FIESCHI, Paride
Figlio di Giacomo fu Ettore e di Selvaggia Fieschi fu Silvestro, visse all'incirca tra il 1450 e il 1500. Appartenne alla nobile famiglia genovese discendente dal conte Ugo di Lavagna, al ramo di Savignone, parallelo a quello di Gian Luigi il Vecchio, di cui il gruppo familiare cui apparteneva il F. condivise in gran parte le scelte politiche filofrancesi e antipopolari.
Il padre del F. sposò in seconde nozze Bianca Gentile fu Francesco; ma dei dieci figli nati dai due matrimoni solo del F. è indicata con certezza la madre: il che fa del F. il primogenito, almeno tra quelli di condizione laica.
Il F. ricoprì con straordinaria frequenza la carica di anziano (ben dieci volte tra il 1484 e il 1498), una circostanza particolarmente significativa quando si pensi che, prima della riforma del 1528, i dodici anziani, accanto al doge o al governatore o al dominatore di turno (Adorno, Fregoso, Milano, Francia), nella loro funzione di senatori della Repubblica, rappresentavano l'autentica continuità dello Stato.
In un periodo come l'ultimo ventennio del XV secolo, costellato da continui cambiamenti di dominazioni esterne e di alleanze interne, rese più compromettenti dalla discesa di Carlo VIII e dalla politica espansionistica di Ludovico il Moro, la continuità della carica di anziano indica un ruolo mediatore ed equilibratore del F., rispetto al ruolo dinamico e spesso provocatorio di Gian Luigi Fieschi e dei suoi figli. Del resto tale ruolo moderato fu comune a tutto il gruppo familiare del F., in particolare ai fratelli Ettore, Giovanni Ambrogio e Francesco.
Come i fratelli, il F. venne impiegato in delicate ambascerie: nel 1487 e nel 1492 al duca di Milano, nel 1494 a Carlo VIII, nel 1496 all'imperatore e nel 1498 di nuovo al duca di Milano.
Delle prime due si hanno solo notizie indirette, anche se è lecito ipotizzare che quella del 1487 riguardasse la questione di Sarzana, che Firenze aveva riconquistato sottraendola al dominio del Banco di S. Giorgio, cui la mediazione di Innocenzo VIII l'aveva consegnata nel 1485. Poiché sulla questione di Sarzana il F. sarà impegnato anche in seguito e la città dipendeva dal Banco di S. Giorgio, è evidente che fu, più dei suoi fratelli, collegato alla politica del Banco: né si dimentichi che, proprio nel 1487, prima della cacciata di Paolo Fregoso, era stato creato a Genova un magistrato di dodici cittadini, da affiancare al Fregoso, con balia di governare tanto le cose del Comune quanto quelle di S. Giorgio. E fu praticamente questa magistratura, alle cui direttive il F. appare collegato, ad attivare col Fregoso quelle pratiche segrete che, all'inizio del 1488, consentirono il passaggio indolore della città sotto il dominio sforzesco di Gian Galeazzo, ovvero dello zio-tutore Ludovico il Moro.
Al Moro il F. venne inviato una seconda volta nel 1492. Anche in questo caso il problema centrale era la difesa degli interessi della Repubblica e insieme del Banco di S. Giorgio, calpestati sulla questione di Sarzana e Pietrasanta e restaurati invece in quella della Corsica.
Sempre come rappresentante insieme della Repubblica e del Banco di S. Giorgio il F. venne impiegato nel 1494 nell'ambasceria solenne che si recò ad Asti ad incontrare Carlo VIII.
Risulta incerta la collocazione del F. nei due anni successivi, quando i due fratelli Ibleto e Gian Luigi condizionarono da opposti schieramenti la politica interna e, sopra tutto, quella estera della Repubblica, prendendo posizione rispettivamente pro e contro Carlo VIII.
Probabilmente, come la maggior parte dei componenti del suo nucleo familiare, il F. restò estraneo alla politica armata dei potenti cugini, mantenendo una linea di neutralità che gli consentì di continuare a svolgere di preferenza ruoli diplomatici. Sta di fatto che, mentre Carlo VIII era costretto a ritornare in Francia e cedeva per denaro ai Genovesi Sarzana e Sarzanello che aveva tolto ai Fiorentini, il F., nello stesso autunno 1496, fu incaricato delle accoglienze all'imperatore Massimiliano.
Alla diplomazia di rappresentanza il F. ritornò nel 1498, in occasione della visita a Genova di Ludovico Sforza, anche se il suo ruolo appare più legato all'aspetto amministrativo che a quello politico.
La visita venne predisposta dal Moro proprio per cancellare lo scontento diffuso a Genova per il suo appoggio a Lucca sulla questione di Pietrasanta e per le perdite commerciali genovesi dovute alle ostilità con la Francia. Si realizzò alla fine di marzo con grande solennità e con un personale successo popolare del Moro: successo accentuato dalla sua commessa di una flotta di venticinque galee che, se condotta a termine, avrebbe dato lavoro e benessere a molti strati cittadini e, indirettamente, indebolito il partito filofrancese. Il 9 genn. 1498 erano stati eletti in pubblica seduta gli otto cittadini, tra cui il F., incaricati dell'accoglienza.
Incontro al Moro, a Tortona, furono inviati, il 4 marzo 1498, altri quattro patrizi tra cui un fratello del F., Giovanni Ambrogio: a conferma di quanto il nucleo familiare del F. fosse, in quel momento, legato alla politica sforzesca. Ma se dal 1499 Giovanni Ambrogio e gli altri fratelli seppero spostarsi sull'alleanza francese dopo la morte di Carlo VIII, l'ascesa di Luigi XII e l'apertura delle ostilità tra il re di Francia e il duca di Milano, il F. non appare più nella vita politica, o perché tagliato fuori dal nuovo corso degli eventi o perché - come sembra più probabile - ormai defunto. Tuttavia il diarista della rivolta popolare del 1507 faceva ancora riferimento al F., segnalando, in data 6 marzo, che l'artiglieria di Castelletto aveva colpito durante la notte alcuni punti della città, tra cui l'angolo della casa del F., in piazza Squarciafico.
Dal F. derivò la più numerosa e prolungata discendenza di questo ramo dei Fieschi. La moglie, Bianca Salvago fu Memialuce, apparteneva a una famiglia di antica nobiltà feudale ma, a differenza dei Fieschi, ormai impegnata nei grandi commerci del Nord, nelle Fiandre e in Inghilterra; dal matrimonio nacquero due femmine (Maddalena, sposa a Giacomo Spinola fu Giacomo, e Benedetta, sposa a Giacomo Spinola fu Antonio) e due maschi, Giacomo e Agostino. Giacomo (marito di Simona, figlia di Bendinelli Sauli, ricchissimo banchiere di parte popolare e mecenate) ebbe tre figli maschi: Urbano, poi arcivescovo di Ravenna e cardinale (ma morto giovane, subito dopo la nomina); Francesco, o Franco, politico e diplomatico, ed Ettore, da cui lunga discendenza fino alle soglie del Settecento. A metà Seicento si chiude invece la discendenza dell'altro figlio del F., Agostino, vescovo, ma prima padre di sei tra figli e figlie con significativa frequenza di scelta ecclesiastica per tutto questo ramo. Da tener presente che il Burckard attribuisce erroneamente al F. alcune esperienze politico-diplomatiche del contemporaneo Paolo Fieschi.
Fonti e Bibl.: B. Senarega, De rebus Genuensibus commentaria, a cura di E. Pandani, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIV, 8, ad Indicem; I. Burchardi, Liber notarum, ibid., a cura di E. Celani, XXII, 1, p. 372e ad Indicem; F. Federici, Trattato della famiglia Fiesca, Genova [1646], pp. 6 s., 85; N.Battilana, Genealogie delle famiglie nobili diGenova, Genova 1833, III, pp. 16 s.; C.Bornate, La visita di Ludovico Sforza a Genova, Novara 1919, pp. 4, 9;E. Pandiani, Un anno di storia genovese, in Atti d. Soc. lig. di storia patria, XXXVII (1905), p. 376; V. Vitale, Diplomatici e consoli della Repubblica di Genova, ibid., LXIII (1934), p. 131.