Parigi (Parisi)
Capitale della Francia; centro spirituale e amministrativo dello stato francese fin dal suo primo sorgere.
Posta sulla Senna, al centro dell'Ile de France, unica regione in possesso diretto del re e in comunicazione con tutti i grandi feudi, P. fu la base da cui s'irradiò la potenza monarchica fino a estendersi su tutta la Francia (Pontì e Normandia prese, e Guascogna, Pg XX 66). Giustamente ha osservato il Pirenne: " Come Roma è la città del papa, Parigi è la città del re ".
Già sede dei primi re merovingi, P. subì le sorti della dinastia decadendo con essa. Gl'imperatori carolingi trascurarono la città che, amministrata da un conte, divenne centro di dominio feudale, e tale rimase nel nuovo regno dei Robertingi benché proprio la difesa di P. dagli assalti normanni fatta da Eudi figlio di Roberto il Forte (845, 856, 861) avesse determinato l'affermarsi di questa dinastia (888). L'avvento dei Capetingi (987) segnò un nuovo periodo di floridezza per P. che, ritornata sede della dinastia, godé del lungo periodo di pace che intercorse fra l'avvento di Ugo Capeto e Luigi VII, sviluppandosi con grandi costruzioni all'interno e fortificazioni all'esterno, mentre veniva accentrando in sé tutte le funzioni amministrative del nuovo regno, a tal punto che l'arcivescovo di Sens (diocesi di cui P. fu suffraganea fino al 1622) venne a stabilirvisi. Sotto Filippo Augusto assunse ufficialmente il ruolo di capitale del regno. Con l'estendersi della monarchia capetingia la città accrebbe sempre più la sua importanza politica, fino a svolgere sotto il regno di Filippo il Bello una vera e propria parte di protagonista nella contesa tra il re e papa Bonifacio VIII. Infatti in conseguenza alla scomunica infertagli dal papa, Filippo convocò a P. gli Stati Generali, e in quell'occasione la popolazione della città si strinse intorno al sovrano offrendogli tutta la solidarietà nella sua politica antipapale. Con l'avvento della dinastia dei Valois (1328-1515) la città si allontanò dal partito della monarchia, anche per le precarie condizioni politiche di quel burrascoso periodo, ma successivamente P. riassunse in pieno il suo ruolo di guida spirituale e politica della Francia.
In D. non è mai ricordata P. in quanto centro politico e sede di una dinastia che tanta parte ebbe nella storia fiorentina e d'Italia in genere: il solo riferimento alla vita politica della città riguarda le sommosse che vi furono contro i provvedimenti finanziari di Filippo il Bello (lì si vedrà il duol che sopra Senna / induce, falseggiando la moneta, / quel che morrà di colpo di cotenna, Pd XIX 118-120). Ma in questo caso D., più che voler presentare un momento particolare della vita della città, si sofferma su un episodio atto a intensificare quell'atmosfera di riprovazione con cui circonda la figura di Filippo il Bello e di tutti i suoi predecessori. L'interesse più vivo che D. mostra per P. si rivolge al suo mondo culturale: le sue scuole monastiche di Sainte Geneviève, di Saint Germain des Prés, quella di Nôtre Dame erano assurte a gran fama fin dal sec. XI e da queste scuole ecclesiastiche sorse poi l'università, riconosciuta di fatto da Filippo Augusto nel 1200. A questa università si riferisce D. nel ricordare Sigieri di Brabante che, leggendo nel Vico de li Strami, / silogizzò invidïosi veri (X 137-138; cfr. Fiore CXII 7); inoltre la presenza, nella prima corona dei sapienti, di s. Tommaso con Alberto Magno a destra e Sigieri a sinistra, tutti e tre dell'università di P., è stata intesa come una glorificazione di questa (Cipolla), ma è soltanto un'interpretazione ipotetica. La citazione del Vico de li Strami, ove erano ubicati gli edifici dello Studio, e la menzione delle contese che vi si svolgevano, suggeriscono una buona conoscenza da parte di D. del mondo universitario parigino al quale si può ricondurre anche il ricordo delle vicende di Guglielmo di Saint Amour (Fiore CXII 12-14, CXIX 5 ss.). Un altro richiamo a questo ambiente si è voluto vedere nella descrizione che D. fa del proprio stato d'animo nell'attesa dell'esame che dovrà subire da s. Pietro sulla fede (Sì come baccialier s'arma e non parla / fin che 'l maestro la question propone, / per approvarla, non per terminarla, / così m'armava io d'ogne ragione / mentre ch'ella dicea, per esser presto / a tal querente e a tal professione, Pd XXIV 46-51); infatti propria dell'università di P. è la designazione di ‛ maestro ' e il titolo di ‛ baccelliere ' nonché la procedura dell'esame. Ma tutti questi elementi che nel loro complesso sono stati considerati probanti di una partecipazione di D. al mondo universitario parigino perdono di valore se esaminati singolarmente. Infatti tutte le notizie su quell'ambiente culturale possono derivare a D. da conoscenza indiretta: stretti erano i rapporti fra Firenze e la Francia, e in particolare D. fu allievo di Remigio de' Girolami, il quale aveva insegnato a P. e che fu quindi protettore dello Studio di Santa Maria Novella; in questo Studio, inoltre, si seguiva la stessa procedura di esame in vigore a P. e già prima del 1295 vi era un baccelliere, aiuto e assistente del maestro.
Altro richiamo al mondo culturale parigino è nell'episodio di Oderisi da Gubbio: non se' tu Oderisi / ... l'onor di quell'arte / ch'alluminar chiamata è in Parisi? (Pg XI 81). L'uso del vocabolo prettamente francese ‛ alluminare ' per indicare l'arte del miniare è stato inteso come intenzionale da parte di D. per indicare come quest'arte fiorisse soprattutto a P.; ma anche quest'affermazione non ha valore assoluto e la spiegazione della presenza del francesismo non è così lineare stilisticamente come si presupporrebbe (v. ALLUMINARE).
Un'ulteriore testimonianza di una presenza parigina di D. è nell'episodio di Ugo Capeto: Figliuol fu' io d'un beccaio di Parigi (XX 52), ma non era certo necessaria una residenza a P. per conoscere la leggenda sulle origini del capostipite della dinastia regnante: questa era divulgata nella Chanson de Huon Capet, ed è ricordata dallo stesso Villani (" Questo Ugo fu duca d'Orliens... ma per li più si dice, che 'l padre fu... stratto di nazione di buccieri ", IV 4). Ancora, a proposito dell'episodio di Pierre de la Brosse (v.; Pg VI 19 ss.), Benvenuto nel suo commento afferma che " Dantes, qui fuit Parisius, post exilium suum, explorata diligenter veritate huius rei, dignum duxit ipsum ponere salvum in Purgatorio "; ma anche in questo caso si può osservare che la vicenda, riportata dalle Grandes Chroniques de France (Philippe III, c. XXII), era comunemente diffusa, specie a Firenze ove si può supporre un particolare interessamento per le vicende del de la Brosse. Infatti, su comunicazione dello Zingarelli (D., p. 525 n. 33), un documento dell'Archivio di Stato di Napoli testimonia come nel 1273 Carlo d'Angiò, a Firenze, riconoscesse un privilegio feudale al de la Brosse, il quale, suggerisce lo studioso, in quel periodo probabilmente soggiornava nella città; anche in questo caso quindi non sarebbe stato necessario un viaggio di D. a P. per conoscere le vicende del ciambellano di Filippo III.
Si è voluto scorgere un ricordo di un viaggio francese di D. anche nell'episodio del ministro barattiere del re Tebaldo di Navarra (If XXII 31 ss.; v. CIAMPOLO); ma si può ancora osservare che i fatti del regno di Navarra erano ben noti a Firenze, per cui non c'è ragione di supporre che D. li apprendesse in loco. Altre prove di una presenza di D. a P. sono state ricercate in immagini, ricorrenti nelle sue opere, da ricollegare al mondo parigino, come nel verso porta nel Tempio le cupide vele (Pg XX 93), in cui si è voluta vedere una reminiscenza dello stemma della città (Gauthiez). Anche per il passo che descrive il martirio di s. Stefano (XV 109-111) è stata congetturata l'ispirazione da un bassorilievo di Nôtre Dame (Romani), ma tutte queste supposizioni sono ben lontane dall'avere un valore probante, e si può quindi concludere che dagli argomenti emergenti dalle opere dantesche non è possibile ricavare una conferma di un viaggio del poeta a Parigi. Questo sarebbe avvenuto per ragioni di studio in un'epoca imprecisata, ma precedente alla venuta di Enrico VII in Italia, come ci tramandano il Boccaccio (" se n'andò a Parigi e quivi ad udire filosofia naturale e teologia si diede ": Esposizioni sopra la Commedia, Accessus 34, ediz. Padoan, p. 8: cfr. Genealogia Deorum XV 6) e il Villani (" colla detta parte bianca fu cacciato e sbandito da Firenze, e andossene allo studio di Bologna, e poi a Parigi ", IX 136). Per quanto riguarda la possibilità di questo viaggio, si veda in Appendice la v. DANTE; inoltre si veda CAPETINGI; Francia.
Bibl. - L. Halphen, P. sous les premiers Capetiens, Parigi 1909; H. Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, Firenze 1956; P. Brezzi, L'urto delle civiltà nell'alto Medioevo, Roma 1971; ID., Società feudale e vita cittadina dal IX al XII secolo, ibid. 1972; Davidsohn, Storia IV III 232-238. Per quanto riguarda i rapporti di D. con P. si veda: C. Cipolla, Sigieri nella D.C., in " Giorn. stor. " VIII (1886) 53 ss.; F. Romani, Ombre e corpi, Città di Castello 1901; A. Farinelli, D. e la Francia dall'età media al secolo di Voltaire, Milano 1908; P. Gauthiez, Le chant XX du Purgatoire, Firenze 1909; P. Rajna, Per la questione dell'andata di D. a P., in " Studi d. " II (1920) 75-87; M. Barbi, La similitudine del baccelliere, in " Studi d. " XII (1927) 79-82; Zingarelli, Dante 513-526.