso dell’eccellenza C.P., ministro dell’Agricoltura e delle foreste, per la celebrazione del cinquantenario del consorzio agrario provinciale di Parma, Parma 1942; L’agricoltura italiana nel primo ventennio del regime fascista, Firenze 1943.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, bb. 85, 88; Carteggio ordinario, f. 527970; Enti economici dell’agricoltura, 1937-1957, bb. 1, 2, 3, 9, 16, 25, 30; Archivio storico dell’Università di Bologna, Regia Scuola Superiore di Agraria, f. 308, Pareschi Carluccio.
F.W. Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Torino 1963, ad indicem; A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Roma-Bari 1974, ad indicem; V. Ronchi, Guerra e crisi alimentare in Italia 1940-1950. Ricordi ed esperienze, Roma 1977, ad indicem; A. Ventura, La Federconsorzi dall’età liberale al fascismo: ascesa e capitolazione della borghesia agraria 1892-1932, in Quaderni storici, XXXVII (1977), pp. 683-720; A. Staderini, La Federazione italiana dei consorzi agrari 1920-1940, in Storia contemporanea, IX (1978), 5-6, pp. 951-1021; T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, a cura di R. De Felice, Milano 1983, ad indicem; M. Missori, Gerarchie e statuti del P.N.F. Gran Consiglio, Direttorio nazionale, federazioni provinciali: quadri e biografie, Roma 1986, pp. 54-56, 303; R. De Marzi, Grano e potere. La Federconsorzi, cento anni di lotte per il dominio sulle campagne, Bologna 1987, ad indicem; R. De Felice, Mussolini l’alleato 1940-1945, II, Crisi e agonia del regime, Torino 1990, ad indicem; La Confagricoltura nella storia d’Italia. Dalle origini dell’associazionismo agricolo ad oggi, a cura di S. Rogari, Bologna 1999, pp. 248, 314, 380, 435, 983; R. Parisini, Poteri corporativi, sindacato ed élites periferiche nelle campagne padane, in Il fascismo in provincia. Articolazioni e gestione del potere tra centro e periferia, a cura di P. Corner - V. Galimi, Roma 2014, pp. 151-166; Camera dei Deputati, Portale storico, sub voce (http://storia.camera.it/deputato/carlo-pareschi-18980819#nav).
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Carlo