parole proclitiche
Si chiamano proclitiche quelle parole (di solito ➔ monosillabi) che, non avendo accento autonomo, si appoggiano prosodicamente alla parola seguente, detta ospite, formando con essa un’unità accentuale (a volte anche grafica; ➔ univerbazione) a livello di frase (il gr. klíno significa infatti «poggiare, flettersi»). Insieme alle ➔ parole enclitiche, formano l’insieme dei ➔ clitici, morfemi liberi ma privi di autonomia prosodica.
In italiano sono proclitiche parole quali l’➔articolo nelle sue varianti monosillabiche (il, lo, la, i, gli, le; un) e i pronomi personali atoni (➔ personali, pronomi), incluso il ➔ partitivo ne, il si, oltre che congiunzioni monosillabiche quali e, o, ma, se, che, ➔ preposizioni monosillabiche come a, di, da, con, in, per, tra, fra (anche nelle varianti articolate: al, col, ecc.) e particelle avverbiali come ci / vi, ne e non. In tutti questi casi si registra, soprattutto nel parlato, una forte riduzione vocalica in termini di timbro e, almeno per articoli e preposizioni, di durata, quale si osserva di solito con le vocali atone: la riduzione può essere presa come indice di cliticizzazione (cfr. Savy & Cutugno 1998).
L’articolo è in genere atono e si appoggia prosodicamente alla parola seguente. Il vincolo con la parola seguente ha anche effetti vistosi sotto forma di ➔ allomorfi: ad es., nel caso in cui la parola ospite inizi per vocale, l’articolo compare in forma ridotta (o elisa; ➔ elisione), in alcuni casi anche graficamente unito con l’ospite da ➔ apostrofo: l’amico, un’anima, ecc. La forma ridotta è oggi in genere limitata al singolare, mentre è obsoleta al plurale: sono quindi rare forme come gl’italiani, l’ali, ecc.
Si noti che in italiano antico l’allomorfia (e di qui il suo statuto come elemento proclitico) era vincolata non alla struttura fonologica della parola seguente ma alla parola precedente o alla posizione occupata nella frase: nel caso l’articolo maschile fosse preceduto da una pausa, quindi in genere a inizio di frase, o da parola terminante in consonante, era proclitico e selezionava l’allomorfo lo; altrimenti l’articolo si comportava da enclitico e selezionava l’allomorfo il (o nella sua variante aferetica ’l):
(1) a. Lo giorno se n’andava (Dante, Inf. II, 1)
b. Non impedir lo suo fatale andare (Dante, Inf. V, 22)
c. Era ’l giorno ch’al sol si scoloraro (Petrarca, Canz. III, 1)
Si noti che la forma proclitica si trova ancora oggi in forme univerbate come perlomeno e perlopiù.
In italiano antico la sensibilità alla posizione della frase caratterizzava anche la distribuzione dei pronomi atoni, lasciando tracce sul comportamento dei pronomi clitici nell’italiano moderno. Vigeva infatti in italiano antico la cosiddetta ➔ legge Tobler-Mussafia, per la quale una frase non può iniziare con un pronome atono. Di conseguenza, i pronomi clitici, non preceduti da un elemento tonico, venivano posposti come enclitici al verbo cui si riferivano. Ciò avveniva all’inizio di un periodo (2 a.), dopo la congiunzione e (2 b.) e all’inizio della frase reggente quando quella seguiva una subordinata:
(2) a. Rispuosemi: «non omo, omo già fui» (Dante, Inf. I, 67)
b. e menommi al cespuglio che piangea (Dante, Inf. XIII, 131)
c. Ma quando tu sarai nel dolce mondo, priegoti ch’a la mente altrui mi rechi (Dante, Inf. VI, 88-89)
In italiano moderno la legge Tobler-Mussafia non è più attiva, salvo che per alcune eccezioni (➔ parole enclitiche). Si è anzi generalizzata la posizione proclitica dei pronomi personali e di si, come si vede dalla versione moderna degli esempi visti sopra:
(3) a. Mi rispose che la caserma era ormai abbandonata al suo destino (Romano Bilenchi, Cronache dell’Italia nera, Roma, Editori Riuniti, 1984, p. 167)
b. e mi condusse al laboratorio (Renzo Tomatis, Il fuoriuscito, Milano, Sironi, 2003, p. 53)
c. Ma, prima che sia troppo tardi, Ti prego di rinunziare a questo proposito (Federico Orlando, Fucilate Montanelli, Roma, Editori Riuniti, 2001, p. 54)
La posizione proclitica del pronome è inoltre obbligatoria quando un infinito è retto da un verbo di tipo causativo o permissivo (fare, lasciare), mentre è facoltativa con l’imperativo negativo (non lo dire! ~ non dirlo!) o con un verbo complesso, in cui sia coinvolto un verbo modale o uno di percezione (➔ modali, verbi; ➔ percezione, verbi di), e con altre perifrasi verbali:
(4) a. Maria lo fa / lascia mangiare a casa
b. Maria lo vuole / può / sa / vede mangiare a casa
c. Maria vuole / può / sa / vede mangiarlo a casa
d. Maria lo sta risolvendo / per risolvere brillantemente
e. Maria sta risolvendolo / per risolverlo brillantemente
La casistica data dall’interazione tra enclisi, proclisi e sintagmi ‘pieni’ nel caso di strutture verbali complesse è ampia (per dettagli, v. Lepschy 1978: 41-54). Si noti, ad es., che le possibilità offerte da proclisi ed enclisi aiutano a disambiguare i ruoli sintattici come nei casi seguenti (da Internet):
(5) a. la prima volta che l’ho sentito suonare nel 2004, non ero venuta per lui
b. l’ho sentito suonare da un blues man
c. ho sentito suonarlo e non mi dispiace affatto come suona
d. *ho sentito suonarlo, ma non ero venuta per lui
Mentre il pronome proclitico può essere inteso come soggetto o oggetto del verbo suonare (cfr. 5 a. e 5 b.), l’unica interpretazione possibile del pronome enclitico è quella di oggetto di suonare (cfr. 5 c. e l’es. fittizio 5 d.). Ovviamente, se il verbo retto è intransitivo, la posizione enclitica è impossibile: *ho visto morirlo / l’ho visto morire.
I proclitici formano in sequenza fino a un massimo di tre, e presentano in combinazione varianti allomorfiche (➔ pronomi) e un ordine ben definito (ad es., il pronome di oggetto indiretto precede sempre quello di oggetto diretto), come in questi esempi tratti da Internet, a parte l’ultimo che è fittizio e mostra l’inaccettabilità di una sequenza di quattro proclitici:
(6) a. e glielo dicono spesso
b. uomini e donne vi ci si incontrano su un piede di parità
c. le ossa ce le si fa sul campo
d. *vi ce le si fa
Eccetto il pronome si, non è possibile in genere dislocare un proclitico e un enclitico ai lati di un complesso verbale, a meno che quest’ultimo non contenga complementatori quali di:
(7) a. glielo vedo fare
b. *gli vedo farlo
c. gli permetto di farlo
d. ??glielo permetto di fare
Infine, si noti come la presenza di complementatori all’interno del complesso verbale possa impedire la dislocazione proclitica del pronome come in (7 d.), che è da considerarsi di registro ➔ substandard, benché sia attestato (da Internet: mi dispiace non glielo permetto di dire; allora perché non glielo permetto di fare?), anche con doppia presenza del pronome propria «del parlato più sciatto e informale» (Serianni 1989: 259): io questo non glielo permetto di farlo. Ciò è indice di una minore coesione interna del complesso verbale o, in altre parole, di una minore grammaticalizzazione della perifrasi, come si evince dal confronto della costruzione in (7 c). con gli esempi precedentemente discussi in (4). Infatti, ancora più pesante appare la posizione proclitica dei pronomi quando il verbo finito è in forma composta: *gliel’ho permesso di fare ~ gliel’ho lasciato fare. La posizione proclitica sembra invece in genere accettabile quando l’infinito è retto da un complementatore come a: glielo riesco a portare, glielo sono riuscito a portare, ecc.
Lepschy, Giulio C. (1978), Saggi di linguistica italiana, Bologna, il Mulino.
Savy, Renata & Cutugno, Francesco (1998), Analisi acustica di vocali in monosillabi clitici in parlato spontaneo italiano, in Atti del XXVI convegno nazionale dell’Associazione italiana di acustica (Torino, 27-29 maggio 1998), Torino, Istituto elettrotecnico nazionale Galileo Ferraris, pp. 301-306.
Serianni, Luca (1989), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.