parola italiana, struttura della
La parola è un’unità centrale nell’organizzazione del linguaggio. L’esistenza di specifiche condizioni e di fenomeni fonologici che si riferiscono alla parola porta all’individuazione di un costituente propriamente fonologico (la parola fonologica) in larga parte corrispondente alla ‘parola’ della morfologia e della sintassi, ma non identico ad essa.
La parola è un’unità naturale del linguaggio, a cui tutti i componenti della grammatica (fonologia, morfologia, sintassi, semantica) fanno riferimento, anche se da prospettive diverse. Nella prospettiva fonologica, alcune proprietà che riguardano specificamente la forma sonora delle espressioni linguistiche inducono a ritenere che la parola fonologica sia un costituente della struttura delle lingue, definibile in base a criteri propri, e non totalmente corrispondente all’unità morfologica e sintattica (cfr. Nespor & Vogel 1986; Hall 1999).
Sebbene ogni parlante sappia individuare più o meno con sicurezza le parole che compongono le frasi della sua lingua, e sebbene la divisione tra parole sia espressa nella scrittura di moltissime lingue, dal punto di vista fonologico non esistono criteri obiettivi e univoci che permettano di segmentare l’enunciato nelle parole che lo compongono. Il parlato naturale, infatti, è costituito da sequenze continue di suoni, che non contengono pause o separazioni tra i singoli suoni o tra le parole. Per questa ragione la definizione di parola fonologica non può basarsi su indici sonori che ne contrassegnano l’inizio e la fine, ma deve riferirsi a proprietà di altro tipo.
La proprietà fondamentale della parola fonologica dell’italiano (e di molte altre lingue) è la presenza di un ➔ accento. Si noti che con accento si intende qui la caratteristica lessicale, cioè l’accentazione che è parte integrante della parola nella forma in cui essa è memorizzata dai parlanti, e non la prominenza che una ➔ sillaba può ricevere, per ragioni ritmiche, all’interno dell’enunciato. Questa distinzione è illustrata dall’esempio che segue (in questo e nei successivi esempi, l’accento acuto indica l’accentazione primaria, l’accento grave quella secondaria):
(1) a. Giácomo lò vedéva
b. Giácomo lo véde
In (1) il pronome lo, pur essendo un elemento clitico, e quindi lessicalmente atono, può ricevere un accento secondario di frase quando si trova tra due sillabe non accentate (1 a.), ma non quando è adiacente a una sillaba tonica (1 b.).
L’esempio riportato illustra un caso di non corrispondenza tra fonologia e altri componenti della grammatica: il clitico lo è una parola ai fini morfologici e sintattici, ma non è una parola fonologica e, ai fini della struttura sonora, costituisce un’unità con la parola seguente (è infatti un proclitico; ➔ parole proclitiche).
Un’altra caratteristica della parola fonologica dell’italiano è il fatto che essa deve essere costituita da una sequenza almeno bisillabica. Questo ‘requisito di minimalità’ non è una regola assoluta (ovvia eccezione sono i ➔ monosillabi), ma piuttosto una condizione che definisce la forma fonologica ottimale. La minimalità della parola fonologica è in effetti strettamente collegata alla sua struttura accentuale. Per l’italiano, la struttura accentuale fondamentale consiste in una sequenza formata da una sillaba tonica seguita da una sillaba atona. Tale struttura corrisponde a un piede binario con prominenza iniziale, anche detto trocheo. Essa determina l’assegnazione dell’accento primario (che è sempre l’ultimo nella parola ed è preceduto da eventuali accenti secondari) nelle parole parossitone, come pála, patáta, margheríta, che costituiscono il tipo accentuale più diffuso. Il piede trocheo è rappresentato in (2 a).
La seconda struttura accentuale più frequente è quella delle parole proparossitone, ad es. páttino, catálogo, fonológico, costruite sullo schema di un piede ternario, che può essere considerato un trocheo ‘esteso’ in quanto contenente due sillabe atone (2 b.).
Nelle parole ossitone, come blú, perché, parlerá, il piede che contiene l’accento primario è formato dalla sola sillaba tonica, e si discosta perciò dalla forma accentuale fondamentale (2 c.). In quanto forme marcate, le parole ossitone sono in effetti molto meno frequenti delle altre.
In (2) sono schematizzate le strutture accentuali dell’italiano (S sta per «sillaba»), raggruppate in base alla forma del piede che contiene l’accento primario, posto tra parentesi; le sillabe che possono trovarsi alla sinistra della sillaba tonica, e gli eventuali accenti secondari, non sono analizzati. Sono escluse dallo schema le parole accentate sulla quartultima sillaba, che sono da considerare strutture anomale dal punto di vista accentuale:
(2) a. (ŚS) (pála), pa(táta), marghe(ríta)
b. (ŚSS) (páttino), ca(tálogo), fono(lógico)
c. (Ś) (blú), per(ché), parle(rá)
L’italiano mostra dunque una preferenza per l’accentazione basata sul piede trocheo o sul trocheo esteso, e quindi su un costituente almeno bisillabico. La condizione di minimalità della parola fonologica può pertanto essere riformulata come una condizione concernente la struttura del piede: il piede ottimale è un trocheo, e perciò una parola fonologica (che, essendo sede di un accento, contiene almeno un piede) è generalmente costituita da almeno due sillabe.
L’esistenza di una condizione concernente il piede minimo non è semplicemente dimostrata dalla bassa frequenza delle parole accentate sull’ultima sillaba, ma è provata da diversi fenomeni di ristrutturazione o nuova formazione della parola, che evidenziano la tendenza a un adeguamento alla struttura metrica ottimale, attraverso la costruzione di piedi trocaici. Fanno parte di questi fenomeni gli accorciamenti (costruzioni di forme abbreviate come varianti di parole già esistenti: bici < bicicletta, raga < ragazzi) e i vari processi che portano alla formazione di ipocoristici (ad es., Giova < Giovanni, Tore < Salvatore, Checca < Francesca; ➔ antroponimi): almeno per la gran parte delle varietà centrali e settentrionali dell’italiano, questi processi di abbreviamento generano solitamente forme che ricalcano la struttura del piede ottimale, cioè parole bisillabiche con accento iniziale (cfr. Thornton 1996).
Il requisito di minimalità del piede è anche alla base dei fenomeni di ➔ epitesi (o paragoge), attestati nell’➔italiano antico e ancora osservabili in varietà dialettali, che consistono nell’aggiunta di una vocale o di una sillaba alla fine di una parola ossitona; ad es., nell’italiano antico, acquistòe «acquistò», abandonòe «abbandonò» (cfr. TLIO 1997-), in toscano síe «sì», nóe «no», giúe «giù», peróe «però», andóe «andò», chéne «che», o in vari dialetti centromeridionali sine «sì», nóne «no», perchéne «perché», ccene «che cosa» (cfr. Rohlfs 1966: 467-469). Si noti che il fenomeno non dipende dal numero di sillabe contenute nella parola (esso coinvolge tanto le forme monosillabiche quanto i polisillabi) ma dall’accento: il piede monosillabico viene trasformato in piede trocaico, cioè ... (Ś) ... > (ŚS). Esito della stessa trasformazione sono i fenomeni di riaccentazione osservabili nei processi di ➔ adattamento di prestiti e parole straniere: ad es. cógnac (fr. cognác), réport (ingl. [riˈpɔːt]).
Dopo aver individuato le proprietà caratterizzanti della parola fonologica, passiamo a considerare restrizioni e fenomeni fonici, osservabili in italiano e in moltissime altre lingue, che hanno come oggetto la parola.
Per quanto riguarda l’italiano, consideriamo la restrizione fonotattica che esclude la presenza di consonanti in posizione finale. Le forme che violano questo requisito sono solitamente casi di ➔ prestiti lessicali o ➔ sigle, che subiscono in genere processi di ➔ adattamento per cui, grazie all’aggiunta di materiale fonologico, la consonante finisce in diverse parlate regionali e dialetti con l’occupare la posizione, non finale, di primo elemento di una geminata: ad es., [ˈbarːə] < bar, [ˈfiatːə] < Fiat.
Un’ulteriore eccezione è rappresentata dalle parole che occupano tipicamente posizioni atone e precedenti le unità prominenti nel sintagma o nell’enunciato. Fanno parte di questa classe le parole grammaticali (articoli, preposizioni, negazioni, ecc.) o forme di altro tipo, come i titoli appellativi prenominali don, suor (➔ monosillabi; ➔ appellativi). Per effetto della loro distribuzione, tali forme sono deboli, generalmente atone o soggette a deaccentazione, e pertanto prive delle caratteristiche proprie delle parole fonologiche. Dato il loro comportamento, esse sono in effetti assimilabili a ➔ clitici (pur non presentandone necessariamente le caratteristiche morfosintattiche) e formano generalmente un unico costituente fonologico con la parola successiva. Per tali forme, quindi, la consonante finale rientra in un contesto allargato di cui fa parte anche la parola successiva, e in cui è integrata proprio come all’interno di una parola. Infatti, è in base alle caratteristiche segmentali del contesto che la consonante è sillabificata (➔ sillaba) come attacco (3 a.) o come coda sillabica (3 b.) (nel seguente esempio, il punto indica il confine di sillaba):
(3) a. i.n ac.qua «in acqua»
b. do.n Ab.bon.dio «don Abbondio»
c. in. ca.sa «in casa»
d. don. Car.lo «don Carlo»
Tutte le altre parole, che non subiscono particolari processi di adattamento o di cliticizzazione fonologica come quello appena descritto, esibiscono la struttura segmentale tipica dell’italiano, che non prevede consonanti finali.
Una seconda restrizione, che evidenzia come la parola costituisca il dominio di regolarità propriamente fonologiche, concerne il rapporto tra accento e lunghezza vocalica. Dato lo stretto legame esistente, in italiano come in molte altre lingue, tra struttura sillabica, struttura metrica e quantità segmentale, una vocale accentata che si trovi in sillaba aperta è regolarmente lunga (per cui [ˈfatːo] fatto, ma [ˈfaːto] fato, [kanˈtante] cantante ma [kanˈtaːte] cantate).
Questa fondamentale correlazione è violata in italiano quando la vocale tonica è l’ultimo segmento della parola, cosicché la vocale accentata delle parole ossitone è breve; si confronti, ad es., [parˈtiːto] partito con [parˈti] partì. Si noti però che, in alcune varietà di italiano, la condizione generale è in certi casi ripristinata nel contesto di frase, perché, se è seguita da una parola con consonante iniziale, la vocale accentata provoca il ➔ raddoppiamento sintattico e quindi la chiusura della sillaba (ad es. [parˈti dːoˈmenika] partì domenica); in tal modo la vocale breve viene a trovarsi, regolarmente, in una sillaba chiusa.
La parola è il dominio specifico di applicazione di fenomeni segmentali di vario tipo, in lingue diverse. Un esempio molto evidente è quello dell’armonia vocalica osservabile in turco, un fenomeno di assimilazione in cui una certa qualità della vocale contenuta nella radice influenza sistematicamente le vocali di tutti i suffissi, con la conseguenza che una parola può contenere solo vocali appartenenti a uno stesso tipo. Questo fenomeno di armonia, quindi, coinvolge vocali distanti tra loro, ma tutte contenute nei confini della parola. Nell’esempio che segue si nota come la caratteristica delle vocali della radice, posteriore in (4 a.) e anteriore in (4 b.), si estenda alle vocali dell’intera parola:
(4) a. okul «scuola»; okullar «scuole»; okullardan «dalle scuole»
b. ev «casa»; evler «case»; evlerden «dalle case»
Per quanto riguarda l’italiano, un fenomeno la cui estensione è limitata alla parola è la sonorizzazione di /s/ intervocalica che caratterizza le varietà settentrionali. La distinzione tra le ➔ fricative alveolari /s/ e /z/ (➔ sibilanti) nel contesto intervocalico è una caratteristica limitata a varietà toscane. Per quanto la funzionalità distintiva dell’opposizione /s/~/z/ sia in effetti trascurabile, nell’italiano di Toscana (➔ toscani, dialetti) questi suoni hanno lo statuto di fonemi, in quanto la presenza dell’uno o dell’altro è determinata lessicalmente e in modo indipendente dal contesto fonologico. Nell’italiano parlato a Firenze, /s/ compare, ad es., in ca[s]a, co[s]a, su[s]ina, e /z/ in ba[z]e, ro[z]a, mi[z]eria, ecc.; e sebbene, per una parte dei parlanti, sia possibile la pronuncia [z] nelle parole che tradizionalmente hanno [s] (per cui ca[z]a, co[z]a, su[z]ina sono forme registrabili), la distinzione tra la sonora e la sorda è una caratteristica stabile, nel fiorentino e in altri sistemi fonologici toscani. Al contrario, la /s/ intervocalica è sorda nelle varietà centromeridionali, ad es. ca[s]a, ro[s]a, mi[s]eria (per quanto anche in esse si possa osservare la comparsa della variante sonora), mentre [z] è generalizzata in posizione intervocalica nell’italiano delle regioni settentrionali.
Nelle varietà settentrionali, l’occorrenza di [s] e [z], suoni che in questi sistemi sono in distribuzione complementare, è regolata strettamente da condizioni fonologiche. Per quanto riguarda in particolare la posizione intervocalica, la fricativa sonora è generalizzata all’interno della parola, ma esclusa dalla posizione iniziale, in cui può comparire solo [s] (restrizione che vale peraltro per tutte le varietà d’italiano): ad es., [s]ete, [s]ole, ma anche molta [s]ete, molto [s]ole. La regola che impone la presenza di [z] ha dunque un dominio di applicazione limitato, ed è bloccata quando la fricativa è il primo segmento di una parola. In (5) è rappresentata la sonorizzazione di /s/ che si applica regolarmente tra vocali (5 a.), ma non quando tra la consonante e la vocale precedente è interposto un confine di parola (5 b.) (il simbolo # indica il confine di parola):
(5) a. /s/ → [z] / V __ V ca[z]a, ro[z]a
b. */s/ → [z] / V # __ V molta *[z]ete, molto *[z]ole
La regola di sonorizzazione sembra avere eccezioni sistematiche nelle parole composte (6 a.), in quelle che contengono dei clitici (6 b.) e in quelle formate con alcuni prefissi (6 c.):
(6) a. *prendi[z]ole, *sotto[z]opra
b. *vende[z]i, *affitta[z]i
c. *a[z]ociale, *bi[z]essuale
Gli esempi in (6) mostrano che una nozione generica di parola, nel senso di parola morfo-sintattica o di parola grafica, non è adeguata alla definizione di un fenomeno puramente fonologico, come quello della sonorizzazione di /s/. La struttura di quelle forme porta a ritenere che il dominio rilevante della regola sia la parola fonologica: la sonorizzazione si applica all’interno di una parola fonologica (7 a.), ma è bloccata all’inizio di essa (7 b.-e.). Nella seguente rappresentazione, la parola fonologica (PF) è inclusa tra parentesi quadre:
(7) a. [casa]PF, [rosa]PF
b. [molta]PF [sete]PF, [molto]PF [sole]PF
c. [prendi]PF[sole]PF, [sotto]PF[sopra]PF
d. [vende]PFsi, [affitta]PFsi
e. a[sociale]PF, bi[sessuale]PF
Le parole composte sono rappresentate in (7 c). come sequenze di due parole fonologiche al pari delle sequenze in (7 b). Questa analisi è basata sul fatto che entrambi i membri dei composti dell’italiano manifestano la proprietà fondamentale della parola fonologica, quella di essere sede di un accento primario. Al di là della percezione uditiva (che in condizioni di parlato non accurato può non essere del tutto chiara), la presenza di un accento primario sui due membri dei composti è indirettamente rivelata da caratteristiche vocaliche. Ci riferiamo alla distinzione tra le vocali medio-basse e le corrispondenti medio-alte /ɛ/~/e/, /ɔ/~/o/, che in italiano è possibile solo in sillabe accentate, mentre è neutralizzata nelle posizioni atone in cui possono trovarsi solo le vocali medio-alte, come dimostrano le alternanze b[ɛ]llo / b[e]llezza, f[ɔ]rte / f[o]rtezza (cfr., ad es., Nespor & Bafile 2008).
Nel caso delle parole composte, la distinzione tra le due altezze vocaliche è possibile su entrambi i membri, che sono perciò da considerare portatori di accento primario:
(8) a. p[ɔ]rtasci, r[o]mpighiaccio, pianof[ɔ]rte, portab[o]rse
b. m[ɛ]zzobusto, p[e]scecane, portaombr[ɛ]lli, portac[e]nere
I composti, che nonostante la struttura interna sono delle unità dal punto di vista morfosintattico e semantico, rappresentano un caso evidente del non completo isomorfismo tra la parola fonologica e la parola come costituente degli altri componenti grammaticali.
Quanto alle sequenze verbo + clitico, la fonologia dell’italiano rispecchia in questi casi la struttura sintattica, mantenendo distinti i due membri della sequenza. Per effetto della cliticizzazione, il pronome forma con il verbo un’unità accentuale, pur rimanendo esterno alla parola fonologica. Il clitico, infatti, che per definizione è non accentato, resta un elemento aggiunto senza assumere lo statuto di parola fonologica autonoma (7 d.).
La struttura delle forme in (7 e). riflette una limitata coesione fonologica tra la base e i ➔ prefissi in italiano. Dal punto di vista fonico, le forme prefisso + parola mostrano le stesse proprietà delle parole composte (7 c.) o delle sequenze di due parole (7 b.). Restando al di fuori della parola fonologica, il prefisso non rientra nel dominio di applicazione della regola e la sonorizzazione di /s/ è bloccata.
Che la struttura fonologica della parola sia l’elemento determinante in tutta questa fenomenologia è dimostrato dalla possibilità di pronunce variabili, con [s] o [z], per alcune parole, secondo il modo in cui i parlanti giudicano la loro struttura interna. Ne è un esempio dinosauro che, anche data l’esistenza della serie brontosauro, stegosauro, ecc., e soprattutto tirannosauro (il cui primo elemento è una parola esistente), è analizzato da molti parlanti come un composto, e quindi pronunciato con fricativa sorda anche in varietà settentrionali (9 a.). Da altri parlanti, al contrario, la stessa parola viene sentita come una forma semplice e quindi trattata come un’unica parola fonologica (9 b.).
Casi analoghi di variabilità sono quelli di parole come preside, bisettrice, che alcuni parlanti analizzano come formate con i prefissi pre- e di- e, anche in varietà settentrionali, pronunciano con la fricativa sorda (9 c.), riportandoli a strutture come quelle già viste in (7 e.). per asociale, bisessuale; da altri parlanti tali forme sono invece giudicate parole fonologiche semplici (9 d.; sulla variabilità dell’analisi morfologica di questo tipo di parole, cfr. Baroni 2001):
(9) a. [dino]PF [sauro]PF → dino[s]auro
b. [dinosauro]PF → dino[z]auro
c. pre[side]PF, bi[settrice]PF → pre[s]ide, bi[s]ettrice
d. [preside] PF, [bisettrice]PF → pre[z]ide, bi[z]ettrice
La fenomenologia della sonorizzazione di /s/ tra vocali evidenzia come la struttura e i processi della fonologia facciano riferimento a un costituente che non corrisponde nella totalità dei casi alla parola intesa come unità morfosintattica e semantica o come unità ortografica, e che può essere invece individuato nella parola fonologica.
Per altre proprietà della parola italiana, ➔ fonetica, ➔ fonologia, ➔ pronuncia.
TLIO (1997-) = Tesoro della lingua italiana delle origini, diretto da Pietro G. Beltrami (http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/).
Baroni, Marco (2001), The representation of prefixed forms in the Italian lexicon. Evidence from the distribution of intervocalic [s] and [z] in Northern Italian, in Yearbook of morphology 1999, edited by G. Booij & Z. van Marle, Dordrecht, Kluwer Academic Publishers, pp. 121-152.
Hall, Tracy A. (1999), The phonological word: a review, in Ead. & Kleinhenz, Ursula (edited by), Studies on the phonological word, Amsterdam - Philadelphia, John Benjamins, pp. 1-22.
Nespor, Marina & Bafile, Laura (2008), I suoni del linguaggio, Bologna, il Mulino.
Nespor, Marina & Vogel, Irene (1986), Prosodic phonology, Dordrecht, Foris Publications.
Rohlfs, Gerhard (1966), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 1° (Fonetica) (1a ed. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 1°, Lautlehre).
Thornton, Anna M. (1996), On some phenomena of prosodic morphology in Italian: accorciamenti, hypocoristics and prosodic delimitation, «Probus» 8, pp. 81-112.