GRASSI, Paride
Nacque a Bologna, tra il 1450 e il 1460, da Baldassarre, di antica famiglia bolognese nobile e colta, proprietaria di uno dei più antichi palazzi della città, e da Orsina d'Amerigo Bocchi (o Bucchi). Dovette il suo nome, così come i fratelli Agamennone e Achille seniore, alle letture omeriche del padre e, come molti della sua famiglia, fu destinato fin da fanciullo alla carriera ecclesiastica.
Giunse per la prima volta a Roma molto giovane, intorno al 1473 e intraprese studi di diritto. A Roma trovò il fratello Achille iuniore, già in avanzata carriera nella corte pontificia, e lo zio Antonio, uditore di rota, vescovo di Tivoli e governatore di Campagna e Marittima e di Pontecorvo, ufficio nel quale procurò al G. il primo impiego come vicegovernatore. In tale carica, il 1° dic. 1483 il G. approvò e firmò gli statuti riformati di Frosinone.
Il G. godette di non pochi benefici e rettorie nella città natale. Nel 1476 aveva un canonicato nella chiesa di S. Petronio, a Bologna, che nel 1484 cambiò con un altro nella cattedrale, che mantenne fino al 1494. Un documento del capitolo della cattedrale (in Frati, p. VII) indica il 2 febbr. 1494 quale data della sua partenza definitiva per Roma: può darsi che fino a quella data egli si sia spostato spesso tra Roma e Bologna. In un anno imprecisato - ma ne faceva già uso nel 1483 - ottenne il titolo di dottore in utroque iure.
Sotto Innocenzo VIII il G. entrò a far parte della familia pontificia. L'11 maggio 1485 ricevette in prestito dalla Biblioteca Vaticana alcuni codici, tra i quali uno di Svetonio: il bibliotecario Cristoforo Persona glieli concesse per quattro giorni, a condizione di non portarli fuori del palazzo apostolico, dove evidentemente il G. in quel momento risiedeva. I volumi furono restituiti il 13 maggio. Sotto Alessandro VI entrò come uditore al servizio di Cesare Borgia, allora arcivescovo di Valenza e in seguito cardinale. Ai primi di settembre del 1494 fu nominato governatore della città e del contado di Orvieto.
Nel giugno 1497 Alessandro VI nominò Cesare Borgia legato nel Regno di Napoli per l'incoronazione di Federico d'Aragona. Il Borgia lasciò Roma il 20 luglio con splendido seguito, del quale probabilmente faceva parte anche il Grassi. Il 10 agosto, a Capua a causa della peste che infuriava a Napoli, si tenne l'incoronazione, di cui il G. lasciò un resoconto. Dopo la rinuncia al cardinalato e agli ordini da parte del Borgia, il G. sembra cessare i suoi rapporti con lui.
Nel giugno 1499 fu nominato canonico di S. Lorenzo in Damaso, carica che deteneva nel 1501. Durante il breve pontificato di Pio III, il G. ottenne ancora un beneficio di 24 ducati l'anno presso S. Pietro; era allora al servizio del cardinale Ascanio Maria Sforza e vi era ancora il 18 maggio 1504, durante il pontificato di Giulio II, che nel 1503 respinse una sua petizione per la nomina a supernumerarius tra i chierici di Camera. Lo creò poi cerimoniere pontificio il 26 maggio 1504. Il G. - lo testimonia lui stesso nella prima frase del suo Diarium - in quel tempo era ancora canonico della cattedrale di Bologna.
Nel Diarium egli racconta che ottenne la nomina a cerimoniere per rinunzia in suo favore di Bernardino Gutierrez, anche per i buoni uffici del fratello Achille e l'assistenza dei cardinali R. Riario e P. Isvalies, e che non fu accolto bene da Johann Burckard, primo cerimoniere e diarista pontificio. Il Burckard, geloso delle sue prerogative, si dimostrò poco disponibile con il G. e poco incline a trasmettergli le sue conoscenze. Fu il Gutierrez a istruire il G., che apprese anche molto leggendo il Diarium redatto dal Burckard, con pena all'inizio per la scrittura quasi incomprensibile, poi annotandolo e correggendolo. Il risentimento contro il Burckard finì per trasformarsi in vero e proprio odio per il rivale, che avrebbe tentato anche di far cadere la candidatura del G. al suo posto; ma alla morte del Burckard, il 16 maggio 1506, il G. ebbe la nomina a primo cerimoniere. A proposito del carattere irascibile e violento del G., il Frati (p. XXIII) riporta un aneddoto eloquente: il 20 ott. 1508, celebrandosi l'anniversario della morte di Pio III, egli percosse alcuni frati che cercavano, secondo una vecchia consuetudine, di impadronirsi di alcuni arredi usati nella cerimonia.
Come il Burckard, sul quale dà nel suo Diarium un giudizio fortemente negativo, il G. prese a notare giorno per giorno, fin nei più minuti avvenimenti, tutto quello che riguardava il suo ufficio. Il 28 marzo 1509 Giulio II lo nominò arciprete della chiesa dei Ss. Celso e Giuliano, carica confermata da Leone X il 19 marzo 1513. Nel corso di questi quattro anni, però, Giulio II fece abbattere la chiesa medievale per costruirne una più moderna. Il G. racconta che il 17 genn. 1512 Giulio II, trovandosi a passare di lì, volle vedere lo stato dei lavori e consolò lui che si trovava tra le rovine pregandolo di pazientare. La pazienza del G. venne premiata, perché alla fine dei lavori egli ottenne una spaziosa residenza annessa alla chiesa. Lucrò poi altri benefici, ed entrò in possesso di una campagna nei dintorni di monte Mario, con abitazione e vigna.
Il G. fu nominato vescovo di Pesaro il 4 apr. 1513 e fu consacrato a Roma il 16 maggio. Mantenne però l'ufficio di cerimoniere, almeno come praesidens del collegio dei cerimonialisti, e continuò a risiedere a Roma, visitando la diocesi solo per avvenimenti particolari. Tra le sue principali attività curiali fu la consacrazione dei vescovi, che mantenne fino alla morte e sulle cui cerimonie compose un'opera rimasta manoscritta. La sua prima visita a Pesaro si verificò soltanto nel gennaio 1515, e si prolungò fino all'aprile. Insieme con il vescovato, ottenne il titolo di abate di S. Maria di Fabalo, nel distretto pesarese, mentre nello stesso 1515 in Curia fu nominato assistente pontificio.
Nel marzo 1517 il G. venne a conoscenza della pubblicazione avvenuta a Venezia l'anno prima, per iniziativa del vescovo di Corfù, Cristoforo Marcello, del Cerimoniale romano, compilato nel 1488 da Agostino Patrizi, allora cerimoniere pontificio (l'opera uscì con il titolo solenne di Rituum ecclesiasticorum sive sacrarum caeremoniarum Ss. Romanae Ecclesiae). Il G. andò su tutte le furie, accusando il Marcello di plagio e dolendosi con molti cardinali, finché la cosa non fu riferita a Leone X, che dette ordine di proibire la vendita del volume fino alla discussione della questione in concistoro, invitò il G. a scrivere un memoriale e nominò una commissione di tre cardinali che lo esaminassero e presentassero un giudizio al Sacro Collegio. La cosa finì nel nulla, anche perché la pubblicazione del Cerimoniale del Marcello era stata promossa da un personaggio eminente come il cardinale P. Santacroce. Sembra che il G. abbia rivolto la sua rabbia nell'incettare e distruggere quante più copie possibili del volume, che in effetti è molto raro. Di tutte le numerose opere composte dal G. sulle cerimonie pontificie, nessuna fu pubblicata in vita, tanto da far sospettare, ombroso e geloso delle sue conoscenze qual era, che non volesse divulgarle, per averne l'esclusiva.
Dopo la nomina a vescovo, pur dovendo delegare le sue funzioni di maestro delle cerimonie al nipote Ippolito Morbioli, si ha l'impressione che il G. abbia in effetti continuato a presiedere l'ufficio. L'ambiguità fu risolta presto, nello stesso 1513, durante il quinto concilio Lateranense, quando la bolla Pastoralis officii decretò che con il consenso del papa e degli altri cerimonieri un vescovo poteva rimanere nell'ufficio delle cerimonie. La bolla ridusse anche gli emolumenti della carica, che erano stati già ridimensionati da Giulio II; questo spiega forse lo scarso entusiasmo del G. sui risultati di tale concilio.
Il 28 dic. 1517 il G. favorì la concessione dell'incarico di cerimoniere a Biagio Baroni de Martinelli da Cesena, immortalato da Michelangelo nel Giudizio universale della cappella Sistina, raccomandatogli dal fratello, il cardinale Achille. Il G. intendeva favorire, con la nomina del Martinelli, una progressiva italianizzazione dell'ufficio di cerimoniere. Il Martinelli, peraltro, non gli fu molto riconoscente, e nel suo diario, che va dal 1517 al 1540, non mancò di lanciare pesanti critiche al G. e di manifestare i diversi attriti verificatisi tra di loro nel corso degli anni.
Nel 1519 il G. si recò a Pesaro per tenervi un sinodo. Vi tornò in seguito per far eseguire dei restauri nella cattedrale, che consacrò il 28 dic. 1522 e in cui fece trasferire le reliquie di s. Terenzio. Nel 1521 fu ammesso, per la sua grande esperienza, a partecipare al conclave dal quale uscì eletto Adriano VI. Fu presente anche al conclave successivo, del 1523, nel quale fu eletto Clemente VII. Nel 1527 evitò con la fuga il sacco di Roma. L'anno seguente, il 17 maggio, giunse a Orvieto, dove si trovava il papa in esilio, per vantare dei diritti sui benefici di uno dei cerimonieri che era deceduto.
Il G. morì a Roma il 10 giugno 1528 e fu sepolto in S. Pietro.
Quale maestro delle cerimonie pontificie scrisse il famoso Diarium (Bologna, Biblioteca comunale, Mss., 1597; Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds lat., 5164-5165; l'elenco dei manoscritti vaticani dell'opera si trova in Salmon, pp. 107-109, 114, 119 s., 124, 126 s., 135, 137, 141 s.), fonte preziosa di notizie sulla vita pontificia durante il suo ufficio di cerimoniere. Contiene i ritratti intimi dei papi di quegli anni: Giulio II e Leone X, dei quali il G. descrive la vita quasi giorno per giorno. Rispetto al Diarium del suo predecessore, il Burckard, il G. lasciò meno spazio all'aneddotica e si limitò al semplice resoconto delle cerimonie, uscendone di rado e motivandone la causa. Temeva, il G., di dare troppo spazio agli avvenimenti politici; peraltro, il periodo storico agitato nel quale scrisse non poteva non riflettersi nell'opera. Il Diarium inizia il 12 maggio 1504 e termina con le esequie di Leone X, il 9 dic. 1521. Da esso emergono anche i vari lati della personalità del G.: fosse per sua natura o per un'eccessiva importanza data al suo ruolo, che peraltro lo poneva spesso in compagnia esclusiva dei cardinali e del pontefice, egli dava un'importanza esagerata a un rigido criterio formale, non esitando a criticare acerbamente chi sfuggiva al cerimoniale, senza risparmiare gli stessi pontefici. Provocò più volte, in questo modo, le ire soprattutto di Giulio II, poco incline a ricevere critiche.
Il Diarium è una fonte storica inesauribile, con la sua descrizione particolareggiata delle cerimonie, delle festività, della liturgia, delle funzioni e dei personaggi che vi partecipavano, delle chiese, dei paramenti; vari autori (J.J. von Döllinger, P. Delicati e M. Armellini, L. Frati) ne scelsero parti importanti dal punto di vista storico (i viaggi dei due papi, le canonizzazioni, le funzioni, aneddoti), mentre non ne fu mai pubblicata un'edizione completa. Lo stesso G., d'altra parte, già in partenza precisa che non era sua intenzione compilare un'opera storica, ma offrire semplicemente un resoconto delle cerimonie che si susseguivano, senza neanche dare particolare importanza allo stile.
Tra le altre opere del G. è il commentario al Cerimoniale di Agostino Patrizi, dal titolo Caeremonialium regularum supplementum et additiones. È contenuto in due manoscritti della Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 4739 e 5634.II.A, copiati da un segretario, il bolognese Pietro Borgolochi, da un archetipo, che egli chiama "l'originale del vescovo di Pienza", cioè Agostino Patrizi, e che è l'Ambr., I.185 inf., pieno di annotazioni nei margini e negli interlinei, alcune autografe. Nel Vat. lat. 4739 è una lista delle pecunie dovute dai cardinali appena eletti a vari funzionari pontifici, pubblicata dal Dykmans (1985, pp. 416 s.).
Il Tractatulus de consecratione electorum in episcopos eiusque requisitis ac modo et ordine quibus sub Iulio II… Romana Ecclesia utitur è contenuto nel codice Arch. Cap. S. Pietro, H.79 della stessa biblioteca. In questa come in altre opere il G. si dimostra sempre pronto a correggere il suo predecessore, Burckard.
Il Tractatus de ordine quo papa equitat ad aliquem Ecclesiam religionis gratia, sive ad alium locum, per urbem, in solemnitate non pontificali è riferito a una visita a cavallo di Giulio II a una chiesa di Roma. Anche quest'opera è contenuta in un solo manoscritto, il Vat. lat. 5634. Nel prologo il G. dice di scrivere nel primo anno della sua funzione di cerimoniere, quindi si può datare il trattato intorno al 1505. Il protocollo della visita è descritto in modo estremamente minuzioso, come le figure che si susseguono nella processione.
Sempre verso la fine del 1505 il G. dedicò un trattato ai riti osservati da Giulio II per la nomina di nuovi cardinali, nel dicembre di quell'anno. L'opera, De creatione cardinalium, è contenuta nel Vat. lat. 4739, autografo. Egli continua qui la polemica con il Burckard, irridendo il cerimoniale che il suo predecessore gli aveva fatto studiare, mentre si rifà invece ancora al Cerimoniale del Patrizi.
Nel 1507-08 compilò un Brevis ordo Romanus, che il maurista Edmond Martène inserì nel suo Tractatus de antiqua Ecclesiae disciplina in divinis celebrandis officiis, pubblicato a Lione nel 1706 con il titolo Ordo Romanus auctore Paride Grasso sacrarum ceremoniarum praefecto.
Tra il 1505 e il 1509 il G. compilò un'opera sulle udienze politiche del pontefice. Sebbene il punto di vista del G. fosse, come sempre, ristretto ai problemi del cerimoniale, l'opera, che riporta la cronaca di tali udienze, finisce per costituire una documentazione storica di notevole importanza. È trasmessa da vari manoscritti vaticani, il cui archetipo è il Vat. lat. 12270.
Nella seconda metà del 1511 il G., sulla base di ricerche e scritti precedenti e di notizie del Diarium, redasse un trattato sugli usi funerari della Curia romana (Tractatus de funeribus et exequiis in Romana Curia peragendis), di cui si possiede l'archetipo (Vat. lat. 5986, vergato quasi totalmente dallo scriba del G., il bolognese Pietro Borgolochi) e un apografo (Vat. lat. 5944). Nella prefazione il G. afferma di avere assistito personalmente alle esequie di trenta cardinali. L'opera, divisa in sei libri, affronta l'argomento prima dal punto di vista storico, trattando degli usi funerari degli antichi e del loro significato, appoggiandosi sugli autori classici, sulla Bibbia, sui fondamenti giuridici e su alcuni autori medievali; poi passa alle esequie nella corte romana, descritte nei più minuti particolari. Nella prima parte il G. si spoglia per un attimo della sua funzione di cerimoniere pontificio, e si dilunga con piacere nella disquisizione erudita propria degli umanisti. La preparazione filologica all'opera gli consente anche di correggere il lessico funerario usato dal suo predecessore, il Burckard. Altro punto forte dell'opera sono le esequie cardinalizie, a proposito delle quali, nel libro quinto, il G. offre un quadro preciso delle spese da affrontare (per una somma totale tra i 3500 e i 4000 ducati). In fine aggiunge un capitolo sull'asportazione dei visceri del defunto, necessaria per fugare (o confermare) sospetti di avvelenamento, ma che si eseguiva soltanto su ordine del papa dopo aver consultato il Concistoro.
Tra il 1506 e il 1525 il G. compose un voluminoso trattato De caeremoniis papalibus, dove riprende in forma nuova i soggetti a lui più familiari. Incompleto e spesso incoerente nell'ordine degli avvenimenti, riguarda i pontificati da Giulio II a Clemente VII. L'opera è contenuta manoscritta nel codice Borghese I.568 dell'Archivio segreto Vaticano, il cui antigrafo è all'Archivio di Stato di Torino (Mongardin, J.a.X.18). Le numerose copie manoscritte successive sono citate dal Dykmans (1986, pp. 283 s.).
Altra opera del G., stampata postuma a Roma, presso A. Blado, nel 1564, è il De caeremoniis cardinalium, et episcoporum in eorum dioecesibus, richiestagli dal cardinale Giovanni Stefano Ferrero. L'opera si trova manoscritta nella Biblioteca Palatina di Parma, e nella prefazione porta la data di composizione: il 1° sett. 1508. Un secondo manoscritto, scritto dal cardinale tedesco Mattheus Lang, arcivescovo di Salisburgo dal 1519 al 1540, si trova a Salisburgo (Studienbibliothek, V.1.J.273). Un ulteriore manoscritto, oggi perduto, servì per l'edizione e fu dato dal G. nei suoi ultimi giorni di vita al suo successore Biagio Martinelli. Questi lo lasciò ai nipoti Francesco e Giovanni Paolo Mucanzio, che divennero entrambi cerimonieri papali. Francesco fu il curatore della stampa. L'opera ebbe una discreta fortuna e fu ristampata a Roma, In aedibus Populi Romani, 1580, a Venezia, da P. Dusinelli nel 1582, e di nuovo a Roma, da B. Donangeli nel 1587.
Tra il 1511 e il 1517 il G. scrisse un resoconto del quinto concilio Lateranense (3 marzo 1512 - 16 marzo 1517), del quale fu cerimoniere. Esso fa parte del Diarium ed è contenuto nel Vat. lat. 5636, autografo. Il resoconto fornisce un elenco dettagliato della preparazione al concilio e delle cerimonie, scorci delle figure dominanti, delle fazioni e delle alleanze e giudizi sul suo mancato successo. Il racconto del G. rivela momenti in cui Giulio II confidò al cerimoniere le sue più segrete angosce: il timore di non essere in grado di dominare il concilio e la paura che si potesse rivolgere contro di lui. Il cerimoniere, rispondendo alla fiducia del papa, dovette giocare un ruolo non secondario, con la sua attenta orchestrazione delle cerimonie del concilio, nel quale lentamente Giulio II riprese la sua fiducia e il controllo della situazione. Nel 1513, alla morte di Giulio II, il G. continuò il resoconto con l'avvento di Leone X. Nel racconto il G. inserì un dettagliato resoconto della riconciliazione dei cardinali che avevano partecipato al concilio di Pisa, ribelle a Giulio II; il suo testo è l'unica fonte rimasta dell'avvenimento.
Nei suoi Tractatus de oratoribus Romanae Curiae e De oratorum praecedentia (Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. lat. 2366, cc. 49-52) trattò della figura dell'ambasciatore.
Di un'altra opera dedicata alla musica ecclesiastica, in particolare alle intonazioni, De tonis sive tenoribus orationum et aliorum omnium quae intra totum annum solemniter cantanda sunt, si è conservato l'autografo, Vat. lat. 12343.
Edizioni moderne. Diarium Curiae Romanae…, in Nova scriptorum… collectio, a cura di C.G. Hoffmann, Lipsiae 1731, pp. 361-659; De ingressu summi pont. Leonis X Florentiam descriptio… necnon Diarii et libri caerimoniarum Curiae Romanae, a cura di D. Moreni, Florentiae 1793; Beiträge zur politischen, kirchlichen und Cultur-Geschichte der sechs letzten Jahrhunderte, III, a cura di J.J. von Döllinger, Wien 1882, pp. 363-433; Il Diario di Leone X di Paride de Grassi maestro delle cerimonie pontificie…, a cura di P. Delicati - M. Armellini, Roma 1884; Le due spedizioni militari di Giulio II tratte dal Diario di Paride de Grassi bolognese, maestro delle cerimonie della cappella papale, su manoscritti di Bologna, Roma e Parigi, a cura di L. Frati, Bologna 1886.
Fonti e Bibl.: V. De Brognoli, Il Diario di P. de G., Roma 1884; M.G. Constant, Les maîtres de cérémonies du XVIe siècle, leurs diaires, in Mélanges d'archéologie et d'histoire, XXIII (1903), pp. 327 ss.; P. Salmon, Les manuscrits liturgiques latins de la Bibliothèque Vaticane, III, Ordines Romani, pontificaux, rituels, cérémoniaux, Città del Vaticano 1970, pp. 107-109, 114, 119 s., 124, 126 s., 135, 137, 141 s.; nn. 355 s., 359-361, 382, 399, 404, 406, 419, 431 s., 467-469, 478, 499 s.; M. Dykmans, Paris de G., in Ephemerides liturgicae, XCVI (1982), pp. 407-482; II, XCIX (1985), pp. 383-417; III, C (1986), pp. 270-333; Id., Le cinquième concile du Latran d'après le Diaire de Paris de G., in Annuarium historiae conciliorum, XIV (1982), pp. 271-369; N. Minnich, P. de G.'s Diary of the fifth Lateran council, in Annuarium historiae conciliorum, XIV (1982), 370-460; I. Herklotz, Paris de G.'s tractatus de funeribus et exequiis und die Bestattungsfeiern von Päpsten und Kardinalen in Spätmittelalter und Renaissance, in Skulptur und Grabmal des Spätmittelalters in Rom und Italien, Atti del Convegno, Roma… 1985, Wien 1990, pp. 217-248; N. Del Re, La Curia romana, Città del Vaticano 1998, p. 319.