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PARRICIDIO

di Vincenzo ARANGIO-RUIZ - Enciclopedia Italiana (1935)
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PARRICIDIO

Vincenzo ARANGIO-RUIZ

. Il nome è usato fin da epoca remota per indicare l'omicidio commesso in persona di un prossimo parente. È però assai discussa l'etimologia della parola, e più ancora il rapporto fra questo nome e l'espressione paricidas, usata in un'antichissima legge attribuita a Numa Pompilio. Legge misteriosa, in quanto, dopo aver prospettato il caso di chi abbia volontariamente ucciso un qualsiasi uomo libero, porta a guisa di sanzione le parole paricidas esto; parole che i più interpretano come equiparazione al vero e proprio parricidio, altri come allusive a ciò che il deliquente "debba essere parimenti ucciso" o che "vi sia chi parimenti lo uccida" (a tacere di diverse e più singolari spiegazioni). Neppure sappiamo se si riferisca al parricidio propriamente detto o a ogni omicidio l'istituzione dei questori del parricidio, magistrati che la tradizione vuole creati fin dall'età regia e che in ogni modo esprimono la sostituzione della pena e dell'accusa pubblica all'originaria vendetta privata. In età storica, i congiunti la cui uccisione costituisce parricidio sono, oltre gli ascendenti, anche i fratelli, gli zii e cugini, il coniuge, i più stretti affini e il patrono.

La pena tipica è quella del sacco (culleus), nel quale il parricida era chiuso insieme con bestie capaci di martoriarlo (un cane, un gallo, una vipera e una scimmia) e poi gettato in mare profundum; quest'ultima esigenza fa supporre un'importazione straniera, forse etrusca. Certo, la pena (che troviamo riportata al tempo del secondo Tarquinio, ma per un caso di sacrilegio) fu applicata spesso in epoca repubblicana; e probabilmente il parricidio era uno dei delitti in seguito ai quali più difficilmente si tollerava che il colpevole si sottraesse alla condanna con l'esilio. Nemmeno la legge Pompea de parricidio, votata su proposta di Cn. Pompeo Magno nel primo o nel secondo dei suoi consolati (55 o 52 a. C.), mutò radicalmente la situazione giuridica, quantunque il deferire anche il parricida al giudizio di uno dei soliti giurì presieduti da pretori portasse a largheggiare nella pratica di evitare per i cittadini la pena di morte. Nel primo secolo dell'impero, l'applicazione della pena del sacco nei nuovi tribunali imperiali è sicuramente attestata; nel sec. II Adriano la sostituisce, dove il mare sia lontano, con l'esposizione del delinquente alle belve; più tardi il giurista Paolo (o un suo epitomatore del sec. IV) ne parla come di pena non più praticata, ricordando fra i surrogati anche la pena del rogo.

Tuttavia la pena del sacco, passata nella legge romana dei Visigoti e in compilazioni analoghe, si trova ancora applicata nel Medioevo in qualche parte della Germania: altrove la pena di morte è aggravata o resa più infame. Anche dal punto di vista del soggetto passivo del reato i diritti intermedî presentano varie deviazioni, estensive o limitative, rispetto alla tradizione romana.

La dottrina del sec. XIX ha riservato il nome di parricidio all'omicidio qualificato per essere commesso in persona di un congiunto in linea retta: per riguardo alla vera o presunta etimologia della parola, si diceva parricidio proprio l'uccisione dell'ascendente, parricidio improprio quella del discendente. Contro questa terminologia protestò, durante la compilazione del codice penale del 1889, lo Zanardelli, a cui parve che se ne potesse indurre, contro ogni esigenza del sentimento morale, una minor gravità del secondo tipo di crimine per rispetto al primo. Il codice suddetto considerò quindi come qualificato, punibile con l'ergastolo, l'omicidio dell'ascendente e del discendente; salvo che, mentre nella parentela legittima non segnò limiti di grado, nella parentela naturale considerò soltanto la relazione fra genitore e figlio (art. 366, n. 1).

L'avvicinamento della parentela naturale alla legittima, che è nella tendenza della più recente legislazione, si esprime negli articoli 576 e 577 del cod. pen. 1930, i quali, parlando senz'altro di ascendente e discendente, eliminano ogni distinzione (salvo, s'intende, il requisito del riconoscimento dei discendenti naturali). L'uccisione del parente in linea retta è sempre omicidio qualificato, punibile con l'ergastolo (art. 577); ma la pena è quella di morte se con la qualifica della parentela suddetta concorre l'abbiezione o futilità del motivo, o l'impiego di sevizie, o la premeditazione, o se si è "adoperato un mezzo venefico o un altro mezzo insidioso".

Bibl.: E. Schrader, Iustiniani Inst., Lipsia 1832, p. 746 segg.; E. Brunnenmeister, Tötungsverbrechen im altröm. Recht, ivi 1887; A. Pertile, St. del dir. ital., 2ª ed., V, Torino 1892, p. 583 segg.; L. Landucci, in Archivio giuridico, LXI (1898), p. 304 seg.; H. F. Hitzig, Culleus, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV (1899), col. 1747 seg.; Th. Mommsen, Röm. Strafrecht, Berlino 1902, p. 615 segg.; F. De Visscher, La formule "paricidas esto" et les origines de la jurisd. crim. à Rome, in Bull. de l'Acad. Roy. de Belgique, 1927; Ph. Meylan, L'étymologie du mot parricide, Losanna 1928; J. Juncker, Recens. degli scritti di De Visscher, Lenel e Meylan, in Zeitschr. Savigny-Stift, IL (1929), p. 593 segg.; O. Lenel, Paricida esto, in Studî Bonfante, Milano 1930, p. i segg.; E. Levy, Die röm. Kapitalstrafe, in Sitz. heidelb. Akad., 1930-31, n. 5, spec. p. 27 segg.; V. Arangio Ruiz, in P. Bonfante, Storia del dir. rom., 4ª ed., I, Roma 1934, p. 198; R. Düll, Zur Bedeutung d. poena cullei im röm. Strafrecht, in Atti Congr. intern. di dir. rom. (Roma 1933), Pavia 1935.

Vedi anche
Edipo (gr. Οἰδίπους) mitologia Eroe greco del ciclo tebano. Nominato già in Omero, è protagonista del poema ciclico perduto Edipodia; ma la sua leggenda è nota soprattutto dall’Edipo re e dall’Edipo a Colono di Sofocle e dalle Fenicie di Euripide. ● Nato da Laio re di Tebe e da Giocasta, il padre lo fa esporre ... incesto Rapporto sessuale fra persone (tradizionalmente intese di sesso diverso) legate fra loro da quei rapporti di consanguineità o di affinità che oppongono impedimento assoluto al matrimonio. antropologia Gli studi etnologici hanno mostrato l’universale diffusione del divieto di rapporti sessuali tra i ... essere antropologia Nell’etnologia religiosa, l’espressione E. Supremo indica una figura pressoché universalmente diffusa nelle culture arcaiche, concepita e rappresentata in maniera assai diversa da altre figure che sono oggetto di culto o sono comunque connesse con i miti delle singole società di interesse ... Marco Giunio Bruto (lat. M. Iunius Brutus, dall'adozione da parte dello zio Q. Servilio Cepione, Q. Caepio Brutus). - Uno degli uccisori di Cesare (85-42 a. C.); ebbe un'elevata educazione retorica e filosofica, che affinò ad Atene; la sua formazione politica risale allo zio Catone Uticense, che lo allevò partigiano dell'oligarchia ...
Vocabolario
parricìdio
parricidio parricìdio s. m. [dal lat. parricidium o paricidium, comp. di un primo elemento incerto, forse par paris «pari1» (ma che già dagli antichi fu raccostato a pater, parens), e del suff. -cidium «-cidio»]. – Omicidio di un ascendente...
parricida
parricida s. m. e f. [dal lat. parricida o paricida (v. parricidio)] (pl. m. -i). – Chi commette parricidio, cioè chi uccide un ascendente o, più raram., un discendente o un parente stretto (v. parricidio). Talora, nell’uso letter., chi...
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