PARIGI
(franc. Paris; lat. Lutetia, Lutecia Parisiorum)
Città capitale della Francia, situata al centro dell'Ile-de-France, sulle rive del fiume Senna, alla confluenza con i fiumi Marna e Oise.
Lutetia, al pari di molte altre città della Gallia, assunse il nome del popolo gallico romanizzato, i Parisii, di cui era la capitale, solo alla fine dell'età romana. La storiografia ha per lungo tempo delineato un'immagine di P. legata a un ruolo secondario di modesto capoluogo della regione dei Parisii, prima che una più approfondita lettura dei dati archeologici permettesse di sfumare tale giudizio. Gli scavi mostrano che l'agglomerato dell'epoca imperiale (secc. 1°-3°) disponeva di un patrimonio monumentale degno delle metropoli dell'Occidente romano; agli inizi del sec. 4° l'Ile de la Cité era stata circondata da una possente cerchia muraria, mentre l'antico foro, fortificato, costituiva un secondo punto d'appoggio e proteggeva i quartieri della riva sinistra. A differenza di quanto avviene per il sec. 4°, mancano pressoché totalmente fonti storiche concernenti P. nel sec. 5°, fino all'epoca di Clodoveo (481-511): si sa solamente che la città faceva parte del regno romano che era riuscito a sopravvivere nella regione compresa tra i fiumi Loira e Somme sotto l'impulso dei magistri militum e nonostante la pressione barbarica lungo i confini (Lutèce, 1984, p. 362ss.).Se l'esistenza di una comunità cristiana a P. nella seconda metà del sec. 3° non può essere messa in discussione, come attesta intorno alla metà del secolo l'episodio del martirio di s. Dionigi, la città venne dotata di un seggio episcopale solo agli inizi del successivo. Oltre alla cattedrale, che si innalzava nell'Ile de la Cité sul sito oggi occupato da Notre-Dame, nella città dei Parisii esistevano allora almeno due luoghi di culto a vocazione funeraria e collocati in posizione extramuranea: uno di essi sorgeva sul luogo della tomba di s. Marcello (m. nel 435 ca.), vescovo di P., nel sobborgo che Gregorio di Tours (De gloria confessorum, 103) denomina vicus Parisiorum (od. quartiere dei Gobelins); l'altro era stato edificato sulla tomba di s. Dionigi, in corrispondenza del vicus Catulliacus (od. Saint-Denis).Salito sul trono di uno dei piccoli regni franchi della Gallia settentrionale nel 481, Clodoveo unificò i Franchi per poi intraprendere, a partire dal 486, una serie di conquiste che lo resero padrone, immediatamente prima della sua morte, della maggior parte della Gallia, a eccezione della Burgundia e della Provenza, che furono sottomesse solo dai suoi figli (534-536). Vinti i Visigoti a Vouillé nel 507 e celebrato il suo trionfo a Tours nell'anno successivo, Clodoveo assunse P. come capitale, sia per ragioni strategiche sia per la presenza della tomba di s. Genoveffa (m. nel 502), protettrice della nuova dinastia e patrona di P., sul cui sepolcro egli fece costruire il proprio mausoleo.All'indomani della morte di Clodoveo, il suo regno, considerato come patrimonio privato, venne suddiviso tra i figli, Teodorico (m. nel 533), Clodomiro (m. nel 524), Childeberto I (m. nel 558) e Clotario I (m. nel 561), che divennero rispettivamente re di Reims, Orléans, P. e Soissons: pur condividendo il rango di capitale con altre tre città, P. conservò un indiscutibile primato almeno fino alla metà del sec. 7°, tanto che, alla morte di Clotario I, suo figlio Chilperico I (m. nel 584) si affrettò a occupare P. per tentare di riunificare il regno, ostacolato però in questo progetto dai fratelli, i quali reiterarono la suddivisione del 511 con Cariberto I (561-567), che divenne re di Parigi. Capitale storica della dinastia merovingia, P. rappresentava una tale posta che i figli di Clotario e i loro successori decisero con un patto di farne una città indivisa, una sorta di capitale comune del regno.Nel sec. 5° P., al pari degli altri centri urbani della Gallia, era già cristiana, ma i luoghi di culto vi rimasero poco numerosi fino all'epoca merovingia, allorché la città e i suoi dintorni videro il moltiplicarsi delle fondazioni di chiese. La conversione di Clodoveo (496), per la quale si adoperarono la regina s. Clotilde (493-545), s. Genoveffa e s. Remigio di Reims (ca. 438-533 ca.), costituì in questo senso l'elemento decisivo, anche se le motivazioni iniziali erano soprattutto politiche. Il re divenne costruttore di chiese e i suoi figli fecero altrettanto, ben presto imitati dall'aristocrazia urbana e rurale, che si dotò di basiliche funerarie, in origine private, ma che si trasformarono ineluttabilmente in monasteri e in parrocchie.Le fonti scritte - in particolare la Vita sancti Marcelli di Venanzio Fortunato e l'Historia Francorum di Gregorio di Tours - e i dati archeologici, integrandosi, permettono di ricostruire i tratti essenziali della topografia di P. in epoca merovingia, di cui gli aspetti religiosi e funerari sono quelli meglio conosciuti: ciò si spiega con la natura stessa delle fonti scritte utilizzabili, narrazioni a carattere religioso o che comunque trattano di preferenza temi religiosi, e con la specificità degli scavi, che si sono orientati soprattutto sui luoghi di culto e sulle necropoli, mentre l'identificazione delle strutture insediative di età merovingia è resa difficile dalla persistenza di quelle tardoantiche, in molti casi ancora utilizzate all'epoca.La topografia dell'Ile de la Cité era ancora segnata dall'eredità della fine dell'età romana: mura, palazzo a O e strada principale in direzione N-S (nell'asse del cardine), che attraverso due porte raggiungeva il Grand-Pont, sul sito dell'od. Pont Notre-Dame, e il Petit-Pont, senza contare gli edifici pubblici e privati che ancora si conservavano. Nel corso dei secc. 6° e 7° i due terzi orientali dell'isola videro la creazione di una serie di edifici religiosi: all'estremità est sorgeva il gruppo episcopale, che, seguendo gli usi liturgici dell'epoca, si componeva di diverse chiese, ovvero la cattedrale di Saint-Etienne e quella di Notre-Dame, il battistero di Saint-Jean-le-Rond e le chiese di Saint-Germain-le-Vieux e forse di Saint-Denis-du-Pas, alle quali bisogna aggiungere il palazzo episcopale; più a O sorgevano due monasteri femminili, Saint-Christophe e Saint-Martial, quest'ultimo fondato intorno al 630 da s. Eligio e destinato a ospitare trecento religiose (la prima badessa fu s. Aurea, di origine siriaca); infine, in prossimità del Grand-Pont sorgeva un oratorio ligneo dedicato a s. Martino. Gregorio di Tours (Hist. Fr., VIII, 33) riporta inoltre l'esistenza di una piazza dinanzi alla cattedrale e di una prigione in prossimità del Petit-Pont. Solo la cattedrale di Saint-Etienne è stata oggetto di indagini archeologiche; questo monumento, la cui costruzione è attribuita a Childeberto I, si innalzava dinanzi e sotto l'od. cattedrale: edificio imponente, uno dei più grandi dell'Occidente (facciata m 36 e di conseguenza lunghezza del corpo longitudinale compresa probabilmente tra m 50 e 60), presentava un portico senza dubbio sormontato da un campanile, un corpo longitudinale a cinque navate e forse una torre sul fianco meridionale, addossata al muro di cinta; non è peraltro certo che il Saint-Etienne sia stato edificato in una sola soluzione nel sec. 6°; in rovina agli inizi del sec. 12°, fu distrutto intorno al 1160 in occasione dei primi lavori di Notre-Dame. L'archeologia e le fonti attestano l'esistenza di una seconda cattedrale, Notre-Dame, edificio più modesto, situato nella posizione in cui si trova il coro dell'od. cattedrale, che sarebbe stato costruito dopo il Saint-Etienne. Sulla questione della cattedrale doppia di P. rimangono tuttavia molti elementi incerti: in particolare i possibili antecedenti di Saint-Etienne e di Notre-Dame, poiché una delle due chiese (probabilmente la prima) dovette succedere alla cattedrale primitiva, costruita nella Cité all'epoca della pace religiosa costantiniana. La primazia di Saint-Etienne su Notre-Dame, ben accertata per l'epoca merovingia, venne a cessare nel sec. 9°: una spiegazione di questo fenomeno può essere individuata nell'insediamento di un Capitolo di canonici tra il 754 e l'829 a Notre-Dame (e non a Saint-Etienne, dove mancava lo spazio per ricavare il chiostro), istituzione che dovette giungere a svolgere un ruolo decisivo presso i vescovi, assicurando la supremazia delle chiese che ospitavano i capitoli canonicali.Al pari di quanto accadeva nell'Ile de la Cité, anche sulla riva sinistra della Senna si conservarono gli elementi essenziali dell'impianto topografico dell'epoca tardoromana: il reticolo ortogonale delle vie (in relazione al quale vennero impiantate numerose chiese merovinge), i monumenti pubblici (in particolare le grandi terme di Cluny, il foro e la c.d. arena), il cui stato di conservazione all'epoca e la cui destinazione d'uso restano tuttavia solo ipotetici, le abitazioni individuali e collettive, le necropoli (tranne probabilmente quella sudoccidentale). In epoca merovingia numerose chiese, di fondazione regia o frutto di iniziative private, vennero edificate nel quartiere Latino e nella sua periferia; si trattò in una prima fase di chiese suburbane, costruite nei quartieri che continuavano a esistere sulla riva sinistra, con l'antico cardine (od. rue Saint-Jacques) quale arteria principale: Saint-Séverin, Saint-Julien-le-Pauvre - ove Gregorio di Tours (Hist. Fr., VI, 17) alloggiò durante un soggiorno a P. -, Saint-Serge et Saint-Bacchus (in seguito Saint-Benoît-le-Retourné), Saint-Etienne-des-Grès. Più a E, alla sommità dell'altura di Sainte-Geneviève, s'innalzava la celebre basilica dei Saints-Apôtres, costruita da Clodoveo per servire da sepoltura sua e dei suoi congiunti, sulla tomba di s. Genoveffa, immediatamente oggetto di venerazione e ben presto sormontata da un primo oratorio in legno; le tombe di Clodoveo e di Clotilde, non ritrovate nonostante le ricerche effettuate nel 1807 al momento della distruzione della chiesa, erano state collocate all'interno di un sacrarium, una sorta di annesso della basilica, distinto dal sepolcro della patrona di Parigi. In quest'epoca dalla chiesa dei Saints-Apôtres dipendevano certamente due luoghi di culto: Saint-Symphorien-des-Vignes e Saint-Michel.Altre chiese vennero edificate alla periferia dei quartieri della riva sinistra e sulle loro principali vie d'accesso: Sainte-Croix-Saint-Vincent (od. Saint-Germain-des-Prés, dalla quale dipendeva Saint-Pierre), Notre-Dame-des-Champs, Saint-Médard e Saint-Victor. La più prestigiosa era certamente la basilica di Sainte-Croix-Saint-Vincent, fondata da Childeberto I al ritorno dalla sua campagna di Spagna (Liber historiae Francorum, 26), da dove aveva riportato due insigni reliquie, la tunica di s. Vincenzo di Saragozza e una croce, opera di oreficeria di Toledo, che conteneva forse un frammento del legno della Vera Croce. Childeberto venne sepolto in questa chiesa insieme a numerosi componenti della famiglia reale; nel 576 dovette trovarvi sepoltura anche s. Germano, vescovo di P. (556-576), e la grande venerazione di cui la sua tomba fu rapidamente oggetto determinò in seguito l'attribuzione del suo nome alla chiesa. In corrispondenza del cimitero del vicus Parisiorum, citato da Gregorio di Tours (De gloria confessorum, 87), si trovavano infine, al di là del fiume Bièvre, Saint-Marcel - che, costruito sulla tomba di s. Marcello, vescovo di P., esisteva forse già alla fine dell'epoca romana -, Saint-Martin e Saint-Hippolyte.Il sobborgo che si era formato sulla riva destra della Senna alla fine dell'epoca romana si sviluppò nel corso del periodo merovingio, come testimonia la significativa distribuzione di un certo numero di chiese sulla riva del fiume: Saint-Germain-le-Neuf o le-Rond (od. Saint-Germain-l'Auxerrois, dedicata a Germano di Auxerre e così denominata per distinguerla da Saint-Germain-le-Vieux, nella Cité), Sainte-Colombe e Saint-Paul-des-Champs (dipendenze del monastero di Saint-Martial nella Cité), Saint-Gervais-Saint-Protais e inoltre un luogo di culto nel quartiere degli Innocents (forse Notre-Dame-des-Bois); la chiesa di Saint-Merri è possibile esistesse alla fine dell'epoca merovingia, mentre per Saint-Jacques-de-laBoucherie sussistono dubbi. Vanno inoltre segnalate chiese poste molto più lontano dalla Senna e che non possono essere messe in relazione con il sobborgo della riva destra: Saint-Martin-des-Champs (attestato alla fine dell'epoca merovingia se non addirittura prima), Saint-Laurent e Saint-Denis di Montmartre, forse Sainte-Geneviève-de-la-Chapelle e Saint-Germain-de-Charonne. A eccezione del primo, tutti questi luoghi di culto si trovavano in posizione periferica, al di là di un meandro abbandonato della Senna soggetto a inondazioni in occasione delle maggiori piene del fiume, come testimonia Gregorio di Tours (Hist. Fr., VI, 25). La chiesa di Montmartre (forse sul luogo dell'od. Saint-Pierre-de-Montmartre) sorgeva in situazione geografica favorevole, su preesistenti templi romani, ed era stata eretta in onore dei santi martiri Dionigi, Rustico ed Eleuterio; la cappella di Saint-Martyre, posta sul fianco meridionale della collina, dovette in seguito commemorare il luogo tradizionale del supplizio: fu così che la collina, in origine denominata il monte di Marte o di Mercurio (Mons Martis, Mons Mercore), divenne il monte dei Martiri (Mons Martyrum) e quindi Montmartre.Tali dati topografici implicano alcune notazioni di ordine generale. In epoca merovingia il persistere della tradizione romana che proibiva le inumazioni intra muros fece sì che non vi fossero cimiteri nell'Ile de la Cité, e dunque il monastero di Saint-Martial disponeva per es. sulla riva destra di due basiliche funerarie proprie (Sainte-Colombe, Saint-Paul-des-Champs). La popolazione civile della Cité non possedeva un cimitero particolare, ma utilizzava, a seconda dei santi maggiormente venerati, numerosi cimiteri ad sanctos sulle due rive della Senna. Le fonti testimoniano che non si esitava a farsi seppellire a una certa distanza dal proprio domicilio: per questo cimiteri parigini prestigiosi come Montmartre, Saint-Germain-des-Prés o Saint-Marcel, dotati di edifici di culto famosi, non furono utilizzati solamente dalla popolazione vicina, ma attirarono anche le sepolture cristiane dei dintorni, giungendo a uno sviluppo considerevole.La maggior parte delle chiese suburbane ebbe funzione funeraria; le più antiche vennero edificate su necropoli risalenti alla fine dell'epoca romana (Saint-Gervais-Saint-Protais, Saint-Julien, Saints-Apôtres, Saint-Marcel e senza dubbio Notre-Dame-des-Champs e Saint-Victor) e, in diversi casi, ebbero origine da una tomba venerata (Saint-Marcel, Saints-Apôtres). Altre chiese suburbane non sembrano coincidere con campi di sepolture anteriori all'epoca merovingia: nate dalla volontà di un principe (Sainte-Croix-Saint-Vincent) o da iniziative private, queste basiliche funerarie generarono rapidamente necropoli ad sanctos, tanto più importanti in quanto le reliquie che esse custodivano erano oggetto di venerazione popolare. Almeno per quel che riguarda i quartieri della riva sinistra, desta meraviglia che diverse basiliche funerarie fossero collocate nella zona urbanizzata (in particolare Saint-Serge et Saint-Bacchus e Saint-Etienne): per quanto è dato sapere, questi luoghi di culto furono associati solo tardivamente a necropoli, peraltro modeste, in un'epoca in cui la distinzione tra il mondo dei vivi e quello dei defunti divenne progressivamente meno netta, come del resto di regola nel corso del Medioevo (la nozione di quartieri intra muros era assai più diffusa per la riva sinistra che non per la Cité).Gli scavi e le scoperte effettuati a P. principalmente dopo la metà del secolo scorso hanno permesso di raccogliere numerose testimonianze materiali riguardanti la vita dei parigini in epoca merovingia, sia che si tratti di monumenti religiosi, di sepolture o di oggetti di uso quotidiano.L'impronta romana rimaneva ancora assai netta nella Gallia merovingia, in particolare nelle città, dove i monumenti religiosi testimoniano eloquentemente la persistenza delle tradizioni architettoniche antiche: P. non sfuggiva a questa regola. La cattedrale di Saint-Etienne mostrava una pianta basilicale, al pari, senza dubbio, della piccola cattedrale di Notre-Dame - nota grazie ai lavori effettuati da Viollet-le-Duc nel 1858 -, il cui capocroce presentava un'abside semicircolare; Saints-Apôtres e Saint-Vincent erano precedute da un portico, citato nelle fonti. D'altro canto, sul sito delle principali chiese merovinge sono stati ritrovati frammenti architettonici significativi in questo senso, in particolare per la cattedrale di Saint-Etienne e per le chiese di Saint-Denis a Montmartre, Saint-Vincent, Saints-Apôtres e Saint-Marcel: fusti frammentari di colonne e capitelli in marmo (per la maggior parte pezzi antichi reimpiegati), mattoni piatti decorati, mensole di terracotta realizzate a stampo, coppi e antefisse di terracotta anch'esse a stampo con raffigurazioni di maschere umane crucifere, resti di mosaici e di intonaci dipinti. La magnificenza di queste chiese - che non avevano nulla da invidiare per es. a quelle di Ravenna - è attestata inoltre da alcune fonti: una delle versioni della Vita sanctae Genovefae (56), del 526 ca. (Heinzelmann, Poulin, 1986), cita le figure dipinte d'ispirazione biblica che decoravano il triplo portico della chiesa dedicata agli apostoli, mentre il corpo longitudinale dello stesso monumento era coperto da un soffitto in legno scolpito.Come nella maggior parte dei cimiteri suburbani ad sanctos della Gallia merovingia, a P. le inumazioni in sarcofago furono assai frequenti, seguendo un uso ereditato dall'epoca tardoromana. Se i sarcofagi di marmo importati dal Sud della Gallia sembrano costituire un elemento eccezionale, quelli in pietra furono al contrario assai numerosi; la maggior parte di essi, realizzati in calcare locale, non era decorata e presentava una cassa trapezoidale e un coperchio a due falde. Erano assai meno numerosi altri in pietra decorata: rinvenuti per lo più al di sotto delle chiese primitive - in particolare Saint-Marcel e Sainte-Geneviève -, tali sarcofagi attestano la posizione sociale elevata di coloro che vi furono inumati, i più potenti dei quali, nonostante le proibizioni della Chiesa, giunsero a farsi seppellire all'interno degli edifici religiosi, il più vicino possibile alle tombe dei santi o alle reliquie venerate. Altri esemplari erano di importazione e provenivano da diverse scuole regionali: i sarcofagi del gruppo borgognone della Champagne avevano forma trapezoidale più pronunciata, con coperchio bombato e svuotato internamente, una decorazione a solcature orizzontali parallele all'interno di un'incorniciatura che interessava le pareti longitudinali e il coperchio, mentre i pannelli delle due estremità erano incisi con linee a zig-zag o con croci di s. Andrea. I sarcofagi del gruppo di Sens erano caratterizzati invece da una cassa di forma trapezoidale meno pronunciata, da una decorazione incisa con linee a spina di pesce sulle pareti longitudinali e dal motivo della palma crucifera (albero della vita) affiancato da due croci patenti, spesso monogrammatiche; il coperchio pieno, leggermente bombato, recava una grande croce patente su fondo a tratteggio. Pannelli di grès, decorati da croci multiple in leggero rilievo, si ricollegano infine al gruppo c.d. nivernese.I cimiteri suburbani hanno restituito un'altra categoria di sarcofagi, forse ancora più numerosi ed eseguiti in stucco lavorato a stampo. Il gesso era in effetti abbondante a P. e nella regione circostante e, a partire dall'epoca merovingia, al più tardi alla metà del sec. 6°, si ebbe l'idea di fabbricare sarcofagi di stucco, colando il materiale in una doppia cassaforma di assi di legno, le cui tracce rimangono ben visibili sugli esemplari pervenuti; alcune assi potevano recare un'ornamentazione scolpita in negativo, che compariva così a rilievo sulle pareti esterne - ed eccezionalmente su quelle interne - del sarcofago (in generale sui pannelli delle estremità, più raramente su quelli laterali). Questo procedimento si rivelava economico, giacché le casseforme potevano essere utilizzate più di una volta, come è stato archeologicamente provato; esistono infatti diversi esempi di pannelli decorati realizzati con le medesime matrici. Si dispone per P. di un repertorio decorativo di oltre centocinquanta modelli appartenenti a due categorie principali: da una parte motivi cristiani o di ispirazione cristiana (croce latina, chrismon, croce greca, colomba, palma, Daniele tra i leoni), dall'altra, in numero sensibilmente inferiore, motivi profani, antropomorfi, zoomorfi e soprattutto geometrici, realizzati con l'uso del compasso (rosette, ruote, stelle). Il significato di questi ultimi è discusso, talvolta qualificati come pagani - ma numerosi di essi sono stati rinvenuti nelle chiese o nelle loro immediate vicinanze -, se ne ricerca l'origine nei modelli offerti dall'oreficeria, ma si tratta probabilmente di un'arte decorativa popolare, strettamente legata alla forma del supporto. Sarcofagi di stucco vennero prodotti in tutto il centro del bacino parigino, ma proprio a P. si trovano le decorazioni più numerose, più variate e più elaborate; ciò si spiega con il fatto che le matrici decorate (e non i sarcofagi) circolavano nei cimiteri parigini, lasciando la città solo per giungere a Saint-Denis e a Chelles, sedi merovinge di cui è ben nota l'importanza. Sussiste dunque un legame evidente tra questo artigianato funerario di qualità e l'ambiente urbano: gli artigiani parigini vollero rimanere proprietari delle loro matrici, che gli artigiani di Nanterre, di La Courneuve o di Jouarre riuscirono a imitare solo in maniera assai imperfetta. Per quel che concerne la tecnica di fabbricazione di questi sarcofagi in stucco a stampo sono state elaborate molte ipotesi. Le sperimentazioni effettuate al Mus. Carnavalet permettono di concludere che le casse venivano realizzate con un'unica colata e non con l'assemblaggio di pannelli gettati singolarmente su base piana. Diversi argomenti inducono a proporre per i cimiteri parigini che le casseforme non venissero allestite direttamente nelle fosse: si sarebbero certamente ritrovate, in occasione degli scavi recenti, le tracce di una colata in situ. È assai più verosimile che gli artigiani preparassero le casseforme al coperto, nelle immediate vicinanze dei cimiteri, disponendo in permanenza, come accadeva per i sarcofagi di pietra, di una riserva di sarcofagi di stucco. Questi sarcofagi, immediatamente utilizzabili, venivano così spostati solo di poco tra il luogo di fabbricazione e quello di impiego, circostanza che si attaglia perfettamente con la loro natura quasi monolitica; le analisi recenti hanno peraltro dimostrato la notevole qualità dello stucco merovingio, la cui composizione favoriva una calcificazione naturale e quindi una notevole durata.I sarcofagi, sia in pietra sia in stucco, anche se erano decorati, non erano visibili (e nemmeno i loro coperchi), contrariamente a quanto spesso si crede, ma interrati, e stele o recinti in pietra potevano segnalarne la collocazione in superficie nel cimitero o sul pavimento delle chiese, come per le sepolture in piena terra o in feretro. La cronologia di questi sarcofagi è d'altro canto difficile da determinare con precisione, in mancanza di contesti stratigrafici sufficientemente precisi e numerosi. Sembra tuttavia che la maggior parte di essi sia databile principalmente ai secc. 7°-8°, con prolungamenti agli inizi del periodo carolingio, quando, con l'evoluzione degli usi funerari ereditati dalla fine dell'Antichità, ne cessò l'utilizzo; ai cimiteri suburbani estensivi, in cui le tombe erano ben individualizzate e relativamente ordinate (salvo forse nelle chiese e nei loro immediati dintorni, ove le sepolture risultavano stratificate), si sostituirono necropoli di superficie ridotta, 'verticali', in cui si accumulavano invece senza alcun ordine, continuamente sconvolte dalle inumazioni successive, con una pratica che escludeva l'uso del sarcofago.La vita quotidiana dei parigini in epoca merovingia è documentata da un'interessante serie di oggetti rinvenuti per la maggior parte nelle sepolture: l'inumazione abbigliata, con accessori del vestiario, frequente in epoca tardoromana e in seguito quasi scomparsa nel sec. 5° nella maggior parte della Gallia, ritornò di moda ai tempi di Clodoveo sotto l'impulso della conquista franca. Questa pratica è stata a torto qualificata come pagana: largamente applicata nei cimiteri ad sanctos e anche nelle chiese, essa non aveva carattere religioso, ma solamente implicazioni sociali, legate al rito funebre. Fino agli anni intorno al 700 (per quel che concerne la Gallia) si ritrovano nelle sepolture accessori dell'abbigliamento, oggetti di ornamento per le donne, armi per gli uomini e abbastanza frequentemente un vaso, reminiscenza degli abbondanti depositi di vasellame della fine dell'epoca romana. Gli oggetti legati alla vita quotidiana di provenienza non funeraria sono pochi e ciò si può spiegare, per P., in diverse maniere: in particolare per l'inadeguatezza della maggior parte degli scavi fin qui effettuati nella zona urbanizzata (si sono infatti ricercati insediamenti specificamente merovingi, laddove sarebbe stato opportuno, in molti casi, analizzare la persistenza in epoca merovingia di una parte del patrimonio immobiliare della fine dell'epoca romana e tentare di mettere in evidenza le tracce delle sue trasformazioni) o, ancora, a causa della scarsa conoscenza delle categorie di oggetti che non venivano mai deposti nelle sepolture, in particolare il vasellame di uso comune che, fino alle soglie dell'epoca carolingia, si colloca nella tradizione romana e risulta quindi difficile da identificare con precisione. Infine va sottolineata la rarità delle strutture abitative conservate per le quali sia possibile pensare a una cronologia risalente fino all'epoca merovingia; alcuni sottili strati archeologici merovingi sono stati riconosciuti nei recenti scavi del sagrato di Notre-Dame, ma, a causa della scarsità del materiale raccolto, essi non possono servire come punti di riferimento.Tra i reperti archeologici occorre citare in primo luogo una serie di armi abbastanza comuni - alcune provenienti dai dragaggi della Senna - come asce, lance e scramasax (corte sciabole a un solo taglio); il vasellame è attualmente rappresentato a P. solo da vasi di terracotta (è noto un solo vaso di vetro, mentre quelli in bronzo sono per il momento del tutto assenti): brocche, scodelle, bicchieri senza piede e soprattutto i c.d. vasi carenati (Parigi, Mus. Carnavalet). Alcuni di questi vasi, prodotti localmente, recano un'ornamentazione geometrica ottenuta a rotella: un esemplare di questo gruppo, decorato secondo un modello più elaborato (rotella con fregi di animali), costituisce un prodotto di importazione e si riconnette al gruppo del Vexin francese e della Piccardia. Questo vasellame da tavola testimonia un innegabile arretramento tecnologico rispetto alla Tarda Antichità.Ciò non vale per le arti del metallo, note attraverso una serie assai importante di accessori di abbigliamento e di oggetti di corredo. In epoca merovingia si annetteva in effetti una grande importanza all'ornamentazione della cintura, e a ciò si deve una grande varietà di fibbie, alcune delle quali con placche, spesso completate da una controplacca; gli esemplari in bronzo, spesso rivestiti in argento, sono particolarmente ben rappresentati, specialmente alcune fibbie con placche di forma rotonda decorate con una maschera umana o triangolare con decorazione a intrecci viminei, diffuse soprattutto nella parte occidentale del bacino parigino e forse prodotte nella stessa Parigi. I loro diversi elementi costitutivi (placca, controplacca, fibbia, ardiglione) erano in genere prodotti a stampo di volta in volta, escludendo così l'ipotesi di una fabbricazione seriale, anche se i sistemi di articolazione risultano standardizzati.Altre guarnizioni di cintura in ferro erano ornate con la tecnica della damaschinatura, attraverso procedimenti che potevano combinarsi tra loro: incrostazione di fili di argento o di ottone in solchi e placcatura di nastri o di foglie d'argento, inseriti attraverso la martellatura su un reticolo di solchi intrecciati. In base all'originalità e alla disposizione della decorazione, alcune di queste fibbie con placche possono essere considerate a tutti gli effetti manufatti di produzione parigina.Il corredo ornamentale femminile è documentato a P. da un certo numero di oggetti in oro, argento e bronzo: fibule, spilloni da capelli o da veste, orecchini a forma di rotella, bracciali, anelli, piccole fibbie con placche di fermagli per calze e di calzature. L'oreficeria a cloisonné, infine, tanto in voga agli inizi dell'epoca merovingia, è rappresentata solo da una piccola fibbia con placca di cintura.Certo meno spettacolari e diversificati rispetto al materiale restituito dal più piccolo cimitero rurale della regione parigina (dove numerose tombe sono pervenute intatte), gli oggetti di epoca merovingia rinvenuti a P. sono tuttavia eccezionali per numero, se si tiene conto degli sconvolgimenti subìti dal sottosuolo della città a partire dall'Alto Medioevo. Nonostante alcune lacune, essi testimoniano delle principali tendenze delle arti minori dell'epoca, tanto dal punto di vista tecnico quanto da quello stilistico, e riflettono in maniera evidente la circolazione dei beni e delle persone, ancora intensa nei secoli merovingi.Mentre i re di Neustria Dagoberto I (629-639) e suo figlio Clodoveo II (639-657) risiedettero volentieri a P., i loro successori preferirono invece i loro palazzi e le villae nei dintorni della città e soprattutto nelle valli dell'Aisne e dell'Oise, poiché all'epoca la corte era itinerante. L'ascesa dei Carolingi nel 751 non comportò del resto cambiamenti rispetto a questa situazione, tanto più che il punto di riferimento della nuova dinastia era situato oramai in Austrasia, patria dei maestri di palazzo pipinidi dove soggiornavano abitualmente i sovrani; Pipino III il Breve (751-768) indisse a P. un sinodo tra greci e latini sulla Trinità e sulle immagini.Raramente menzionata nelle fonti sino agli inizi del sec. 11°, la città sembra ciò nondimeno conservare una certa importanza politica come capoluogo della contea di P., affidata sempre, a partire dalla fine dell'età merovingia, a membri della famiglia regia o dell'alta nobiltà, come Grimoaldo e Grifone, sotto Pipino II di Héristal (m. nel 714) e Carlo Martello (m. nel 741), e Bégon Bego - che era genero di Carlo Magno - oppure Oddone (m. nel 898), figlio di Roberto il Forte (m. nell'866), all'epoca del grande assedio di P. da parte dei Normanni (885). D'altra parte P. aveva senza dubbio conservato una certa importanza religiosa all'epoca, poiché l'alta nobiltà ne aveva occupato la sede episcopale e le abbazie; nell'829 vi si tenne un concilio, nel quale i vescovi si consultarono sul tema dei doveri del sovrano, e alla metà del sec. 9° Remigio di Auxerre (m. nel 908 ca.) vi creò una delle prime scuole pubbliche.Dall'845 le incursioni normanne colpirono la città, i cui sobborghi vennero regolarmente saccheggiati o parzialmente distrutti (856-857, 861, 865-866). Per impedire alle imbarcazioni scandinave di risalire la Senna oltre P. e di devastare i territori centrali del regno, Carlo il Calvo (m. nell'877) ordinò nell'861 la ricostruzione del Grand-Pont, con due torri di difesa alle estremità, ma nell'877 i lavori non erano ancora conclusi ed è noto che, alla vigilia del grande assedio dell'885, il vescovo Gozlin (m. nell'886) ebbe difficoltà a rimettere in sesto la cinta muraria della Cité. Grazie al conte Oddone, nell'885 i Normanni non poterono dilagare nella Cité né superare il Grand-Pont, ma l'assedio si protrasse fino all'ottobre dell'886; le ultime incursioni normanne risalgono all'887 e all'889.Per quanto possibile giudicare sulla base delle scarsissime fonti storiche e archeologiche, in epoca carolingia P. conservò le linee principali della sua topografia antica e merovingia, nella Cité (con la cattedrale e il palazzo comitale) e lungo le due rive della Senna, collegate da almeno due ponti. Se l'ubicazione del Petit-Pont, a S, rimase invariata, è possibile che, a partire dal regno di Carlo il Calvo, sulla riva destra il Grand-Pont fosse stato invece spostato in maniera tale che non corrispondesse più al percorso di rue Saint-Martin, bensì a quello di rue Saint-Denis: il grande asse N-S della città sarebbe stato dunque caratterizzato nella Cité da un tracciato 'a baionetta' sin da questa epoca, e non solo a partire dal 12° secolo. Le fonti non consentono di seguire l'evoluzione topografica delle due rive della Senna, che, a partire dal sec. 11°, dovette essere caratterizzata dallo sviluppo dei sobborghi situati sulla riva destra, senza che se ne possa tuttavia per questo ipotizzare un ampliamento, con relativa contrazione di quelli della riva sinistra, sin dall'epoca carolingia. Appare d'altronde significativo constatare che, malgrado i danni causati dai Normanni, gli edifici religiosi di epoca precedente risultano conservati. L'eventualità che sulla riva destra venissero istituite nuove fondazioni rimane ipotetica, così per Saint-Merri, Sainte-Opportune e Saint-Jacques-de-la-Boucherie. Al di là di alcune scoperte isolate in ambito monumentale, in chiese ancora esistenti o scomparse, per quanto concerne la P. carolingia i ritrovamenti archeologici si limitano ad alcuni reperti lapidei - come frammenti scolpiti ed epitaffi (Mus. Carnavalet), di origine per lo più antica -, ad armi carolinge e normanne rinvenute nell'alveo del fiume e, grazie a scavi condotti di recente, ad alcuni frammenti ceramici e in vetro. Questo scarso bilancio si spiega innanzitutto con il carattere asistematico delle ricerche archeologiche condotte sino a questo momento nel territorio di P., ben diversamente dal caso del sito del borgo monastico di Saint-Denis, inserito nel quadro di una politica di scavi in estensione.P. non divenne capitale della Francia che nel sec. 12°; la scelta operata in tal senso dai Capetingi (che subentrarono alla dinastia carolingia nel 987), preparata dal loro antenato Oddone I, eletto re di Francia nell'888, è stata considerata priva di collegamento con quella operata invece da Clodoveo e dai primi membri della dinastia merovingia. In realtà, malgrado la parentesi carolingia - che fu essenzialmente politica -, P. conservò nel corso di tutto l'Alto Medioevo le qualità, segnatamente quelle urbane, che la destinavano a ritrovare il proprio rango di capitale non più del regnum Francorum bensì del regno di Francia.
Bibl.:
Fonti inedite. - T. Vacquer, Notes de fouilles (1844-1898), Parigi, Bibl. Historique de la Ville, 222-264.
Fonti edite. - Vita sanctae Genovefae, a cura di B. Krusch, in MGH. SS rer. Mer., III, 1896, pp. 215-238; Venanzio Fortunato, Carmina, a cura di F. Leo, in MGH. Auct. ant., IV, 1, 1881, pp. 39-40; id., Vita sancti Marcelli, a cura di B. Krusch, ivi, 2, 1885, pp. 49-54; id., Vita sancti Germani episcopi Parisiaci, a cura di B. Krusch, in MGH. SS rer. Mer., VII, 1920, pp. 372-418; Gregorio di Tours, Historia Francorum, a cura di B. Krusch, W. Levison, ivi, I, 1, 19512; id., De gloria confessorum, a cura di B. Krusch, ivi, 2, 19692, pp. 354-355, 363-364; Testament d'Erminethrudis, a cura di H. Atsma, J. Vezin, in Chartae Latinae antiquiores, XIV, France, II, Zürich 1982, pp. 72-79; Vita Eligii episcopi Noviomagensis, a cura di B. Krusch, in MGH. SS rer. Mer., IV, 1902, pp. 663-741; Fredegario, Chronicon, a cura di B. Krusch, ivi, II, 1888, p. 148; Liber historiae Francorum, a cura di B. Krusch, ivi, pp. 267, 285, 306; Translatio sancti Germani episcopi Parisiaci a. 756, a cura di B. Krusch, W. Levison, ivi, VII, 1920, pp. 422-428; Miracula sancti Dionysii, a cura di J. Mabillon, L. D'Achery, in Acta Sanctorum Ordinis sancti Benedicti, III, 2, Paris 1672, p. 359; Miracula sanctae Genovefae, in AASS. Ianuarii, I, Paris-Roma 1863, pp. 147-151; Abbone di San Germano, Le siège de Paris par les Normands, a cura di H. Vaquet, Paris 1942.
Letteratura critica. - A. Lenoir, Statistique monumentale de Paris, 3 voll., Paris 1867; F.G. De Pachtere, Paris à l'époque gallo-romaine, Paris 1912; M. Roblin, Cités ou citadelles? Les enceintes romaines du Bas-Empire d'après l'exemple de Paris, Revue des études anciennes 53, 1951, pp. 301-311; Les églises suburbaines de Paris du IVe au Xe siècle, Mémoires de la Fédération des Sociétés historiques et archéologiques de Paris et de l'Ile de France 11, 1960, pp. 17-282; P.M. Duval, Paris antique des origines au IIIe siècle, Paris 1961; Paris, croissance d'une capitale, "Colloques CahCM, Paris 1961", Paris 1961; R. Dion, Le site de Paris dans ses rapports avec le développement de la ville, ivi, pp. 17-39; P.M. Duval, Lutèce gauloise et gallo-romaine, ivi, pp. 41-72; M. Fleury, Paris du Bas-Empire au début du XIIIe siècle, ivi, pp. 77-81; J. Dubois, L'emplacement des prémiers sanctuaires de Paris, Journal des savants, 1968, pp. 5-44; M. Fleury, La cathédrale mérovingienne Saint-Etienne de Paris. Plan et datation, in Festschrift für Franz Petri. Landschaft und Geschichte, Bonn 1970, pp. 211-221; K.H. Krüger, Königsgrabkirchen der Franken, Angelsachsen und Langobarden bis zur Mitte des 8. Jahrhunderts. Ein historischer Katalog (Münstersche Mittelalter-Schriften, 4), München 1971, pp. 40-54, 103-124; C. Brühl, Palatium und Civitas. Studien zur Profantopographie spätantiker Civitates vom 3. bis zum 13. Jahrhundert, I, Gallien, Wien 1975, pp. 6-33; H. Atsma, Les monastères du nord de la Gaule, Revue d'histoire de l'Eglise de France 62, 1976, pp. 163-187: 173-174; M. Vieillard-Troïekouroff, Les monuments religieux de la Gaule d'après les oeuvres de Grégoire de Tours, Paris 1976, pp. 201-216; D. Fossard, M. Vieillard-Troïekouroff, E. Chatel, Recueil général des monuments sculptés en France pendant le haut Moyen-Age (IVe-Xe siècles), I, Paris et son département, Paris 1978; M. Vieillard-Troïekouroff, Supplément au Recueil général des monuments sculptés en France pendant le haut Moyen-Age (IVeXe siècles), I, Paris et son département, BAParis, n.s., 15, 1979, pp. 181-230; P. Périn, Les cimetières mérovingiens de Paris, in Le haut Moyen-Age en Ile-de-France, Paris et Ile-de-France, Mémoires de la Fédération des Sociétés historiques et archéologiques de Paris et de l'Ile de France 32, 1981, pp. 73-124; Lutèce. Paris de César à Clovis, a cura di P. Périn, cat., Paris 1984; Collections mérovingiennes du Musée Carnavalet, II, Paris 1985; A. Lombard-Jourdan, Aux origines de Paris. La genèse de la rive droite jusqu'en 1223, Paris 1985; M. Heinzelmann, J.C. Poulin, Les vies anciennes de sainte Geneviève de Paris. Etudes critiques, Paris 1986; L. Pietri, Paris, in Le diocèse de Paris, I, Des origines à la Révolution, a cura di A. Plougeron, A. Vauchez (Histoire des diocèses de France, 20), Paris 1987, pp. 13-46; P. Périn, Paris mérovingien, ''sedes regia'', in Festschrift Digobert Günther, Klio 71, 1989, 2, pp. 487-506; id., Quelques considérations sur la basilique de Saint-Denis et sa nécropole à l'époque mérovingienne, in Villes et campagnes au Moyen-Age. Mélanges Georges Despy, Liège 1991, pp. 599-624; N. Duval, P. Périn, J.C. Picard, Paris, in La topographie chrétienne des cités de la Gaule des origines au milieu du VIIIe siècle, VIII, Province ecclésiastique de Sens, Paris 1992, pp. 97-129.P. Périn
All'alba del sec. 11° si constatano due fatti principali: da una parte, P. era stata danneggiata dalle invasioni normanne e tutta la riva sinistra della Senna era ancora in rovina; dall'altra, a partire dal 987, i Capetingi, discendenti dei conti di P., erano divenuti re di Francia e la loro azione si rivelò decisiva per la città, che era al centro dei loro domini.Le fonti per la storia di P. nel periodo in questione sono costituite soprattutto da cronache (Oeuvres de Rigord et de Guillaume Le Breton, 1882-1885) e cartulari (Cartulaire général de Paris, 1887). La documentazione iconografica è tutta di epoca successiva al sec. 13°: i ponti di P. sono già rappresentati agli inizi del 14° in un codice della Vie et miracles de St. Denis (Parigi, BN, fr. 2092, cc. 4v, 32v, 37v, 42r) e il Palais de la Cité e il Louvre figurano sul manoscritto delle Très Riches Heures del duca di Berry agli inizi del sec. 15° (Chantilly, Mus. Condé, 65, già 1284, cc. 6v, 10v). Gli scavi archeologici condotti a partire dal sec. 19° hanno via via ampliato l'orizzonte delle conoscenze sulla città.Eccezion fatta per l'Ile de la Cité, P. non era cinta di mura e le strutture di controllo delle strade e di fortificazione restarono limitate fino al 12° secolo. A quest'epoca erano solamente due i ponti sulla Senna, non in asse tra loro, il Grand-Pont tra l'isola e la riva destra, nei pressi dello Châtelet, e il Petit-Pont tra l'isola e la riva sinistra, nei pressi di Notre-Dame. Nel 1032, per sorvegliare il transito e la sicurezza, venne istituita la carica di prevosto, il capo della polizia militare, che nel sec. 12° ebbe sede nello Châtelet.Nella parte occidentale dell'Ile de la Cité, Roberto II il Pio (996-1031) fece ricostruire il palazzo a pianta quadrilatera (lato oltre m 100). Suo padre Ugo Capeto (987-996) aveva donato la cappella di Saint-Barthélemy, adiacente al palazzo, a religiosi benedettini che fondarono l'abbazia di Saint-Magloire. Roberto fece inoltre costruire all'interno della cinta del palazzo una nuova cappella dedicata a s. Nicola. Enrico I (1031-1060) donò nel 1045 al Capitolo della cattedrale quattro chiese in rovina poste sulla riva sinistra: Saint-Julien-le-Pauvre, Saint-Séverin, Saint-Serge et Saint-Bacchus e Saint-Etienne-des-Grès. Sulla riva destra il Capitolo ricevette anche Saint-Merri e Sainte-Opportune e provvide alla ricostruzione di Saint-Germain-le-Neuf. A S della Senna vennero infine riedificate le chiese di Sainte-Geneviève e di Sainte-Croix-Saint-Vincent. La scuola episcopale del chiostro di Notre-Dame godeva di una certa reputazione: vi studiarono Anselmo d'Aosta (1033/1034-1109) e Roberto d'Arbrissel (ca. 1047-1117).Se lo sviluppo urbano di P. ebbe inizio alla fine del sec. 11°, fu soprattutto nel 12° che la crescita e le modificazioni divennero considerevoli, quando la città divenne capitale del regno, pur senza portarne ancora il titolo. Secondo gli studi più recenti, P. passò dai ca. ventimila abitanti di una città di medie dimensioni, ai centomila del 1200 circa. Assunsero allora la propria configurazione l'Ile de la Cité, dove risiedevano il re e il vescovo, la città mercantile sulla riva destra e la città intellettuale, il futuro quartiere Latino, sulla riva sinistra.I lavori condotti sotto re Luigi VI, detto il Grosso (1108-1137), appaiono tuttavia ancora modesti. Guglielmo di Champeaux (ca. 1070-1122), maestro della scuola episcopale tra il 1103 e il 1108, si ritirò sulla riva sinistra, raccogliendo intorno a sé alcuni discepoli e di fatto determinando la fondazione nel 1113 da parte del re dell'abbazia dei Canonici regolari di Saint-Victor. Nel 1134, Luigi VI autorizzò il Capitolo della cattedrale a costruire alcune case da destinare alla locazione, sempre sulla riva sinistra, sul sito della vigna del clos Garlande. Egli stesso fece erigere una grossa torre nel Palais de la Cité. In quest'epoca il vescovo di P. esercitava la giustizia su gran parte della città, non solo nell'Ile de la Cité, ma anche sulla riva destra nel Monceau Saint-Gervais, nel borgo di Saint-Germain-le-Neuf, che disponeva di un piccolo porto sulla Senna detto dell'Ecole, e più a N sugli Champeaux, ove si teneva il mercato accanto al cimitero degli Innocents; il borgo di Saint-Germain-le-Neuf e gli Champeaux vennero allora recinti con due distinti fossati per intervento del vescovo stesso.Luigi VII, detto il Giovane (1137-1180), e soprattutto Filippo II Augusto (v.) si adoperarono per rinsaldare, a spese del vescovo, i propri diritti sulla città e intrapresero vere e proprie operazioni urbanistiche. Quando salì al trono, Luigi VII ottenne che il vescovo gli cedesse i due terzi dei diritti percepiti sul mercato degli Champeaux, incaricandosi di garantire gli scambi; i merciai, che controllavano il mercato dei tessuti, vi si insediarono nel 1138. Nel 1141-1142 il re raggruppò i cambiavalute sul Grand-Pont e cercò di allearsi con i borghesi della città, riconoscendo a quelli di Grève e del Monceau Saint-Gervais il diritto di utilizzare liberamente il vetus forum, vale a dire la piazza di Grève (od. Hôtel de Ville), dove si trovava il principale porto sulla Senna. Fu in quest'area che si riunirono i borghesi di P., all'aperto, fino al sec. 14°; i loro archivi furono in un primo tempo depositati nella chiesa di Saint-Leufroy, posta tra lo Châtelet e il Grand-Pont, poi, alla fine del sec. 13°, nel c.d. parlatorio dei borghesi, costruito dietro lo Châtelet. Nelle immediate vicinanze si trovava la c.d. macelleria grande, che provvedeva al rifornimento di carne della città. In questa zona mercantile della riva destra la popolazione andò aumentando assai rapidamente. La parrocchia degli Innocents venne creata intorno al 1150 a spese di parte del territorio di quella di Saint-Germain-le-Neuf. Nel 1153-1154 Luigi VII e il vescovo Teobaldo incoraggiarono il Capitolo a risanare e a far coltivare le zone paludose che circondavano i quartieri settentrionali; l'Ordine dei Templari si insediò in un vasto spazio, il c.d. recinto del Tempio, lungo il limite nordorientale.Nell'Ile de la Cité, Luigi VII fece allargare la rue du Petit-Pont. Il vescovo intraprese la risistemazione della parte orientale dell'isola con la costruzione dell'od. cattedrale al posto dell'antico gruppo di chiese episcopali. Egli fece inoltre aprire, nel 1163, la rue Neuve-Notre-Dame sull'asse della futura facciata e fece ricostruire l'ospedale maggiore insieme al proprio palazzo. Sulla riva sinistra i Canonici regolari di Saint-Victor, la cui fama intellettuale era già consolidata, riformarono nel 1147 l'abbazia di Sainte-Geneviève, che aveva ottenuto già nel 1107 l'esenzione dalla giurisdizione episcopale. Dal canto loro maestri e studenti affluivano sul territorio dell'abbazia, dove in seguito sarebbe sorto il quartiere Latino.Filippo II Augusto diede una struttura alla città mercantile della riva destra. Nel 1181 egli fece trasferire agli Champeaux una fiera che in precedenza si teneva al di fuori della città, a N delle paludi, nei pressi del lebbrosario di Saint-Lazare dal 2 al 19 novembre. Due anni dopo, nel 1183, il re fece erigere, ancora agli Champeaux, un lungo edificio con piccole botteghe laterali per i merciai; questo edificio, definito Halles fin dalle origini, costituisce il primo esempio di mercato coperto. Intorno al 1185 il re incitò la borghesia a provvedere alla pavimentazione delle vie di Parigi. Nel 1186 fece recingere il cimitero degli Innocents e nel 1190, prima di partire per la terza crociata, ordinò la costruzione di una cinta muraria per proteggere tutta la riva destra al di qua delle paludi. Quest'opera di fortificazione venne innalzata assai rapidamente: si stendeva partendo dalla Senna a E, al di là del Monceau Saint-Gervais, e inglobava il mercato coperto, il cimitero degli Innocents e il borgo di Saint-Germain-le-Neuf. In corrispondenza delle quattro porte, che insieme ad alcune posterule controllavano gli accessi, per la prima volta vennero pavimentate le strade. Questo dispositivo difensivo era completato verso O dalla fortezza del Louvre, costruita prima del 1204, che sorvegliava la zona del fiume verso valle. Nel 1214 Filippo II Augusto concesse ai mercanti dell'acqua, vale a dire ai gestori del traffico fluviale, diritti in base ai quali essi provvidero alla realizzazione di un argine della Senna sulla riva destra. Nel 1216, infine, il re strappò al vescovo il diritto di esercitare la giustizia sul Monceau Saint-Gervais e, nel 1222, sul mercato coperto e sul quartiere di Saint-Germain-le-Neuf. Il sovrano era così ormai padrone della città mercantile, in cui vennero create alcune nuove parrocchie, come Saint-Leufroy, Saint-Eustache, Saint-Jean-de-Grève, Saint-Sauveur e Sainte-Opportune.Sulla riva sinistra il tessuto urbano era invece assai più disarticolato; si conservavano spazi coltivati e l'espansione urbana fu meno rapida. Nel 1212 Filippo II Augusto decise di far costruire a proprie spese una cinta muraria che permise a P. di svilupparsi anche su questo lato, al riparo da pericoli esterni, per tutto il 13° secolo. I punti di attacco delle mura, sulla Senna, corrispondevano a quelli della cinta della riva destra. Le abbazie di Sainte-Croix-Saint-Vincent e di Saint-Victor rimasero fuori, mentre Sainte-Geneviève fu inclusa.Il termine Universitas venne impiegato ufficialmente per la prima volta dal papa, nel 1221; in realtà già nel 1200 il re aveva preso sotto la propria giurisdizione gli studenti, mentre intorno al 1210 il papa aveva nominato un procurator incaricato della loro difesa e intorno al 1215 essi si organizzarono in 'nazioni'. Una parte degli studenti abitava sulla riva sinistra, ma intorno al 1188 venne fondato per loro l'ospedale dei Pauvres Ecoliers Saint-Nicolas e nel 1208 venne istituito il collegio dei Bons Enfants Saint-Honoré, entrambi posti sulla riva destra; il collegio del teologo Robert de Sorbon (1201-1274), che diede nome alla Sorbona, venne creato solo all'epoca del regno di Luigi IX (v.).Altri ospizi furono fondati tra la fine del sec. 12° e gli inizi del successivo: l'ospedale Saint-Gervais, quello dei Pauvres Sainte-Opportune (poi Sainte-Catherine), l'ospedale Saint-Mathurin; un nuovo lebbrosario venne creato al di fuori delle mura, al Roule, intorno al 1200. Verso la fine del suo regno Filippo II Augusto si preoccupò dell'approvvigionamento di acqua potabile; vi erano numerosi pozzi nei quadrivi e nelle abitazioni private e il sovrano fece costruire fontane nei magazzini coperti, agli Innocents e nella rue Maubuée; tuttavia non esistevano sistemi fognari e lo smaltimento delle acque scure avveniva grazie ad alcuni canaletti al centro delle strade.Nel corso del sec. 13° la riva sinistra andò popolandosi rapidamente; già nel 1146 i Cistercensi vi avevano fondato il collegio dei Bernardins; in seguito vi si insediarono i Domenicani e i Francescani e a partire dal 1269 anche l'abbazia di Cluny vi ebbe un suo collegio. Nell'Ile de la Cité fu portata a termine la cattedrale di Notre-Dame e Luigi IX fece costruire nel suo palazzo la Sainte-Chapelle. L'isola e la riva destra finirono per essere assai fittamente edificate. Luigi IX fece ricostruire lo Châtelet, ove un prevosto reale fu insediato nel 1261; riorganizzò la polizia o 'sorveglianza', con un 'cavaliere della sorveglianza' posto a capo di 'sergenti'; fece anche ampliare l'ospedale Maggiore e fondò l'ospizio dei Quinze-Vingts per trecento ciechi; inoltre volle costruire la casa delle Filles-Dieu, sulla strada di Saint-Denis, al di fuori della cinta muraria, destinata a ospitare le prostitute e le ragazze madri, e fondò la certosa di Vauvert a S di Parigi.Trentaquattro parrocchie erano all'interno della cinta: otto sulla riva sinistra, dove nel 1243 venne fondata Saint-Nicolas-du-Chardonnet, dodici nella Cité e quattordici sulla riva destra. Le strade erano assai strette, fiancheggiate da case per lo più in legno. La periferia (banlieue) si stendeva intorno alla cinta di Filippo II Augusto a partire dai borghi più antichi e con il suo sviluppo tendeva ad ampliare ulteriormente l'area urbana. Sulla riva sinistra la popolazione si andava agglomerando intorno a Saint-Victor e ai due borghi della valle del fiume Bièvre, Saint-Marcel e Saint-Médard; anche Sainte-Croix-Saint-Vincent attirò un nucleo di popolazione, così come Notre-Dame-des-Champs. A N, presso il priorato cluniacense di Saint-Martin-des-Champs, esisteva dagli inizi del sec. 12° la parrocchia di Saint-Nicolas e iniziarono a popolarsi il recinto del Tempio, le antiche aree coltivate intorno al borgo di Saint-Paul, la Couture l'Evêque e la Couture Saint-Eloi.La città continuava però ad avere due soli ponti che collegavano l'Ile de la Cité alle due rive e si tentava di supplire alla bisogna con numerosi traghetti. La P. medievale rimase dunque tripartita e si sviluppò in maniera concentrica a partire dall'isola e dall'asse E-O della Senna, che costituiva il solo vero asse dell'insediamento. Il tracciato N-S era interrotto per lo sfalsamento dei due ponti e le strade si adattavano, senza alcun allineamento, all'andamento naturale del terreno.La maggior parte delle costruzioni medievali di P. è oggi scomparsa; resta tuttavia un certo numero di edifici religiosi dell'11°-13° secolo. Saint-Germain-des-Prés, il più antico tra essi, era situato al di fuori della cerchia muraria. La chiesa è preceduta in facciata da una torre-portico, costruita per volontà dell'abate Morard (990-1014), con livello inferiore di accesso al corpo longitudinale voltato a crociera; al di sopra si apre una tribuna, in origine non coperta a volta; l'ultimo livello, che presenta aperture gemine su ciascuna faccia, venne aggiunto nel 12° secolo. Anche il corpo longitudinale risale al sec. 11°, ma è un po' più recente rispetto alla torre; presenta navate laterali semplici, aperte sulla navata centrale da arcate a pieno sesto e a doppia ghiera, che poggiano su pilastri con colonne addossate e capitelli scolpiti. Le colonne rivolte verso la navata centrale si prolungano lungo i muri tra le finestre alte e scandiscono la navata in campate. Questo corpo longitudinale, un tempo coperto a tetto, venne voltato a ogiva solo nel sec. 17°, mentre tutte le pitture dell'interno datano al 19° secolo. La chiesa del sec. 11° possedeva un transetto, del quale non rimane che la parte bassa, mentre il resto venne rifatto nel Seicento; a E del transetto due torri fiancheggiano la prima campata del coro, che in origine doveva terminare in una semplice abside. I livelli superiori delle torri sono stati demoliti nell'Ottocento.Il coro venne ricostruito alla metà del sec. 12° e consacrato nel 1163 da papa Alessandro III (1159-1181); sotto le torri furono ricavati alcuni passaggi che danno accesso alle navate laterali e a un deambulatorio che circonda il nuovo coro, profondo quattro campate, e l'abside. Cappelle laterali si aprono sulle navatelle e sul deambulatorio affacciano cinque cappelle radiali contigue (la cappella assiale è stata ricostruita nel sec. 19°), che ricevono luce da due finestre, con un contrafforte nell'asse come a Saint-Denis, ma sono separate da pareti divisorie; se l'impianto generale del coro risulta assai vicino a quello della cattedrale di Notre-Dame a Noyon (dip. Oise), l'alzato è differente e deriva senza dubbio da quello che presentava il coro dell'abbaziale di Saint-Denis al tempo dell'abate Suger (1122-1151). La navata centrale si sviluppa su tre livelli: grandi arcate, triforio aperto sul sottotetto delle navate laterali e finestre alte. Le grandi arcate poggiano su due colonne da cui si sviluppano colonnette che salgono fino alle nervature delle volte. Il triforio è costituito da aperture gemine, in origine sormontate da un arco di scarico, del quale si può cogliere il profilo sulle facce interne delle torri poste all'ingresso del coro. Nel sec. 14° le finestre alte vennero ingrandite; si provvide allora ad abbassare la copertura a tetto delle navatelle e del deambulatorio e furono soppressi gli archi delle aperture del triforio, oggi coperte da semplici architravi. Tutto il coro ebbe volte ogivali fin dall'origine. Gli archi rampanti esterni, costruiti sui muri divisori che separano le cappelle, assicurano la stabilità di questa struttura assai sottile; benché restaurati, vennero costruiti contemporaneamente alle parti alte del coro e sono i più antichi tra quelli conservati. Il coro di Saint-Germain-des-Prés appare così come un monumento esemplare degli inizi dell'architettura gotica e il suo alzato deve essere paragonato a quello della cattedrale di Saint-Etienne a Sens (dip. Yonne).Saint-Martin-des-Champs, anch'essa posta al di fuori della cinta medievale, venne fondata nel 1060 dal re Enrico I sul sito di una chiesa merovingia, andata in rovina nel corso delle invasioni normanne. Dedicata nel 1067 alla presenza del re Filippo I (1060-1108), fu donata nel 1079 all'abbazia di Cluny, la quale vi stabilì un priorato che costituì la sua terza filiazione. Sulla base degli scavi archeologici recenti e di qualche resto conservatosi, sembra che il corpo longitudinale del sec. 11° avesse le medesime dimensioni dell'attuale, ricostruito nel 13°; come quest'ultimo, era formato da una navata unica coperta a tetto. L'edificio, che presenta oggi una facciata del sec. 19°, era preceduto inoltre da una torre-portico come a Saint-Germain-des-Prés. All'entrata del coro rimangono, sul lato meridionale, i due livelli inferiori del campanile originario, aperto al primo piano verso l'esterno da alte finestre gemine: a E del campanile nel 1913 sono stati scoperti i resti di una piccola abside appartenente a una cappella che doveva essere affiancata all'abside principale, sull'asse della navata.Il coro venne ricostruito nel secondo quarto del sec. 12°, senza dubbio poco prima di quello di Saint-Denis, intorno al 1130-1140. In primo luogo si dovette erigere intorno all'abside romanica, che venne demolita solo in un secondo momento, la corona di sette cappelle radiali giustapposte. La cappella assiale (molto restaurata) è più grande, a pianta trilobata e voltata a ogive, mentre le altre, che prendono luce da due finestre, sono voltate a crociera e non sono separate da muri divisori, formando così un deambulatorio continuo. All'esterno, archi tesi tra le cappelle sostengono una cornice anch'essa continua; un secondo deambulatorio interno, voltato a crociera, circonda l'abside, ricostruita nel sec. 12° su due livelli, con arcate e finestre alte, e coperta da volte ogivali. I sostegni delle grandi arcate sono costituiti da pilastri compositi di forma regolare, mentre quelli posti tra i due deambulatori risultano asimmetrici e piuttosto complessi. La struttura dei muri è assai esile e sotto i tetti del deambulatorio sembra che esistessero alcuni muri di sostegno, destinati a rafforzare la stabilità delle volte alte. L'associazione di volte a crociera e di volte ogivali indica la sperimentazione degli inizi dell'architettura gotica e le sette cappelle giustapposte, senza muri divisori, a due finestre, sono come un abbozzo del coro assai più elaborato di Saint-Denis. P. ebbe dunque un ruolo di primo piano nella formazione dell'architettura gotica.La città possiede inoltre una cappella grosso modo contemporanea al coro di Saint-Martin-des-Champs, quella di Saint-Aignan, che faceva parte del chiostro di Notre-Dame, oggi incluso in un fabbricato moderno a N di Notre-Dame; se ne conserva una campata e mezza, voltata a crociera, con supporti addossati al muro, che presentano colonne en délit dai capitelli scolpiti, come gli stipiti decorati di un portale.Al di fuori della città medievale, ma oggi all'interno della P. moderna, la chiesa di Saint-Pierre-de-Montmartre è ciò che resta di un'abbazia di religiose benedettine fondata nel 1134 da Luigi VI e dalla regina Adelaide di Savoia (m. nel 1154). Sul sito esisteva già una chiesa donata al priorato cluniacense di Saint-Martin-des-Champs nel 1096 e ceduta al re nel 1133. L'od. chiesa parrocchiale fu ricostruita per le religiose e consacrata nel 1147 da papa Eugenio III (1145-1153); si tratta di un edificio composto da un corpo longitudinale a quattro campate, con navate laterali semplici, da un transetto non aggettante e da un coro formato da tre campate aperte su tre absidi. La chiesa è stata fortemente restaurata e la sua facciata risale al sec. 18°; le absidi laterali sono coperte a conca e la campata centrale antistante è voltata a crociera, mentre la campata del coro è coperta con ogive bombate, di un tipo ancora primitivo. L'abside centrale, più nettamente gotica, sembra anch'essa posteriore al 1147; il transetto è stato ampiamente rimaneggiato, ma l'ultima campata del corpo longitudinale conserva un alzato interessante che presenta, al di sopra della grande arcata, le due aperture di un triforio che si apre sul sottotetto e una piccola finestra alta. Le tre campate occidentali mostrano aperture del triforio più elaborate e finestre più grandi: esse dovettero essere costruite poco dopo le parti orientali. Il corpo longitudinale era in origine coperto a tetto e venne voltato solo alla fine del Medioevo, ma nel sec. 12° l'alzato fu scandito ritmicamente in campate da supporti compositi, le cui semicolonne addossate rinforzano i muri assai sottili, costituendo una sorta di contrafforti interni. Una torre-campanile, eretta al di sopra della campata laterale nord del coro, conferisce un aspetto romanico all'esterno del capocroce.La grande fabbrica del sec. 12° a P. fu la cattedrale di NotreDame, avviata intorno al 1160 dal vescovo Maurizio di Sully (1160-1196), che poté concepirne la costruzione già negli anni precedenti, quando ricopriva la carica di decano del Capitolo. Il progetto rese necessaria la demolizione dell'antico gruppo episcopale, la liberazione di un vasto lotto di terreno a E della Cité e il rafforzamento dell'argine meridionale dell'isola sulla Senna. Notre-Dame è in effetti la chiesa gotica più lunga (m 130) e più alta (m 35 fino alla chiave di volta) del secolo. La costruzione venne cominciata dal giro del coro, che si compone di un corpo profondo cinque campate, affiancato da doppie navate laterali, e da un'abside contornata da un doppio deambulatorio. Un transetto non sporgente, che non era forse previsto nel progetto iniziale, separa il coro dal corpo longitudinale, che si estende su otto campate e presenta anch'esso doppie navate laterali. Tutte le cappelle radiali e laterali costituiscono aggiunte del sec. 13°, così come le facciate del transetto non sporgente, allineate con i muri esterni delle cappelle. La facciata occidentale con le sue due torri non è anteriore agli inizi del sec. 13° in ragione dei tempi di avanzamento del cantiere, che si sviluppò da E a O.L'inizio della costruzione non è documentato, ma si sa che nel 1177 al completamento del coro mancavano solo le volte superiori e che l'altare maggiore venne consacrato nel 1182. Si ipotizza che il transetto potesse essere anch'esso completato a quest'epoca e che la costruzione del corpo longitudinale fosse già stata avviata. Nel 1208 vennero demolite alcune case che ostacolavano la costruzione della facciata occidentale, senza dubbio avviata poco tempo prima, mentre le sue torri sono menzionate per la prima volta nel 1243. Prima ancora che la facciata fosse terminata si cominciò a modificare la struttura del sec. 12°, forse nel corso della costruzione delle volte occidentali del corpo longitudinale (Bruzelius, 1987, p. 565). Viollet-le-Duc ha dimostrato che Notre-Dame presentava originariamente quattro livelli in alzato: grandi arcate, tribune sul deambulatorio e sulle navatelle interne, rosoni che si aprivano sui sottotetti delle tribune e finestre alte (Erlande-Brandenburg, 1980). A partire dal 1220-1225 vennero ampliate le finestre, abbassando le coperture esterne delle tribune e sopprimendo i rosoni. Viollet-le-Duc ha restituito l'alzato originario nei pressi dell'incrocio del transetto. Nello stesso momento in cui si provvedeva alla trasformazione dei livelli superiori venne avviata la costruzione delle cappelle laterali del corpo longitudinale tra i contrafforti del sec. 12° e furono riedificati gli archi rampanti, giacché quelli originari dovevano certamente avere una forma diversa (Clark, Mark, 1984). La facciata settentrionale del transetto fu spostata in avanti di una campata intorno al 1250 e la prima pietra della facciata meridionale fu posata nel 1258. Un'iscrizione restaurata posta su tale facciata indica che l'architetto del braccio settentrionale del transetto si chiamava Jean de Chelles (m. post 1258) ed è noto che Pierre de Montreuil (m. nel 1267) fu l'autore della facciata meridionale. La cattedrale del sec. 12° è notevole da diversi punti di vista. Sono eccezionali non solo le dimensioni, ma anche le doppie navate laterali, che richiamano la prima cattedrale di P. e, più in generale, le grandi basiliche paleocristiane. Allo stesso modo l'impiego sistematico delle colonne come sostegni delle grandi arcate è verisimilmente un riferimento all'antichità della chiesa primitiva. Queste grandi arcate a profilo spezzato presentano grosso modo tutte la stessa larghezza, tanto nell'abside quanto nelle campate. Lo scarto delle colonne dell'abside portò a una soluzione originale per coprire il doppio deambulatorio con volte di forma triangolare. I supporti tra i due deambulatori sono sempre costituiti da colonne, mentre vi è un'alternanza nelle campate del corpo longitudinale tra le due navate laterali: una colonna ogni due è circondata da colonnette monolitiche. Altre differenze si rilevano tra coro e corpo longitudinale: nel coro le colonnette che salgono dalle colonne alle volte sono realizzate in conci di pietra da taglio; nel corpo longitudinale sono invece monolitiche; le aperture delle tribune sono doppie nel coro e triple nel corpo longitudinale e anche la forma delle finestre varia al livello delle tribune. Benché non vi sia alternanza tra i sostegni nella navata centrale, le volte sono esapartite e coprono ciascuna due campate, mentre sono quadripartite nelle navate laterali. Infine, nonostante il loro sviluppo in altezza, i muri risultano esili, elemento questo che sembra caratterizzare il Gotico parigino del 12° secolo.La struttura della facciata occidentale, scandita dai contrafforti delle torri, appare liscia e simmetrica; in realtà la torre settentrionale è più larga di quella meridionale. Da una parte, i tre portali non corrispondono alle cinque navate interne, dall'altra, sono tra loro diversi, giacché quello settentrionale è sormontato da un gâble, assente nel portale meridionale; la galleria dei Re costituisce un primo elemento unificante orizzontale al di sopra dei portali, mentre il secondo è costituito dall'elegante galleria superiore, che collega le torri e maschera il timpano e che appartiene già allo stile rayonnant con i pennacchi lavorati a traforo e i motivi trilobati; tra le due gallerie sono compresi il rosone al centro e aperture gemine sulle torri.È possibile seguire l'evoluzione del Gotico rayonnant attraverso le trasformazioni della cattedrale nel corso del Duecento. Le finestre alte, ampliate, derivano dalle finestre della cattedrale di Notre-Dame a Reims: sono composte da due lancette sormontate da un grande oculo, in cui i pennacchi sono svuotati. Le finestre delle cappelle laterali del corpo longitudinale, le prime a essere costruite, arricchirono il modello iniziale di nuove suddivisioni per giungere alle finestre del giro del capocroce con forme più esili e con inquadrature di gâbles e pinnacoli. In ciascuna delle due facciate del transetto, senza torri laterali, si apre un portale scolpito, sormontato da un gâble, da un alto triforio traforato e da un rosone con i pennacchi inferiori svuotati. Queste immense vetrate superarono per dimensioni tutte le finestre fino ad allora realizzate; la decorazione dei gâbles e dei pinnacoli invase anche i contrafforti e i pignoni; all'interno, arcate a muro sembrano proseguire il ritmo delle finestre, soprattutto nel braccio meridionale, opera di Pierre de Montreuil.Nel sec. 12° Notre-Dame ispirò, su scala assai più modesta, la chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre, eretta intorno al 1170-1210. A tre absidi, precedute da un corpo longitudinale con navate laterali semplici di quattro campate (sei in origine), essa presenta un alzato a due livelli; una volta esapartita originaria si conserva sul coro, mentre le altre sono state rifatte. Anche Saint-Séverin deriva da Notre-Dame nella pianta con corpo longitudinale a cinque navate e doppio deambulatorio, ma è senza transetto. Risalgono al sec. 13° solo le prime tre campate del corpo longitudinale, sviluppate su tre livelli, ovvero grandi arcate, triforio traforato e finestre alte; il resto dell'edificio risale alla fine del Medioevo. In facciata è stato rimontato un portale del sec. 13° proveniente dalla chiesa, demolita, di Saint-Pierre-aux-Boeufs.La Sainte-Chapelle è l'unica parte superstite del sec. 13° dell'antico palazzo reale (Palais de la Cité, od. palazzo di Giustizia). Luigi IX la fece costruire per custodirvi alcune reliquie della Passione e della corona di spine di Cristo che aveva acquisito nel 1239 a Venezia, dove erano state inviate in pegno dall'imperatore latino di Costantinopoli, Baldovino II (1228-1272/1274). I lavori furono avviati nel 1241 o nel 1243 e la consacrazione ebbe luogo il 26 aprile 1248. La Sainte-Chapelle è al tempo stesso una cappella di palazzo a due livelli e un immenso reliquiario. La cappella inferiore presenta navate laterali assai strette che permettono di ridurre l'altezza delle volte centrali al fine di formare un solido basamento per la cappella superiore, grazie anche agli archi rampanti interni che collegano le colonne ai muri; questi ultimi sono rivestiti di arcate trilobe, staccate dalle pareti, sotto finestre a forma di triangoli curvilinei inscritti nelle lunette delle volte. La cappella superiore ha dimensioni differenti: la sua navata unica, terminante in un'abside, crea uno spazio elevato, aperto e luminoso. Arcate trilobe, accoppiate a due a due sotto quadrilobi, ne decorano la base; al di sopra, immense vetrate sostituiscono i muri e si slanciano fino alle volte. Almeno all'interno, l'ossatura della costruzione è costituita solamente dai sostegni tra le finestre; all'esterno invece essa è rafforzata da possenti contrafforti collegati alla sommità da archi coronati da gâbles. Inoltre, una serie di catene di ferro, invisibili, contribuisce ad assicurare la solidità delle parti alte della struttura. Il rosone della facciata venne rifatto alla fine del sec. 15°, i portici e la guglia ricostruiti nel 19°, l'arredo dell'altare e la policromia sono moderni, ma l'effetto della cappella superiore è tuttavia impressionante e segna il punto d'arrivo dell'architettura gotica nell'espressione della leggerezza, dell'unificazione dello spazio, della luminosità cangiante e colorata delle vetrate.L'architettura monastica è rappresentata dal refettorio di Saint-Martin-des-Champs. Si tratta di un'elegante costruzione degli anni 1220-1230, formata da due navate con volte ogivali, separate da una fila di sottili colonne; il portale d'entrata e la cattedra del lettore sono restituzioni del 19° secolo. Nel quartiere Latino, l'edificio del collegio dei Bernardins (od. caserma dei Vigili del fuoco) venne innalzato intorno al 1250. Si tratta di un complesso architettonico sviluppato su tre livelli, che riuniva diverse funzioni e che servì da modello per altri collegi. Nel seminterrato si trovavano i dormitori dei conversi, un cellier centrale e uno scriptorium; al secondo livello erano collocati la sala capitolare e lo studium, sala destinata all'insegnamento; al livello superiore era situato invece il dormitorio dei monaci. In questo modo i Cistercensi furono capaci di riunire in una costruzione rettangolare (lunghezza m 71; larghezza m 14) tutti gli elementi che abitualmente erano distribuiti in più corpi di fabbrica. I due livelli inferiori sono divisi longitudinalmente da una fila di colonne e presentano volte ogivali; finestre ad aperture gemine sotto un quadrilobo o a tre lancette rischiarano gli ambienti, ciascuno dei quali era dotato di un accesso diretto. Il secondo livello è il più elegante nelle proporzioni slanciate, ma l'insieme è comunque improntato a grande sobrietà.Una parte della cinta di Filippo II Augusto è ancora visibile in diversi punti della città e gli scavi archeologici e i lavori condotti a P. dalla metà del sec. 19° hanno permesso di rilevarne l'esatto tracciato. Sulla riva destra la cinta si appoggiava a E alla Tour Barbeau, nei pressi dell'od. Pont Marie, per terminare verso O con la Tour du Coin, all'angolo del Louvre. Le mura (lunghezza m 2600 ca.) erano scandite da trentanove torri circolari, distanziate di m 60 l'una dall'altra, e da quattro porte munite di una saracinesca e fiancheggiate da due torri; fin dall'origine la cinta fu inoltre dotata di posterule. Le cortine vennero costruite assai accuratamente: su un letto di ciottoli vennero posate enormi pietre (libages), al di sopra delle quali, per un'altezza variabile (m 6-8), vennero eretti due muri paralleli in pietra da taglio, riempiendo successivamente l'intercapedine con un conglomerato di malta. Queste cortine (spessore alla base m 2,60) terminavano in un camminamento di ronda (larghezza m 2), protetto da un parapetto merlato; le torri (diametro m 6) presentavano tre livelli di pianciti lignei, verisimilmente dotati di scale di raccordo. Anche la cinta della riva sinistra raggiungeva la Senna a E alla Tournelle e a O alla Tour Hamelin, divenuta in seguito Tour de Nesle; un po' meno lunga rispetto alla cinta settentrionale, essa era rinforzata da trentotto torri e vi si aprivano quattro porte. A partire dal sec. 13° nuove porte e posterule supplementari vennero aggiunte su entrambe le rive.La difesa della Senna fu oggetto di particolare attenzione: il fiume era protetto verso E sulla riva sinistra da una grossa torre, denominata in seguito donjon della Tournelle e verso O, sulla riva destra, dal Louvre, fatto costruire da Filippo II Augusto. Gli scavi archeologici eseguiti tra il 1984 e il 1986 sotto la Cour Carrée e l'allestimento del Grand Louvre permettono ora di vederne i resti. Il castello formava un quadrilatero (m 7278), difeso da una cinta con cortine a scarpa, con quattro torri angolari, due altre torri a N e a O e due porte fiancheggiate da torri, l'una a E e l'altra a S, che si aprivano su una corte esterna che costeggiava la Senna; la cinta era circondata da fossati pieni d'acqua (larghezza m 12; profondità m 6). Indipendente dalla cinta, all'interno della fortificazione si innalzava la Grosse Tour, o Tour du Louvre, a pianta circolare (diametro m 15; altezza m 30), con una base a scarpa; questa struttura, cui si accedeva dal lato sudest, era circondata da un fossato asciutto (profondità oltre m 6; larghezza alla sommità m 10,20). La torre conteneva un pozzo e una cisterna; una scala a vista saliva verso i piani superiori, di cui si ignora però il numero. La corte possedeva un altro pozzo e corpi di fabbrica addossati alla cinta lungo i lati sud e ovest. La Tour du Louvre costituì il momento di rottura con la tradizione dei donjons romanici a pianta quadrangolare: simbolo del potere regale, venne imitata in tutta la Francia nel 13° secolo.La qualità del calcare delle cave di P., e in particolare di quello del liais, svolse certamente un ruolo nella precoce affermazione della decorazione scolpita degli edifici. I capitelli del corpo longitudinale di Saint-Germain-des-Prés, in parte conservati presso il Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, costituiscono un primo insieme di sculture figurative e di calati a foglie d'acanto derivati dal corinzio; le ultime ricerche (Sandron, 1995) lasciano pensare che questo gruppo di sculture risalga alla metà dell'11° secolo. Alcuni capitelli romanici a motivi vegetali della fine dello stesso secolo, ora al Conservatoire Nat. des Arts et Métiers, dépôt lapidaire, provengono dai primi fabbricati del priorato di Saint-Martin-des-Champs, che d'altra parte possiede nel coro della chiesa un notevole insieme di capitelli del secondo quarto del sec. 12°; quelli a fogliame della cappella di Saint-Aignan sono all'incirca contemporanei.L'inizio dell'arte gotica, intorno al 1150, è rappresentato da importanti resti di decorazione scultorea. Il portale meridionale della facciata occidentale di Notre-Dame, porta Sainte-Anne, proviene in larga misura da una delle chiese del preesistente gruppo episcopale; le sue grandi statue furono rifatte nel sec. 19°, ma nel 1977 sono stati rinvenuti importanti frammenti delle statue-colonna originarie, ora conservati al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; l'architrave superiore, la lunetta e una parte degli archivolti sono ancora in situ. Di poco successiva alla facciata di Saint-Denis, la decorazione di questo portale rivaleggia, per vigore e qualità, con il portale dei Re della cattedrale di Chartres. Ancora più vicino di quest'ultimo doveva essere il portale aggiunto alla torre-portico di Saint-Germain-des-Prés, le cui statue sono note solo attraverso alcune stampe del sec. 18°, ma i capitelli e un architrave, che non si trova più nella sua collocazione originaria, confermano il ruolo svolto da P. nella storia dei primi portali gotici. A Saint-Germain-des-Prés i capitelli del coro rimandano assai da vicino alla decorazione scolpita della cattedrale di Sens e segnano il ritorno ai modelli dell'Antichità per l'impiego di elementi vegetali corinzi. I religiosi dell'abbazia avevano inoltre collocato nel coro alcuni monumenti funebri dei sovrani merovingi inumati nella chiesa; molte delle lastre scolpite con le figure dei giacenti - dallo stile assai legato a quello della porta Sainte-Anne della cattedrale - si sono conservate dopo la Rivoluzione francese e sono state trasportate in larga parte a Saint-Denis. Per quanto riguarda gli inizi del sec. 13° risulta importante la statua di S. Genoveffa, oggi al Louvre, proveniente dal portale occidentale dell'abbaziale di Sainte-Geneviève.È soprattutto a Notre-Dame che si può seguire l'evoluzione della decorazione scultorea parigina a partire dal settimo decennio del sec. 12°; nonostante le mutilazioni subìte nel corso della Rivoluzione e i restauri del sec. 19°, i capitelli più antichi, nel giro del deambulatorio, sono assai vicini a quelli del coro di Saint-Germain-des-Prés e si può cogliere, attraverso il progredire del cantiere, il passaggio da una decorazione a fogliame più o meno derivata dall'acanto ai capitelli a crochets, che si imposero intorno al 1175-1180.Nella facciata occidentale tutte le grandi statue sono moderne, ma vi sussistono numerosi elementi antichi, come il portale laterale nord, dedicato alla Vergine, che dovette essere scolpito intorno al 1210-1215. La decorazione della lunetta si sviluppa su tre registri: in basso, a costituire l'architrave, una sorta di ciborio contiene al centro l'arca dell'alleanza; alla sua sinistra siedono tre patriarchi e alla sua destra tre re dell'Antico Testamento. Viene così simboleggiata la storia del mondo prima dell'incarnazione. Nel secondo registro è rappresentata la Dormizione della Vergine con Cristo e gli apostoli; i due angeli che sorreggono il sudario per elevare il corpo di Maria al cielo permettono di ipotizzare che si sia voluta rappresentare anche la sua Assunzione. In alto, infine, è raffigurata l'Incoronazione della Vergine, seduta alla destra di Cristo Re: un angelo incorona Maria, mentre altri due inginocchiati venerano la coppia Gesù-Maria, Cristo-Chiesa; sugli archivolti angeli, profeti, patriarchi e re accompagnano la scena. È questo un tema caratteristico dei portali gotici, inaugurato a Notre-Dame a Senlis (dip. Oise) intorno al 1160-1170. A P. esso appare innovato, con unificazione delle due scene della Morte e dell'Assunzione e con una speciale attenzione sull'arca dell'alleanza, che indica la continuità tra l'Antica Legge e la Nuova; anche lo stile della scultura è innovativo, nella composizione simmetrica, nella serena maestosità dei personaggi, nella leggerezza e nella semplicità dei panneggi. Gli stipiti del portale sono decorati da pannelli rettangolari con lo Zodiaco e i Mesi, con scene improntate a vivacità e freschezza; pannelli con decorazioni vegetali di impronta naturalistica ornano il trumeau del portale.La decorazione del portale centrale della facciata, che illustra il Giudizio universale, è contemporanea alle scene del portale settentrionale, salvo che per il Cristo Giudice della lunetta e per l'angelo stante alla sua destra, figure che spiccano rispetto alle altre per le proporzioni slanciate, per le vesti mosse da pieghe incise e sovrapposte, dagli orli frastagliati: esse dovettero essere scolpite più tardi, intorno al 1225-1230, e costituiscono le prime manifestazioni dello stile parigino che dominò l'arte della metà del 13° secolo. L'architrave attuale è moderno, ma al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny sono conservati due frammenti della Risurrezione dei morti, che vi figurava originariamente; al di sopra sono rappresentate la Pesa delle anime e la Separazione degli eletti e dei dannati, mentre in alto Cristo Giudice è raffigurato in trono tra due angeli che portano gli strumenti della Passione e la Vergine e S. Giovanni, inginocchiati nell'atto di intercedere; sugli archivolti, gli eletti e i dannati occupano i registri inferiori e la corte celeste i registri superiori. Su ciascun lato del portale, al di sotto delle statue moderne degli apostoli, medaglioni a rilievo rappresentano le Virtù sedute sui Vizi, che, associate per la prima volta al Giudizio universale a illustrare i criteri morali della salvezza o della dannazione, mostrano anche, nella vivacità delle scene e nel perfetto adattamento alle cornici dei riquadri, la disinvoltura e la capacità tecnica degli scultori. Relative alla facciata occidentale di Notre-Dame erano anche le teste dei re, di dimensioni colossali, della galleria dei Re, scoperte nel 1977 e conservate al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, che hanno conservato una parte della originaria policromia.La fase successiva della decorazione plastica parigina, negli anni quaranta del sec. 13°, si coglie nella Sainte-Chapelle. In questo monumento alcuni capitelli sono ancora decorati da motivi a crochets, ma su altri la flora si sviluppa in una resa naturalistica. I motivi vegetali e floreali si ritagliano e si distaccano dal fondo in maniera quasi metallica; nei pennacchi delle arcate della cappella superiore busti di angeli dalle ali spiegate formano una raffinata corte. Dodici statue di apostoli si innalzano su basi nel punto di stacco delle finestre. Alcune di esse sono antiche, altre furono sostituite (quattro sono al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny). In queste figure si sviluppa lo stile che si era presentato nella sua fase iniziale nel Giudizio universale di Notre-Dame: i volti idealizzati accennano in qualche caso un sorriso, i panneggi divengono più voluminosi, le pieghe si gonfiano, formano punte e ricadono al suolo in effetti plastici. La statua di Childeberto, oggi al Louvre, proveniente dal refettorio distrutto di Saint-Germain-des-Prés, costruito intorno al 1240 dall'architetto Pierre de Montreuil, rivela le medesime tendenze, con una maggiore sobrietà.Intorno al 1250 venne realizzato a Notre-Dame il portale settentrionale del transetto. La statua della Vergine con il Bambino, posta sul trumeau, è la sola grande figura che sia rimasta in situ dopo la Rivoluzione: la scultura, dalle proporzioni allungate e dalla testa più piccola rispetto alle statue di poco anteriori, non presenta più la posizione frontale, bensì si inclina e si volge leggermente di lato con grazia. In origine essa doveva con questo movimento rivolgersi verso le statue dei re Magi poste su un lato del portale, a formare pendant con le Virtù scolpite sul lato opposto. Nel registro inferiore della lunetta sono rappresentate scene dell'Infanzia di Cristo (Natività, Presentazione al Tempio, Strage degli innocenti, Fuga in Egitto); al di sopra i rilievi illustrano la Storia e il Miracolo di Teofilo di Cilicia, detto il Penitente, che il poeta Rutebeuf (m. post 1277) celebrò intorno alla stessa epoca nel Miracle de Théophile. Se si confronta questa lunetta con quelle della facciata occidentale si può misurare fino a qual punto la scultura parigina fosse progredita rispetto agli inizi del secolo: i personaggi appaiono assai più indipendenti rispetto al fondo ed esprimono vigorosamente il movimento e la vitalità.Nel 1260 ca. venne costruito il portale del transetto meridionale. Nella lunetta è narrata la Storia di s. Stefano, con una maggiore disinvoltura nelle composizioni e nelle posture dei personaggi, con una nuova ricerca di espressione e di individualizzazione dei volti, mentre le vesti sono più ampie, pur sottolineando i movimenti dei corpi.Questo stile si ritrova anche nella zona settentrionale del coro, nella porta Rouge, dove nella lunetta è nuovamente rappresentata l'Incoronazione della Vergine tra un re e una regina inginocchiati, forse da identificare con Luigi IX e Margherita di Provenza (ca. 1221-1295). All'interno di Notre-Dame, il jubé, che doveva essere contemporaneo all'opera di Pierre de Montreuil nel braccio meridionale, fu demolito nel sec. 18°, ma ne sono conservati alcuni frammenti al Louvre e al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny. La recinzione del coro venne iniziata alla fine del sec. 13° dal lato settentrionale; scene dell'Infanzia e della Vita pubblica di Cristo vi sono rappresentate in forma di fregio, su fondi assai ariosi, come tavole dipinte, anche se la policromia e i restauri del sec. 19° impediscono di apprezzarne la qualità.La decorazione monumentale delle chiese non doveva limitarsi alla scultura. Non si conservano dipinti, eccezion fatta per alcuni medaglioni assai deteriorati, stagliati su sfondi di vetro colorato, posti nei quadrilobi delle arcate del livello superiore della Sainte-Chapelle. Della cattedrale di NotreDame i canonici eliminarono le vetrate medievali nel sec. 18°, salvando solo quelle dei tre grandi rosoni delle facciate; in quello occidentale, eseguito intorno al 1220, la Vergine compare al centro, circondata dagli apostoli, dalle Virtù e dai Vizi, dai segni dello Zodiaco e dai lavori dei Mesi, in uno stile che ricorda quello delle sculture di inizio secolo, nei personaggi tozzi dalle forme sciolte e nei drappeggi a pieghe sottili e ravvicinate. I rosoni settentrionale e meridionale, peraltro assai restaurati, non sono anteriori alla metà del secolo; il blu domina in quello settentrionale, in cui sono raffigurati personaggi dell'Antico Testamento, e il rosso in quello meridionale, con il Cristo in maestà, assiso in trono al centro e circondato da martiri, confessori e angeli. Gli artisti che vi lavorarono si erano senza dubbio formati nelle botteghe attive nella Sainte-Chapelle, mostrando una tendenza alla grazia un po' manierata che ricorre anche nella miniatura coeva.Il complesso decorativo più grande e meglio conservato è quello del livello superiore della Sainte-Chapelle. Il rosone occidentale è più tardo e le parti basse delle finestre, per un'altezza di m 2 ca., sono moderne, ma l'insieme delle quindici vetrate antiche è a giusto titolo celebre. Come è stato recentemente dimostrato (Brenk, 1995), il programma iconografico verte al tempo stesso sulle reliquie della corona di spine e sull'esaltazione della regalità capetingia. Al centro dell'abside fa eco alle reliquie la Storia della Passione, fiancheggiata dalle vetrate con l'Infanzia di Cristo e con le Storie dei ss. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, mentre le altre illustrano l'Antico Testamento, a partire dalla Genesi (prima finestra a N), ponendo l'accento sugli episodi che riguardano più particolarmente la regalità sacra; costituisce eccezione la prima finestra a S, che narra la Storia delle reliquie della Passione e della loro acquisizione da parte del re di Francia, che in questa prospettiva appare come l'erede dei re della stirpe di Giuda nell'era della Chiesa.Le finestre sono divise verticalmente da sostegni centrali in pietra e le scene delle vetrate si sovrappongono in medaglioni la cui forma varia da una finestra all'altra; i gigli regali e i castelli di Castiglia, emblema della regina Bianca di Castiglia (1188-1252), rivestono i fondi e le bordure, decorati anche di motivi floreali e geometrici; negli sfondi mosaicati dominano i rossi e i blu. In questo insieme è stata distinta (Les vitraux de Notre-Dame, 1959) l'attività di tre grandi botteghe di pittori. La più importante per numero di pannelli realizzati manifesta una grande disinvoltura nelle composizioni e disegna personaggi agili, dalle vesti modellate da tratti rapidi e sicuri. La seconda bottega ricerca composizioni più variate, introduce frequentemente architetture e conferisce ai personaggi proporzioni più allungate e atteggiamenti più espressivi. L'ultima bottega organizza scene assai equilibrate, individualizzando i personaggi e semplificando i volumi, con un'arte che si avvicina di più allo stile della scultura monumentale della metà del secolo.La produzione di oggetti d'arte a P., nei secc. 11°-12°, è scarsamente conosciuta. Non è certo se il pastorale a tau dell'abate di Saint-Germain-des-Prés, Morard (990-1014), conservato al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, sia stato eseguito in città. Occorre attendere gli anni quaranta del sec. 12° e gli interventi voluti dall'abate Suger a Saint-Denis per vedere citati orafi locali, sia di P. sia dell'Ile-de-France, ai quali sono attribuite (Gaborit-Chopin, 1986) le montature di quattro vasi in pietra dura: il c.d. calice di Suger (Washington, Nat. Gall. of Art) e la c.d. aquila di Suger, il vaso di Eleonora d'Aquitania (ca. 1122-1204) e un acquamanile in sardonica, tutti conservati al Louvre.È noto che gli orafi erano già numerosi a P. sotto il regno di Filippo II Augusto e che nel sec. 13° formavano una corporazione: i loro nomi figurano infatti nei registri delle tasse. L'acquisizione delle reliquie da parte di Luigi IX fornì loro occasioni di lavoro e un prestigio considerevole, poiché il re fece dono di reliquiari della Santa Spina a istituzioni lontane, per es. all'abbazia di Saint-Maurice d'Agaune, in Svizzera, che ancora ne conserva uno nel Trésor de l'Abbaye de Saint-Maurice. La Grande Châsse della Sainte-Chapelle (lunghezza m 2,70) venne purtroppo fusa durante la Rivoluzione francese; essa aveva la forma di una chiesa con copertura a tetto, un tipo di reliquiario che conobbe un immenso successo nel Duecento. Del tesoro della Sainte-Chapelle si conserva di quest'epoca la piccola cassa dei ss. Luciano, Massimiano e Giuliano, oggi al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, in argento dorato, con i tre santi rappresentati in incisione. Si conservano anche piatti di legatura decorati da scene a rilievo, eseguite a sbalzo su lamina d'argento talvolta dorato, il cui stile è comparabile a quello delle contemporanee sculture di Notre-Dame, come nel caso di tre evangeliari della Sainte-Chapelle (Parigi, BN, lat. 8892, 9455, 17326).Se Limoges dominò la produzione di opere a smalto nella prima metà del sec. 13°, P. assunse un ruolo di protagonista verso la fine del secolo con la produzione di oggetti di gran lusso decorati con smalti de plique, cioè smalti traslucidi applicati a cloisonné su fondo d'oro. Con questa tecnica venne decorata la testa-reliquiario di s. Luigi, eseguita intorno al 1300 dall'orafo Guglielmo Giuliano, della quale si conservano alcuni frammenti (Parigi, BN, Cab. Méd.); eseguito in uno stile assai vicino, con delicati girali di fogliami lavorati a smalto, il reliquiario del Santo Sangue della chiesa di Saint-François-de-Sales a Boulogne-sur-Seine è attribuito allo stesso artista.Nel sec. 13° raggiunsero il più alto livello di qualità nella produzione anche gli intagliatori d'avorio parigini. La Vergine della Sainte-Chapelle, oggi al Louvre, dalle superfici delicatamente sottolineate da dorature, scolpita a tutto tondo intorno al 1260, costituisce un pendant prezioso della Vergine in pietra del portale nord di Notre-Dame, ovviamente in scala ridotta, ma pur sempre di grandi dimensioni per un avorio. Anche l'Incoronazione della Vergine, anch'essa oggi al Louvre, ha conservato sia la policromia assai sfumata sui visi sia le sottolineature dorate sulle vesti, mentre il gruppo della Deposizione dalla Croce, nello stesso museo, testimonia dell'arte preziosa dei gruppi scolpiti, addirittura confrontabile con la contemporanea statuaria monumentale. Gli scultori in avorio produssero anche dittici e trittici, decorati da scene a rilievo della Passione o dell'Infanzia di Cristo, oggetti di devozione privata largamente diffusi, nei quali si rivela lo stile di molte botteghe che eseguivano anche manufatti a carattere profano, placchette decorative per cofanetti o cassette per specchi, la cui iconografia si ispira alla letteratura cortese. Attraverso tutte queste opere, l'evoluzione degli stili riflette quella della scultura monumentale e della pittura delle vetrate, con una più sottolineata tendenza alla raffinatezza aggraziata sui pezzi di grandi dimensioni a tutto tondo e con una più sensibile ricerca di espressività e di dinamismo nelle piccole scene a rilievo.Confronti stilistici sono stati proposti anche tra opere di scultura di grandi dimensioni e miniature dei manoscritti, settore nel quale l'arte del sec. 11° è meglio conosciuta, poiché si è conservato un gruppo di opere provenienti da Saint-Germain-des-Prés. Un lezionario di questa abbazia venne eseguito dal pittore-copista Ingelardus su commissione dell'abate Adelardo (ca. 1030-1060; Parigi, BN, lat. 11751, c. 145v); alla stessa bottega si ricollegano una Vita sancti Germani (Parigi, BN, lat. 12610), parte degli Annales S. Germani Parisiensis (Parigi, BN, lat. 12117) e le iniziali di un esemplare del De laudibus Sanctae Crucis di Rabano Mauro (Parigi, BN, lat. 11685). Le opere di questo gruppo di Ingelardus si distinguono per gli sfondi a colori chiari e mostrano, nelle scene figurate, un ricordo assai vivo nell'influenza dei modelli antichi, dell'arte carolingia, soprattutto dei manoscritti di Reims.Intorno alla fine del sec. 11°, nell'ambito di un'arte più romanica - vale a dire con colori più vivaci e con forme più stilizzate -, si possono ricondurre alla produzione parigina un messale (Parigi, BN, lat. 12054) e due manoscritti della Vita sancti Mauri, vescovo di P. (Parigi, BN, lat. 3778; Troyes, Bibl. Mun., 2273), nonché due manoscritti provenienti dall'abbazia di Saint-Maur-des-Fossés, contenenti i Sermones di Agostino (Parigi, BN, lat. 12197) e il Martirologio di Usuardo (Parigi, BN, lat. 12584), più direttamente legati all'arte di Ingelardus. Nel sec. 12° alcuni manoscritti decorati vennero prodotti per l'abbazia di Saint-Denis, ma non è possibile affermare che essi siano parigini, perché il loro stile si avvicina a quello delle abbazie del Nord della Francia e dei manoscritti inglesi. La Bibbia di Saint-Victor (Parigi, Maz., 47), le cui iniziali vennero miniate intorno al 1130-1140, riflette forse più da vicino l'arte parigina.Il panorama della miniatura parigina si espanse nel sec. 13°, come per gli oggetti d'arte, con l'affermarsi di professionisti laici, per i quali l'Università, il re e la sua corte formavano una clientela attenta. I miniatori lavoravano al fianco dei copisti, degli specialisti della produzione della pergamena e dei rilegatori, per librai che acquisivano gli ordinativi e controllavano la produzione. È peraltro possibile che questo fenomeno abbia avuto inizio alla fine del sec. 12°, giacché la lussuosa Bibbia di Manerius (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 8-10), in tre volumi, è stata attribuita a professionisti parigini (Hamel, 1984); si era pensato in precedenza che potesse essere stata dipinta nella Francia settentrionale, a Pontigny o a Troyes, ma una parte delle glosse riprende la Magna glossatura di Pietro Lombardo (m. nel 1160), che insegnava a P.; vi collaborarono ben nove miniatori, tre per volume.Due sono i tipi principali di manoscritti che vennero decorati negli anni 1220-1240: da una parte le grandi bibbie moralizzate, dall'altra i salteri, più piccoli, a uso personale. Le bibbie moralizzate (altezza oltre cm 40), con commentari didattici a fianco del testo, sono conservate in tre esemplari, comprendenti ciascuno tre volumi: il manoscritto più antico è a Toledo (tesoro della cattedrale), ma alcuni fogli sono a New York (Pierp. Morgan Lib., M.240); un altro è conservato a Vienna (Öst. Nat. Bibl., 2554); l'ultimo è smembrato tra Oxford (Bodl. Lib., 270b), Londra (BL, Harley 1526-1527) e P. (BN, lat. 11560). Queste bibbie sono illustrate da medaglioni sovrapposti verticalmente tra le colonne di scrittura, in ragione di due serie di quattro medaglioni per pagina, per un totale di oltre cinquemila scene. Gli sfondi dei medaglioni sono mosaicati e vi dominano il blu e il rosso, come nelle vetrate di poco più recenti della Sainte-Chapelle; lo stile è quello degli inizi del sec. 13°, ancora segnato da correnti antichizzanti nei profili agili e nei panneggi a pieghe serrate e cilindriche; i contorni sono marcati, i colori disposti a campiture piane e le composizioni appaiono variate, con personaggi tozzi, e senza ricerca di resa spaziale.I salteri presentano un minor numero di illustrazioni, ma le miniature occupano spesso intere pagine, come nel Salterio di Bianca di Castiglia (Parigi, Ars., 1186), eseguito intorno al 1230, del quale è nota la collocazione nel Trecento nel tesoro della Sainte-Chapelle. Vi si trovano dipinte venticinque pagine intere decorate con due medaglioni sovrapposti in una cornice rettangolare, mentre nel testo figurano iniziali ornate, in uno stile vicino a quello delle bibbie moralizzate. Alcuni salteri contengono anche le preghiere da recitare nelle diverse ore canoniche della giornata e preannunciano i libri d'ore della fine del Medioevo; è questo il caso del Salterio di P. (Rouen, Bibl. Mun., 85), illustrato nella sua parte iniziale con quindici miniature a piena pagina su fondo d'oro.Lo stile cambiò intorno al 1250: le figure si allungarono, i panneggi divennero più ampi e voluminosi, con pieghe a becco più naturalistiche. Anche in questo caso si impone il confronto con opere di scultura, quali gli apostoli della Sainte-Chapelle o i portali del transetto di Notre-Dame. È lo stesso stile della Bibbia Maciejowski (New York, Pierp. Morgan Lib., M.638), in cui le miniature si distribuiscono su due registri su sfondi alternati blu e rossi, all'interno di incorniciature stilizzate. Nel Salterio di s. Luigi (Parigi, BN, lat. 10525), eseguito per il re Luigi IX intorno al 1260, i personaggi si presentano ancora più longilinei, con una grazia più manierata, mentre le settantotto grandi scene poste in testa sono coronate da architetture che ricordano direttamente il giro superiore della Sainte-Chapelle. L'arte del Salterio di s. Luigi si ritrova nella serie dei manoscritti eseguiti per la Sainte-Chapelle nel corso del terzo quarto del sec. 13°, in particolare negli evangeliari, già citati per le loro legature.Nella produzione parigina tra il 1288 e il 1300 compare il nome di un artista, Maître Honoré (v.). Una nota posta in chiusura di un manoscritto del Decretum Gratiani (Tours, Bibl. Mun., 558, c. 351r) indica che il libro venne acquistato presso il miniatore a P., in rue Erembourg-de-Brie. Partendo dalle illustrazioni di quest'opera, sono stati ricondotti a Maître Honoré il Breviario di Filippo IV il Bello (Parigi, BN, lat. 1023) e la Somme le Roy (Parigi, Maz., 870), datata al 1295, il cui testo è opera del frate Laurent, confessore del re. L'arte di Maître Honoré introdusse una nuova tendenza naturalistica: i personaggi presentano sempre contorni marcati, ma sono modellati per tonalità degradanti; le forme sono ondeggianti e incurvate, i volumi più plastici, un ampio senso di spazialità, nonostante gli sfondi astratti, permea le miniature. Alla fine del sec. 13° P. appare certamente la capitale della produzione dei libri miniati nel regno capetingio.A P. esistette certamente una produzione di sculture in pietra, grazie alla qualità delle locali cave di calcare e alla presenza di scultori attivi nel campo della decorazione monumentale. Le lastre funerarie eseguite per il coro di Saint-Germain-des-Prés nel sec. 12° indicano che gli edifici religiosi dovevano ospitare un certo numero di sepolcri e di figure di giacenti scolpite sul posto, ma purtroppo le chiese sono state spogliate dei loro arredi nel corso della Rivoluzione francese. È assai probabile che i dossali duecenteschi in pietra e le tombe commissionate da Luigi IX per l'abbaziale di Saint-Denis siano stati eseguiti a P., o da scultori che comunque lavoravano nei cantieri parigini, ma nessun documento permette di rendere certa questa ipotesi. Allo stesso modo gli apostoli della Sainte-Chapelle inaugurarono l'uso di porre statue isolate nelle chiese e nelle cappelle; si conosce un certo numero di gruppi statuari della Vergine con il Bambino realizzati prima della fine del sec. 13°, ma nulla indica la loro precisa origine.La composizione dei tesori è ricostruibile solo attraverso gli inventari, peraltro raramente anteriori al Trecento; sfortunatamente infatti anche in questo caso la Rivoluzione francese ne ha determinato la perdita pressoché totale. Il tesoro più integro è quello della Sainte-Chapelle che comprende oggetti e manoscritti già citati; la cattedrale di P. possedeva un tesoro, al pari delle grandi abbazie, Saint-Germain-des-Prés o anche Sainte-Geneviève, il cui abate aveva commissionato nel 1242 all'orafo parigino Bonnart una cassa destinata a contenere le reliquie della santa patrona della città (Marquet de Vasselot, 1925); ma anche alcune chiese parrocchiali più modeste possedevano opere preziose, come Saint-Marcel, che ospitava la cassa del suo santo patrono.
Bibl.:
Fonti. - J. Bouillart, Histoire de l'abbaye royale de Saint-Germain-des-Prés, Paris 1724; J. Lebeuf, Histoire de la ville et de tout le diocèse de Paris, 5 voll., Paris 1754-1758 (nuova ed. a cura di H. Cocheris, 4 voll., Paris 1863-1870); S.J. Morand, Histoire de la Sainte-Chapelle royale de Paris, Paris 1790; Cartulaire de l'église Notre-Dame de Paris, a cura di B. Guérard, 4 voll., Paris 1850; Oeuvres de Rigord et de Guillaume le Breton, a cura di H.F. Delaborde, 2 voll., Paris 1882-1885; A. Luchaire, Etude sur les actes de Louis VII, Paris 1887; Cartulaire général de Paris (528-1180), a cura di R. de Lasteyrie, Paris 1887; A. Vidier, Le trésor de la Sainte-Chapelle. Inventaires et documents, Mémoires de la Société de l'histoire de Paris et de l'Ile-de-France 34, 1907, pp. 199-324; 35, 1908, pp. 189-339; 36, 1909, pp. 245-295; 37, 1910, pp. 185-309; R. Poupardin, Recueil des chartes de l'abbaye de Saint-Germain-des-Prés, des origines au début du XIIIe siècle, 2 voll., Paris 1909-1930; J. Depoin, Recueil des chartes et documents de Saint-Martin-des-Champs, monastère parisien (Archives de la France monastique, 13, 16, 18, 20, 21), 5 voll., Paris 1912-1921; Recueil des actes de Philippe Auguste roi de France, 4 voll., Paris 1916-1979; Guillaume de Saint-Pathus. La vie et les miracles de Mongseigneur saint Louis, a cura di P.B. Fay, Paris 1931; Jean de Joinville, Histoire de saint Louis, in Historiens et chroniqueurs du Moyen Age, Paris 1963, pp. 195-366.
Letteratura critica. - G. Vitzthum, Die Pariser Miniaturmalerei von der Zeit des heiligen Ludwig bis zu Philipp von Valois und ihr Verhältnis zur Malerei in Nord-westeuropa, Leipzig 1907; A. de Laborde, La Bible moralisée illustrée conservée à Oxford, Paris et Londres, 5 voll., Paris 1911-1927; H. Stein, Le palais de Justice et la Sainte-Chapelle, Paris 1912; E. Lefèvre-Pontalis, Eglise Saint-Martin-des-Champs à Paris, CAF 82, 1919, pp. 106-126; id., Etude historique et archéologique sur l'église de Saint-Germain-des-Prés, ivi, pp. 301-366; M. Aubert, Notre-Dame de Paris, sa place dans l'histoire de l'architecture du XIIe au XIVe siècle, Paris 1920 (19292); R. Koechlin, Les ivoires gothiques français, 3 voll., Paris 1924; J.J. Marquet de Vasselot, Trésors, in Bibliographie de l'orfèvrerie et de l'émaillerie française, Paris 1925, pp. 70-95; J. Guérout, Le palais de la Cité à Paris des origines à nos jours: essai topographique et archéologique, Mémoires de la Fédération des Sociétés historiques et archéologiques de Paris et de l'Ile-de-France 1, 1949 pp. 57-212; 2, 1950, pp. 21-204; 3, 1951, pp. 7-101; J. Hubert, Les dates et la construction du clocher-porche et de la nef de Saint-Germain-des-Prés, BMon 108, 1950, pp. 69-84; F. Salet, Les statues d'apôtres de la Sainte-Chapelle, ivi, 109, 1951, pp. 135-156; 112, 1954, pp. 357-363; Y. Deslandres, Les manuscrits décorés au XIe siècle à Saint-Germain-des-Prés par Ingelard, Scriptorium 9, 1955, pp. 3-16; A. Friedmann, Paris ses rues, ses paroisses du Moyen Age à la Révolution. Origine et évolution des circonscriptions paroissiales, Paris 1959; Les vitraux de Notre-Dame et de la Sainte Chapelle de Paris, in CVMAe. France, I, 1, Paris 1959; R. Branner, St. Louis and the Court Style in Gothic Architecture, London 1965; id., The Painted Medallions in the Sainte-Chapelle in Paris, Transactions of the American Philosophical Society, n.s., 58, 1968, 2, pp. 1-42; D. Gaborit-Chopin, Le premier Evangéliaire de la Sainte-Chapelle , BMon 127, 1969, pp. 247-249; J. Thirion, Les plus anciennes sculptures de Notre-Dame de Paris, CRAI, 1970, pp. 85-112; D. Kimpel, Die Querhausen von Notre-Dame in Paris und ihre Skulpturen, Bonn 1971; D. Gaborit-Chopin, La Vierge d'ivoire de la Sainte-Chapelle, BMon 130, 1972, pp. 219-224; M.M. Gauthier, Emaux du Moyen Age occidental, Fribourg 1972; Bible moralisée. Faksimile-Ausgabe im Originalformat des Codex Vindobonensis 2554 der Österreichischen Nationalbibliothek, a cura di Haussherr, II, Commentarium, Graz-Paris 1973; M.M. Gauthier, Le tableau de la Crucifixion sur les Evangiles ottoniens donnés par Charles V à la Sainte-Chapelle et l'orfèvrerie parisienne au temps de saint Louis, MonPiot 59, 1974, pp. 171-208; D. Gillerman, The Clôture of the Cathedral of Notre-Dame: Problems of Reconstruction, Gesta 14, 1975, 1, pp. 41-61; L. Grodecki, La Sainte-Chapelle, Paris 1975 (19782); J. Boussard, Nouvelle histoire de Paris de la fin du siège de 885-886 à la mort de Philippe Auguste, Paris 1976; P. Dautrey, Croissance et adaptation chez les Cisterciens au treizième siècle. Les débuts du collège des Bernardins de Paris, Analecta Cisterciensia 32, 1976, pp. 122-215; R. Branner, Manuscript Painting in Paris during the Reign of St. Louis. A Study of Styles (California Studies in the History of Art, 18), Berkeley 1977; W. Sauerländer, Die Sainte-Chapelle du Palais Ludwigs des Heiligen, Jahrbuch der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, 1977, pp. 1-24; A. Erlande-Brandenburg, D. Kimpel, La statuaire de Notre-Dame de Paris avant les destructions révolutionnaires, BMon 136, 1978, pp. 213-266; D. Gaborit-Chopin, Ivoires du Moyen Age occidental, Fribourg 1978; A. Erlande-Brandenburg, Paris, la restauration de Notre-Dame, in Viollet-le-Duc, cat., Paris 1980, pp. 72-76; A. Erlande-Brandenburg, D. Thibaudat, Les sculptures de Notre-Dame de Paris au Musée de Cluny, Paris 1982; A. Prache, Ile-de-France romane (La nuit des temps, 60), La Pierre-qui-Vire 1983; W.W. Clark, R. Mark, The First Flying Buttresses: a New Reconstruction of the Nave of Notre-Dame de Paris, ArtB 66, 1984, pp. 47-65; C.F.R. de Hamel, Glosed Books of the Bible and the Origins of the Paris Booktrade, Woodbridge 1984; D. Gaborit-Chopin, Suger's Liturgical Vessels, in Abbot Suger and Saint-Denis. A Symposium, "The Metropolitan Museum of Art, New York 1981", New York 1986, pp. 283-294; C. Bruzelius, The Construction of Notre-Dame in Paris, ArtB 69, 1987, pp. 540-569; M. Berry, M. Fleury, L'enceinte et le Louvre de Philippe-Auguste, Paris 1988; Paris. Genèse d'un paysage, a cura di L. Bergeron, Paris 1989; P. Plagnieux, Autour du gisant de Childebert: les monuments funéraires des Mérovingiens à Saint-Germain-des-Prés et la politique des abbés, in La figuration des morts dans la chrétienté médiévale jusqu'à la fin du premier quart du XIVe siècle, Cahier de Fontevraud 1, 1989, pp. 183-194; C. Hardy, Les roses dans l'élévation de Notre-Dame de Paris, BMon 149, 1991, pp. 155-199; J. Taralon, Observations sur le portail central et sur la façade occidentale de Notre-Dame de Paris, ivi, pp. 341-432; D.V. Johnson, L'architecture et la sculpture du XIe siècle de l'ancien prieuré de Saint-Martin-des-Champs à Paris, Société des amis des arts et des sciences de Tournus 90, 1991, pp. 107-138; J.M. Leniaud, F. Perrot, La Sainte-Chapelle, Paris 1991; A. Erlande-Brandenburg, Notre-Dame de Paris, Paris 1992; Paris, le guide du patrimoine, a cura di J.M. Pérouse de Montclos, Paris 1994; B. Brenk, The Sainte-Chapelle as a Capetian Political Program, in Artistic Integration in Gothic Buildings, a cura di V.S. Raguin, K. Brush, P. Draper, Toronto 1995, pp. 195-213; D. Sandron, Saint-Germain-des-Prés, les ambitions de la sculpture de la nef romane, BMon 153, 1995, pp. 333-350.A. Prache
La storia di P. è strettamente legata alla storia della monarchia francese e il suo sviluppo si inscrive nella logica dei grandi eventi che segnarono la Francia del sec. 14°: il conflitto franco-inglese e le rivolte sociali, delle quali la più violenta, quella dei mercanti guidata da Etienne Marcel (ca. 1316-1358), ebbero come scenario la capitale; anche altre calamità, come le frequenti epidemie che culminarono nella peste nera del 1348, ebbero un profondo impatto sul paesaggio urbano. Nel giro di un secolo la città cambiò volto e, dopo una fase di crescita e di sviluppo che fece seguito a una tendenza già largamente avviata nel sec. 13°, si assistette a un certo ripiegamento che non ostacolò tuttavia un innegabile processo di sviluppo monumentale.I pochi autori del sec. 14° che, consci dell'importanza della capitale, hanno lasciato commentari su di essa, si sono principalmente occupati della società parigina. Jean de Jandun (m. nel 1328), il primo di essi, sempre che i suoi scritti siano del 1323, testimonia soprattutto della città al tempo di Filippo IV il Bello (1285-1314) e descrive la struttura del potere parlamentare, il prestigio dell'Università, il moltiplicarsi dei collegi e, infine, l'affermazione di due nuovi poteri, quello dei giuristi e quello dei dottori (Le Roux de Lincy, Tisserand, 1867, pp. 32-75). Raoul de Presles (m. nel 1382) fornisce una storia mitica di P. e considera soltanto gli aspetti del regno di Carlo V, detto il Saggio (1364-1380; ivi, pp. 99-115); infine, Guillebert de Metz, ampliando il precedente commentario, offre un prezioso quadro della società intorno al 1400, nel quale risultano evidenti il crescente ruolo della borghesia e il suo impegno nell'edilizia (ivi, pp. 119-236). È indubbiamente Le livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V, del 1404, di Christine de Pisan, il testo che più di ogni altro si sofferma a esaltare le iniziative reali in materia di "beaux murs et maçonnages".Quale ulteriore manifestazione del suo prestigio, la città divenne oggetto di rappresentazioni, sicuramente a imitazione di centri italiani come Firenze e Siena, i cui monumenti erano raffigurati in affreschi. Due manoscritti celebri, dell'inizio del sec. 15°, offrono descrizioni della città assai diverse nello spirito: un breviario (Châteauroux, Bibl. Mun., 2), attribuito al Maestro delle Ore del Maresciallo Boucicaut, e le Très Riches Heures del duca di Berry (Chantilly, Mus. Condé, 65, già 1284), dipinte dai fratelli Limbourg e completate poi forse da Barthélemy d'Eyck (m. ante 1476) e in seguito da Jean Colombe (attivo dal 1470 ca. alla fine del sec. 15°). Il primo manoscritto, secondo una concezione quasi impressionista, utilizza vedute poetiche di P. come cornice di scene religiose; il secondo restituisce, con una precisione fortemente analitica, l'aspetto dei grandi monumenti del potere: il Palais de la Cité, il Louvre, il castello di Vincennes, che fanno da sfondo a scene dedicate ai lavori dei Mesi.All'alba del sec. 14° la cinta di Filippo II Augusto non era più sufficiente a contenere lo sviluppo urbano di P.: l'abitato si estendeva sulla riva destra dal Louvre a Saint-Antoine, sulla riva sinistra da Saint-Victor a Saint-Germain-des-Prés e l'urbanizzazione lungo la fascia esterna della città proseguì sino alla metà del secolo; verso il 1315-1320 la popolazione raggiunse il livello massimo, concordemente valutato dagli storici attorno ai duecentomila abitanti. Il calo demografico della metà del secolo procedette di pari passo con la tendenza della popolazione a rinchiudersi all'interno dei bastioni, in un'epoca di crisi interna ed esterna. L'avanzata delle truppe inglesi minacciò direttamente i sobborghi situati a O della capitale sin dal 1346; dopo il disastro di Poitiers nel 1356 e la firma della tregua nel 1357, fu il Sud della regione parigina a essere devastato dalle compagnie di armati ormai congedati. La guerra civile tra il delfino ed Etienne Marcel portò a sua volta rovina in quelle stesse campagne. Il nuovo bastione in costruzione sulla riva destra dovette perciò consentire di ampliare lo spazio urbano e la sua realizzazione era già iniziata negli anni 1358-1359: esso comprendeva sei roccheforti - ai passaggi delle vie Saint-Honoré, Montmartre, Saint-Denis, Saint-Martin du Temple e Saint-Antoine - edificate per proteggere validamente gli accessi alla città.La roccaforte Saint-Antoine, la Bastiglia, orientata verso E, diventò il simbolo della fortezza imprendibile grazie alla pianta estremamente compatta, allo spessore delle mura e alla scelta di elevare le cortine alla stessa altezza delle torri in forte aggetto, in modo che il percorso dei camminamenti di ronda non incontrasse alcuna interruzione e non esistesse alcun angolo morto per la difesa. La prima pietra era stata posta nell'aprile del 1370 dal prevosto dei mercanti Hugues Aubriot (m. tra il 1385 e il 1391) e la costruzione venne terminata nel 1382. Sulla porta orientale erano state collocate le statue di Carlo V e di Giovanna di Borbone (m. nel 1378) e dei loro figli Carlo VI detto il Folle (1380-1422) e Luigi I di Valois, duca di Orléans (1372-1407) accanto a S. Antonio da Padova, secondo un modulo destinato a ricorrere in tutti i monumenti della capitale legati al potere regale. Scomparse durante la bufera rivoluzionaria, ma note attraverso un'incisione pubblicata da Millin (1790-1799, I, cap. 1, pp. 30-34), queste sculture potrebbero essere opera di uno dei più celebri scultori dell'epoca, Jean de Saint-Romain (Erlande-Brandenburg, 1996).Anche più complesso e ambizioso era il programma del castello di Vincennes. Antica residenza di caccia dei re di Francia, dotata e abbellita al tempo di Filippo IV il Bello, venne trasformata in residenza fortificata da Filippo VI di Valois (1328-1350), che vi aveva fatto erigere un mastio verso il 1337-1340, ma furono Giovanni II detto il Buono (v.), tornato dalla prigionia nel 1360, e poi il figlio Carlo V (v.) a decidere di abbandonare il Palais de la Cité, di scarso valore difensivo, e di ampliare il progetto militare di Filippo VI a Vincennes. La prima fase della costruzione è quindi immediatamente successiva al ritorno del re e dal 1361 al 1369 venne edificato il 'castelletto', un alto mastio a sette piani, compiuto nel 1370, nel quale avevano sede gli appartamenti reali; la cinta difensiva venne completata nel 1371. Era stata prevista una decorazione plastica particolarmente accurata, ancora oggi in buono stato di conservazione; vi si trovano anche nuovi impianti funzionali, come la sistemazione delle latrine nella torre di N-O; sul piano militare, infine, accanto a soluzioni di vecchio tipo - come l'apertura della porta al primo piano e non al piano terreno - si trovano soluzioni più innovative, quali il camminamento di ronda ininterrotto che, sul tipo di quello della Bastiglia, posto al livello del penultimo piano, sovrasta l'aggetto di un cornicione traforato da piccole aperture; l'ultimo piano, rientrante, offre un'ultima risorsa difensiva. Una seconda fase dei lavori ebbe inizio nel 1373 con la costruzione di una vasta cinta muraria, portata a compimento nel 1380: tale ampliamento, non previsto da Giovanni II il Buono, segnò una svolta nella storia di P. e nella storia del potere regio. Nell'area protetta dalla cinta fortificata, infatti, di forma rettangolare (m 378175), veniva data sistemazione a spazi residenziali destinati all'ormai cospicuo numero di consiglieri personali che, dal 1373-1374, assistevano il sovrano nelle sue decisioni e nelle nuove forme di governo. Il sistema difensivo di questa nuova cinta comportava nove torri quadrate, originariamente alte m 27, ognuna concepita come un'opera perfettamente autonoma in caso di assalto. Si conserva in tutta la sua altezza solamente quella a N, orientata verso P., la Tour du Village, dove è l'entrata; anche qui si afferma la notevole qualità della scultura decorativa, nella quale è stato supposto (Heinrich-Schreiber, 1991) l'intervento dello scalpello del giovane Claus Sluter (v.).La fondazione della Sainte-Chapelle nel 1378-1379 corrisponde a una terza fase del programma di Vincennes. Si trattava di sottolineare il rapporto con Luigi IX e con il Palais de la Cité, e venne scelto un modulo architettonico molto simile a quello della Sainte-Chapelle di P., da dove vennero trasferiti un frammento della Vera Croce e una spina della corona. Sebbene completata solo nel sec. 16° da Philibert de l'Orme, nella parte essenziale la costruzione data tuttavia agli ultimi due decenni del sec. 14° e vi appare fondamentale l'intervento dell'architetto Raymond du Temple, anche se non è attestato che per gli anni 1395-1396: qui compaiono, in particolare nel telaio interno delle finestre, le curve e controcurve che avrebbero in seguito caratterizzato la nuova architettura di stile flamboyant.A un'altra funzione rispondeva il Palais de la Cité, sede tradizionale del potere regio, situato al centro della capitale. Sin dalla fine del sec. 13° Filippo IV il Bello aveva intrapreso lavori di ampliamento e modernizzazione del palazzo, i cui edifici, per la maggior parte, risalivano al tempo di Roberto II il Pio (996-1031), a eccezione della Grosse Tour, che datava al regno di Luigi VI detto il Grosso (1108-1137), nonché della Sainte-Chapelle, dell'edificio della sacrestia, del Trésor des Chartes e della galleria Mercière, risalenti al tempo di Luigi IX.I primi interventi di rilievo vennero condotti negli anni 1299-1301, come testimoniano le spese registrate nei Journaux du trésor (Viard, 1940, p. XXXVIII). La più antica descrizione del nuovo palazzo si deve a Jean de Jandun (Le Roux de Lincy, Tisserand, 1867, pp. 48-49), nel 1323, mentre la cronologia esatta di questa enorme impresa rimane incerta; i testi (Guerant, 1949-1951) riportano alcuni nomi di capomastri (Jean de Cérenz, o Jean d'Esserent, Nicolas de Chaumes e Jean de Saint-Germer) e di un pittore-scultore, Evrard d'Orléans (ca. 1270-1357 ca.), ma non è possibile ricostruirne con precisione l'operato. Rimangono alcune vestigia dell'intervento di Filippo IV il Bello, orchestrato da Enguerrand de Marigny, che consentono di ricostruirne il progetto: così le quattro torri lungo la Senna (Tour César, Tour Argent, Tour Bonbec, Tour de l'Horloge), molto rimaneggiate in seguito, che ritmano a N la cinta del palazzo. La sala degli Armigeri (lunghezza m 63,30, larghezza m 27,40) fungeva da grande refettorio per il personale del palazzo; il livello dell'impiantito, molto inferiore rispetto a quello attuale, indica quale fosse il livello della Cité nel 14° secolo. Per sostenere il peso delle strutture della Grand'salle, l'ambiente venne dotato di robusti pilastri che lo dividono in quattro navate di nove campate coperte da volte ogivali. Per la costruzione sembra si siano succedute due campagne di lavori: la prima, relativa alle parti occidentali della sala, conserva il sistema dei capitelli con decorazione a fogliami; nella seconda fase vennero costruite le parti orientali e si adottò il sistema dei calati privi di decorazione; quattro camini monumentali sono ancora inseriti nei muri meridionale e settentrionale, senza un gran rispetto per i criteri di simmetria. È tuttavia principalmente nella Grand'salle, posta al primo piano, che si avverte l'impronta dell'intervento di Filippo IV il Bello: distrutta da un incendio nel 1618, è nota attraverso alcune descrizioni e documenti iconografici, tra cui un'incisione di Jacques I Androuet Du Cerceau particolarmente suggestiva (Parigi, BN, Cab. Estampes, Coll. Lallemand de Betz, Vx. 15, p. 269), anche se incompiuta. Si trattava di una vasta sala delle stesse dimensioni della sala degli Armigeri, divisa in due navate, ognuna coperta da una volta a botte; sugli otto pilastri dell'asse mediano della sala e sui trentaquattro pilastri a muro erano disposte statue di sovrani recanti lo scettro e la mano di giustizia, secondo un programma accuratamente elaborato - si decise di escludere la rappresentazione di alcuni re considerati illegittimi o non-carolingi, lasciando posti vuoti per la posterità di Filippo IV il Bello -, che deliberatamente si inseriva in una propaganda capetingia (Bennert, 1992).Un gran numero di sculture venne in quegli anni messo in opera nel palazzo, come dimostrano i resti scoperti durante gli scavi compiuti nel 1899, che denotano un livello di qualità plastica vicino alle sculture della chiesa del collegio dei Bernardins in rue de Poissy, oggi raccolte nel castello di Vincennes.Mentre Filippo VI trascorreva solo brevi periodi al Palais de la Cité, preferendogli Vincennes, Giovanni II il Buono vi soggiornò a lungo, dal 1350 al 1356 e dal 13 dicembre 1360, data del suo solenne ingresso a P., al giugno del 1362: l'analisi dei documenti scritti consente inoltre di ricostruire con una certa precisione quella che doveva essere la disposizione degli appartamenti regali. Tra i lavori eseguiti durante il suo regno vi fu la sistemazione, sopra la galleria Mercière e sotto il tetto, delle camere destinate al delfino. Dall'inizio della reggenza, instaurata nel 1358, sembra che Carlo V avesse deciso di risiedere al Louvre, che gli offriva maggior protezione, e che vi avesse maturato il progetto di Vincennes; il che non gli impedì tuttavia, durante tutto il suo regno, di intraprendere costosi lavori di manutenzione e di ampliamento nel Palais de la Cité, lavori di cui non si conosce con certezza la natura. La costruzione della nuova cinta privò il Louvre di quel ruolo difensivo che aveva indotto Filippo IV il Bello a custodirvi il tesoro del regno, ma i lavori intrapresi da Carlo V consentirono di trasformarlo in residenza reale, come chiaramente mostrano Les Très Riches Heures del duca di Berry (Chantilly, Mus. Condé, 65, già 1284, c. 10v); il mutamento di funzione si rende qui particolarmente evidente dal numero di finestre aperte nella massa della fortezza e dal moltiplicarsi di eleganti torrette sovrastate da banderuole con emblemi. Già alla fine del regno di Giovanni II il Buono i giardini avevano avuto una sistemazione che comprendeva padiglioni in legno, ma fu Carlo V a incaricare il suo architetto Raymond du Temple, a partire dal 1364, di importanti modifiche agli edifici di Filippo II Augusto. Si trattava di sopraelevare torri e cortine ai due lati del quadrangolo, a S e a O, e di edificare due nuove ali a N e a E. Quella settentrionale è la più famosa, in quanto comprendeva la Grande vis, la grande scala a chiocciola di centoventiquattro scalini sistemata in una torre traforata alta m 20, addossata al fronte meridionale di quest'ala; a S, rivolti verso la Senna, si trovavano gli appartamenti del re e della regina, a O la cappella fatta edificare da Luigi IX e la grande sala delle udienze. Nell'angolo nord-ovest era sistemata la biblioteca, che si sviluppava con ampiezza su tre piani, il cui inventario, redatto nel 1373, conta novecentotredici opere (Delisle, 1907); infine, una galleria coperta collegava la nuova ala nord al vecchio mastio. Il carattere residenziale dell'edificio era ulteriormente sottolineato dalla presenza di vani dove erano i servizi, una stanza da bagno, un locale termale, e dalla sistemazione dei giardini, del parco e del serraglio. I conti delle spese del Louvre, conservati per il periodo che va dal 1362 al 1372 (Le Roux de Lincy, 1852), segnalano la partecipazione alla realizzazione della decorazione scultorea di numerosi e celebri artisti, tra cui Jean de Saint-Romain, Guy de Dammartin (m. nel 1398 ca.) e Jean de Liège. Sostanzialmente emblematica, questa decorazione comprendeva anche un gran numero di statue di carattere religioso e altre dedicate alla gloria dei Valois, in particolare di Carlo V e di Giovanna di Borbone; di questo programma relativamente ben noto attraverso i documenti sembra non rimangano attualmente che le due statue raffiguranti Carlo V e Giovanna di Borbone, oggi al Louvre.I sovrani, in particolare Giovanni il Buono e Carlo V, si preoccuparono anche di costruire o sistemare residenze meno ufficiali, alle quali sembra fossero particolarmente e personalmente affezionati: è il caso della Noble maison di Saint-Ouen - nei pressi di Saint-Denis, proprietà della famiglia dei Valois -, dove Giovanni il Buono nel 1351 pose la sede dell'ordine cavalleresco da lui fondato, l'Ordine della Stella. È ancora il caso dell'Hôtel Saint-Paul, che Carlo V fece sistemare a partire dal 1360 attorno all'antico Hôtel d'Etampes, situato nel quartiere orientale della città prediletto dalla nobiltà, al riparo della nuova cinta; grazie a successivi acquisti di terreni e di antiche residenze, vi si creò un complesso costituito da diversi edifici abitativi, talvolta collegati da gallerie coperte, che si estendeva in un'area a giardini in declivio verso la Senna, la cui ampiezza era all'incirca quella di Vincennes (m 175 ca. di larghezza e m 300-350 di lunghezza) e dove erano sistemati un serraglio, voliere, un acquario, la pallacorda, fontane, pergolati, orti e roseti.A imitazione di quelle dei sovrani, nello stesso periodo vennero ampliate o costruite numerose dimore di principi, di nobili o di alti prelati, come il palazzo d'Artois, che divenne la residenza parigina dei duchi di Borgogna, o il palazzo di Clisson, dimora del connestabile Olivier de Clisson, o il palazzo di Cluny, edificato dall'abate Pierre de Châlus nel 1330 su un terreno dove si trovavano le rovine delle antiche terme, nei pressi dell'Università. Spesso rimaneggiate nel corso dei secoli successivi, queste dimore, note soltanto attraverso menzioni lacunose, testimoniano il fervore di iniziative e commissioni monumentali nella P. del 14° secolo.Nel campo dell'edilizia religiosa, nel Trecento si assiste inizialmente al completamento e ad alcuni rimaneggiamenti dei grandi programmi avviati nei secoli precedenti, primi fra tutti i lavori alla cattedrale di Notre-Dame, dove l'architetto Pierre de Chelles costruì le cappelle dell'abside dal 1294 al 1315, mentre il suo successore Jean Ravy (m. nel 1345), avendo deciso di ingrandire le finestre delle tribune del coro, inserì una formidabile serie di archi rampanti per garantirne la stabilità; venne allora inserito nella parte esterna del lato nord un insieme di sette bassorilievi, rappresentanti i principali episodi della vita della Vergine, che, come molte altre opere della metà del secolo, sollevano il problema della profonda influenza esercitata dall'arte e dai modelli di Jean Pucelle (attivo fra il 1320 ca. e il 1370 ca.).In questo periodo proseguì anche la decorazione del recinto del coro, facendo seguito al programma del jubé eretto nel secolo precedente. Iniziato nel 1300 da Pierre de Chelles, cui nel 1318 succedette Jean Ravy e poi, nel 1351, Jean le Bouteiller, nipote del precedente, è un raro esempio di arredo liturgico del sec. 14°, anche se si conserva in maniera incompleta, perché la parte curva del coro e così pure il jubé furono distrutti nel 17° secolo.Tutta la parte destra del recinto del coro, pesantemente restaurata nel sec. 19°, era già stata cominciata sin dalla fine del sec. 13° sul lato nord, con scene della Vita di Cristo, dalla Visitazione al monte degli Ulivi, che si prolungavano a S (dopo le scene della Passione che si svolgevano sul jubé costruito nel sec. 13°), con le Apparizioni di Cristo dopo la risurrezione. La documentazione scritta e iconografica consente di ricostruire parzialmente le zone mancanti della sezione curva del coro: il registro inferiore era dedicato alle Storie di Giuseppe, sopra il quale una zona, in parte traforata, comprendeva alcuni rilievi scultorei, posti all'inizio e alla fine del ciclo, dove erano rappresentati il canonico Pierre de Fayel (Louvre) e l'architetto Jean Ravy.Anche nel campo religioso i protagonisti delle commissioni artistiche erano i principi, le cui fondazioni si moltiplicarono nella capitale, spesso quale complemento di iniziative delle confraternite o di privati che ne seguivano l'esempio. Così, dopo la canonizzazione di s. Ivo (Hélory de Kermartin, 1253-1303), nel 1347 si costituì una confraternita che decise la costruzione di una cappella dedicata al santo: il re Giovanni il Buono ne pose la prima pietra nel 1352 e la protezione reale si manifestò anche in seguito, con il dono da parte di Carlo VI nel 1386 di una grande vetrata da collocarsi dietro l'altare maggiore, e giustificò l'appellativo di chiesa reale di Saint-Yves per questo edificio tutto sommato modesto, distrutto durante i lavori per l'apertura del boulevard Saint-Germain nel 1855: lungo m 38 e largo m 12, con copertura lignea, comprendeva un pignone occidentale rettilineo, una navata a sei campate e un'abside pentagonale.La protezione reale si estendeva anche all'abbazia cistercense di Saint-Antoine-des-Champs, dove nel 1364 venne deposto il corpo di Giovanni il Buono (la cerimonia funebre richiese l'intervento di Jean de Saint-Romain, chiamato per dipingere i candelieri). Vi furono seppellite due figlie di Carlo V, Giovanna e Bona (m. nel 1360 a pochi giorni di distanza l'una dall'altra): il re fece costruire la loro tomba sicuramente poco tempo dopo il suo avvento al trono e la figura giacente di Bona di Francia (la testa è conservata ad Anversa, Mus. Mayer van den Bergh ) sembra debba essere attribuita allo scultore del re, Jean de Liège, come pure una Madonna con Bambino della stessa provenienza (Lisbona, Mus. Calouste Gulbenkian). Queste opere completano l'importante commissione di tombe per la necropoli reale di Saint-Denis, che fu una delle prime iniziative di Carlo V dopo il ritorno dalle cerimonie dell'incoronazione.Anche molti grandi conventi eretti nel sec. 13°, in particolare quelli degli Ordini mendicanti, beneficiarono nel sec. 14° della protezione del sovrano, della nobiltà e della borghesia e poterono quindi ampliare o rinnovare le loro sedi. Quello dei Cordiglieri (Francescani), prestigiosa fondazione di s. Luigi e fervido centro del pensiero francescano, venne scelto per la sepoltura di molti componenti della famiglia reale, tra i quali le regine Maria di Brabante (1254-1321) e Giovanna I, contessa di Champagne e regina di Francia e di Navarra (1274-1305), mogli di Filippo III l'Ardito (1270-1285) e di Filippo IV il Bello; Filippo V il Lungo (1317-1322) e Giovanna d'Evreux (m. nel 1371), terza moglie di Carlo IV il Bello (1322-1328), vollero che qui fossero deposti i loro cuori. Quest'ultima, dopo aver dotato il convento di un'infermeria, fece intraprendere la costruzione del refettorio ancora esistente, ma, per mancanza di denaro, dopo la sua morte, per completarlo ci volle oltre un secolo. Il progetto era ambizioso, in quanto l'edificio misura m 56,85 di lunghezza, m. 16,75 di larghezza e m 24,25 di altezza; il refettorio vero e proprio occupa il piano terreno (un dormitorio per i novizi era sistemato al primo piano sotto il tetto), e una scala a chiocciola installata in una torretta, all'angolo della facciata occidentale e sul lato sud, permette di accedere al primo piano. La facciata, abbastanza rimaneggiata, possiede ancora le due porte della costruzione originaria. Nel rispetto dello spirito di sobrietà tipico dell'Ordine, la maggior parte della costruzione è in legno, a eccezione dei muri realizzati in pietra. Il vasto ambiente è diviso nel senso della lunghezza da una fila di pali, sui quali poggiano le travi, mentre dalla parte del muro poggiano su peducci in pietra; quattordici campate identiche scandiscono in tal modo la lunghezza della sala, il cui ritmo si ripete all'esterno con la presenza di potenti contrafforti che rinforzano le pareti; il rivestimento impedisce qualsiasi decorazione e solo il pulpito del lettore, installato in una finestra del lato nord, presenta sculture di grande qualità. Due mensole, sui piedritti, sorreggono le figure di un angelo che legge un libro e di un profeta che svolge un filatterio, sculture che per il loro stile sono avvicinabili a quelle del castello di Vincennes; non si conosce tuttavia la loro esatta provenienza, e il loro reimpiego in questa sede potrebbe datare al 15° secolo.Un'analoga concezione architettonica doveva regnare nella chiesa del convento dei Carmelitani, che nel 1318 si installarono ai piedi dell'altura Sainte-Geneviève, abbandonando la riva destra della Senna dove si erano originariamente insediati. Ancora una volta si dovette agli atti di liberalità della regina Giovanna d'Evreux la possibilità di intraprendere importanti opere edilizie, e la generosa donatrice si fece rappresentare sulla facciata occidentale, a fianco del marito Carlo IV il Bello. La chiesa corrispondeva alle regole dell'architettura degli Ordini mendicanti: lunga m 60, non aveva navate laterali ed era coperta da una volta a botte; nel chiostro, un ciclo di pitture murali illustrava il cammino dei Carmelitani dalla Terra Santa alla Francia.Il convento dei Celestini era anch'esso sotto la protezione della famiglia reale, in particolare del re Carlo V, forse anche a causa della sua vicinanza all'Hôtel Saint-Paul: il re pose la prima pietra della chiesa del convento di Notre-Dame de l'Annonciation nel maggio 1365, finanziando largamente i lavori, per assistere alla dedicazione nel settembre 1370; retribuì lo scultore Jean de Thoiry per la figura del trumeau del portale che rappresentava S. Pietro Celestino. Il programma della facciata, noto grazie a un'incisione di Millin (1790-1799, I, cap. 3, p. 11), comprendeva un'Annunciazione e le figure del re e della regina quali donatori.Un altro fattore, che giocava soprattutto a favore delle chiese parrocchiali, era costituito dall'aumento della popolazione, in una misura ancora rilevante durante la prima metà del secolo. Molti edifici antichi vennero ricostruiti, almeno parzialmente, e ne vennero eretti di nuovi; tra questi, la chiesa di Saint-Leu-Saint-Gilles, una delle tante costruzioni situate lungo la rue Saint-Denis, che conduceva alla necropoli reale. Si distinguono ancora le vestigia dei lavori intrapresi verso il 1320 per rimontare la facciata, conservando alcuni elementi del portale del sec. 13°, e nella navata, all'interno di una chiesa ampiamente rimaneggiata in epoca moderna e contemporanea. Una trasformazione analoga è riscontrabile a Saint-Séverin, un edificio divenuto troppo angusto per accogliere i fedeli del quartiere dell'Università in piena espansione: i muri esterni della chiesa del sec. 12° vennero quindi svuotati per dar luogo a navate laterali supplementari.Nel sec. 14° vennero infine erette alcune costruzioni annesse a strutture più antiche; così, a fianco della chiesa della commenda di Saint-Jean-de-Latran, risalente alla fine del sec. 12°, venne fondata una cappella da Gilbert Ponchet, che divenne commendatario di Montdidier nel 1387 e che vi fece seppellire la madre (m. nel 1378), il che offre un riferimento cronologico per la datazione dell'edificio, distrutto nel 1860, ma del quale si conservano diversi elementi (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny). La cappella, cui si accedeva attraverso il muro nord della chiesa, era di dimensioni e concezione modeste: due campate a volta ogivale e un'abside rettilinea (lunghezza m 5, larghezza m 3, altezza m 8); la luce penetrava attraverso tre finestre, una a E e due a N; queste ultime, rimontate nel muro nord della cappella del palazzo degli abati di Cluny, presentano uno dei primi esempi di reticolo a profilature flamboyant. Un'abbondante documentazione grafica consente di integrare i dati forniti da questi resti e, in particolare, rivela l'adozione di un sistema di modanature abbastanza complesso, che chiaramente preannuncia il profilo prismatico che si impose nella decorazione architettonica del secolo successivo. Anche la scultura monumentale della cappella è nota attraverso quattro mensole (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny), dove sono rappresentati i simboli degli evangelisti Matteo e Giovanni, angeli, cantori e musici. Assai simili dal punto di vista stilistico ad alcune sculture della Sainte-Chapelle di Vincennes, esse costituiscono una testimonianza dell'influenza esercitata dalle maestranze di cui il re si serviva intorno al 1400. La decorazione pittorica è documentata soltanto attraverso alcuni rilievi eseguiti da Alexandre Dominique Denuelle alla metà del 19° secolo (Parigi, Mus. Nat. des Monuments Français). Sul muro orientale era raffigurata una Pentecoste, oltre a profeti e cavalieri dell'Ordine di Malta presentati dai loro santi protettori; la soluzione adottata dal pittore di inscrivere gli apostoli della Pentecoste in un'architettura costruita con linee di fuga costituisce una straordinaria testimonianza della capacità degli artisti della fine del Trecento di giovarsi della lezione della pittura italiana; sembra inoltre che il mezzo stesso, cioè la pittura parietale, si prestasse più convenientemente a questo tipo di esperienze che non il libro manoscritto, dove ricerche così avanzate comparvero solo raramente.L'iniziativa di Gilbert Ponchet non fu isolata e nella P. del sec. 14° si moltiplicarono le fondazioni della borghesia, che seguiva l'esempio dei principi e della nobiltà. Il convento dei Certosini, che era stato insediato da Luigi IX in rue Notre-Dame-des-Champs, ricevette varie donazioni: un membro del parlamento, Jean de Ceres, diede aiuto per terminare la chiesa, la cui dedicazione venne celebrata nel 1325; Jean Billouart dotò una cappella; un cambiavalute, Jean du Four, elargì somme per la costruzione di altre due e infine Pierre Loisel offrì l'ambiente del Capitolo (Cazelles, 1972, p. 54); questi atti di liberalità provenienti da borghesi di P. contribuirono alla fondazione del convento, al pari dei contributi offerti dalla regina Giovanna d'Evreux, che permisero di installarvi l'infermeria.Un fenomeno analogo si riscontra nelle fondazioni di carità e ospedaliere che si moltiplicarono durante questo secolo, poiché già prima delle rovine provocate dalla peste nera si era diffusa tra i benestanti una consapevolezza della miseria esistente, che indusse loro a offrire somme di denaro, in alcuni casi considerevoli, a istituzioni di questo tipo.Il complesso più rappresentativo del periodo resta comunque l'Hôpital de Saint-Jacques, che risponde alle norme consuete in edifici di questo tipo situati nei quartieri borghesi della riva destra e affacciantisi su vie di traffico. Fondato nel 1317 da una confraternita allo scopo di ospitarvi i pellegrini di Santiago de Compostela, ma anche gli indigenti, l'ospedale usufruì subito della protezione della regina Giovanna di Borgogna, moglie di Filippo il Lungo, che pose la prima pietra della chiesa nel 1319, di sua madre la contessa Mahaut d'Artois, che finanziò le vetrate, e di sua figlia, la duchessa di Borgogna; sulla facciata, lo scultore Raoul de Hédincourt venne incaricato di rappresentare ai lati di s. Giacomo la regina, la contessa e le quattro figlie della regina (Baron, 1975, p. 58). Tra gli artisti cooptati dall'istituzione, al primo posto è da annoverarsi Jean Pucelle, pittore famoso per le miniature che realizzava per la corte e la cui prima menzione risulta proprio nei conti della confraternita di Saint-Jacques per gli anni 1319-1324: si trattava della fornitura del disegno di un grande sigillo, del quale si conserva la matrice (Parigi, Mus. Carnavalet; Le Pogam, 1994). Anche la decorazione della chiesa richiese l'intervento di molteplici artisti. L'edificio a otto campate (lunghezza m 35 ca., larghezza m 12) era coperto a capriate e illuminato attraverso una grande vetrata aperta nel muro orientale, rettilineo. Robert de Launay e Pierre de Broisselles collaborarono alla decorazione pittorica: la parte lignea e i muri erano policromi, ornati di conchiglie e di un fregio in cui era narrata la Storia di s. Giacomo. Un importante arredo liturgico è descritto nei conti (Baron, 1975, p. 33), come pure la commissione di un corteo di apostoli scolpito in pietra e dipinto, nel quale la disposizione delle figure segue la stessa simbologia che si riscontra nella SainteChapelle di Luigi IX, in riferimento al loro ruolo di fondamento della Chiesa. Nel 1319-1324 l'incarico passò a Guillaume de Nourriche (due apostoli) e a Robert de Launay (quattro apostoli), il quale provvide anche a colorare le statue e a ornarle con gigli d'oro: è quanto risulta da un conto del 1326-1327 (Baron, 1975, p. 34), che ricorda anche la realizzazione dei sei ultimi discepoli da parte di quest'ultimo artista; non è citato l'autore della statua di Cristo che guida il corteo degli apostoli, realizzata nello stesso periodo. Dopo il declino e lo scioglimento della confraternita, in epoca moderna, gli edifici furono inesorabilmente smembrati e poi distrutti; nel 1840 molte delle statue vennero ritrovate, accuratamente sepolte nel terreno, e per la maggior parte reinterrate; attualmente se ne conservano solo cinque, al Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, acquistate nel 1850 presso un privato: tra di esse è possibile riconoscere Cristo, S. Giovanni e S. Giacomo, la cui paternità sembra spettare a Robert de Launay; un altro apostolo, in gran parte mutilo, non consente analisi definitive, e la quinta statua, priva di attributi iconografici ma molto ben conservata, presenta originali caratteristiche stilistiche, che hanno fatto supporre la mano di Guillaume de Nourriche (Baron, 1975), sebbene anche in questo caso, al di là del temperamento dei singoli autori, il tono generale sembra dato dalla dominante personalità artistica di Jean Pucelle.Un ultimo fondamentale settore dell'attività artistica era legato all'Università, il cui prestigio non conobbe flessioni nel sec. 14° e dove si continuarono a costruire collegi destinati ad accogliere gli studenti. Il quartiere Latino era molto meno popoloso dei quartieri della riva destra, occupati da commercianti, e spesso ecclesiastici o laici lasciavano le proprie case in eredità alla loro fondazione; come in ambito strettamente religioso, tuttavia, erano i principi a dare l'esempio. La regina Giovanna I di Navarra, moglie di Filippo IV il Bello, fondò un collegio, destinato ad accogliere i borsisti, di cui fu posta la prima pietra nell'aprile 1309: il collegio di Navarra accolse quindi numerosi figli di principi e gran signori e vi tennero i loro corsi Nicole Oresme (ca. 1320-1382) e Jean de Gerson (1363-1429); dal 1357 vi erano custoditi il tesoro e gli archivi dell'Università.Parimenti esemplare è il collegio di Dormans-Beauvais. Fondato nel 1370 da Jean de Dormans, vescovo di Beauvais, cancelliere di Francia dal 1361 e cardinale titolare dei Ss. Quattro Coronati a Roma dal 1368, era l'opera di un grande prelato che voleva competere con le fondazioni della famiglia reale. Alla sua morte, avvenuta di lì a pochi anni, suo nipote, il vescovo Miles de Dormans, chiamò a edificare la cappella del collegio Raymond du Temple, architetto delle opere volute da Carlo V, accanto al quale lavorarono quattro noti artisti: Jacques Collet o Jacques de Chartres, carpentiere, Jean de Liège, scultore, Nicolas de Vertus, pittore, e Baudet de Soissons, maestro vetraio. La prima pietra venne posta dallo stesso re nel gennaio 1374 e la consacrazione celebrata nell'aprile 1380. Come nella maggior parte degli edifici costruiti a P. in quest'epoca, vi prevale l'estrema semplicità della composizione architettonica: una sola navata a cinque campate si prolunga in un'abside a cinque scomparti, con tetto a botte spezzata dipinto a false capriate con catene e monaci; grandi finestre aperte su un basamento liscio illuminano ampiamente la cappella. Oltre alla sobrietà del luogo, risulta sorprendente il carattere tradizionale del lessico architettonico, come l'armatura interna delle finestre, ancora fedele ai dettami dell'architettura del Gotico rayonnant. La decorazione plastica della facciata venne affidata a Jean de Liège ed è costituita da tre statue: S. Giovanni Evangelista nel trumeau, Jean de Dormans e Guillaume de Dormans nei piedritti. Per l'interno della cappella vennero commissionate altre opere, tra le quali quattro angeli dell'altare, a un artista che risponde al nome di Thomas (forse Thomas Privé; Erlande-Brandenburg, 1972, p. 337), ma dell'intero programma scultoreo sussistono soltanto, in un piccolo oratorio che fiancheggia a S la cappella, sei mensole collocate sotto l'imposta delle ogive; lo spesso strato di calce che le ricopre ne maschera in larga misura le qualità e tuttavia, accanto ai quattro simboli degli evangelisti piuttosto banali, in due mensole sono raffigurati profeti, la cui concezione presenta punti di contatto con le sculture di Vincennes (la Tour du Village). Anche se la perdita massiccia della maggior parte delle rappresentazioni dei donatori non consente giudizi definitivi, sembra che la scultura abbia avuto un ruolo non secondario nell'apprendimento della tecnica del ritratto, che caratterizza la metà e la seconda metà del secolo e che è testimoniato in tutte le diverse tecniche artistiche, come mostrano fra gli altri un ritratto dipinto di Giovanni II il Buono, oggi al Louvre, e numerose rappresentazioni di Carlo V nei suoi manoscritti.L'apparire di questa tendenza fondamentalmente naturalistica può essere spiegata in vari modi. In primo luogo essa sembra coincidere con il grande afflusso di artisti nordici - tanto pittori quanto scultori - attirati di certo da una capitale decimata dall'epidemia del 1348-1349, dove c'era bisogno di nuove maestranze e dove, fatto che ebbe senz'altro un certo peso, non venivano più applicate regole corporative troppo rigide; ma la menzione di artisti nordici come Jean Pépin de Huy, Jean de Liège, André Beauneveu (v.) - e le poche opere certe loro attribuibili - non deve indurre a sottovalutare l'importanza degli incarichi affidati ai numerosi artisti autoctoni. D'altra parte tra questi ultimi si trovano pittori come Jean le Noir (v.) o Jean d'Orléans, identificato con il Maestro del Paramento di Narbona (v.), che adottavano lo stesso linguaggio naturalistico. Un'altra componente di questa evoluzione è forse data dalla natura delle commissioni, che, a partire dalla metà del secolo, non sembrano più emanare tanto dall'ambiente femminile di corte - sensibile alla raffinatezza di piccoli oggetti, in particolare libri - quanto dai sovrani stessi, attirati da un'arte meno manierista e più naturalistica, che commissionavano opere ambiziose, come la Bibbia moralizzata, comprendente cinquemiladuecentododici miniature, realizzata per Giovanni II il Buono tra il 1349 e il 1352 (Parigi, BN, fr. 167). Soprattutto la pratica dell'arte del ritratto, che procedeva di pari passo con le sempre più frequenti descrizioni della natura, rappresentò il punto di arrivo di un lungo processo le cui radici affondano nella produzione del sec. 13° e che prese forma grazie anche agli apporti dell'arte italiana della fine del Duecento e degli inizi del Trecento: il nuovo linguaggio artistico della penisola riscosse un grande successo a corte e il primo artista che ne adottò le nuove soluzioni spaziali e ne riprese le formule iconografiche, introducendo una dimensione patetica, fu Jean Pucelle. La predilezione per le opere italiane non costituì una moda passeggera, si accrebbe anzi in seguito grazie a una conoscenza più approfondita consentita dai soggiorni alla corte papale di Avignone: Giovanni II il Buono, ancora duca di Normandia, vi si recò per es. nel 1342 e il dipinto realizzato in quest'occasione - noto solo attraverso una copia del sec. 17° realizzata da François-Roger de Gaignières (Parigi, BN, Cab. Estampes, Coll. Gaignières, Oa 11, cc. 85-88) - è un'opera chiaramente italiana, forse di mano dello stesso Matteo Giovannetti (v.) da Viterbo; il quadro, depositato al Palais de la Cité prima di essere trasferito nella Sainte-Chapelle, forniva agli artisti di P., e in particolare a quelli di corte, una magistrale lezione in materia di soluzioni spaziali e di caratterizzazione fisionomica, ed è noto che il pittore del re Carlo V, Jean de Bondol (v.), si ispirò a esso con grande aderenza per realizzare il frontespizio della Bibbia di Jean de Vaudetar (Aia, Rijksmus. Meermanno-Westreenianum, 10 B 23).Sin dagli inizi del secolo, certo grazie al contatto con manufatti di produzione toscana conosciuti tramite la corte di Napoli o quella di Avignone o anche attraverso opere importate, si impose la nuova tecnica degli smalti traslucidi su rilievo a sbalzo, molto apprezzati durante la prima metà del secolo. In numerosi di questi pezzi si avverte una profonda assimilazione dello stile di Jean Pucelle, il che fa supporre che esistesse una stretta collaborazione tra pittori e smaltatori, come mostrano un acquamanile con il punzone di P. (Copenaghen, Nationalmus.), il polittico di Thomas Bazin (New York, Pierp. Morgan Lib.) o il polittico-reliquiario di Filippo V (Siviglia, cattedrale). L'arte dello smalto costituisce peraltro uno dei settori di maggior dinamismo della prima metà del secolo, come dimostrano, ancor più delle opere, di cui sono pervenuti rari esemplari, le frequenti menzioni d'archivio. Un artista sembra particolarmente innovatore, Jean le Braellier, orafo e talvolta intagliatore di avori, che ricevette incarichi da Giovanni II il Buono e dal delfino Carlo. Egli praticava la tecnica dello smalto traslucido, che permette di ottenere il rouge cler di cui parlano i testi (Gaborit-Chopin, 1987, p. 50); realizzato su oro, questo tipo di smalto era molto apprezzato e si riconosce in molti oggetti preziosi della seconda metà del secolo, come le valve dello specchio (Parigi, Louvre) di Luigi I d'Angiò (m. nel 1384) e la coppa di s. Agnese (Londra, British Mus.), ma lo si trova già nel gioielloreliquiario della Santa Spina, datato al 1340 ca. (Londra, British Mus.). Grazie a un approfondito spoglio dei testi, è noto che lo stesso artista conosceva la tecnica della punzonatura e quella dello smalto su tutto tondo in oro sin dal 1352.Alcuni dei pochi oggetti pervenuti, come la Madonna con il Bambino offerta nel 1339 da Giovanna d'Evreux all'abbazia di Saint-Denis, oggi al Louvre, o lo scettro di Carlo V, conservato nello stesso museo, dimostrano la raffinatezza di esecuzione cui erano pervenuti gli orafi e gli smaltatori di P., nonché l'alta qualità dei modelli forniti per certo dai pittori di corte. Si conservano però anche alcuni oggetti di pregevolissima fattura provenienti dall'ambiente della nobiltà e, in alcuni casi, della borghesia, come la straordinaria scultura rappresentante S. Giacomo, una statuetta-reliquiario offerta da Geoffroy Coquatrix prima del 1321 alla cattedrale di Santiago de Compostela (Les fastes du Gothique, 1981, nr. 179); il committente, in ragione dei successivi incarichi ricoperti nell'amministrazione reale, era sicuramente in contatto con i migliori artisti dell'epoca.È indubbiamente nel campo dei manoscritti miniati che con maggiore evidenza risalta il cammino percorso dagli artisti nella P. del sec. 14°, dove questa forma artistica, già largamente praticata nel secolo precedente, ottenne forte incoraggiamento. La nuova dimestichezza che si era venuta a creare tra i committenti reali e gli artisti di corte può aiutare a spiegare la relativa omogeneità di impostazione della produzione artistica parigina del sec. 14° e principalmente l'intenso preziosismo della sua estetica. Nei manoscritti, le filigrane di un ornatista come Jaquet Maci o la scansione decorativa dei fondi, dai motivi anche molto ricercati, testimoniano la tendenza verso forme che si assottigliano e si frammentano, un fenomeno che investì anche gli avori, la scultura e l'arte del vetro.Anche la gamma cromatica si modificò sensibilmente, in primo luogo nella scultura, dove si privilegiavano materiali preziosi come il marmo o l'alabastro, ulteriormente impreziositi da lumeggiature d'oro o da ornamenti preziosi; nella pittura dei manoscritti appare una cromia più chiara, quasi fredda, a partire da Mâitre Honoré (v.). L'uso della grisaille - ricorrente nella miniatura parigina del sec. 14° a partire da Pucelle - è certamente la più evidente manifestazione di questa estetica nuova, che porta a privilegiare l'utilizzazione del bianco e nero, considerati come veri colori, che consentono sottilissime gradazioni.Il ruolo svolto dalla corte appare infine fondamentale per comprendere il folgorante sviluppo di un'arte nuova apparsa nella capitale verso la metà del secolo, quella dell'arazzo istoriato. Non è possibile stabilire con precisione chi, ad Arras o a P., abbia per primo pensato di riconvertire le botteghe di tessitura di panni in botteghe di tessitura di stoffe di lusso, tuttavia la produzione di P. non sembra riuscisse a competere con quella di Arras, dato che nei testi viene contrapposto il gros file de Paris al fin file d'Arras (Joubert, 1990, p. 605). I principi si dimostrarono subito entusiasti di queste pitture facilmente trasportabili e dai vivaci effetti: così si spiega il gran numero di arazzi in possesso del primo loro collezionista, il duca Luigi I d'Angiò. P. svolse di sicuro un ruolo importante nel commercio delle opere, con alcuni potenti mercanti stabilitisi nella capitale, tra i quali il famoso Nicolas Bataille (v.), che cedette i sei pezzi dell'Apocalisse di Angers (Angers, Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse) a Luigi I d'Angiò. Nulla prova che quest'opera fosse stata tessuta su telai della capitale, ma tuttavia essa viene considerata come il capolavoro della produzione artistica di P.: i modelli infatti vennero commissionati a Jean de Bondol, pittore di Carlo V e brillante rappresentante di quella generazione di artisti incoraggiata dalla corte francese; anche il suo più stretto collaboratore nell'elaborazione dell'opera era un artista che gravitava nello stesso ambiente.
Bibl.:
Fonti. - H. Sauval, Histoires et recherches des antiquités de la ville de Paris, 3 voll., Paris 1724; M. Félibien, Histoire de la ville de Paris, a cura di G.A. Lobineau, 5 voll., Paris 1725; J. Lebeuf, Histoire de la ville et de tout le diocèse de Paris, 5 voll., Paris 1754-1758 (nuova ed. a cura di H. Cocheris, 4 voll., Paris 1863-1870); A.L. Millin, Antiquités nationales ou recueil de monuments pour servir à l'histoire générale et particulière de l'Empire français, tels que tombeaux, inscriptions, statues, vitraux, fresques, 5 voll., Paris 1790-1799; H. Géraud, Paris sous Philippe le Bel d'après des documents originaux, Paris 1837; C. Leber, Collection des meilleurs notices et traités particuliers relatifs à l'histoire de France (Collection de dissertations relatives à l'histoire de France, 19), Paris 1838; L.C. Douët d'Arcq, Comptes de l'argenterie des rois de France au XIVe siècle, Paris 1851; A.J.V. Le Roux de Lincy, Comptes des dépenses faites par Charles V dans le château du Louvre, des années 1364 à 1368, Paris 1852; L. de Laborde, ''Inventaire des joyaux de Louis de France, duc d'Anjou, dressé vers 1360-1368''. Notice des émaux, bijoux et objets divers exposée dans les galeries du musée du Louvre, Paris 1853, II; Chronique des quatre premiers Valois (1327-1393), a cura di S. Luce, Paris 1862; A.J.V. Le Roux de Lincy, L.M. Tisserand, Paris et ses historiens aux XIVe et XVe siècles, Paris 1867; L. Delisle, Mandements et actes divers de Charles V (1364-1380), recueillis dans les collections de la Bibliothèque Nationale, Paris 1874; L.C. Douët d'Arcq, Nouveau recueil des comptes de l'argenterie des rois de France, Paris 1874; L.M. Tisserand, Topographie historique du vieux Paris, 4 voll., Paris 1876-1897; R. de Lasteyrie, Fragments de comptes relatifs aux travaux de Paris en 1366, Mémoires de la Société de l'histoire de Paris et de l'Ile-de-France 4, 1877, pp. 270-301; J. Labarte, Inventaire du mobilier de Charles V roi de France (Collection de documents inédits sur l'histoire de France), Paris 1879; J. Bapst, Testament du roi Jehan le Bon et inventaire des ses joyaux publiés d'après deux manuscrits inédits des archives nationales, Paris 1884; H. Moranvillé, Extraits de journaux du trésor (1345-1419), BEC 49 1888, pp. 149-214, 369-452; G. Ledos, Fragments de l'inventaire des joyaux de Louis I, duc d'Anjou, ivi, 50, 1889, pp. 168-176; J. Viard, Documents parisiens du règne de Philippe VI de Valois, I-II, Paris 1899-1900; H. Moranvillé, Inventaire de l'orfèvrerie et des joyaux de Louis Ier duc d'Anjou, Paris 1906; Chroniques des règnes de Jean II et de Charles V, a cura di R. Delachenal, 3 voll., Paris 1910-1920; J. Viard, Les journaux du trésor de Charles IV le Bel, Paris 1917; R. Fawtier, Comptes du trésor. 1296, 1316, 1384, 1477, Paris 1930; Christine de Pisan, Le livre des fais et bonnes meurs du sage roy Charles V, a cura di S. Solente, 2 voll., Paris 1936-1940: II, p. 114; J. Viard, Les journaux du trésor de Philippe IV le Bel, Paris 1940; K. Michaëlson, Le livre de la taille de Paris, l'an de grâce 1313, Göteborg 1951; R. Fawtier, F. Maillard, Comptes royaux (1285-1314) (Recueil des historiens de la France. Documents financiers, 3), 3 voll., Paris 1953-1956; F. Maillard, Comptes royaux 1314-1328, 2 voll., Paris 1961; F. Baron, Enlumineurs, peintres et sculpteurs parisiens des XIVe et XVe siècles d'après les archives de l'hôpital Saint-Jacques-aux-Pèlerins, BAParis, n.s., 6, 1970, pp. 77-115; R. Cazelles, Catalogue des comptes royaux des règnes de Philippe VI et Jean II (1328-1364), Paris 1984; F. Baron, Les arts précieux à Paris aux XIVe et XVe siècles d'après les archives de l'hôpital Saint-Jacques-aux-Pèlerins. Répertoires des artistes et travaux, BAParis, n.s., 20-21, 1984-1985, pp. 59-141; D. Gaborit-Chopin, L'inventaire du trésor du dauphin futur Charles V. 1363. Les débuts d'un grand collectionneur, Archives de l'art français, n.s., 32, 1996.
Letteratura critica. - J. Guiffrey, Les origines de la tapisserie de haute et basse lice à Paris, Mémoires de la Société de l'histoire de Paris et de l'Ile-de-France 8, 1881, pp. 107-124; id., Nicolas Bataille, tapissier parisien au XIVe siècle. Sa vie, son oeuvre, sa famille, ivi, 10, 1883, pp. 268-317; A. Vidier, Un tombier liégeois à Paris au XIVe siècle. Inventaire de la succession de Hennequin de Liège, ivi, 30, 1903, pp. 281-308; M. Poète, Les Primitifs parisiens, Paris 1904; L. Delisle, Recherches sur la librairie de Charles V, 3 voll., Paris 1907; G. Vitzthum, Die Pariser Miniaturmalerei von der Zeit des heiligen Ludwig bis zu Philipp von Valois und ihr Verhältnis zur Malerei in Nordwesteuropa, Leipzig 1907; R. Delachenal, Histoire de Charles V, 5 voll., Paris 1909-1931; R. Vivier, La Grande Ordonnance de février 1351. Les mesures anticorporatives et la liberté du travail, Revue historique 138, 1921, pp. 201-213; J. Hubert, Quelques vues de la cité au XIVe siècle dans un bréviaire parisien conservé à la Bibliothèque municipale de Châteauroux, MSAF 77, 1924-1927, pp. 25-42; C. Enlart, L'émaillerie cloisonnée à Paris sous Philippe le Bel et le maître Guillaume Julien, MonPiot 29, 1927-1928, pp. 1-97; G. Bazin, L'école parisienne (Les trésors de la peinture française, 1, 5), Genève 1942; J. Guérout, Le palais de la Cité à Paris des origines à 1417. Essai topographique et archéologique, Mémoires de la Fédération des Sociétés historiques et archéologiques de Paris et de l'Ile-de-France 1, 1949, pp. 57-212; 2, 1950, pp. 21-204; 3, 1951, pp. 7-101; P. Pradel, Art et politique sous Charles V, Louvre 1, 1951, pp. 89-93; id., Les tombeaux de Charles V, BMon 109, 1951, pp. 273-296; id., Notes sur la vie et les oeuvres du sculpteur Jean de Liège, in L'art mosan, "Journées d'etudes, Paris 1952", a cura di P. Francastel, Paris 1953, pp. 217-219; id., Les ateliers des sculpteurs parisiens au début du XIVe siècle, CRAI, 1957, pp. 67-73; E.G. Millar, The Parisian Miniaturist Honoré, London 1959; K. Morand, Jean Pucelle, Oxford 1962; G. Souchal, Etudes sur la tapisserie parisienne. Règlements et technique des tapissiers sarrasinois, hautelissiers et nostrez (vers 1260-vers 1350), BEC 123, 1965, pp. 35-125; M. Meiss, French Painting in the Time of Jean de Berry. [I.] The Late Fourteenth Century and the Patronage of the Duke (Studies in the History of European Art, 2), 2 voll., London-New York 1967; C.R. Shermann, The Portraits of Charles V of France (1338-1380), New York 1969; M. Whiteley, Deux escaliers royaux du XIVe siècle: les grands degrés du palais de la Cité et la grande vis du Louvre, BMon 127, 1969, pp. 133-142; F. Avril, Trois manuscrits de l'entourage de Jean Pucelle, RArt, 1970, 9, pp. 37-48; id., Un enlumineur ornemaniste parisien de la première moitié du XIVe siècle: Jacobus Mathey (Jaquet Maci?), BMon 129, 1971, pp. 249-264; G. Schmidt, Beiträge zu Stil und Oeuvre des Jean de Liège, MetMJ 4 1971, pp. 81-107; id., Drei Pariser Marmorbilder des 14. Jahrhunderts, WienJKg 24, 1971, pp. 161-177; F. Avril, Un chef-d'oeuvre de l'enluminure sous le règne de Jean le Bon: la Bible Moralisée. Manuscrit français 167 de la Bibliothèque Nationale, MonPiot 58, 1972, pp. 91-125; R. Cazelles, Nouvelle histoire de Paris, de la fin du règne de Philippe Auguste à la mort de Charles V: 1223-1380, Paris 1972; F. Salet, Sculpture gothique: trois sculpteurs parisiens du XIVe siècle et le sculpteur Jean de Liège, BMon 130, 1972, pp. 244-247; A. Erlande-Brandenburg, Aspects du mécénat de Charles V, la sculpure décorative, ivi, pp. 303-345; id., Jean de Thoiry, sculpteur de Charles V, Journal des savants, 1972, pp. 210-227; M.M. Gauthier, Emaux du Moyen Age occidental, Fribourg 1972; J. Favier, Nouvelle histoire de Paris au XVe siècle, 1380-1500, Paris 1974; F. Baron, Le décor sculpté et peint de l'hôpital Saint-Jacques-aux-Pèlerins, BMon 133, 1975, pp. 29-72; L. Beaumont-Maillet, Le grand couvent des Cordeliers de Paris. Etude historique et archéologique du XIIIe siècle à nos jours, Paris 1975; A. Erlande-Brandenburg, Le roi, la sculpture et la mort, gisants et tombeaux de la basilique de Saint-Denis, Bulletin des archives de la Seine-Saint-Denis, 3, 1975; E. Kovács, L'orfèvrerie parisienne et ses sources, RArt, 1975, 28, pp. 25-33; E. Steingräber, Ein Reliquienaltar König Philipps V. und Königin Johannas von Frankreich, Pantheon 33, 1975, pp. 91-99; D. Gillerman, The Cloture of Notre-Dame and its Role in the Fourteenth Century Choir Program, New York 1977; F. Avril, L'enluminure à la cour de France au XIVe siècle, Paris 1978; D. Gaborit-Chopin, Ivoires du Moyen Age occidental, Fribourg 1978; J. Lestocquoy, Deux siècles d'histoire de la tapisserie (1300-1500), Mémoires de la Commission départementale des Monuments Historiques du Pas-de-Calais 19, 1978; P. de Winter, Copistes, éditeurs et enlumineurs de la fin du XIVe siècle, la production à Paris de manuscrits à miniatures, in Archéologie urbaine, "Actes du 100e Congrès national des Sociétés savantes. Section d'archéologie et d'histoire de l'art, Paris 1975", Paris 1978, pp. 173-198; R. Didier, R. Recht, Paris, Prague, Cologne et la sculpture de la seconde moitié du XIVe siècle, à l'exposition des Parler à Cologne, BMon 138, 1980, pp. 173-219; P. Henwood, Jean d'Orléans, peintre des rois Jean II, Charles V et Charles VI (1361-1407), GBA, s. VI, 95, 1980, pp. 137-140; Les fastes du Gothique. Le siècle de Charles V, cat., Paris 1981; J.R. Gaborit, Les statues de Charles V et de Jeanne de Bourbon du Louvre. Une nouvelle hypothèse, RLouvre 31, 1981, pp. 237-245; F. Joubert, L'Apocalypse d'Angers et les débuts de la tapisserie historiée BMon 139, 1981, pp. 125-140; La montagne Sainte-Geneviève, deux mille ans d'art et d'histoire, cat., Paris 1981; J.B. de Vaivre, Sur trois primitifs français du XIVe siècle et le portrait de Jean le Bon, GBA, s. VI, 98, 1981, pp. 131-156; F. Avril, Les manuscrits enluminés de Guillaume de Machaut, "Colloque Guillaume de Machaut, Reims 1978", Reims 1982, pp. 112-133; C. Lord, Royal French Patronage of Art in the Fourteenth Century. An Annotated Bibliography, Boston 1985; D. Gaborit-Chopin, Les collections d'orfèvrerie des princes français au milieu du XIVsiècle d'après les comptes et inventaires, in Arts, objects d'art, collections. Etudes sur l'art du Moyen Age et de la Renaissance et sur l'histoire du goût et des collections. Hommage à Hubert Landais, Paris 1987, pp. 46-52; C. Sterling, La peinture médiévale à Paris. 1300-1500, I, Paris 1987; F. Baron, Autour de Jean de Liège et de Thomas Privé, BSNAF, 1989, pp. 311-319; Sous les pavés, la Bastille. Archéologie d'un mythe révolutionnaire, cat. (Paris 1989-1990), Paris 1989; F. Joubert, Les ''tapissiers'' de Philippe le Hardi, in Artistes, artisans et production artistique au Moyen Age "Colloque international, Rennes, Haute-Bretagne, 1983", a cura di X. Barral i Altet, III, Paris 1990, pp. 601-607; U. Heinrich-Schreiber, Die Konsolfiguren der Tour du Village in Vincennes. Ein unbekanntes Frühwerk Claus Sluters, JBerlM 33, 1991, pp. 99-105; U. Bennert, Art et propagande politique sous Philippe IV le Bel: le cycle des rois de France dans la Grand'salle du palais de la Cité, RArt, 1992, 97, pp. 46-59; M. Whiteley, Le Louvre de Charles V. Disposition et fonctions d'une résidence royale, ivi, pp. 60-71; P. Van Ossel, Nouvelles données sur l'enceinte de Charles V (XIVe-XVIe siècles) à Paris, d'après les fouilles du jardin du Carrousel au Louvre), CRAI, 1992, pp. 337-351; P.Y. Le Pogam, La matrice du grand sceau de l'hôpital Saint-Jacques-aux-Pèlerins par Jean Pucelle, BSNAF, 1994, pp. 33-49; A. Erlande-Brandenburg, Jean de Saint-Romain, ''le plus fameux sculpteur de son temps'', in Berry, du Moyen Age à la Renaissance: pages d'histoire et d'histoire de l'art offertes à Jean-Yves Ribault, Bourges 1996, pp. 139-147; F. Joubert, Création à deux mains: l'élaboration de la tenture de l'Apocalypse d'Angers, RArt, 1996, 114, pp. 48-56; Vincennes aux origines de l'etat moderne, "Colloque, Vincennes 1994", a cura di J. Chapelot, E. Lalou, Paris 1996; L. Beaumont-Maillet, Guide du Paris médiéval, Paris 1997; U. Heinrichs-Schreiber, Vincennes und die höfische Skulptur. Die Bildhauerkunst in Paris 1360-1420, Berlin 1997.F. Joubert
Ispirata dal movimento romantico, la riscoperta del Medioevo agli inizi del sec. 19° non fu effimera. Prima manifestazione di questo nuovo interesse, che lasciò il segno sugli abitanti di P., fu il Mus. des Petits Augustins di Alexandre Lenoir (1761-1839), aperto dal 1795 al 1816. Le serie illustrate sugli antichi monumenti della Francia (Nodier, Taylor, de Cailleux, 1820-1845), gli scritti di FrançoisAuguste-René de Chateaubriand (1768-1848), di Victor Hugo (1802-1885; Notre-Dame de Paris, 1831) e di Prosper Mérimée (1803-1870), le opere d'arte in stile troubadour, i cantieri di restauro di Jean-Baptiste Antoine Lassus (1807-1857) e di Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc (1814-1879) - come la Sainte-Chapelle e Notre-Dame - portarono, in un'epoca di attenzione prevalente per l'Antichità, all'affermarsi di un nuovo gusto per il Medioevo. Se i primi studi sull'arte di questo periodo vennero avviati solo dopo il 1820, i collezionisti avevano invece già cominciato a mostrare interesse verso il Medioevo e il Rinascimento, epoche ancora non precisamente distinte, e il loro entusiasmo e la loro determinazione portarono alla creazione di istituzioni museali specialistiche.A P. esistono cinque istituzioni in possesso di ricchi fondi medievali, oltre al Cab. Méd. della Bibliothèque Nationale e al Mus. Jacquemart-André, ricco di opere del sec. 15°, ed escludendo i musei situati nella periferia della capitale, come il Mus. des Antiquités Nat. a Saint-Germain-en-Laye e il Mus. Mun. d'Art et d'Histoire a Saint-Denis, e anche il Mus. Nat. des Monuments Français, costituito da calchi di opere di scultura e da copie di dipinti murali della Francia medievale. La formazione di queste collezioni si svolse in due fasi salienti, durante le quali si costituirono le raccolte principali: una antecedente alla metà del sec. 19° e l'altra negli anni di passaggio al 20° secolo.Al pari del Cab. Méd., nel quale si custodiscono i gioielli dei re di Francia, il Louvre beneficiò dell'eccezionale fondo costituito dalle collezioni reali, in particolare i regalia della cerimonia d'incoronazione dei sovrani francesi. Illustrazione dell'arte francese e di altre culture, il museum era essenzialmente concepito come un grande contenitore di modelli per gli artisti. Dopo la Rivoluzione francese esso acquisì le collezioni di Versailles e del Mus. des Monuments Français di Lenoir, che consentirono, già nel 1824-1827, di sistemare le prime gallerie dedicate a opere del Medioevo; il Louvre, come altri musei, acquisì poi collezioni private (coll. Durand e Révoil) e accolse donazioni e lasciti di privati, tra i quali Alexandre Sauvageot (1781-1860), che nel 1856 lasciò in eredità millecinquecento manufatti medievali e rinascimentali.Con la Restaurazione (1815-1830) si diffuse un nuovo tipo di appassionati collezionisti, quali Alexandre du Sommerard, il prince du bric-à-brac, come lo chiama Honoré de Balzac (1799-1850), che nel 1833 sistemò le proprie collezioni in quello che era stato il palazzo parigino degli abati di Cluny; alla sua morte, nel 1842, lo Stato acquistò il complesso costituito dall'edificio e dalla raccolta e nominò Edmond du Sommerard, figlio del defunto, primo conservatore del museo. La collezione, che comprendeva oltre millequattrocento pezzi, venne allora ordinata seguendo un criterio di pittoresche e suggestive evocazioni, specie della vita quotidiana del passato. Il Mus. de Cluny fu collegato alla recente istituzione della Commission des Monuments Historiques, accrescendo il suo fondo iniziale di eccezionali collezioni lapidarie provenienti dai cantieri di demolizione e trasformazione della città o dai cantieri di restauro. Sotto questo profilo precedette il Mus. Carnavalet, che, creato nel 1866, divenne, dopo l'incendio che nel 1871 aveva distrutto l'Hôtel de Ville, il museo delle antichità parigine. I reperti archeologici del sottosuolo di P. furono depositati in questo museo grazie all'interessamento di Théodore Vacquer (m. nel 1899), che seguì il procedere dei lavori di Georg Haussman (1809-1891) nella capitale.Durante il secondo impero si organizzò il Louvre, con la creazione del Dép. des Objets d'Art, rispetto al quale il Dép. des Sculptures divenne autonomo nel 1871. Il Louvre venne diretto da illustri conservatori quali Léon de Laborde (1807-1869), Henri Barbet de Jouy (1812-1896), Louis Courajod (1841-1896), ma per le acquisizioni un ruolo fondamentale venne esercitato dall'iniziativa privata: si creò una tradizione di famiglie che di generazione in generazione provvedevano a destinare al museo doni e lasciti. Tra il 1870 e il 1914 si venne a creare un genere nuovo di donatori, appassionati del Medioevo e del Rinascimento, più esigenti, meglio informati, più fortunati, ben consigliati ed essi stessi eruditi: la Société des Amis du Louvre venne costituita nel 1897. P. divenne il grande mercato dell'arte europea di fine secolo, dove avevano luogo importanti vendite (Soltykoff nel 1861, Spitzer nel 1893, Gay nel 1909).Tra gli acquirenti della seconda metà del sec. 19° spiccano i fratelli Dutuit, Auguste (1812-1902) ed Eugène (1807-1886), i quali, escludendo le istituzioni esistenti (Mus. de Cluny, Mus. Carnavalet, Bibliothèque Nationale), ma con l'attenzione rivolta al Mus. des Arts Décoratifs (allora in formazione), nel 1902 legarono al Mus. du Petit Palais la loro prestigiosa collezione, ricca di oltre ventimila pezzi. Furono la generosità dei donatori privati, la più approfondita conoscenza dei periodi artistici e dei differenti settori a consentire la fondazione di nuovi musei e l'arricchimento delle istituzioni esistenti. Dopo il Mus. du Petit Palais venne istituito il Mus. des Arts Décoratifs, sorto dalla fusione di due società, l'una animata dal desiderio di migliorare la produzione industriale e l'altra mirante a coniugare 'il bello nell'utile'; essenzialmente indirizzato verso l'arte contemporanea, il museo accolse anche opere di arte medievale. Tra i primi donatori figurano Emile Peyre (1828-1904), un architetto decoratore che nel 1904 lasciò per testamento al museo la sua collezione di pitture italiane, sculture, arazzi, mobili, oggetti d'arte dal 13° al 18° secolo. È da citare inoltre Jules Maciet (1846-1911), viaggiatore instancabile, presidente della Commission centrale des Arts Décoratifs e della Société des Amis du Louvre, che donò duemilatrecentoventinove opere, tra le quali numerose sculture, al Mus. des Arts Décoratifs e millecinquecento al Louvre. I collezionisti distribuivano le loro donazioni tra istituzioni differenti: Charles Timbal (1821-1880) donò opere sia al Louvre sia al Mus. de Cluny; Etienne Moreau-Nélaton (1859-1927), amico di Maciet, dotò il Mus. des Arts Décoratifs di un'importante collezione di mobili tardomedievali; Victor Martin-Leroy (1842-1918), consigliere referendario alla Corte dei Conti, proprietario della più importante collezione medievale in Francia della fine del sec. 19°, ne fece beneficiare sia il Louvre sia il Mus. des Arts Décoratifs. La marchesa Arconati-Visconti (m. nel 1923) dotò il Louvre, il Mus. des Arts Décoratifs e il Mus. Carnavalet, mentre Piet-Lataudrie (m. nel 1909) istituì lasciti per questi ultimi musei nonché per il Mus. de Cluny. Ogni museo trovò la propria specificità e il Louvre continuò a essere tra tutti il più importante.Il Louvre venne aperto nel 1793 nella sede del castello-fortezza dei re di Francia. In occasione del bicentenario della sua fondazione (1993) è stata riportata alla luce la fortezza medievale, le cui vestigia e gli oggetti ritrovati in loco sono ormai visibili nella zona sotto il livello del suolo. Nell'ala Richelieu, costruita da Napoleone I Bonaparte (1769-1821), trovano sede le sezioni degli oggetti d'arte, delle sculture e delle pitture francesi; le sale delle sculture straniere, dedicate all'arte dell'Europa settentrionale e meridionale, sono disposte nella zona Denon, sul lato della Senna (galleria Donatello), la pittura italiana invece attorno alla Grande Galerie.Dalla configurazione stessa del vecchio Mus. de Cluny, divenuto dal 1992 Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny, deriva al complesso una particolare originalità. Posto al centro del quartiere Latino, il museo raggruppa le antiche terme gallo-romane di Lutetia e l'antico palazzo degli abati di Cluny, ricostruito da Jacques d'Amboise alla fine del 15° secolo. La raccolta è costituita dagli oggetti collezionati da Alexandre du Sommerard, cui si è aggiunto un importante nucleo lapidario, e comprende opere che vanno dall'epoca gallo-romana agli inizi del Rinascimento. Nell'antico frigidarium sono collocati le sculture antiche e i capitelli merovingi scoperti a P. e a Saint-Denis; una sala accoglie l'insieme di sculture provenienti da Notre-Dame.Il Mus. Carnavalet ha sede in una splendida dimora rinascimentale, costruita per il presidente del parlamento di P., Jacques de Ligneris, nel 1548; acquistata nel 1578 dalla vedova di François de Kernevenoy, gentiluomo bretone soprannominato Carnavalet, venne trasformata dall'architetto François Mansart; la municipalità di P. l'ha riunita al vicino palazzo Le Peletier de Saint-Fargeau, eretto verso il 1690 dall'architetto Pierre Bullet. Composta da un importante insieme di opere di arte decorativa e di reperti archeologici, la collezione testimonia la storia della città di Parigi. Le sale dell'Orangerie sono dedicate alla nascita della capitale, alla sua architettura attraverso gli oggetti recuperati nel corso di scavi, a partire dal periodo neolitico e della Lutetia gallo-romana.Sistemato nel 1897 nel padiglione Marsan - dopo l'incendio del palazzo delle Tuileries (1871) - e inaugurato nel 1905, il Mus. des Arts Décoratifs si propone di unire arti e industria. La sezione del Medioevo e del Rinascimento, attualmente in corso di riordinamento, verte essenzialmente sull'arte della fine del Medioevo (sec. 15°-inizi 16°), con pitture, arazzi, parti di polittici francesi, italiani, spagnoli; nella grande galleria sono presentate pitture dei secc. 13° e 14° e sono da ricordare anche le sculture della medesima epoca.La coll. Dutuit, la coll. Tuck, di opere della fine del Medioevo, e gli acquisti ai Salon sono raccolti nel Mus. du Petit Palais, nel Palais des Beaux-Arts de la Ville de Paris, costruito per l'Esposizione universale del 1900 dall'architetto Charles Girault. Disposte attorno a un giardino semicircolare, le gallerie del piano principale sono adibite a esposizioni permanenti e temporanee e, oltre a una collezione di incisioni, medaglie e monete tarde, si conservano in questo museo opere di oreficeria, smalti e avori.
Bibl.: C. Nodier, J. Taylor, A. de Cailleux, Voyages pittoresques et romantiques dans l'ancienne France, 23 voll., Paris 1820-1845; L. de Laborde, ''Inventaire des joyaux de Louis de France, duc d'Anjou, dressé vers 1360-1368''. Notice des émaux exposés dans la galerie du musée du Louvre, 2 voll., Paris 1853; J.H. Barbet de Jouy, Notice d'antiquités, objets du Moyen Age, de la Renaissance et des temps modernes composant le musée des Souverains, Paris 1866; id. Galerie d'Apollon. Notice des gemmes et joyaux, Paris 1867; id., Musée national du Louvre. Description des sculptures du Moyen Age, de la Renaissance, des temps modernes, Paris 1873; L. Courajod, Etudes sur les collections du Moyen Age, de la Renaissance et des temps modernes, au Musée du Louvre, Paris 1878; E. Dutuit, Collection Auguste Dutuit. Antiquités, médailles et monnais, objets divers. Exposés au Palais de Trocadero en 1878, Paris 1879; E. du Sommerard, Catalogue et description des objets d'art, de l'Antiquité, du Moyen Age et de la Renaissance exposés au musée des Thermes et de l'Hôtel de Cluny, Paris 1881; H. Lapauze, Catalogue des collections Dutuit, Palais des Beaux-Arts de la Ville de Paris, Paris 1907; M. Quentin-Bauchart, Les musées municipaux, Palais des Beaux-Arts, musée Carnavalet, maison Victor Hugo, musée Galliéra, musée Cernuschi, Paris 1912; C. Aulanier, Histoire du palais et du musée du Louvre, 10 voll., Paris 1947-1969; Y. Amic, Débuts de l'U.C.A.D. et du museé des Arts Décoratifs, in Dix ans de donation, Cahiers de l'U.C.A.D. 1, 1972, 2; Les donateurs du Louvre, cat., Paris 1989; Louvre, guide des collections, Paris 1989; B. de Mongolfier, Guide général du musée Carnavalet, Paris 1989; A. Erlande-Brandenburg, P.Y. Le Pogam, D. Sandron, Musée national du Moyen Age, Thermes de Cluny, Guide des collections, Paris 1993; M. Blanc, Guide de la collection du Moyen Age et de la Renaissance du musée des Arts Décoratifs (in corso di stampa); J.P. Wilhelm, La formation du musée Carnavalet, de Jules Cousin à Jean Robriquet (1866-1925), Bulletin du musée Carnavalet (in corso di stampa).S. Lagabrielle
Un profilo delle principali biblioteche di conservazione di P. deve necessariamente prendere avvio dalla Bibliothèque Nationale de France. Le origini di una delle più importanti collezioni librarie d'Europa rimontano al regno di Carlo V (v.), detto il Saggio (L'enluminure, 1968). Il nucleo più importante di questa collezione, nella quale era confluito il piccolo fondo librario già costituito da Luigi IX (v.) presso la Sainte Chapelle, fu collocato in un ambiente appositamente destinato ad accoglierlo, all'interno della Tour de la Fauconnerie nel palazzo del Louvre, e affidato alle cure di un bibliotecario. Alla morte di Carlo V (1380), la biblioteca, inserita per la prima volta tra i beni dell'asse dinastico, sarebbe integralmente passata al figlio, divenendo nei fatti non più un bene personale del sovrano ma proprietà della Corona. Un notevole incremento ai fondi della biblioteca reale sarebbe venuto dalle campagne italiane di Carlo VIII (1483-1498), nel corso delle quali fu acquisita una parte consistente della biblioteca aragonese, e sotto Luigi XII, detto il Padre del popolo (1498-1515), che incamerò per diritto di successione l'intera biblioteca Visconti-Sforza. Sino a questa fase la raccolta reale fu soprattutto una biblioteca manoscritta, a carattere essenzialmente collezionistico. L'apertura dei fondi reali ai libri a stampa fu avviata nel 1537 da Francesco I di Valois (1515-1547), con la creazione di un istituto che segnò la nascita di un moderno sistema bibliotecario, il deposito legale.La biblioteca reale conobbe un nuovo periodo d'espansione nel sec. 17°, soprattutto nella fase che coincise con la reggenza di Jean-Baptiste Colbert (1661-1683), assumendo la fisionomia che conserva sostanzialmente tuttora. Nel 1642 l'obbligo del deposito legale venne esteso alle stampe, alla raccolta delle quali venne destinato un Cabinet. Nel 1665, nella nuova sede della biblioteca, trasferita in rue Vivienne presso la residenza di Colbert, fu istituito anche il primo nucleo di una collezione di antichità e monete. Al momento della confisca rivoluzionaria, la biblioteca reale, aperta al pubblico dal 1735, era la più grande biblioteca d'Europa; nei dieci anni che seguirono, il patrimonio librario e non della Bibliotèque Nationale (così denominata dal 1791) si sarebbe notevolmente arricchito, grazie agli acquisti derivanti dalla confisca dei beni ecclesiastici. Vi confluirono parte dei codici delle soppresse abbazie parigine di Saint-Victor, Saint-Germain-des-Prés, dei Cappuccini, i libri della Sorbona, ma anche fondi provenienti dalla provincia, secondo una politica di concentrazione che regolò, nello stesso periodo, l'arricchimento del Louvre. Il sec. 19°, illuminato dalla figura di Léopold Delisle (1826-1910), sarebbe stato dedicato in massima parte alla risistemazione e al catalogo di questo imponente patrimonio manoscritto.La collezione libraria conservata presso il Dép. des Manuscrits della stessa biblioteca, una delle più vaste in assoluto, è costituita nel suo nucleo storico da un fondo latino di oltre diciottomila manoscritti, dei quali poco più di ottomila pervenuti alla raccolta prima del 1744. A questa prima serie si sarebbe aggiunta, dopo il 1862, una sezione riservata alle nuove acquisizioni, che ammonta a poco più di tremila volumi. D'interesse non minore, per numero e qualità dei documenti, è anche la raccolta dei cinquemila manoscritti greci, tra i quali figurano alcune tra le più significative testimonianze della pittura libraria paleo e mediobizantina: basti pensare al frammento di Evangeliario proveniente da Sinope (Parigi, BN, Suppl. gr. 1286), del sec. 6°, o al codice delle Omelie di Gregorio Nazianzeno (Parigi, BN, gr. 510), del 9° secolo. Meno rilevante è la consistenza del fondo orientale, che tuttavia comprende esemplari ebraici, siriaci, arabi, indiani, cinesi e giapponesi. Non mancano, infine, testimonianze manoscritte in lingue di tradizione romanza, tanto francesi quanto italiane, alle quali sono riservati fondi specifici (Avril, Załuska, 1980; Avril, Gousset, Rabel, 1984; Avril, Stirnemann, 1987). Sede di un'antica e prestigiosa scuola di conservatori, il Dép. des Manuscrits è da tempo impegnato in un'importante attività di classificazione e studio del patrimonio librario raccolto presso la Bibliothèque Nationale.Delle altre raccolte storiche parigine la più importante è senz'altro la biblioteca istituita dal cardinale Giulio Raimondo Mazzarino (1602-1661) presso il Collège des Quatre Nations. La collezione, avviata da un piccolo nucleo di ca. trecentocinquanta manoscritti radunati già da Armand Jean du Plessis de Richelieu (1585-1642), fu personalmente arricchita dal cardinale grazie a una pervicace ricerca sul mercato antiquario; alla morte del ministro la sua biblioteca personale poteva competere con la raccolta reale, nella quale sarebbero confluiti, per volontà di Colbert, alcuni degli esemplari più preziosi. Il fondo manoscritto della biblioteca di Mazzarino si arricchì ulteriormente in epoca rivoluzionaria, quando a essa fu destinata parte dei manoscritti sequestrati nelle biblioteche monastiche di Parigi. Allo stato attuale, il fondo manoscritto della Bibliothèque Mazarine ammonta a ca. quattromilaquattrocento manoscritti. Tra questi figurano alcuni documenti di origine italiana, come il breviario detto dell'abate Oderisio da Montecassino (Parigi, Maz., 364), del 1099-1105, importante documento della miniatura romanica di scuola cassinese, e un prezioso testimone delle Institutiones di Cassiodoro (Parigi, Maz., 660), del 9° secolo.Da una collezione privata deriva anche il nucleo più antico della Bibliothèque de l'Arsenal, costituita in seguito alla confisca della raccolta personale del conte d'Artois, alla quale si sarebbero associati alcuni rivoli derivanti dalla dispersione dei patrimoni librari ecclesiastici. Il fondo, già conservato come sede staccata della Bibliothèque Nationale, è costituito da più di ottomila manoscritti, tra i quali un discreto numero di volumi di origine italiana. Tra gli esemplari di maggior pregio sono da ricordare un piccolo gruppo di codici provenienti dall'abbazia cistercense di Fontenay e la ricca dotazione del monastero parigino dei Celestini, che comprende un importante esemplare della Bibbia (Parigi, Ars., 590), del sec. 14°, appartenuto alla biblioteca di Carlo V.Origini assai remote, delle quali non conserva testimonianze manoscritte, ha infine la raccolta della Bibl. Sainte-Geneviève, il cui fondo medievale risulta tuttavia disperso già dal sec. 16°; attualmente la raccolta manoscritta conserva ca. cinquemila codici in massima parte latini, ma anche alcuni esemplari di origine greca e islamica. Tra i volumi di maggior rilievo è da segnalare il codice contenente le Chroniques de Saint-Denis (Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, 7771), offerto nel 1274 dall'abate Matteo di Vendôme a Filippo III l'Ardito (1270-1285) e già pertinente alla raccolta reale.Al momento, il patrimonio storico delle biblioteche parigine è al centro di trasformazioni delle quali è difficile prevedere gli esiti. È assai probabile che, diversamente da quanto era previsto in origine, anche i fondi manoscritti della Bibliothèque Nationale, siano trasferiti presso la nuova sede della Bibliothèque Nationale de France. In questa struttura potrebbe forse confluire anche la collezione manoscritta già conservata presso la sezione staccata della Bibliothèque de l'Arsenal, la cui sede storica è stata da poco destinata ad altra funzione.
Bibl.: L. Delisle, Inventaire des manuscrits latins conservés à la Bibliothèque Nationale sous le numéros 8823-18613, 2 voll., Paris 1863-1871; A. Franklin, Les anciennes bibliothèques de Paris, 3 voll., Paris 1867-1873; L. Delisle, Le cabinet des manuscrits de la Bibliothèque Impériale (Nationale), 3 voll., Paris 1868-1881 (suppl., a cura L. Poulle, 1977); T. Montreuil, La Bibliothèque Nationale, son origine et ses accroissements jusqu'à nos jours, notices historiques, Paris 1878; H. Martin, Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque de l'Arsenal, 9 voll., Paris 1885-1892; A. Molinier, Catalogue de la Bibliothèque Mazarine, 4 voll., Paris 1885-1892; L. Delisle, Manuscrits latins et français ajoutés aux fonds des nouvelles acquisitions pendant les années 1875-1891, Paris 1891; C. Kohler, Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque Sainte-Geneviève, 3 voll., Paris 1893-1898; H. Omont, Inventaire sommaire des manuscrits grecs de la Bibliothèque Nationale et des autres Bibliothèques de Paris et des Départements, Paris 1898; A. Franklin, Histoire de la Bibliothèque Mazarine et du Palais de l'Institut, Paris 19012; Catalogue général des manuscrits latins, a cura di P. Lauer, I-VII, Paris 1939-1988; R. Devresse, Le fonds Coislin, Paris 1945; Byzance et la France médiévale. Manuscrits à peinture du IIe au XVIe siècle, Paris 1958; Catalogue des manuscrits grecs. Troisième partie: le supplément grec, III, a cura di A. Astruc, M.L. Coucasty, Paris 1960, nrr. 901-1371; Nouvelles acquisitions latines et françaises du Département des manuscrits, inventaire sommaire, 5 voll., Paris 1960-1976; Mazarin, homme d'état et collectionneur, 1602-1661, cat., Paris 1961; L'enluminure à l'époque de Charles V, a cura di F. Avril, cat., Paris 1968; G.K. Barnett, The History of Public Libraries in France from the Revolution to 1939, London 1970; J.K. Foucaud, La Bibliothèque Royale sous la monarchie de Juillet (Histoire des idées et critique littéraire, 262), Paris 1978; F. Avril, Y. Załuska, Manuscrits enluminés d'origine italienne, I, VIe-XIIe siècles, Paris 1980; F. Avril, M.T. Gousset, C. Rabel, Manuscrits enluminés de la Bibliothèque Nationale. Manuscrits enluminés d'origine italienne, II, XIIIe siècle, Paris 1984; Dix siècles d'enluminure italienne (VIe-XVIe siècles), a cura di F. Avril, cat., Paris 1984; F. Avril, P. Stirnemann, Manuscrits enluminés d'origine insulaire, VIIe-XXe siècles, Paris 1987; S. Balaye, La Bibliothèque Nationale des origines à 1800, Genève 1988; Histoire des bibliothèques françaises, III, Les bibliothèques de la Révolution et du XIXe siècle: 1789-1914, a cura di D. Varry, Paris 1991; IV, Les bibliothèques au XXe siècle, 1914-1980, a cura di M. Poulain, Paris 1992; Byzance. L'art byzantin dans les collections publiques françaises, cat., Paris 1992; R. Schaer, Tous les savoirs du monde à la Bibliothèque Nationale de Tolbiac, Archéologia, 1997, 330, pp. 28-35.L. Speciale
Alla fine del sec. 3° il vescovo della comunità cristiana parigina, Dionigi, venne martirizzato a P. e sepolto in una necropoli suburbana piuttosto periferica, dove in seguito sorse, sulla strada di Rouen, l'abbaziale di Saint-Denis (oggi compresa nella cittadina omonima, nel dip. Seine-Saint-Denis), che era destinata a svolgere un ruolo importante in epoca merovingia. Fra il 460 e il 480 s. Genoveffa fece costruire un primo oratorio sulla tomba del vescovo Dionigi e dei suoi compagni Rustico ed Eleuterio, importante luogo di culto e meta di pellegrinaggio nel sec. 6°, quando s. Dionigi fu assunto come protettore del ramo neustriano che regnava a Parigi. Clodoveo (481-511) stabilì a P. la sedes regni, scegliendo come propria residenza l'ex praetorium di Giuliano l'Apostata (361-363) e vi fece costruire una basilica dedicata ai ss. Apostoli, dove fu sepolto accanto a s. Genoveffa.In epoca carolingia, caratterizzata dall'affermarsi della supremazia dell'Austrasia sulla Neustria, P. divenne, in particolare dopo l'800, un centro periferico dove il re o l'imperatore non si recavano più, mentre tale declino non coinvolse Saint-Denis; la protezione del santo continuò a essere ricercata anche dalla nuova dinastia: Carlo Martello (m. nel 741) e Pipino III il Breve (m. nel 768) scelsero infatti l'abbazia come luogo di sepoltura. L'abate di Saint-Denis era una delle figure di maggior rilievo nell'impero e l'abbazia, che godeva di esenzione dal sec. 7°, acquisì enormi proprietà (soprattutto nell'area parigina, ma anche in Normandia, nello Hainaut o in Alsazia) e avviò grandi imprese costruttive. La basilica dell'abate Fulrado venne consacrata nel 775 e poco dopo l'abate Ilduino (ca. 814-840) propose di identificare il primo vescovo parigino con Dionigi l'Areopagita, un apostolo convertito da s. Paolo, presunto autore di un'opera filosofica d'ispirazione neoplatonica (Corpus Dionysianum); allo stesso tempo, i Gesta Dagoberti (MGH. SS rer. Mer., II, 1885, pp. 399-425) stabilirono la leggenda della costruzione della seconda chiesa da parte di Dagoberto I (629-639). Carlo II il Calvo (875-877) fu il solo imperatore a essere sepolto nell'abbaziale, che venne sottratta al controllo della dinastia carolingia alla fine del sec. 9°, quando il conte capetingio di P. ne divenne abate laico, favorendovi in seguito la riforma cluniacense.L'avvento della dinastia capetingia nel 987 risultò decisiva tanto per P. quanto per Saint-Denis. I conti di P. erano ormai sovrani di un ristretto dominio che si estendeva da Senlis a Orléans, e la città, che si collocava in posizione centrale, divenne lentamente una delle residenze preferite del re.Un momento capitale sia per P. sia per l'abbazia di Saint-Denis fu l'abbaziato (1122-1151) di Suger (v.). Esponente di una famiglia della piccola nobiltà, entrato giovane nel monastero, egli si fece notare per le proprie capacità di amministratore e, a partire dal 1132, svolse un ruolo importante tanto sotto Luigi VI, quanto sotto Luigi VII, che lo nominò reggente (1147-1149): nella sua visione, l'interesse della Chiesa e quello del regno erano congiunti. Egli era convinto che il fine ultimo di ogni attività economica risiedesse nell'abbellire la casa di Dio: passato piuttosto tardi nella schiera dei monaci riformatori, l'abate fece costruire a gloria dei ss. Dionigi, Rustico ed Eleuterio una nuova chiesa, la cui facciata venne eretta tra il 1130 e il 1140, seguita dalla realizzazione del coro a doppio deambulatorio, consacrato l'11 giugno 1144; mirabili vetrate illustrano un programma iconografico tipologico o analogico in cui non sono rari i sottintesi storici, come nel tema dell'albero di Iesse o in quello del Pellegrinaggio di Carlo Magno. La Vita Ludowici VI Grossi di Suger propone una nuova immagine del re: alleato della Chiesa, difensore dei deboli e promotore di giustizia, il sovrano francese, re cristianissimo, è re sacro e taumaturgo, verso il quale tutti hanno obblighi, rispettoso del potere spirituale e con due corpi, uno mortale e l'altro immortale (la corona e il regnum). Suger seppe genialmente intrecciare la promozione della regalità cristianissima a quella del suo monastero. Per lui s. Dionigi era in effetti il patrono del re, del regno e della Corona, mentre a un livello più semplice il santo proteggeva la salute fisica del sovrano e andava invocato in caso di malattia grave; al momento della morte la protezione di s. Dionigi era ancor più necessaria e tutta una serie di visioni, scritte in gran parte a Saint-Denis, testimonia che le anime di Dagoberto I, Carlo Martello, Carlo Magno e più tardi Filippo II Augusto (m. nel 1223) avevano potuto, grazie al santo, guadagnare il paradiso e vedere i propri figli succedere nel regno. D'altro canto, a partire dall'assunzione del potere da parte dei Capetingi e con le sole eccezioni di Filippo I e di Luigi VII - sepolti rispettivamente a Fleury, nell'abbazia di Saint-Benoît-sur-Loire, e a Barbeau, presso Melun -, le tombe dei re si allineavano regolarmente sotto lastre scolpite, senza un progetto precostituito; solo Dagoberto e Carlo il Calvo ebbero diritto a sepolture monumentali. L'abbaziale di Saint-Denis fu dunque principalmente il 'cimitero dei re' e la sua funzione funeraria (v. Sepolcro) ne fece il luogo di custodia dei regalia (benché l'abbazia non svolgesse alcun ruolo nella cerimonia di consacrazione): la corona, che Luigi VI consegnò all'abbazia nel 1120, lo scettro e l'orifiamma. Quest'ultima in origine non era che la bandiera rossa della contea del Vexin, che lo stesso sovrano aveva inalberato nel 1124 e che venne attribuita a Carlo Magno: drappo magico, essa abbagliava infedeli e nemici del re cristianissimo. Allo stesso modo fu a Saint-Denis, nel 1147, alla partenza della crociata, che Luigi VII inalberò per la prima volta il giglio, simbolo della Vergine o segno cosmico, divenuto emblema della Corona.Il sec. 12° fu il momento di maggior fioritura di Saint-Denis, ma durante il regno di Luigi VI anche P. subì uno sviluppo significativo, connotandosi in maniera chiara come centro del potere, al punto che, quando Suger assunse la reggenza, egli si stabilì in città e vi concentrò, nell'arco di due soli anni, tutti i grandi servizi dello Stato. A partire dal regno di Filippo II Augusto, il re soggiornò sempre più spesso a P. e la città divenne capitale di un territorio che le vittorie sui Plantageneti avevano quadruplicato.Il sec. 13° fu segnato da un progressivo squilibrio dei rapporti tra Saint-Denis e P., a tutto vantaggio della capitale, anche se l'abbazia non perse alcuna delle proprie funzioni. La ricostruzione del corpo longitudinale da parte di Pierre de Montreuil, con il sostegno economico del re, determinò la creazione di un vasto transetto quadrato che permise di riorganizzare lo spazio occupato dalle tombe regali; non è chiaro tuttavia se si sia trattato di una iniziativa del re oppure dell'abate Mathieu de Vendôme (1258-1286), intenzionato a emulare i grandi programmi funerari avviati dal re nei conventi mendicanti della regione parigina. Intorno al 1263 furono costruite sedici nuove tombe in due file parallele, destinate a ospitare a S i Merovingi e a N i Carolingi, disposti in ordine cronologico. I sepolcri di Filippo II Augusto e di Luigi VIII (m. nel 1226), posti al centro, formavano un ponte tra le due file e illustravano l'unità e la continuità delle dinastie e il ritorno del trono alla genìa di Carlo Magno nella persona di Luigi VIII; in seguito, la tomba di Luigi IX (m. nel 1270) vi inscrisse la gloria della dinastia in posizione centrale. Fu sempre a Saint-Denis che il monaco Primat (attivo fra il 1244 e il 1277), su ordine di Luigi IX, cominciò a scrivere in francese una storia ufficiale della monarchia, le Grandes Chroniques de France. In quest'epoca, quando P. aveva ormai assunto una propria fisionomia, si può considerare che il regno di Francia avesse una capitale doppia, i cui due nuclei (P. e Saint-Denis) erano collegati da una via trionfale disseminata di segnacoli, tutti allestiti nel corso del Duecento.Il sec. 14° rappresentò un periodo assai ricco di contrasti. Si ridusse l'importanza di Saint-Denis, colpita dalla crisi delle proprie rendite fondiarie, anche se gli esponenti della dinastia dei Valois continuarono a scegliere l'abbaziale come luogo di sepoltura, accanto ai loro predecessori; Carlo V vi allestì una cappella dedicata a s. Giovanni Battista e ne fece il luogo di sepoltura, oltre che dei sovrani, degli altri membri delle casate reali (consorti, figli) e il pantheon degli eroi intorno alla tomba del connestabile Bertran Du Guesclin (m. nel 1380).
Bibl.:
Fonti: A.J.V. Le Roux de Lincy, M.L. Tisserand, Paris et ses historiens aux XIVet XVsiècles, Paris 1867; M. Bur, La geste de Louis VI de Suger et autres oeuvres, Paris 1994.
Letteratura critica. - J. Formigé, L'abbaye royale de Saint-Denis. Recherches nouvelles, Paris 1960; Paris, croissance d'une capitale, "Colloques CahCM, Paris 1961", Paris 1961; Paris, fonctions d'une capitale "Colloques CahCM, Paris 1962", Paris 1962; R. Cazelles, Nouvelle histoire de Paris, de la fin du règne de Philippe Auguste à la mort de Charles V: 1223-1380, Paris 1972; J. Favier, Nouvelle histoire de Paris au XVe siècle, 1380-1500, Paris 1974; A. Erlande-Brandenburg, Le roi est mort. Etude sur les funérailles, les sépultures et les tombeaux des rois de France jusqu'à la fin du XIIIe siècle (Bibliothèque de la Société française d'archéologie, 7), Paris-Genève 1975; A. Friedman, Recherches sur les origines et l'évolution des paroisses de Paris au Moyen Age, Paris 1975; G.M. Spiegel, The Cult of Saint Denis and Capetian Kingship, Journal of Medieval History 1, 1975, pp. 43-69; J. Boussard, Nouvelle histoire de Paris de la fin du siège de 885-886 à la mort de Philippe Auguste, Paris 1976; R.H. Bautier, Quand et comment Paris devint capitale, Bulletin de la Société de l'histoire de Paris et d'Ile-de-France 105, 1978, pp. 17-46; G.M. Spiegel, The Chronicle Tradition of Saint-Denis: a Survey (Medieval Classics. Texts and Studies, 10), Brookline (MA)-Leyden 1978; R.H. Bautier, Paris au temps d'Abélard, in Abélard en son temps, "Actes du Colloque international, Paris 1979", Paris 1981, pp. 21-77; J. Boussard, Philippe Auguste et Paris, in La France de Philippe Auguste. Le temps des mutations, "Actes du Colloque international organisé par le C.N.R.S., Paris 1980", Paris 1982, pp. 323-341; Abbot Suger and Saint-Denis. A Symposium, "Metropolitan Museum of Art, New York 1981", New York 1986; B. Guenée, Les Grandes Chroniques de France, in Les lieux de mémoire, a cura di P. Nora, II, 1, La Nation, Paris 1986, pp. 189-214; S. MacKnight Crosby, P.Z. Blum, The Royal Abbey of Saint-Denis, from its Beginnings to the Death of Suger, 475-1151, New Haven-London 1987; Histoire de Saint-Denis, a cura di R. Bourderon, P. Peretti, Toulouse 1988; K.F. Werner, Saint-Denis et les Carolingiens, in Un village au temps de Charlemagne (Musée national des arts et traditions populaires), cat. (Paris 1988-1989), Paris 1988, pp. 40-50; M. Bur, Suger abbé de Saint-Denis régent de France, Paris 1991; Le Trésor de Saint-Denis, a cura di D. Gaborit-Chopin (Les dossiers d'archéologie, 158), Dijon 1991; J. Favier, Paris, deux mille ans d'histoire, Paris 1997.C. Beaune
L'oratorio fondato da s. Genoveffa intorno al 475 occupava la zona che precede l'od. coro della basilica di Saint-Denis e, considerate le dimensioni raggiunte dall'aula rettangolare (m 20,60m 9,50), costituiva una sorta di basilica ad corpus presso la tomba del martire Dionigi (MacKnight Crosby, Blum, 1987). La devozione trasformò l'edificiomemoriale in un luogo privilegiato di sepoltura dell'aristocrazia franca fin dal regno di Clodoveo (Salin, 1960). Nel corso del sec. 6° l'area di inumazione si estese anche alla zona fuoristante la fronte occidentale della cappella, coperta da un apposito prolungamento in legno, dove fu rinvenuto il sarcofago della regina Arnegunda (v.), che documenta come la chiesa si apprestasse a diventare il pantheon della dinastia merovingia (Fleury, 1958; Salin, 1960).La cappella paleocristiana subì nel sec. 7° un considerevole ampliamento e quasi contestualmente ne è attestato l'affidamento a una comunità monastica presieduta da un abate. Sulla base di una fonte carolingia (Gesta Dagoberti), la critica attribuisce a Dagoberto I la committenza della fabbrica merovingia, la cui cronologia è stata desunta esclusivamente dall'analisi delle murature apparecchiate in piccoli conci, e circostanzia l'intervento agli anni 629-639. Un corpo edilizio a tre navate (lunghezza m 28 ca.) prolungò a O. l'aula primitiva, la cui fronte orientale fu smantellata e completata da un'abside semicircolare; inoltre la zona presbiteriale fu recintata da una cancellata in pietra (Saint-Denis, Mus. Lapidaire).Nel 775, alla presenza di Carlo Magno, venne consacrata solennemente una nuova basilica; lo stato di abbandono in cui versava l'edificio merovingio, l'introduzione della liturgia romana, nonché scelte di natura politico-dinastica avevano motivato la ricostruzione di Saint-Denis a partire dal 768, durante il regno di Pipino il Breve (Formigé, 1960; MacKnight Crosby, Blum, 1987). A promuovere la fabbrica fu l'abate Fulrado (ca. 750-784), il quale curò la sontuosa decorazione interna, ancora testimoniata nella cripta da pochi lacerti di pittura murale. La chiesa possedeva un impianto basilicale a copertura lignea, un transetto aggettante con torre d'incrocio e una profonda abside centrale che conteneva una cripta anulare semi-ipogea, la più antica a N delle Alpi. Il corpo longitudinale era diviso in tre navate da un doppio colonnato (si conservano alcune basi quadrangolari con rilievi a palmette e motivi vegetali; Saint-Denis, Mus. Lapidaire) ed era forse preceduto da una sorta di coro contrapposto, provvisto di un'absidiola poligonale affiancata da una coppia di torri, mentre l'ingresso principale era sul fianco settentrionale (MacKnight Crosby, Blum, 1987). Una diversa ricostruzione del blocco occidentale è stata fornita da Formigé (1960), secondo il quale le due torri chiudevano un accesso assiale alla basilica.La chiesa di Fulrado fu oggetto di un consistente ampliamento durante l'abbaziato di Ilduino, quando fu costruita intorno all'832 un'ampia cappella alle spalle del coro. Il nuovo ambiente - concepito come un'aula unica (Formigé, 1960; Jacobsen, 1989) o diviso in tre gallerie, di cui solo quella centrale aveva una conclusione semicircolare (MacKnight Crosby, Blum, 1987) -, sebbene risultasse leggermente fuori asse, costituiva una naturale appendice architettonica dell'angusta cripta anulare. Inoltre tra il 1075 e il 1087 Guglielmo il Conquistatore fece innalzare una torre nell'angolo costituito dalla connessione del fianco settentrionale con il braccio del transetto della chiesa carolingia (MacKnight Crosby, Blum, 1987).Soltanto cinquant'anni più tardi l'abate Suger (v.), prodigo nell'arricchire di preziose suppellettili liturgiche il tesoro monastico, procedeva al grande rinnovamento della chiesa abbaziale, avviando i lavori dalla costruzione del corpo occidentale, iniziato dopo il 1130 e ultimato nel 1140. In tale circostanza le navate della chiesa altomedievale furono allungate di alcune campate e raccordate al massif occidental, organizzato su due livelli sfalsati e sormontato da due torri quadrate. Al piano terreno si aprono tre portali, dotati in origine di battenti in bronzo, i cui strombi erano ornati da numerose statue-colonna. L'intervento sugeriano fu completato negli anni 1140-1144 con la realizzazione della cripta ad ambulacro sovrastata dal coro a doppio deambulatorio con piccole cappelle radiali, le cui finestre erano decorate da splendide vetrate (Grodecki, 1976).Il transetto e il corpo longitudinale del complesso carolingio, sopravvissuti all'opera rinnovatrice di Suger, furono demoliti e sostituiti sotto l'abate Eudes Clément, quando il giovane Luigi IX (v.) e sua madre Bianca di Castiglia pratrocinarono nel 1231 la fabbrica gotica, terminata soltanto nel 1281. Il cantiere avanzò lentamente da E verso la facciata, adeguando peraltro in altezza il coro a deambulatorio alle esigenze del nuovo progetto, che imponeva a tutta la basilica tre livelli di alzato: alte arcate ogivali su pilastri a fascio romboidali, triforio a giorno e cleristorio a grandi quadrifore lungo la navata centrale; giganteschi rosoni si aprono sulle testate del transetto e bifore lanceolate illuminano lo chevet. Se l'analisi delle strutture architettoniche, e in particolare delle finestre, permette di ricostruire con estrema attendibilità le tappe dell'intervento duecentesco (Bruzelius, 1985; Kimpel, Suckale, 1985), rimane invece una questione aperta l'eventuale identificazione degli architetti attivi a Saint-Denis, ai quali sono stati talvolta assegnati nomi convenzionali (Branner, 1965); l'unico a essere effettivamente documentato è Pierre de Montreuil (v.), che in un atto rogato nel 1247 veniva chiamato cementarius de Sancto Dionysio.Infine dal 1299 al 1303 fu innalzata la cappella di S. Luigi e, tra il 1320 e il 1324, venne messa in opera la serie di cappelle inserite tra i contrafforti che scandiscono il fianco settentrionale della basilica. Purtroppo tanto i danni subìti durante la Rivoluzione, quanto i numerosi progetti di restauro architettonico, operati sotto la direzione di Viollet-le-Duc a partire dal 1847, hanno considerevolmente alterato la veste dell'edificio e in particolare il coro e il corpo occidentale (Atlas historique de Saint-Denis, 1996).Del tutto scomparse sono invece le fabbriche del monastero medievale. Queste sorgevano soprattutto a S della chiesa abbaziale, ma furono progressivamente smantellate nel sec. 18° per essere sostituite da nuovi corpi architettonici. L'esistenza di un monasterium, cinto da una palizzata, è documentata già nel 799; nell'862 furono per la prima volta descritti i numerosi edifici che costituivano l'insediamento monastico, ma senza alcun riferimento alla loro organizzazione spaziale. Il cantiere promosso tre secoli dopo dall'abate Suger coinvolse alcune parti dell'abbazia, sicché nel 1137 erano in corso i lavori di ricostruzione del refettorio e del dormitorio e l'edificazione della foresteria. Nella quasi totale incertezza sulle vicende architettoniche del complesso monastico, il rifacimento imposto alla basilica al tempo di Luigi IX implicò quasi sicuramente un intervento strutturale anche nel vicino quadrato claustrale, quantunque rimangano piuttosto vaghe le modalità e la qualità dell'impresa.
Bibl.: E. Viollet-le-Duc, L'église impériale de Saint-Denis, RArch, n.s., 3, 1861, pp. 301-310, 345-353; M. Fleury, Nouvelle campagne de fouilles de sépultures de la basilique de Saint-Denis, CRAI, 1958, pp. 137-148; J. Formigé, L'abbaye royale de Saint-Denis. Recherches nouvelles, Paris 1960; E. Salin, Les tombes gallo-romaines et mérovingiennes de la basilique de Saint-Denis (Fouilles de janvier-février 1957), MAIP 44, 1960, 1, pp. 169-262; R. Branner, St. Louis and the Court Style in Gothic Architecture, London 1965; L. Grodecki, Les vitraux de Saint-Denis. Etude sur le vitrail au XIIe siècle, in CVMAe. France. Etudes, I, Paris 1976; M. Fleury, Les fouilles de la basilique depuis Viollet-le-Duc, Les dossiers de l'archéologie, 1979, 32, pp. 19-26; C. Bruzelius, The Thirteenth-Century Church at St-Denis, New Haven 1985; D. Kimpel, R. Suckale, Die gotische Architektur in Frankreich 1130-1270, München 1985, pp. 76-92, 384-393, 536-537; S. MacKnight Crosby, P.Z. Blum, The Royal Abbey of Saint-Denis, from its Beginnings to the Death of Suger, 475-1151, New Haven-London 1987; W. Jacobsen, Die Abteikirche von Saint-Denis als kunstgeschichtliches Problem, in La Neustrie. Les pays au Nord de la Loire de 650 à 850, "Colloque historique international, Rouen 1985", Sigmaringen 1989, II, pp. 151-181; Atlas historique de Saint-Denis. Des origines au XVIIIe siècle, a cura di M. Wyss (Documents d'archéologie française, 59), Paris 1996 (con bibl.).P.F. Pistilli