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parolacce ed eufemismi

di Giulia Lemma, Maurizio Trifone - Enciclopedia dei ragazzi (2006)
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parolacce ed eufemismi

Giulia Lemma
Maurizio Trifone

Le cattive e le buone maniere verbali

Le parolacce possono provocare in chi le ascolta un senso di fastidio o di offesa. Per evitare queste reazioni, nel linguaggio quotidiano ricorriamo agli eufemismi, cioè a parole o frasi che, invece di indicare le cose in modo diretto, vi accennano solamente, e per questo non sono considerate né volgari né offensive

Quando le parole diventano parolacce

«Non toccare, cacca!». Si sente spesso usare questa espressione con i bambini piccoli: la parola cacca viene adoperata per indicare tutto ciò che è sporco, pericoloso o semplicemente proibito. Associare cacca a un divieto è un concetto trasmesso ai bambini fin da piccoli; nella nostra società, le parole che si riferiscono in maniera diretta alle funzioni digestive o alle relative parti del corpo sono ritenute volgari e spesso diventano addirittura insulti. Di solito tali parole provocano in chi le ascolta un senso di disagio, di imbarazzo o anche di offesa. Ebbene, la presenza di questa reazione, scandalizzata o arrabbiata, è proprio ciò che trasforma una semplice parola in una parolaccia.

Anche quando non è diretta a una persona, la parolaccia offende il sistema dei valori che sono propri di una società, perché rompe le regole e dice esplicitamente ciò che ‘non si deve dire’. Le parolacce, dunque, riguardano argomenti che la società considera innominabili, per diversi motivi (perché scandalosi, o per un senso di timore e rispetto): non soltanto il corpo quindi, ma anche il sesso, oppure la religione. Ovviamente, più una società reputa importante o proibito un argomento, più le parole che lo riguardano e che appaiono offensive saranno impronunciabili: nel Medioevo, per esempio, i divieti linguistici in campo religioso erano molto più forti di quelli riguardanti il corpo o il sesso.

Come evitare le parole ‘proibite’

Per parlare di certi argomenti, evitando di offendere o imbarazzare le persone, si possono usare parole o frasi che non indicano esattamente l’oggetto o l’azione ‘proibita’, ma vi alludono soltanto, senza essere troppo diretti o espliciti. Questa strategia linguistica è chiamata eufemismo ed è molto diffusa. La parola sedere, per esempio, è un eufemismo che sostituisce la più diretta culo: deriva dal verbo sedere e designa appunto la parte del corpo con cui si compie l’azione descritta dal verbo.

Spesso gli eufemismi, creati per indicare alla lontana una certa cosa, con l’uso costante finiscono per diventare meno vaghi e vengono a loro volta rimpiazzati. Cesso, per esempio, è una parola ritenuta oggi piuttosto volgare. Eppure in origine era un eufemismo: significava infatti «posto nascosto, appartato»; insomma, era come dire quel posticino. Piano piano, però, la parola in questione è stata percepita come una ‘brutta’ parola e perciò sostituita da altri vocaboli considerati meno diretti, come gabinetto, bagno o servizi igienici.

Vecchie parolacce e nuovi eufemismi

Non sempre dire una parolaccia è sconveniente; il valore di una parolaccia dipende spesso dal contesto: se siamo tra amici, infatti, la parolaccia può avere un carattere scherzoso o anche affettuoso; ma se ci troviamo in una situazione formale, per esempio a scuola durante un’interrogazione, una parolaccia è decisamente fuori luogo!

Tuttavia, va notato che negli ultimi anni l’impatto delle parolacce è diminuito (e il loro uso, di conseguenza, aumentato); molte di quelle che per i nostri genitori erano parolacce, probabilmente oggi non lo sono più. In effetti la televisione ne propone tante, e così spesso, che sembrano ormai parole normali, magari solo più espressive, e l’uso di eufemismi al loro posto non è più sentito come necessario.

Sono però in grande aumento eufemismi di altro genere: nel campo delle professioni, per esempio, la donna delle pulizie è stata chiamata collaboratrice familiare (o colf), e lo spazzino è diventato operatore ecologico. In questi casi l’eufemismo non serve a evitare una parola ‘proibita’, ma ha lo scopo di allontanare da certe attività l’idea di un minore prestigio sociale, come se attraverso il linguaggio una determinata professione acquistasse una più alta dignità. Il fenomeno può riguardare anche altre situazioni: così i paesi sottosviluppati sono diventati paesi in via di sviluppo e poi paesi a economia emergente; la realtà è sempre la stessa, ma le parole la rappresentano in modo completamente diverso.

Vedi anche
lingue veicolari Le lingue usate per la comunicazione, e soprattutto per l’insegnamento e per attività tecniche e scientifiche, tra persone di lingua materna diversa. etimologia Disciplina linguistica che studia la storia delle parole, risalendo fino al punto della storia o della preistoria di un vocabolo ( etimo) in cui esso risulta appartenente a una famiglia di altri vocaboli. Quando le somiglianze non sono ovvie, bisogna risalire con i documenti o con congetture verosimili ... parola Complesso di fonemi, cioè di suoni articolati, o anche singolo fonema (e la relativa trascrizione in segni grafici) mediante i quali l’uomo esprime una nozione generica, che si precisa e determina nel contesto d’una frase. linguistica Il termine parola non ammette una definizione unitaria ed esauriente, ... frase completiva In linguistica, frase inserita in un’altra con la funzione di sintagma nominale soggetto o complemento. Per es., in «è meglio partire subito» e «desidero partire subito», la completiva, frase «partire subito» funge nel primo caso da sintagma nominale soggetto, mentre nel secondo da sintagma nominale ...
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parolàccia
parolaccia parolàccia s. f. [pegg. di parola]. – Parola sconcia, volgare (anche per insulto), oppure blasfema: alcuni ragazzacci le gridavano dietro delle p.; gli disse un sacco di p. e se n’andò infuriato; chi ti ha insegnato queste p.?;...
eufèmico
eufemico eufèmico agg. [der. di eufemia] (pl. m. -ci). – Di parola o locuzione adoperata per eufemia; meno com. di eufemistico.
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