parole ambigeneri
Sono ambigeneri le parole che possono essere usate sia al maschile sia al femminile senza che si modifichi la forma del suffisso flessivo (➔ genere):
(1) il nipote / la nipote
(2) il giornalista / la giornalista
(3) il preside / la preside
(4) un uomo gentile / una donna gentile
La particolarità dei nomi ambigeneri è quella di esprimere con un’unica forma due generi diversi (il ➔ maschile e il femminile). Si distinguono dunque dai nomi in cui il genere è espresso da marche flessive tipiche (-a per il singolare, -e per il plurale per il femminile: casa / case; -o per il singolare, -i per il plurale per il maschile: libro / libri) e dai nomi in cui il genere è coperto (ingl. covert), cioè non è espresso in maniera esplicita (fiore maschile, siepe femminile). Per tutti i nomi il genere viene manifestato dalle marche flessive dei lessemi appartenenti alle categorie lessicali che si accordano con esso (un fiore profumato, una siepe profumata; il mio insegnante, la mia insegnante).
Da un punto di vista formale si possono distinguere due gruppi di parole ambigeneri:
(a) quelle terminanti in -e (il / la consorte, lo / la erede, il / la testimone, il / la custode), al cui interno formano un gruppo produttivo le parole derivate dal participio presente (lo / la amante, il / la cantante), quelle derivate con suffissi come -bile, -ese (il / la contabile, lo / la incurabile; lo / la abruzzese, il / la francese) e quelle composte con elementi formativi come -crate, -mante (il / la burocrate, il / la cartomante);
(b) quelle terminanti in -a, in grande maggioranza di origine greca (lo / la atleta, il / la collega), al cui interno formano un gruppo produttivo quelle derivate con suffissi come -ista (lo / la artista, il / la finalista, il / la pianista) e quelle composte con elementi formativi come -cida, -iatra e -nauta (lo / la omicida, il / la pediatra, lo / la astronauta).
Le parole del primo gruppo sono ambigeneri non solo al singolare ma anche al plurale (i / le testimoni, gli / le amanti, i / le contabili, i / le francesi). Le parole del secondo gruppo, invece, al plurale hanno forme flesse distinte per il maschile e per il femminile (gli atleti / le atlete, i pianisti / le pianiste, i pediatri / le pediatre, gli astronauti / le astronaute).
Formano un gruppo a parte alcune parole composte con il primo elemento capo- (il / la capostazione, il / la capofamiglia), che al plurale maschile formano il plurale interno in -i, ma che al plurale femminile sono invariabili (i capistazione, le capostazione).
Possono essere ricondotti al fenomeno dei nomi ambigeneri alcuni ipocoristici come Ale, Alex (per Alessandro / Alessandra), Fede (per Federico / Federica), Robi, Roby (per Roberto / Roberta), e accorciamenti come il / la sub «il subacqueo, la subacquea», il / la prof «il professore, la professoressa».
Pur se la variazione formale accomuna nomi e aggettivi, fra le due categorie c’è una distinzione sostanziale. Per i nomi il genere è un tratto inerente, mentre per gli aggettivi il genere è un tratto contestuale: in altri termini, di norma ciascun nome ha un proprio genere che ne determina l’appartenenza a una classe, mentre il genere dell’aggettivo (così come quello delle altre parti del discorso che in italiano esprimono la categoria del genere) dipende da quello del nome con cui si accorda.
In italiano, il genere dei nomi inanimati non si evince facilmente dalla loro forma, anche se sono identificabili alcuni criteri semantici e formali. Ad es., l’attribuzione del genere ai nomi dei frutti mango e papaya dipende dal criterio fonologico secondo cui nomi terminanti in -a tendono ad essere assegnati al genere femminile, mentre quelli terminanti in -o a quello maschile.
I nomi ambigeneri sono tutti riferiti a esseri umani: vengono impiegati o al maschile o al femminile secondo il genere sessuale della persona che designano (Thornton 2004).
Il recente accesso da parte di donne a professioni solitamente riservate a persone di sesso maschile fa sì che nomi femminili terminanti in -a prima usati per referenti di sesso maschile (guardia, sentinella, recluta) possano ora riferirsi anche a donne. Nomi di genere maschile usati per riferirsi a persone di sesso femminile (il soprano, il contralto) possono determinare oscillazioni nell’accordo, che può rispondere o al genere grammaticale del nome (il soprano è andato via con suo marito) o al sesso del referente umano (il soprano è andata via con suo marito ~ la soprano è andata via con suo marito) (➔ genere e lingua).
L’estensione a persone di sesso femminile di lavori precedentemente tipici o esclusivi di persone di sesso maschile può provocare alternanze nell’uso al femminile di denominazione di mestieri, professioni, cariche istituzionali, titoli onorifici (il/la ministro / la ministra, il/la chirurgo / la chirurga) e anche determinare la formazione di nuovi nomi ambigeneri (la vigile accanto al precedente il vigile).
Se si riserva la denominazione di ambigenere ai nomi che hanno per referenti esseri umani, aventi le caratteristiche qui appena descritte, essi devono essere tenuti distinti dai seguenti altri tipi di nomi:
(a) nomi promiscui: nomi di animale di genere maschile (dromedario, falco, ippopotamo) o femminile (balena, giraffa, scimmia) usati per indicare animali di entrambi i sessi;
(b) nomi sovrabbondanti: nomi maschili al singolare e femminili al plurale (braccio / braccia, dito / dita, ginocchio / ginocchia, osso / ossa), il cui cambio di genere dipende da una reinterpretazione come femminile (spesso con valore collettivo) della forma del plurale latino neutro in -a (cfr. il singolativo bracci, muri, ossi);
(c) coppie di nomi inanimati distinti per genere, che, pur designando entità affini dal punto di vista semantico, costituiscono due lessemi distinti (il buco / la buca, il porto / la porta), o anche coppie di nomi omonimi di genere diverso formati per accorciamento (la tele «televisione» ~ il tele «teleobiettivo»).
I nomi ambigeneri vanno tenuti distinti anche dalla variazione dovuta all’incertezza nell’attribuzione dell’uno o dell’altro genere a prestiti recenti come e-mail o a parole entrate nell’uso già da molti più anni, come autoblindo. È interessante notare che all’inizio del Novecento anche il genere della parola automobile oscillò per circa trent’anni fra maschile e femminile (un’incertezza che si riflette nella non concordanza fra lingue romanze: spagn. automóvil e port. automóvel sono maschili, mentre in fr. auto(mobile) è femminile come in italiano). Un ruolo decisivo nella scelta del femminile lo ebbe il fondatore della Fiat, Giovanni Agnelli, seguendo a quanto pare un suggerimento di Gabriele D’Annunzio, basato su criteri totalmente extra-linguistici.
Thornton, Anna M. (2004), Mozione, in La formazione delle parole in italiano, a cura di M. Grossmann & F. Rainer, Tübingen, Niemeyer.