partecipazioni statali
Quote di capitale di imprese organizzate nella forma di società per azioni che lo Stato possiede direttamente o indirettamente attraverso enti di gestione. Le p. s. appartengono alla storia dell’economia italiana e hanno segnato il periodo compreso tra il 1933 (istituzione dell’IRI) e il 1993 (anno di scioglimento del ministero delle Partecipazioni Statali). Un sessantennio nel quale l’intervento pubblico nell’economia è passato dall’azionariato pubblico (➔ azionariato), in cui lo Stato era proprietario diretto o indiretto (per il tramite degli enti autonomi di gestione), a quello che viene definito il sistema delle partecipazioni statali. La locuzione p. s. si palesa quindi più ampia e comprensiva di quella, un tempo adottata, di ‘azionariato di Stato’, mentre, d’altro canto, non tiene conto di tutte le azioni possedute da vari enti pubblici (Comuni, INA, INPS) per il conseguimento di finalità particolari. Il sistema era dunque costituito da quelle imprese organizzate in forma di società di diritto privato, di cui lo Stato deteneva, attraverso enti di gestione (in particolare IRI, ENI), la maggioranza del capitale, o comunque una quota che ne assicurava il controllo. La nascita di tale sistema viene fatto risalire alla l. 1589/1956 istitutiva del ministero per le Partecipazioni Statali e la fine di tale era coincide con il referendum abrogativo del ministero.
Il modello delle p. s. prevedeva un’articolazione che, partendo dalle società operative, controllate da holding, faceva capo a un ente di gestione (avente natura di ente pubblico economico, per es. IRI ed ENI), il quale trovava il suo coordinamento e il suo centro di guida e definizione degli obiettivi di sviluppo economico nel ministero per le Partecipazioni Statali. La finalità primigenia dell’istituzione del sistema era quella di trovare una sintesi efficiente e armonica dello sviluppo economico del Paese, che considerasse il ministero quale centro dell’individuazione degli obiettivi e degli interessi pubblici da perseguire, conservando indipendenza dal potere politico. Tale finalità venne meno con la progressiva perdita di autonomia e con l’intervento della politica nelle scelte di sviluppo e gestionali delle società pubbliche. Negli anni 1970, in particolare, il sistema fu piegato a logiche contingenti, trovandosi a operare in settori e imprese senza alcuna prospettiva.
Negli anni 1980 le p. s. videro una temporanea rifioritura con le ristrutturazioni dell’IRI e dell’ENI e il riorientamento dell’attività in comparti infrastrutturali ad alta tecnologia. In quegli stessi anni si avviarono le prime privatizzazioni e dismissioni di alcune imprese ritenute non core (➔) per l’ente di gestione. Tra il 1980 e il 1983 alcune imprese pubbliche furono quotate in borsa (come SIP, Italcable, Italgas, banche d’interesse nazionale), con la contestuale riduzione del capitale pubblico sotto la soglia del 50%. La forte crisi economica degli anni 1990, complice l’applicazione da parte della Commissione europea della normativa sugli aiuti di Stato alle imprese pubbliche e l’esposizione alla concorrenza internazionale di queste imprese (scarsamente competitive), segnò la fine dell’era delle partecipazioni statali. Nel 1992, con il governo Amato, si cominciò a disporre la privatizzazione dei residui enti di gestione, tra cui IRI, ENEL, INA. Con il successivo governo Ciampi, la privatizzazione passò dalla fase ‘fredda’ (dal modello ente pubblico economico alla società di capitali) a quella ‘calda’ (con la dismissione della proprietà delle imprese pubbliche). La privatizzazione fu vista non solo come modalità per raccogliere fondi per risanare i disastrati bilanci delle società pubbliche, bensì anche quale strumento principale di ammodernamento del sistema industriale del Paese. In questo periodo si avviarono le procedure di vendita e di collocamento sul mercato di ENEL, INA, AGIP, Banca Commerciale Italiana e Credito Italiano. Il tramonto di questo sistema non ha segnato, però, la fine dell’intervento pubblico nell’economia, che ha visto in ogni caso la conservazione, da parte del settore pubblico, di p. significative nelle società ex monopoliste (come Telecom, Ferrovie dello Stato, ENEL), nonché l’utilizzo, e talvolta l’abuso, dell’in house providing quale nuovo modello di gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica.