PARTENOPE (Παρϑενόπη, Parthenŏpe)
Una delle Sirene, figlie, secondo Esiodo, di Forco, secondo altre fonti di Acheloo e della Terra, o di una musa, Tersicore. Demone femminile alato raffigurato con corpo di uccello e testa di donna, simbolo della potenza magica del canto. Secondo la più antica tradizione delle Argonautiche orfiche, P. e le altre due Sirene, Ligeia e Leucosia, vinte nel canto da Orfeo, si gettarono nel mare, dove furono trasformate in scogli. Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, invece, la causa della loro morte è l'insensibilità di Ulisse alla malia del loro canto essendosi esse lanciate nel mare che ne trasportò, in varî luoghi, i corpi galleggianti. Come Ligeia a Terina e Leucosia a Posidonia, P. fu rigettata dalle onde sulla sponda della marina tirrena, alle foci del Sebeto, dove sorse poi la Neapolis dei Cumani. In quel luogo fu eretta alla sirena una tomba, alla quale furono poi dedicati sacrifici annuali, e da essa prese nome la città più antica. Così il mito portato da coloni egeo-rodî sulle coste della Campania; al quale va collegata la notizia di Strabone (XIV, 2, 10), confermata da Stefano Bizantino, che i Rodî nel tempo della loro prima espansione avrebbero fondato nell'Opicia una città chiamata Partenope. Secondo un'altra fonte (Lutazio presso Filargirio) la città, non più colonia rodia ma cumana, sarebbe stata detta Partenope dalla sirena, il cui corpo era ivi seppellito: distrutta dagli stessi Cumani per timore della sua crescente potenza, sarebbe stata poi riedificata e riconsacrata al culto di P., col nome di Neapolis. In onore di P., come di divinità locale, il navarco ateniese Diotimo, venuto a Napoli al tempo della guerra peloponnesiaca, istituiva, per consiglio dell'oracolo, un agone ginnico con lampadodromia (cfr. Strabone, l. c.) e sacrifici varî: tale istituzione va messa in rapporto con la colonizzazione attica di Napoli, avvenuta verso il 440. All'inizio dell'impero Augusto trasformava tali ludi nel primo agone ginnico d'Italia.
Il sepolcro, o meglio cenotafio, di Partenope, ricordato da Dionisio Periegeta, era sito all'ingresso del porto: il cronista Fabio Giordano erroneamente lo pone invece sulla collina di S. Aniello. Della continuità ininterrotta della tradizione è viva testimonianza una grande erma con testa femminile di divinità o di figura ideale, popolarmente nota come "Capo di Napoli", che ancora oggi si trova nella Via di S. Giovanni a Mare. Inoltre la testa di Partenope compare nella monetazione di Napoli, sugli stateri e sui didrammi del primo periodo (440-430).
Bibl.: G. Beloch, Campanien, 2ª ed., Breslavia 1890, p. 2 seg.; G. De Petra, Le Sirene del Mar Tirreno, Napoli 1911; E. Ciaceri, Storia della magna Grecia, I, Roma 1924; V.B. Head, Hist. num., 2ª ed., Oxford 1911, p. 38; A. Sambon, Monnaies antiques de l'Italie, Parigi 1903, p. 174 segg.