Part-time e prepensionamento
Il 2015 non ha trascurato il welfare di base: i decreti sul sostegno del reddito, d.lgs. n. 22/2015 e d.lgs. n. 148/2015 – in esso qui interessa l’art. 41, sul contratto di solidarietà espansiva – hanno inciso sul diritto sostanziale, mentre, sul piano strumentale, rilevano il d.lgs. n. 149/2015 ed il d.lgs. n. 150/2015. Nuove forme di welfare integrativo (l. n. 208/2015, co. 182-189) vengono correlate alla produttività, secondo scelte, fiscalmente agevolate, fra beni e servizi predefiniti come da accordi aziendali o territoriali, secondo piani individuali con ricorso a buoni di spesa; differita invece la revisione delle pensioni complementari nell’ottica della concorrenza, ora in parte riprese dall’accordo Governo-organizzazioni sindacali del 28.9.2016.
Rinviate le questioni principali del sistema pensionistico di base, la l. n. 208/2015 si limita a completare percorsi avviati (opzione donna), a reiterare soluzioni per colmare le lacune frutto di recenti riforme (ottava fase dei cd. salvaguardati), a ripescare il part-time agevolandolo, e così assecondare le spinte all’uscita dal contratto individuale di lavoro insieme accelerando l’accesso alle pensioni. Al di là della loro valenza, sono segnali di ricerca di soluzioni per il futuro delle pensioni, sul quale è aperto il confronto, orientato dalle indicazioni della Corte costituzionale.
Il lavoro a tempo parziale è un modello contrattuale multifunzionale: utilizzato per agevolare l’accesso al lavoro, o per soddisfare esigenze parallele a quelle professionali, ovvero ancora per realizzare meccanismi di solidarietà, in funzione volta a volta meramente difensiva o anche espansiva; esso trova nella l. 28.12.2015, n. 208 ai co. 284 e 285 una finalizzazione verso l’avvio al trattamento pensionistico, sulla scia, sia pure solo per taluni aspetti, della formula di cui all’art. 41, co. 5, d.lgs. 24.9.2015, n. 148, differenziandosene però – oltre che per il carattere temporaneo (l’impianto normativo dell’art. 41 ha carattere stabile) – anche per l’assenza di una dimensione collettiva (essenziale invece per il ricorso alla solidarietà espansiva) e per la mancanza di funzionalizzazione all’incremento occupazionale.
Per questo, è utile – così realizzandosi anche l’obiettivo di svolgere qualche riflessione secondaria sugli altri interventi in materia pensionistica presenti nella l. n. 208/2015 – cogliere il senso della manovra in materia accolto da detta legge. Nel dibattito1, sviluppatosi intorno alla opportunità della integrale conservazione delle scelte operate dalle riforme del dicembre 2011 rispetto all’obiettivo di elevamento dell’età pensionabile, secondo un percorso comunque già progressivamente avviato, il legislatore finanziario del 2015 per il 2016 resta in cauta attesa, avendo peraltro dovuto incassare lo stop della Cass., S.U., 4.9.2015, n. 17589 in ordine alla denegata potestatività del differimento dell’età pensionabile prospettato da una, per quanto autorevole, non credibile lettura dell’art. 24, co. 3-4, d.l. 6.12.2011, n. 201.
Questa situazione di incertezza politica ed economica si risolve nei modesti interventi di cui appresso, ed in particolare nel part-time agevolato, ma a ben guardare è possibile cogliere una linea comune in tutti: opzione donna, ottava versione delle misure in favore dei salvaguardati, part-time agevolato sono caratterizzati dal comune obiettivo di consentire un accesso in qualche modo anticipato al pensionamento, pur restando formalmente nel contesto regolativo adottato con la legislazione del dicembre 2011.
Peraltro, sia opzione donna sia l’ottava edizione di salvaguardia, costituiscono sviluppo e prosecuzione di scelte normative pregresse, come tali non propriamente innovative.
Quanto, infatti, ad opzione donna, essa trova il suo riferimento normativo originario – secondo la stessa formula dell’art. 1, co. 281, l. n. 208/2015 – nell’art. 1, co. 9, l. 23.8.2004, n. 243, recante la facoltà di accesso anticipato alla pensione, alla condizione di consentire al calcolo della pensione con il metodo contributivo anziché con quello retributivo.
È appena il caso di sottolineare che la norma ora citata, oltre che a carattere sperimentale (del che appresso), si propone come non meglio definita conferma di precedente, che tuttavia non sembra identificabile con l’art. 1, co. 23 della l. 8.8.1995, n. 3352. Di certo, l’elemento in comune di queste due risalenti norme è dato dalla ipotesi di ricostruzione della carriera contributiva degli interessati, atta a consentire, appunto, il calcolo del trattamento pensionistico con il metodo contributivo. Si tratta di un passaggio che non può essere ignorato nella prospettiva di una revisione del sistema (v. infra, § 3).
Sta che, conferma o novità, la riforma del 2004 ha offerto alle donne, e solo alle donne, una facoltà di anticipazione del trattamento pensionistico, sia pure con una significativa riduzione dell’importo ipotizzabile, calcolato in misura oscillante fra il 25 ed il 30%.
Inserita in una normativa che in quel momento lasciava intatta la differente età pensionabile fra uomo e donna, definita come sperimentale, non appariva destinata ad un rilevante successo; questo, invece, si è delineato in termini ben più consistenti dopo la riforma del 2011, divenendo uno strumento, sia pure oneroso, per sottrarsi all’effetto del progressivo prolungamento dell’età pensionabile. In effetti, il co. 281 risolve la diatriba in ordine al meccanismo opzionale: nel presupposto dell’avvenuto, oramai, conseguimento entro il 31.12.2015 dei requisiti di anzianità contributiva di almeno 35 anni e di età anagrafica di 57 anni (58 per le autonome), maggiorate secondo l’aumento della speranza matematica di vita; detto comma rende irrilevante la questione della decorrenza successiva alla indicata data.
Importa sottolineare che la disposizione di protrazione della facoltà di opzione si accompagna alla previsione del consolidamento delle risorse destinate a questa finalità, che – tracciando un disegno di legislazione futura – sono programmaticamente destinate a proseguire l’opzione, se non anche a consentire analoghe scelte di anticipazione.
Quanto, invece, alla protrazione del meccanismo di salvaguardia contro gli effetti del repentino e non adeguatamente programmato innalzamento dell’età pensionabile in termini di gradualità disposto dal d.l. n. 201/2011, i cui effetti si sono riverberati – del tutto inopportunamente ed in spregio di un criterio di affidamento almeno politico – su situazioni in corso di realizzazione, la l. n. 208/2015 nell’unico articolo commi da 263 a 275 ha disposto una ulteriore (l’ottava) proroga dei termini, combinando insieme una disposizione incredibilmente contorta, in una logica essenzialmente bilancistica, composta da vari strumenti giuridici: dalla certificazione delle situazioni legittimanti l’accesso al trattamento (essenzialmente l’accordo risolutorio del contratto di lavoro in data non sospetta), alla valorizzazione dei
versamenti volontari; dalla rideterminazione delle risorse finanziarie destinate fino al 2023 con la fissazione di un numero massimo di beneficiari (146.666: si noti la precisione numerica), a varie operazioni di storno. Anche qui, dunque, una norma volta a completare il programma di recupero intrapreso fin da subito per ovviare agli effetti non adeguatamente valutati della riforma Fornero del 2011, e tuttavia una norma che – pur nella sua transitorietà – bene si colloca nel quadro delle misure speciali di anticipazione del pensionamento rispetto ai nuovi limiti legali.
Innovativa, invece, è non certo la previsione di una agevolazione del part-time, ma la sua utilizzazione come strumento di avvio al pensionamento, con una normativa – ripeto: diversa per i profili che seguono, da quella riservata ai lavoratori anziani ad orario ridotto ex art. 41, co. 5, d.lgs. n. 148/2015 – di carattere temporaneo (interessa allo stato solo i lavoratori che matureranno i requisiti pensionistici entro il 31.12.2018) e finanziariamente contingentata dalla fissazione di una limitata quantità di risorse, una volta esaurite le quali non si dà ulteriore corso alla provvidenza. Il presente contributo si focalizza su quest’ultimo intervento.
Per il part-time agevolato è formalmente irrilevante la circostanza che vi sia una espansione di attività in favore di altri lavoratori posto che, almeno testualmente, non si tratta di uno strumento di politica attiva del lavoro.
Tuttavia deve ritenersi che il co. 285 della l. n. 208/2015 – da leggersi in stretta ed evidente correlazione con il co. 284 – aggiunge un comma3 all’art. 41 del d.lgs. n. 148/2015 ed ha stabilito un ideale collegamento fra il part-time agevolato qui in esame ed i meccanismi contrattuali di solidarietà espansiva previsti e disciplinati dal citato art. 41, secondo un impianto che valorizza la regolazione collettiva di livello aziendale. Il quadro normativo dell’art. 41, nel quinto comma, propone – diversamente dal co. 284 – una vera e propria formula di anticipazione del trattamento pensionistico, seppure in misura parziale e quanto basta per coprire la riduzione della retribuzione corrispondente all’accettazione di una riduzione dell’orario di lavoro in misura superiore al 50%, questa strettamente correlata ad un incremento dell’occupazione. Ebbene, con riferimento ai lavoratori più anziani i due modelli, scontate le rilevate diversità, convergono nella prospettiva di realizzare con meccanismi indiretti l’anticipazione del pensionamento: se non è troppo impegnativa questa affermazione, si può dire che questa è la nuova valenza sociale del part-time agevolato, cui, più o meno indirettamente e senza formalismi giuridici, può accompagnarsi la funzione-obiettivo di avvicendamento generazionale.
La agevolazione è destinata ad operare limitatamente all’area del lavoro privato4, solo in presenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato5, unica condizione per creare lo spazio per la coesistenza di una condizione di lavoro attivo, sia pure a tempo parziale per effetto della concordata riduzione dell’orario – secondo una misura oscillante dal 40% al 60% dell’orario normale, con proporzionale riflesso sull’entità della retribuzione –, e l’intervento di sostegno contributivo in via figurativa dell’ente previdenziale, in una prospettiva di sufficiente durata della situazione – fino, appunto, al pensionamento – che viene così a determinarsi.
Non si può prescindere dal dato, scontato e già ricordato, che il part-time si propone come uno dei modelli contrattuali cd. flessibili o anche atipici.
Come tale, esso è nel dominio bilaterale delle parti contraenti, che convergono, per motivi non necessariamente coincidenti, sulla opportunità di utilizzazione di una prestazione lavorativa in misura ridotta rispetto al potenziale impegno massimo consentito per legge o per contratto collettivo. Si tratta di un rilievo in apparenza del tutto ovvio, ma che presiede la disciplina anche della finalizzazione del modello al conseguimento di un obiettivo che è di interesse unilaterale – nel caso, quello dell’avvio al pensionamento, nei termini di cui appresso – ma che, per quanto meritevole di apprezzamento da parte dell’ordinamento giuridico per la sua valenza socio-economica, non può indurre a soluzioni ispirate alla logica potestativa. È certo, infatti, che non può considerarsi marginale l’interesse datoriale alla utilità della prestazione parziale, tanto più considerando che sul datore di lavoro grava parzialmente l’onere di sostenere il reddito del lavoratore a parttime agevolato per effetto della devoluzione della quota di contribuzione corrispondente alla prestazione non più dovuta; una residua, significativa utilità deve dunque sussistere ed essere comunque bilateralmente valutata, anche nella non improbabile prospettiva che, con l’avanzare dell’età del lavoratore, un impegno lavorativo contenuto possa risultare più proficuo e produttivo di un protratto impegno integrale.
Per questo il legislatore ha avvertito l’esigenza di precisare che condizione essenziale per la praticabilità dell’istituto sia l’intesa con il datore di lavoro, che dunque non è solo un inciso nella struttura della norma, non casualmente presente nel primo periodo e ribadito nel sesto periodo del co. 284. Il legislatore ha dunque tratto una utile lezione dal dibattito sviluppatosi in ordine alla portata della norma dell’art. 24, co. 3 e 4, d.l. n. 201/2011, laddove a fronte del raggiungimento dell’età pensionabile (ripristinatoria del libero recesso) si ipotizzava – con l’obiettivo di protrazione dell’accesso alla pensione – che bastasse la volontà del lavoratore a determinare l’effetto di prolungamento della protezione contro il licenziamento6.
Una variazione del contenuto contrattuale destinata ad esplicare i suoi effetti anche in caso di successione negoziale nella titolarità dell’impresa e quindi nel complesso dei rapporti giuridici che si intrecciano nell’azienda7.
L’agevolazione viene riconosciuta nel presupposto della maturazione, entro il 31.12.2018, del diritto al trattamento pensionistico di vecchiaia secondo gli oramai dinamici criteri anagrafici di cui all’art. 24, co. 6, d.l. n. 201/2011 e s.m.i, nonché della maturazione dei requisiti minimi contributivi per l’attribuzione del diritto; si intende che, non potendosi ipotizzare pleonastiche sovrapposizioni, il requisito anagrafico è riferito al momento finale dell’agevolazione, mentre quello contributivo è riferito al momento iniziale.
L’agevolazione, nei termini di cui appresso, copre non oltre il periodo intercorrente tra l’avvio dell’agevolazione ed il raggiungimento del requisito anagrafico per conseguire il diritto a pensione. Risulta così evidente che il riferimento anagrafico costituisce ad un tempo condizione per l’accesso alla agevolazione e criterio di determinazione del contenuto della stessa, in tanto in quanto esso si concreta, sotto il profilo previdenziale, uno dei principali vantaggi disposto in termini di contribuzione figurativa destinata a coprire il vuoto di contribuzione effettiva conseguente alla ridotta retribuzione determinata dalla riduzione di orario. È questa, infatti, la modalità attraverso la quale si realizza con continuità la completezza della copertura pensionistica fino al raggiungimento dei requisiti anagrafici
per l’attribuzione del diritto a pensione.
Essa si integra con la previsione che beneficiario della minor contribuzione determinata dalla ridotta retribuzione per minore prestazione lavorativa sia lo stesso dipendente, cui viene direttamente e mensilmente attribuito dal datore di lavoro – senza oneri fiscali né contributivi – il corrispondente importo, non più dovuto all’ente previdenziale.
L’accesso ai benefici previdenziali nonché fiscali del part-time agevolato passa attraverso un procedimento autorizzatorio, volto alla verifica dei presupposti e dei requisiti, ed è comunque condizionato dalla esistenza delle risorse finanziarie disponibili per la copertura degli impegni che si assume l’ente di previdenza in termini di contribuzione figurativa (d.i. 7.4.2016 del ministero del lavoro di concerto con il ministero dell’economia e circ. n. 90/2016).
Merita di essere sottolineata la circostanza che – ferma l’intesa formale delle parti per la variazione del contratto nel senso della adozione del part-time (qualunque ne sia la modalità di svolgimento) – onerato dell’avvio del procedimento è lo stesso datore di lavoro, oltre che in ragione dell’assolvimento dell’usuale ruolo di coadiutore della p.a. negli adempimenti amministrativi e previdenziali, anche, e specialmente nel caso, in vista della garanzia di autenticità dell’accordo part-time presupposto e predisposto.
L’entità delle risorse destinate (euro 60 mln per il 2016, 120 per il 2017, nuovamente 60 per il 2018) non dovrebbe determinare alcun rifiuto, anche alla luce della finora tiepida accoglienza dell’offerta, ma resta la sensazione di uno strumento non solo temporaneo, ma anche incerto quanto alla sua effettività, come ben risulta dalle cautele adottate dall’Inps nella citata circolare, laddove al punto 2, quintultimo e quartultimo periodo vengono definiti i meccanismi amministrativo contabili per la registrazione dell’impegno da contribuzione figurativa8. Ciò dovrebbe comportare, in una logica di trasparenza ed al fine di evitare inutili accordi fra datore di lavoro e lavoratore, l’adozione di un meccanismo di pubblicità/ comunicazione costante delle risorse disponibili, che consenta agli interessati di valutare l’opportunità di intraprendere utilmente il negoziato e la conseguente procedura.
Le scelte operate dal legislatore nel 2015 in materia pensionistica lasciano aperti i grandi problemi del sistema previdenziale pensionistico, e la proiezione dei loro effetti sul 2016 attraverso la legge di stabilità, evidenzia una grande cautela nello studio ed adozione delle mosse successive.
Attesa con qualche preoccupazione – dato il precedente della sentenza n. 163 del 3.6.2013, che aveva dichiarato illegittimo il prelievo sulle “pensioni d’oro” in quanto finalizzato a coprire esigenze dell’Erario – il Governo ha incassato la sentenza n. 173 del 5.7.2016, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 486, l. 27.12.2013, n. 147, laddove è stato disposto per il successivo triennio un gradualmente crescente prelievo sulle pensioni più elevate; la Corte ha ritenuto tale prelievo ragionevole e proporzionale alle capacità dei soggetti colpiti, ne ha escluso la natura fiscale, facendo riferimento all’esistenza di un «circuito di solidarietà» al cui interno, con finalità omogenee, esso è destinato, ma ne ha sottolineato energicamente – siccome prossimo al superamento del “limite” – il profilo di eccezionalità (una tantum) come elemento finale e determinante della valutazione di costituzionalità.
Ad ulteriore consolazione del Governo per le scelte disposte in tema di contenimento della spesa pensionistica, sta anche la dichiarazione di non fondatezza riferita al co. 483, in tema di contenimento della perequazione post legge Fornero, avendo la Corte sfruttato il passaggio assolutorio svolto già in via incidentale nella ben nota sentenza n. 70 del 10.3.2015, aprendosi così qualche spiraglio sulla ulteriore problematica della rivalutazione, oltre che con riferimento alla soluzione transitoria del d.l. 21.5.2015, n. 65, anche in vista di una rivisitazione legislativa del meccanismo della rivalutazione9. Sono due decisioni, in unica sentenza10, che, in particolare quella sul prelievo, devono orientare le scelte future del legislatore che intendesse porre mano ad una operazione di riequilibrio della spesa sociale pensionistica, al suo interno e nel rapporto con altri interventi previdenziali, specialmente quelli per il sostegno del reddito durante la fase attiva dei cittadini, in una logica solidaristica endoprevidenziale11. vale la pena di riprodurre i passaggi topici della sentenza, capaci di fissare i limiti di un percorso volto a recuperare – nell’attesa della completa andata a regime del metodo contributivo, purché accompagnata da un’auspicata ripresa del PIl, qui nella sua funzione di parametro di rendimento – quei valori di equità distributiva compromessi da una, spesso sgangherata, applicazione del metodo retributivo.
Oltre l’evidenziato circuito di solidarietà endoprevidenziale, la Corte evoca i principi di ragionevolezza, di affidamento e della tutela previdenziale ex artt. 3 e 38 Cost.: fin qui, si potrebbe, dire nulla di nuovo! Senonché la Corte riconduce il rispetto di questi principi ad «uno scrutinio stretto di costituzionalità, che impone un grado di ragionevolezza complessiva ben più elevato di quello che, di norma, è affidato alla mancanza di arbitrarietà». Segue nel terzo capoverso del § 11.1 della sentenza una vera e propria linea guida della riforma combinata con una sintetica e non stucchevole diagnosi della crisi del sistema previdenziale, indirizzata al legislatore, ma anche ai destinatari del sistema, ed innanzitutto ai pensionati, ai quali si chiede di essere “partecipi e consapevoli”, solo così potendosi invocare il valore della solidarietà, inteso come un sollen.
In questo contesto, gli interventi disposti nel 2015, sopra esaminati, costituiscono: i) quanto ai salvaguardati, una complicata forma di progressivo riequilibrio di scelte inizialmente non congrue; ii) quanto all’opzione donna, una formula di agevolazione sul piano anagrafico e di riequilibrio in qualche misura onerosa attraverso il ricalcolo del pregresso facendo retroagire il metodo contributivo; iii) quanto, infine, al part-time agevolato – considerato insieme con il contratto di solidarietà espansiva per i più anziani – una correzione morbida della drastica manovra di contenimento del 2011. Ciascuno di essi può assumersi come timido accenno di attenzione al processo di revisione riequilibratrice e/o di contenimento dei costi, ma non costituisce un vero e proprio avvio di un tale processo.
Su questa linea prospettica si pone, invece, il complesso delle soluzioni delineate nell’accordo Governo/OO.SS. del 28.9.2016; sarebbe un’eccessiva anticipazione procedere alla loro analisi, posto che si tratta pur sempre di un accordo di massima – seppure connotato da una significativa precisione tecnica – che avrà una immediata ricaduta nella legge di bilancio per il 2017. È comunque utile una breve riflessione, per valutare la congruità delle stesse rispetto al disegno di revisione del sistema pensionistico.
Mere misure di sostegno della capacità di acquisto dei destinatari sono quelle di ordine fiscale (no tax area) e l’aumento della pensione attraverso una quattordicesima. Seguendo l’articolazione dell’accordo, le misure sul cumulo gratuito dei periodi contributivi si presentano come rimedio ad una grossolana quanto improvvida operazione di rastrellamento di provvista escogitata (art. 12, co. 12-septies, 12-octies e 12-novies della l. 30.7.2010, n. 122) mediante la equiparazione finanziaria ed attuariale delle due possibili direzioni della ricongiunzione12 originata dalla precedente frammentazione dell’ordinamento pensionistico italiano; quelle per i lavori precoci e per quelli usuranti rispondono ad esigenze di giustizia sostanziale, in funzione dell’opportunità di realizzare un sistema pensionistico plasmato sulle effettive condizioni di svolgimento dei rapporti di lavoro, modulato cioè, in una ipotesi, sull’età di ingresso nel mondo del lavoro, ed in altra ipotesi sullo straordinario aggravamento fisico rispetto alla media delle attività lavorative. Si tratta dunque di misure di assestamento nell’ambito di un sistema consolidato.
APE (Anticipo Pensionistico) e RITA (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata) sono invece il frutto di una valutazione della impossibilità, allo stato, di adottare soluzioni più ampie e risultano altresì dichiaratamente condizionate dai vincoli della finanza pubblica. l’APE è funzionale alla accentuazione dei meccanismi di flessibilità in uscita, con onerosità per l’Erario (APE agevolata) o per le Imprese (APE e imprese, secondo una formula che evoca i meccanismi di esubero agevolato di cui all’art. 4, l. n. 92/2012), oppure autofinanziata dall’interessato con il supporto di un meccanismo misto, finanziario ed assicurativo.
RITA, che coinvolge il sistema di secondo livello pensionistico, costituisce (come anticipato nella apertura), un tentativo di adeguare il sistema pensionistico complementare alle esigenze di flessibilità pensionistica, e trova presumibilmente il suo punto di riferimento già nella avanzata elaborazione dell’art. 16 del disegno di legge in corso di discussione sulla concorrenza (AS 2082).
Dunque, si prevedono interventi più concreti di quelli del 2015, destinati forse ad un successo maggiore di quanto finora non si sia verificato con il part-time agevolato, ma comunque ancora non tali da consentire di ritenere pronta una svolta del sistema pensionistico, che potrebbe essere in nuce nel punto 8 dell’accordo, dal quale dovrebbe scaturire il confronto di revisione dell’impianto fondato sul calcolo retributivo, volto a tener conto delle implicazioni di un mercato del lavoro sempre più povero e precario e ad alimentare – anche con la previdenza complementare – un corretto rapporto fra generazioni.
Le riflessioni che precedono, quali scaturite dalla lettura della giurisprudenza costituzionale, e dalla riflessione sulle linee che emergono dal citato accordo, devono confrontarsi con l’affermazione autorevolmente resa in sede di programma di governo, secondo la quale si esclude la utilizzazione del ricalcolo delle posizioni mediante il metodo contributivo.
Sono non poche le ragioni che danno fondamento a questa tesi, ma non certo vale quella per cui l’operazione non sarebbe possibile, visto che – sia pure in termini opzionali – il ricalcolo costituisce un passaggio obbligato appunto per la ricordata, e seriamente utilizzata di recente, opzione donna, e che l’art. 1, co. 23 della l. 8.8.1995, n. 335 consentiva in termini generali una opzione verso il calcolo con il metodo contributivo.
Note
1 Da tempo avviato con il d.d.l. AC 30.4.2013, n. 857, dal titolo “Disposizioni per consentire la libertà di scelta nell’accesso dei lavoratori al trattamento pensionistico”.
2 Art. 1, co. 23, prevede che per i «lavoratori di cui ai commi 12 e 13 la pensione è conseguibile a condizione della sussistenza dei requisiti di anzianità contributiva e anagrafica previsti dalla normativa previgente, che a tal fine resta confermata in via transitoria come integrata dalla presente legge. Ai medesimi lavoratori è data facoltà di optare per la liquidazione del trattamento pensionistico esclusivamente con le regole del sistema contributivo, ivi comprese quelle relative ai requisiti di accesso alla prestazione di cui al comma 19, a condizione che abbiano maturato un’anzianità contributiva pari o superiore a quindici anni di cui almeno cinque nel sistema medesimo».
3 2-bis: «Nei confronti dei lavoratori interessati da riduzione stabile dell’orario di lavoro con riduzione della retribuzione ai sensi dei commi 1 e 2, con esclusione dei soggetti di cui al comma 5, i datori di lavoro, gli enti bilaterali o i Fondi di solidarietà di cui al titolo II del presente decreto possono versare la contribuzione ai fini pensionistici correlata alla quota di retribuzione persa, nei casi in cui tale contribuzione non venga già riconosciuta dall’INPS. In relazione ai predetti versamenti non sono riconosciute le agevolazioni contributive di cui ai commi 1 e 2».
4 Come da precisazione della circ. Inps 26.5.2016, n. 90, l’area del lavoro privato, comprensiva del lavoro agricolo e di quello alle dipendenze di enti pubblici economici, esclude per un verso tutta l’area del lavoro con le pp.aa. e per altro verso i rapporti di lavoro domestico.
5 La circolare sopra citata precisa che viene escluso il lavoro intermittente, il lavoro a domicilio e (pleonasticamente) i cocopro. Posta la logica dell’intervento in esame, forti perplessità solleva la circostanza che la circolare consideri compreso anche il «contratto di somministrazione» (rectius dovrebbe piuttosto parlarsi di lavoro somministrato): sicuramente questo non vale per il lavoro somministrato a tempo determinato, ma anche per quello a tempo indeterminato possono sorgere delicati problemi di ammissione al regime del part-time agevolato, in ragione delle vicende attraverso le quali può passare la somministrazione.
6 Si veda la già citata sentenza Cass., S.U., n. 17589/2015.
7 ma non anche nel caso di sostituzione meramente fattuale, come accade nell’ipotesi di avvicendamento in un appalto, stando almeno al punto 3 della circ. n. 90/2016, recante la regolamentazione operativa e le istruzioni per la fruizione dei benefici introdotti dal co. 248.
8 «Qualora dal monitoraggio delle domande di accesso comunicate dalle imprese e dai relativi oneri corrispondenti al riconoscimento della contribuzione figurativa, risulti superato anche per una sola annualità, la soglia dell’importo stanziato, l’Inps respingerà̀ le istanze per esaurimento delle risorse finanziarie riferite a quello specifico anno. Con l’ammissione al beneficio l’Istituto provvede ad accantonare le somme relative alla contribuzione figurativa da accreditare per l’intera durata del rapporto di lavoro a tempo parziale agevolato; ciò̀ comporterà̀ la contestuale riduzione dell’ammontare complessivo delle risorse disponibili».
9 Il riferimento è qui al punto 9 dell’accordo Governo/OO.SS. del 28.9.2016, ove si preconizza il superamento del criterio delle “fasce di importo”, cui si sostituirebbe quello degli “scaglioni di importo”; l’accordo annuncia anche ulteriori, possibili assestamenti della rivalutazione, sia attraverso l’elaborazione di nuovi indici di rivalutazione, sia di parziale recupero dei blocchi determinatisi in questi anni.
10 Nello stesso arco di tempo, e con deposito immediatamente successivo, la Corte (sent. n. 174/2016), discutibilmente prescindendo dalle esigenze di equilibrio del bilancio, ha dichiarato la incostituzionalità della norma dell’art. 18, co. 5, d.l. 6.7.2011, n. 98 (matrimonio anagraficamente squilibrato), siccome irragionevolmente fondata su una presunzione assoluta di frode all’erario e variamente lesiva del principio di uguaglianza, con conseguente risultato finale di salvaguardia del «fondamento solidaristico della pensione di reversibilità».
11 vale qui la pena di evidenziare che questa logica, da tempo presente nelle scelte del legislatore con varia intensità nel “circuito” del sistema previdenziale obbligatorio generale, sta affacciandosi significativamente nei segmenti speciali quali sono quelli intestati con carattere di generalità ed uniformità alle varie categorie libero professionali: sintomatico è il passaggio presente nel d.d.l. AS n. 2233 contenente «misure per la tutela del lavoro autonomo etc.» , all’art. 6, co. 1, volto a disporre – attraverso gli enti di previdenza di diritto privato – meccanismi erogativi di prestazioni per il caso «significativa riduzione del reddito professionale per ragioni non dipendenti dalla propria volontà». Già qualche spunto è presente nell’art. 10 bis del d.l. 28.6.2013, n. 76.
12 Rinvio alla mia analisi Assestamenti della riforma pensionistica e dintorni, in Libro dell’anno del Diritto 2014, Roma, 2014, 391, § 2.2.