MICHELI, Parrasio
MICHELI (Michiel), Parrasio. – Nacque a Venezia intorno al 1516. Il padre, Salvador, apparteneva a una famiglia aristocratica (Venturi, p. 1046).
Già nelle fonti antiche compaiono diverse varianti del cognome, che comprendono anche Michiel, Michieli e Michele. La versione Micheli, comunque, è attestata dallo stesso M., che tendeva a firmare in questo modo le opere e la sua corrispondenza.
La mancanza di opere certe precedenti il settimo decennio e la nitida adesione ai modi di Paolo Veronese (Paolo Caliari) della produzione documentata hanno reso piuttosto complessa la ricostruzione degli esordi, che alcune fonti collocano nell’ambito di Tiziano Vecellio.
È Ridolfi, suo primo biografo, a segnalare che nella fase iniziale il M. rivolse le sue attenzioni allo stile di Tiziano, con il quale avrebbe avuto un rapporto di familiarità. Tale rapporto era testimoniato da alcune lettere conosciute da Ridolfi stesso e non più rintracciabili, che il M. inviò al Vecellio mentre questi si trovava in Germania nel 1548 o tra il 1550 e il 1551.
La notizia di un possibile apprendistato nella cerchia tizianesca è peraltro corroborata dal passaggio di una lettera datata settembre 1549, in cui Pietro Aretino, nel chiedere la restituzione di una maschera di cera di Giovanni dalle Bande Nere (Giovanni de’ Medici) prestatagli per ricavarne un ritratto, definisce il M. «de l’unico Tiziano fattura».
È opportuno altresì ricordare che in una lettera inviata al re di Spagna Filippo II nel 1575 (Cottrell - Mulcahy, p. 241), lo stesso M. indicava Tiziano come punto di riferimento dei suoi studi, accostandone retoricamente il nome a quello di Michelangelo. Sulla base di questi dati e dell’individuazione di una vicinanza con la maniera del Vecellio, sia pure modesta, delle prime opere a lui attribuibili, è pertanto da ritenere plausibile l’ipotesi di una giovanile gravitazione del M. attorno alla bottega di Tiziano (Dal Pozzolo).
La menzione di vari altri letterati negli epistolari a partire dagli anni Cinquanta dimostra, inoltre, quanto il M. fosse ben inserito nel milieu culturale cittadino. Per la ricostruzione della parabola artistica del M. risultano particolarmente interessanti una missiva non datata di Andrea Calmo (p. 17), che ne rammentava un soggiorno romano prima del 1547, e una di Girolamo Parabosco, che lodava una sua Lucrezia. Tale dipinto, identificabile secondo Hadeln (1912, p. 150) e la letteratura successiva con una tela della collezione Mond di Londra, costituisce la prima opera nota del Micheli.
L’esiguo numero di lavori documentati rimasti e lo spostamento verso l’imitazione pedissequa della maniera di Veronese hanno costituito un robusto ostacolo alla compilazione di un corpus coerente.
In effetti, il catalogo che attualmente si ottiene collazionando gli studi dedicati al M. e i dipinti passati per il mercato è composto da pezzi in diversi casi del tutto incompatibili, che andranno almeno in parte espunti dall’elenco o considerati con estrema cautela, soprattutto per quanto riguarda il momento iniziale della sua carriera. Molto problematica sul piano dell’accertamento dell’autografia, per esempio, per la mancanza di termini di paragone, risulta la Madonna col Bambino e i ss. Lorenzo, Orsola e il ritratto di Lorenzo Pasqualigo (Murano, S. Pietro Martire) che Olszewski, sulla scorta di una vecchia attribuzione (Brosch, p. 528), ha ritenuto di poter inscrivere nella produzione giovanile del M., datandola 1535, senza però presentare sostegni alla congettura. Altrettanto delicata pare l’assegnazione al M. del Concerto già nella collezione Bellesi (Venturi, p. 1051), di cronologia mai precisata, che è stata ribadita ancora di recente da Gregori (p. 30), ma che Mancini (1999, p. 90) ha più opportunamente restituito a Gerolamo Dente. Così come piuttosto discutibili sembrano le attribuzioni al M. della Madonna col Bambino, un santo abate e donatori della Fondazione Umberto Severi a Carpi (Negro, p. 134), nonché del Ritratto femminile della Staatsgalerie di Stoccarda (Venturi, p. 1051), quest’ultimo sostanzialmente ignorato dalla letteratura recente.
In definitiva i primi lavori plausibilmente riconducibili al M. e che godono di una solida tradizione attributiva risalgono all’inizio del sesto decennio.
Tra il 1550 e il 1551 dovrebbe datarsi il S. Lorenzo conservato nell’omonima chiesa di Vicenza, ma proveniente dal palazzo dei Camerlenghi di Venezia.
La cronologia del dipinto, che risulta stabilmente assestato tra le opere del M., è correlata all’ipotesi che il committente fosse Lorenzo Loredan, eletto il 6 luglio 1550 ufficiale della Camera degli imprestidi, magistratura con sede nel palazzo e della durata di sedici mesi, durante i quali era abitudine contribuire alla decorazione delle sale dell’istituzione (Trevisan, pp. 221, 225 n. 38).
Destinato al palazzo dei Camerlenghi era anche un altro lavoro attribuito al M.: la tela raffigurante i Ss. Marco e Vincenzo (Venezia, Fondazione Giorgio Cini ma di proprietà delle Gallerie dell’Accademia), che fu eseguito per Marcantonio Venier e Vincenzo Cappello, lo stemma e le iniziali dei quali campeggiano nell’opera.
Il M. dovette dedicarsi alla commissione tra il 1555 e il 1556, anni in cui i due personaggi ricoprirono la carica di ufficiali della Camera degli imprestidi. I volti dei santi, di matrice genericamente tizianesca, presentano peraltro fisionomie piuttosto caratterizzate, inducendo a ritenerli ritratti dei committenti.
Nel 1563, durante il dogato di Girolamo Priuli, ricevette dai Provveditori al sal l’importante incarico di realizzare un telero con Il doge Lorenzo Priuli, dieci senatori e le personificazioni della Fortuna e di Venezia, per la sala del Collegio in palazzo ducale.
Il dipinto, andato perduto probabilmente nell’incendio del 1577 e di cui rimane un disegno preparatorio a Berlino (Kupferstichkabinett), fu collocato nella sede deputata nel 1569, ottenendo un compenso molto elevato (225 ducati), indice del prestigio raggiunto dall’artista a quella data.
Nello stesso 1563 al M. fu inoltre assegnato il compito di eseguire cinque tele per la Libreria Marciana, di cui si sono perse le tracce (Trevisan, p. 219).
Potrebbero aver fatto parte di questo gruppo un Ritratto di tre procuratori ricordato da Ridolfi nella Libreria e una Storia di Giove, non meglio precisata, registrata da Boschini nello stesso luogo.
Mancini (1999, pp. 89 s. n. 44) ha opportunamente richiamato l’attenzione sul Ritratto di Giovan Battista Negri, aristocratico genovese, di cui si fa menzione nelle Pitture di Anton Francesco Doni (p. 219) e che pertanto doveva essere anteriore al 1564, anno di pubblicazione del libro. Oggi non più rintracciabile, il dipinto era stato con ogni probabilità fatto eseguire da Doni stesso, che lo inviò al Negri insieme con una copia del libro.
Al 1565, invece, risale il contratto con i canonici del duomo di Padova per l’esecuzione di due opere raffiguranti rispettivamente i Ss. Prosdocimo e Giustina e Antonio e Daniele, conservate nella sacrestia dei canonici del duomo stesso.
Il M. ottenne il lavoro dopo la scomparsa di Domenico Campagnola, primo affidatario della commissione, ricavando anche in questo caso un pagamento maggiore rispetto a quello pattuito dal predecessore. Nel medesimo periodo dovrebbe collocarsi verosimilmente anche la pala con la Madonna col Bambino e i ss. Marco e Daniele per la chiesa parrocchiale di Ponte di Brenta, la cui attribuzione al M. formulata da Arslan è stata accolta da L. Olivato (1976, pp. 225 s.).
Alla metà del decennio, inoltre, è da situare il Ritratto di Andrea Dolfin, oggi di ubicazione ignota (Mancini, 1999, p. 87). Il personaggio risulta infatti rappresentato come membro della Compagnia degli Accesi di cui compare l’insegna in alto a sinistra e le cui attività sono documentate a Venezia tra il 1562 e il 1568.
Intorno al 1565 risulta generalmente datato il Ritratto femminile della Galleria di Palazzo Rosso a Genova, assegnato al M. da una consolidata e mai discussa tradizione.
La figura, se davvero si tratta di un autografo del M., manifesta un deciso accostamento a Veronese, almeno per ciò che concerne la ritrattistica muliebre (si vedano in particolare le tangenze con la cosiddetta Bella Nani del Louvre, datata tra il 1560 e il 1565), costituendo un possibile indizio del progressivo quanto netto mutamento in direzione veronesiana del suo stile a queste date.
Al 1568 è datato il Ritratto di Girolamo Zane (Venezia, Gallerie dell’Accademia), realizzato con ogni probabilità dal M. insieme con il Ritratto di Tommaso Contarini (Ibid., Fondazione Cini), nell’ambito di una serie di quattro tele destinate alla Procuratoria de citra (Mancini, 1999, p. 85).
Dello Zane si conosce anche un altro Ritratto con un bambino, oggi non rintracciabile, che può essere ascritto verosimilmente alla stessa mano di quello dell’Accademia (Romei - Tosini, p. 72).
Alla fine del settimo decennio è inoltre concordemente datata la Venere suonatrice di liuto e un amorino del Museo delle belle arti di Budapest, di cui sono note diverse repliche e varianti disseminate in varie collezioni pubbliche e private.
Contro una lunga e autorevole tradizione attributiva, Gregori (pp. 26-28) ha proposto recentemente di assegnare il dipinto a Simone Peterzano, che lo avrebbe realizzato durante la sua permanenza veneziana, traendo però spunto da un’invenzione del Micheli. Secondo la studiosa sarebbero invece da considerare del M. o della sua cerchia le altre versioni del tema. Le ragioni addotte da Gregori, pur suggestive quanto al dipinto di Budapest, non paiono tuttavia sufficienti ad ascrivere al M. le numerose varianti del motivo della Venere suonatrice, individuando in esse un’autografia diversa da quella della tela ungherese, né del resto sembra possibile verificare, allo stato attuale dei dati disponibili, che l’idea della composizione spetti al M. e non al Peterzano.
Nel 1573 il M. firmò e datò l’Autoritratto in adorazione del Cristo morto, per l’altare di S. Giuseppe di Castello a Venezia presso il quale sarebbe stato seppellito. La tela presenta una soluzione compositiva piuttosto inusuale sotto il profilo iconografico, impiegata dal M. anche in un’opera, generalmente considerata coeva o di poco precedente, che raffigura Pio V adorante il Cristo morto (Madrid, Museo del Prado). Quest’ultimo dipinto, ricordato in un inventario dell’Escorial nel 1576, giunse in Spagna, forse qualche anno prima, come prova delle qualità dell’autore per il tramite del nunzio apostolico Nicolò Ormaneto, già vescovo di Padova, che svolse probabilmente un ruolo di mediazione nel tentativo del M. di accreditarsi presso la corte spagnola. Nel corso dell’ottavo decennio il M. cercò in effetti sistematicamente di ottenere i favori di Filippo II, con l’obiettivo di conquistare il ruolo che Tiziano aveva ancora presso la casata asburgica (Cottrell - Mulcahy, pp. 236 s.).
Nel 1575 egli inviò al re una Allegoria della nascita di don Ferdinando di Spagna (Madrid, Museo del Prado), accompagnata da una lettera contenente la spiegazione dei significati simbolici del dipinto. La tela esibisce uno stile ormai integralmente esemplato sui modi veronesiani, tanto da essere stata in passato comprensibilmente considerata opera di Carletto Caliari.
Nel tentativo di accreditarsi presso la corte madrilena, l’anno successivo il M. provò inoltre a farsi agente della vendita in Spagna di un lotto di 28 dipinti appartenuti a un conoscitore veneziano, secondo quanto dichiarò in una lettera al suo corrispondente a Madrid Giulio Giunti.
I carteggi con Madrid, tuttavia, rivelano che il M. non conseguì i risultati auspicati, piazzando solo alcune delle opere offerte, e non riuscì mai ad assicurarsi la protezione di Filippo né quella degli altri grandi collezionisti iberici (Cottrell - Mulcahy, pp. 241-243).
In ogni modo, nell’ambito della descritta strategia di autopromozione che condusse il M. a intrattenere fitte relazioni con la Spagna, è altresì da ricondurre un dipinto firmato che rappresenta le Marie al sepolcro (Madrid, monastero dell’Escorial).
Entrato nelle collezioni reali nel 1577, è anch’esso del tutto vicino alla maniera di Veronese, di cui cita parte di un disegno per un’Allegoria della Redenzione, oggi al Metropolitan Museum di New York. Così come pare rientrare nella produzione del periodo un’Adorazione dei magi (Madrid, monastero dell’Escorial), di recente assegnata al M. in base al confronto con le opere spagnole (Ruiz Manero, p. 56).
Dalle disposizioni testamentarie di Alvise Michiel del 1577 si ricava che il M. aveva eseguito un suo Ritratto, oggi di ubicazione ignota e del quale non è possibile precisare la datazione (Lauber, p. 59), così come non è ricostruibile la cronologia di un Ritratto di senatore, reso noto da Mancini (1998, p. 617, fig. 686) e anch’esso di ubicazione ignota.
Il 17 apr. 1578 il M. redasse il testamento, in cui è registrato il possesso di un patrimonio considerevole destinato alla governante Angela di Nicolò Brazza. Una nota posta cinque giorni più tardi sullo stesso documento attesta l’avvenuta morte del M. a Venezia (Martin, 2008, p. 161 n. 47).
Fonti e Bibl.: G. Parabosco, Il primo libro delle lettere famigliari, Venetia 1551, p. 48; A.F. Doni, Pitture del Doni Academico Pellegrino (1564), a cura di S. Maffei, Napoli 2004, pp. 44, 156, 219; G.B. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del palazzo ducale di Venezia, I, Venezia 1868, pp. 321 s., 363 s.; A. Calmo, Le lettere, a cura di V. Rossi, Torino 1888, pp. 17, 86; P. Aretino, Lettere sull’arte, a cura di E. Camesasca, Milano 1957, III, 2, pp. 298 s.; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte ovvero Le vite degli illustri pittori veneti e dello Stato (1648), a cura di F. von Hadeln, II, Venezia 1924, p. 134; M. Boschini, Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, p. 67; D.F. von Hadeln, P. M., in Jahrbuch der Königlich Preussischer Kunstsammlungen, XXXIII (1912), pp. 149-172; Id., Eine Zeichnung des P. M., ibid., XXXIV (1913), pp. 166-172; Id., Veronese und Zelotti, ibid., XXXV (1914), pp. 194 s.; Id., P. Michieli, in Apollo, VII (1928), pp. 17-21; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, 4, La pittura del Cinquecento, Milano 1929, pp. 1046-1054; L. Brosch, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, Leipzig 1930, pp. 528 s.; W. Arslan, Inventario degli oggetti d’arte in Italia. Padova, Roma 1937, p. 71; S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte del secolo XVI, Roma 1962, pp. 142-144; L. Olivato, P. Michiel, in Dopo Mantegna. Arte a Padova e nel territorio nei secoli XV e XVI (catal., Padova), Milano 1974, pp. 87 s.; Id., P. Michiel a Padova, in Arte veneta, XXX (1976), pp. 225-227; W. Wolters, Storia e politica nei dipinti di palazzo ducale, Venezia 1987, pp. 108 s.; E. Negro, in Fondazione Umberto Severi, I, Arte antica, a cura di J. Bentini, Modena 1991, pp. 134 s. (scheda 28); F. Romei - P. Tosini, Collezioni veneziane nelle foto di Umberto Rossi. Dipinti e disegni dal XIV al XVIII secolo, Napoli 1995, p. 73; E.J. Olszewski, in The Dictionary of art, London 1996, XXI, p. 462; V. Mancini, Padova 1570-1600, in La pittura nel Veneto. Il Cinquecento, a cura di M. Lucco, II, Milano 1998, p. 617; Id., Tintoretto, P. Michiel e i ritratti di Andrea Dolfin, in Venezia Cinquecento, IX (1999), 17, pp. 77-90 (in part. p. 85); H. Economopoulos, P. Michiel, in Colori della musica. Dipinti, strumenti e concerti tra Cinquecento e Seicento (catal., Roma), Milano 2000, p. 122 (scheda 79); M. Gregori, Un amico di Simone Peterzano a Venezia, in Paragone, s. 3, LIII (2002), 623-625, pp. 26-30; L. Trevisan, Un dipinto di P. M. a Vicenza e la scoperta di inediti documenti d’archivio, in Arte veneta, LXI (2004), pp. 216-226; J.M. Ruiz Manero, Observaciones sobre algunas obras de Pablo Veronés y de sus seguidores en España (Alvise Benefatto del Friso, Michele P.), in Archivo español de arte, LXXVIII (2005), 309, pp. 50-58; E.M. Dal Pozzolo, La «bottega» di Tiziano: sistema solare e buco nero, in Studi tizianeschi, IV (2006), p. 79; A.J. Martin, La bottega in viaggio. Con Tiziano ad Augusta, Füssen e Innsbruck, ibid., pp. 106 s.; P. Cottrell - R. Mulcahy, Succeeding Titian: P. M. and Venetian painting at the court of Philip II, in The Burlington Magazine, CXLIX (2007), pp. 232-245; R. Lauber, Memoria, visione e attesa. Tempi e spazi del collezionismo artistico nel primo Rinascimento veneziano, in Il collezionismo d’arte a Venezia. Dalle origini al Cinquecento, a cura di M. Hochmann - R. Lauber - S. Mason, Venezia 2008, p. 59; A.J. Martin, I rapporti con i Paesi Bassi e la Germania. Pittori agenti e mercanti, collezionisti, ibid., p. 148.
F. Sorce