Parole mie che per lo mondo siete
Sonetto di D. (Rime LXXXIV) su schema abba abba; cdc cdc, trasmesso da numerosi codici (Vaticano Chigiano L VIII 305, Escorialense e III 23, ecc.) e pubblicato nella Giuntina del 1527.
Il poeta invita le rime scritte a partire dalla canzone Voi che 'ntendendo a presentarsi alla Donna gentile e a dichiararsi sue, affermando, al tempo stesso, che non cresceranno di numero. Non dovranno tuttavia fermarsi presso di lei, che è renitente ad Amore, ma dovranno rendere omaggio a ogni donna amorosa che incontreranno. Al sonetto ne seguì poi un altro (O dolci rime che parlando andate), come palinodia e riaffermazione di piena fedeltà a la donna gentil che l'altre onora (LXXXV 2).
La lirica si presenta dunque come la conclusione, sia pur provvisoria, di un ciclo, che non è tuttavia facile determinare con certezza. Oltre alla canzone citata, si può pensare, sulla scorta di Cv III IX 1-2, alla ballata Voi che savete ragionar d'Amore e forse anche ad Amor che ne la mente mi ragiona, che però potrebbe anche essere posteriore alla palinodia. Si potrebbero aggiungere le rime per la Pargoletta e altre, senza peraltro dimenticare che a O dolci rime dovrebbero seguire altre poesie per la Donna gentile e che la canzone Le dolci rime sembrerebbe il terminus ad quem del nostro sonetto e del seguente.
Resta infine da risolvere il problema se tutte queste rime abbiano avuto sin dall'inizio intento allegorico o se siano state originariamente composte per donna reale: se riguardino, cioè, la Donna gentile già assunta a simbolo della filosofia o la Donna pietosa della Vita Nuova.
Conseguentemente alle varie posizioni assunte dai critici a questo proposito, si sono avute interpretazioni divergenti del v. 3 (per quella donna in cui errai). Per il Barbi e il Contini, errai vale " soffersi ", con, al più, allusione al dubbio, alla patetica oscillazione fra vecchio e nuovo amore; per altri, si tratta di vero e proprio errore consistente nell'abbandono della memoria di Beatrice (Serafini, Zonta, Pietrobono), o nell'essersi D. lasciato sedurre da amore sensuale prima di quello per la Donna gentile-filosofia (Fraticelli, Giuliani). Gl'interpreti recenti propendono, in genere, per l'interpretazione allegorica del ciclo e assumono il sonetto come testimonianza di una crisi sia teoretica sia poetica. Per il Nardi esso rappresenterebbe un congedo dalle rime allegoriche, per l'acquisita consapevolezza del duplice errore artistico e filosofico implicito in questo tipo di poesia, non adatta alla trattazione di problemi metafisici; e di possibile " tedio dell'allegorismo " parla, sia pure con maggior cautela, il Contini. A tutti questi interrogativi il sonetto non dà una risposta chiara; a meno che l'invito rivolto da D. alle sue rime di ricercare le loro antiche sorelle (v. 11), quasi certamente le rime composte per Beatrice (o quelle dolorose o tutte), per rendere insieme con loro omaggio a donne amorose, non vada interpretato come allusione al ritorno a una poesia d'amore priva d'implicazioni dottrinali. Cfr. anche DONNA GENTILE.
Bibl. - N. Scarano, Fonti provenzali e fonti italiane della lirica petrarchesca, in " Studi Filol. Romanza " VIII (1900) 269; M. Barbi, introduz. a D.A., Il Convivio, a c. di G. Busnelli e G. Vandelli, Firenze 1964², XXIV-XXXIX; ID., Problemi II 42 ss.; Contini, Rime 106; D.A., Rime, a c. di D. Mattalia, Torino 1943, 114; B. Nardi, Filosofia dell'amore nei rimatori italiani del Duecento e in D., in D. e la cultura medievale, Bari 1949², 64-74; ID., Dal Convivio alla Commedia, Roma 1960, 13; ID., D. e Guido Cavalcanti, in " Giorn. stor. " CXXXIX (1962) 493-501 (ora in Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, 203-217); Dante's Lyric Poetry, a c. di K. Foster e P. Boyde, II, Oxford 1967, 183, 341; F. Montanari, L'esperienza poetica di D., Firenze 1968², 168-169, 126-150; Barbi-Pernicone, Rime 459.