pargolo (parvolo [le due forme si alternano anche nel diminutivo; cfr. Petrocchi, Introduzione 414 ss.]; parvulo)
L'accezione propria di " bambino " è comune a parecchie occorrenze del termine, ma con intonazioni diverse. C'è una sfumatura di tenerezza nell'immagine del parvol che ricorre / sempre colà dove più si confida, cui D. stesso si paragona (Pd XXII 2; l'immagine è completata da quella di Beatrice-madre che soccorre / ... al figlio palido e anelo, vv. 4-5); sia da Beatrice che da Virgilio i bambini sono visti nella loro qualità di ‛ innocenti ', legata appunto all'età puerile (Fede e innocenza son reperte / solo ne' parvoletti; poi ciascuna / pria fugge che le guance sian coperte, Pd XXVII 128; cfr. anche Pg VII 31); in un passo del Convivio invece è posta in luce una caratteristica dell'anima infantile, quella di accontentarsi di piccole cose (vedemo li parvuli desiderare massimamente un pomo; analogamente all'anima ancora inesperta piccioli beni... paiono grandi, IV XII 16), mentre l'età matura porta a ben diverse aspirazioni.
Caratteristica dei bambini è anche quella di agire senza discernimento, di essere incostanti: onde possono essere assunti a termine di paragone di coloro che vivono secondo senso e non secondo ragione, a guisa di pargoli, e che tosto sono vaghi e tosto sono sazii, spesso sono lieti e spesso tristi di brievi dilettazioni e tristizie... ogni cosa fanno come pargoli, sanza uso di ragione (Cv I IV 3 e 5; per l'accostamento, cfr. Tomm. Comm. Eth. III lect. IV " Quaecumque operantur bruta animalia et pueri, operantur secundum passionem appetitus sensitivi; non autem secundum appetitum intellectivum, quia carent usu rationis "). E anche, con intonazione più severa: dice Salomone ne lo Ecclesiastes... " Guai a te, terra, lo cui rege è pargolo " [traduzione di Eccl. 10,16], cioè non perfetto uomo; e non è pargolo uomo pur per etade, ma per costumi disordinati e per difetto di vita, sì come n'ammaestra lo Filosofo nel primo de l'Etica (IV XVI 5; cfr. Eth. Nic. I 3). Cfr. anche Cv IV XIX 10.
Il diminutivo ‛ pargoletta ' appartiene alla lirica amorosa, e più che l'età - pur sempre giovanile - della donna cui allude, ne mette in luce la grazia e la leggiadria. Anche il passo di Pg XXXI 59 (Non ti dovea gravar le penne in giuso / ... o pargoletta / o altra novità; è il severo rimprovero di Beatrice a D.) appartiene all'ambito della poesia amorosa: e infatti l'Ottimo annota: " E dice che né quella giovane la quale elli nelle sue rime chiamò pargoletta, né quella Lisetta... li dovevano gravare le penne delle ale in giù ".
Sembra trattarsi dunque della protagonista di Rime LXXXVII 1 I' mi son pargoletta bella e nova, dove il termine non è " nome... o senhal... sibbene designazione generica di donna giovinetta, tale da non individualizzarsi se non nella mente di chi conoscesse le rime ov'è usata, tale da aver Dante potuto usarla sì per la Pietra e sì per la celeste angioletta della ballata Io mi son pargoletta e del sonetto Chi guarderà " (Rossi, in " Bull. " XXIII [1916] 70). Di una pargoletta si parla infatti anche in Rime LXXXIX 2 Chi guarderà già mai sanza paura / ne li occhi d'esta bella pargoletta, e alla conclusione di una ‛ petrosa ' (Saranne [di me] quello ch'è d'un uom di marmo, / se in pargoletta fia per core un marmo, C 72), con una ripresa cui " è difficile togliere ogni valore intenzionale " (Barbi-Maggini). Per il problema dell'identificazione della pargoletta, v. le voci relative alle singole rime (in particolare I' MI SON PARGOLETTA BELLA E NOVA); e inoltre " Bull. " VII (1899-1900) 320-321, XII (1905) 291 e 327.
Lo stesso diminutivo si trova una volta anche al maschile, in sede di paragone, con riferimento a D. stesso: E poi che... mi fue sollenato questo lagrimare... m'addormentai come un pargoletto battuto lagrimando (Vn XII 2).
Con funzione aggettivale in Rime LXVII 60, dove con la mia persona pargola D. allude alla sua età puerile.