PARRICIDIO
. Il nome è usato fin da epoca remota per indicare l'omicidio commesso in persona di un prossimo parente. È però assai discussa l'etimologia della parola, e più ancora il rapporto fra questo nome e l'espressione paricidas, usata in un'antichissima legge attribuita a Numa Pompilio. Legge misteriosa, in quanto, dopo aver prospettato il caso di chi abbia volontariamente ucciso un qualsiasi uomo libero, porta a guisa di sanzione le parole paricidas esto; parole che i più interpretano come equiparazione al vero e proprio parricidio, altri come allusive a ciò che il deliquente "debba essere parimenti ucciso" o che "vi sia chi parimenti lo uccida" (a tacere di diverse e più singolari spiegazioni). Neppure sappiamo se si riferisca al parricidio propriamente detto o a ogni omicidio l'istituzione dei questori del parricidio, magistrati che la tradizione vuole creati fin dall'età regia e che in ogni modo esprimono la sostituzione della pena e dell'accusa pubblica all'originaria vendetta privata. In età storica, i congiunti la cui uccisione costituisce parricidio sono, oltre gli ascendenti, anche i fratelli, gli zii e cugini, il coniuge, i più stretti affini e il patrono.
La pena tipica è quella del sacco (culleus), nel quale il parricida era chiuso insieme con bestie capaci di martoriarlo (un cane, un gallo, una vipera e una scimmia) e poi gettato in mare profundum; quest'ultima esigenza fa supporre un'importazione straniera, forse etrusca. Certo, la pena (che troviamo riportata al tempo del secondo Tarquinio, ma per un caso di sacrilegio) fu applicata spesso in epoca repubblicana; e probabilmente il parricidio era uno dei delitti in seguito ai quali più difficilmente si tollerava che il colpevole si sottraesse alla condanna con l'esilio. Nemmeno la legge Pompea de parricidio, votata su proposta di Cn. Pompeo Magno nel primo o nel secondo dei suoi consolati (55 o 52 a. C.), mutò radicalmente la situazione giuridica, quantunque il deferire anche il parricida al giudizio di uno dei soliti giurì presieduti da pretori portasse a largheggiare nella pratica di evitare per i cittadini la pena di morte. Nel primo secolo dell'impero, l'applicazione della pena del sacco nei nuovi tribunali imperiali è sicuramente attestata; nel sec. II Adriano la sostituisce, dove il mare sia lontano, con l'esposizione del delinquente alle belve; più tardi il giurista Paolo (o un suo epitomatore del sec. IV) ne parla come di pena non più praticata, ricordando fra i surrogati anche la pena del rogo.
Tuttavia la pena del sacco, passata nella legge romana dei Visigoti e in compilazioni analoghe, si trova ancora applicata nel Medioevo in qualche parte della Germania: altrove la pena di morte è aggravata o resa più infame. Anche dal punto di vista del soggetto passivo del reato i diritti intermedî presentano varie deviazioni, estensive o limitative, rispetto alla tradizione romana.
La dottrina del sec. XIX ha riservato il nome di parricidio all'omicidio qualificato per essere commesso in persona di un congiunto in linea retta: per riguardo alla vera o presunta etimologia della parola, si diceva parricidio proprio l'uccisione dell'ascendente, parricidio improprio quella del discendente. Contro questa terminologia protestò, durante la compilazione del codice penale del 1889, lo Zanardelli, a cui parve che se ne potesse indurre, contro ogni esigenza del sentimento morale, una minor gravità del secondo tipo di crimine per rispetto al primo. Il codice suddetto considerò quindi come qualificato, punibile con l'ergastolo, l'omicidio dell'ascendente e del discendente; salvo che, mentre nella parentela legittima non segnò limiti di grado, nella parentela naturale considerò soltanto la relazione fra genitore e figlio (art. 366, n. 1).
L'avvicinamento della parentela naturale alla legittima, che è nella tendenza della più recente legislazione, si esprime negli articoli 576 e 577 del cod. pen. 1930, i quali, parlando senz'altro di ascendente e discendente, eliminano ogni distinzione (salvo, s'intende, il requisito del riconoscimento dei discendenti naturali). L'uccisione del parente in linea retta è sempre omicidio qualificato, punibile con l'ergastolo (art. 577); ma la pena è quella di morte se con la qualifica della parentela suddetta concorre l'abbiezione o futilità del motivo, o l'impiego di sevizie, o la premeditazione, o se si è "adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso".
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