Grassi, Paride
Nato a Bologna tra il 1450 e il 1460, fu destinato, come altri membri della sua famiglia, alla carriera ecclesiastica. Trasferitosi a Roma ancora molto giovane, intorno al 1473, si dedicò agli studi di diritto; lo zio Antonio, vescovo di Tivoli e governatore di Campagna e Marittima, e di Pontecorvo, lo nominò presto vicegovernatore, ufficio in cui G. firmò gli statuti di Frosinone nel 1483. Dopo aver trascorso un periodo a Bologna, dove aveva ottenuto diversi benefici, si trasferì definitivamente a Roma e, sotto Innocenzo VIII, entrò nella familia pontificia. Durante il pontificato di Alessandro VI fu nominato uditore al servizio di Cesare Borgia, che forse accompagnò a Napoli in occasione dell’incoronazione di Federico d’Aragona; dopo la rinuncia di Borgia al cardinalato, G. sembra non avere più rapporti con lui. Durante il pontificato di Pio III fu al servizio del cardinale Ascanio Maria Sforza e sotto Giulio II fu creato cerimoniere pontificio. I suoi esordi nel nuovo incarico furono caratterizzati dalla rivalità con l’alsaziano Johann Burckard, primo cerimoniere e diarista papale, contrario alla sua nomina e poco propenso a trasmettergli le sue conoscenze. Nel suo Diarium G. lo definisce «supra omnes bestias bestialissimus» e, a proposito della scrittura con cui Burckard registrava gli avvenimenti della corte papale, scrive credo ipsum habuisse diabolum pro copista talis scripturae, sicut partim videri potest in fine huius libri ubi aliquos quinternos alligavi («credo che avesse il diavolo stesso come copista di una simile scrittura, come in parte si può vedere alla fine di questo libro dove ho allegato alcuni quinterni»). Alla morte di Burckard, il 16 maggio 1506, G. fu nominato primo cerimoniere e da quel momento prese a registrare anche i più minuti avvenimenti relativi al suo ufficio. Il 28 marzo 1509 Giulio II lo nominò arciprete della chiesa dei Ss. Celso e Giuliano, carica confermatagli da Leone X. Divenuto vescovo di Pesaro nel 1513, mantenne comunque l’ufficio di cerimoniere grazie alla bolla papale Pastoralis officii emanata nello stesso anno e continuò a risiedere a Roma, pur recandosi in occasioni speciali nella sua diocesi. Nel 1521, in virtù della sua esperienza, fu ammesso al conclave che portò all’elezione di Adriano VI e fu presente anche a quella di Clemente VII. Fuggito da Roma in occasione del sacco del 1527, l’anno successivo raggiunse il papa a Orvieto. Morì a Roma il 10 giugno 1528.
Nel ruolo di cerimoniere G. redasse il suo Diarium, tuttora in buona parte inedito come le altre sue opere, che prende nota degli avvenimenti compresi fra il 12 maggio 1504 e il 9 dicembre 1521, giorno delle esequie di Leone X. Sebbene l’intento dell’autore fosse esclusivamente la registrazione e la descrizione delle cerimonie, delle festività, della liturgia e dei paramenti, il Diarium costituisce una fonte storica preziosa per i papati di Giulio II e di Leone X, le cui personalità vi sono tratteggiate con efficacia.
Durante il primo anno del suo ufficio di cerimoniere, G. compose il Tractatus de ordine quo papa equitat ad aliquem Ecclesiam religionis gratia, sive ad alium locum, per urbem in solemnitate non pontificali, che descrive con grande minuzia la visita a cavallo di Giulio II a una chiesa di Roma; dello stesso anno 1505 è il trattato De creatione cardinalium, conservato autografo nel Vat. lat. 4739, sui riti seguiti dal papa Della Rovere nell’elezione dei cardinali.
Numerose sono le altre opere di G., tutte dedicate ai cerimoniali e ai riti della curia pontificia: il Caeremonalium regularum supplementum et additiones, che costituisce il commento al Cerimoniale di Agostino Patrizi; il Tractatulus de consecratione electorum in episcopos, sui riti da seguire per l’elezione dei vescovi; il Brevis ordo romanus, inserito nel 1706 da Edmond Martène nel Tractatus de antiqua Ecclesiae disciplina in divinis celebrandis officiis; il Tractatus de funeribus et exequiis in Romana Curia peragendis, con particolare attenzione alle esequie cardinalizie; il De caeremoniis papalibus, che si estende fino al pontificato di Clemente VII e il De caeremoniis cardinalium et episcoporum in eorum dioecesibus.
Come si è detto, il Diarium di G. costituisce una fonte preziosa per i papati Della Rovere e Medici; in particolare G. offre un resoconto accurato delle due spedizioni militari intraprese da Giulio II: quella a Bologna contro i Bentivoglio (17 ag. 1506 - 23 marzo 1507) e quella per il recupero di Ferrara (1° sett. 1510 - 29 giugno 1512). In Discorsi I xxvii, M. rievoca l’entrata a Perugia il 13 settembre 1506 di Giulio II, determinato a spodestare Giampaolo Baglioni. Scrive M. che il papa
non aspettò di entrare in quella città con lo esercito suo che lo guardasse, ma vi entrò disarmato, non ostante vi fusse drento Giovampagolo con gente assai, quale per difesa di sé aveva ragunato. Sì che portato da quel furore con il quale governava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimisse nelle mani del nimico; il quale dipoi ne menò seco lasciando un governatore in quella città che rendesse ragione per la Chiesa. Fu notata, dagli uomini prudenti che col papa erano, la temerità del papa e la viltà di Giovampagolo; né potevono estimare donde si venisse che quello non avesse con sua perpetua fama oppresso ad un tratto il nimico suo, e sé arricchito di preda, sendo col papa tutti li cardinali, con tutte le loro delizie (§§ 3-5).
M. era stato presente all’entrata del pontefice a Perugia e ne aveva dato notizia nella lettera del 13 settembre 1506 ai Dieci, osservando che «el papa e il collegio sta ad discrezione di Giampaulo» (LCSG, 5° t., pp. 464-66). La registrazione dell’ingresso di Giulio II a Perugia offerta dal Diarium di G. presenta invece il pontefice accompagnato da armati sia all’esterno della città sia al suo interno: scrupolosamente G. dichiara che nell’organizzazione dell’entrata papale aveva richiesto per la disposizione dei soldati la consulenza di periti in arte militari qui dixerunt sic sub Alexandro factum fuisse ordinante tunc duce Valentino («esperti nell’arte militare che dissero che così era stato fatto durante il papato di Alessandro agli ordini del Valentino»), e più avanti aggiunge milites vero per urbem in armis sequerentur per acies instructas omnem equitatem papalem («i soldati schierati in armi seguivano per la città la cavalleria papale», Le due spedizioni..., a cura di L. Frati, 1886, pp. 40-41). Va comunque sottolineato che nella già menzionata lettera ai Dieci M. riferiva la dichiarazione di Baglioni, il quale, avendo a disposizione due strade per conservare il suo Stato, la forza o la sottomissione, avrebbe scelto quest’ultima secondo il consiglio del duca di Urbino (che aveva precedentemente organizzato un incontro fra Baglioni e Giulio II a Orvieto). Insomma, la questione sarebbe stata risolta, indipendentemente dalla presenza o assenza di armati, dall’atteggiamento adottato da Giampaolo, che poi, come registra G., scortò a cavallo con gli altri baroni il pontefice.
Bibliografia: Il Diario di Leone X di Paride de Grassi maestro delle cerimonie pontificie, a cura di P. Delicati, M. Armellini, Roma 1884; Le due spedizioni militari di Giulio II tratte dal Diario di Paride de Grassi bolognese, maestro delle cerimonie della cappella papale, su manoscritti di Bologna, Roma e Parigi, a cura di L. Frati, Bologna 1886.
Per gli studi critici si veda: M. Ceresa, Grassi Paride, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 58° vol., Roma 2002, ad vocem.