part time
Contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, che prevede cioè un orario ridotto rispetto al quello normale o a tempo pieno (➔ full time), in base al d. legisl. 61/2000 è pari a 40 ore settimanali (tale valore può altresì attestarsi a un livello minimo previsto dal contratto collettivo, anche se riferito alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo superiore all’anno). È considerato un lavoro atipico (➔ lavoro, tipologie di). Rappresenta normalmente una delle principali forme di flessibilità del mercato del lavoro, consentendo dal lato della domanda di adattare la struttura degli orari ai bisogni del datore di lavoro, e dal lato dell’offerta di conciliare le esigenze familiari e di vita con quelle lavorative. Tuttavia, nel settore pubblico italiano il p. t. non è flessibilmente codeciso dal dipendente e dalla pubblica amministrazione, bensì è determinato unilateralmente dalle necessità del primo. La regolamentazione che disciplina il p. t. è essenzialmente contenuta nella l. 863/1984; essa è stata profondamente rivista con il d. legisl. 61/2000, successivamente modificato dal d. legisl. 100/2001 e dal d. legisl. 276/2003 in attuazione della l. 30/2003 (➔ Biagi, legge).
Il contratto p. t. può assumere 3 forme: ‘orizzontale’, quando prevede una riduzione d’orario giornaliero rispetto a quello normale; ‘verticale’, quando l’attività viene svolta a tempo pieno ma soltanto in alcuni giorni della settimana, del mese o dell’anno; ‘misto’, quando il rapporto di lavoro deriva dalla combinazione delle due modalità precedenti. Il contratto p. t. può essere a tempo determinato o indeterminato e deve specificare la durata della prestazione e dell’orario di lavoro con riferimento a giorno, settimana, mese e anno. Le modifiche apportate dalla l. 30/2003 sono finalizzate a rendere più flessibile il ricorso a tale tipologia lavorativa, per es. aumentando la possibilità del datore di lavoro di richiedere ore in più rispetto a quelle contrattate nella forma del lavoro supplementare, prestazione svolta oltre il pattuito complessivo giornaliero ma entro il limite del tempo pieno, e dello straordinario, qualora avvenga il superamento dell’orario normale settimanale. Quest’ultima forma è applicabile solo nel caso di p. t. verticale e misto, dopo che il tempo pieno sia stato raggiunto. Il datore di lavoro può ottenere maggiore elasticità nell’uso del p. t. anche attraverso le clausole ‘flessibili’. Queste consentono di concordare la facoltà di modificare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione, purché nei limiti ammessi dai contratti collettivi; altre clausole dette specificamente ‘elastiche’ permettono di aumentare la durata della prestazione senza che le ore in più valgano come straordinario, purché nei limiti ammessi dai contratti collettivi. In entrambi i casi è necessario il consenso del lavoratore, il quale acquisisce il diritto a specifiche compensazioni.
Il d.d.l. 3249/2012, al fine di incentivare l’impiego virtuoso dell’istituto, ostacolandone l’uso come copertura di utilizzi irregolari di lavoratori e lavoratrici, si propone di istituire, nei soli casi di p. t. verticale o misto, un obbligo di comunicazione amministrativa, secondo modalità snelle e non onerose (sms, fax o PEC), e contestuale al già previsto preavviso di 5 giorni da dare al lavoratore in occasione di variazioni di orario attuate in applicazione delle clausole elastiche o flessibili. Si intende, inoltre, prevedere, in caso di rilevanti motivi personali precisati dalla legge e in altre eventuali ipotesi contemplate dalla contrattazione collettiva, la facoltà del lavoratore o della lavoratrice di esprimere un ‘ripensamento’ nel caso di p. t. flessibile o elastico. È previsto il principio di non discriminazione rispetto a chi svolge l’attività a tempo pieno sul piano della retribuzione oraria e del trattamento normativo. Il lavoratore o la lavoratrice p. t. hanno diritto a essere preferiti rispetto ad altri per la trasformazione in contratto a tempo pieno nel caso di nuove assunzioni (diritto di precedenza). In Italia, nel 2010 lavoravano p. t. il 15% degli occupati (29% delle donne e 5,5% degli uomini). Il valore medio dell’Unione Europea era del 19,2% (8,7% tra gli uomini e 31,9% tra le donne).