PARTICELLE ELEMENTARI e ANTIPARTICELLE
. L'espressione p. elementari che viene usata correntemente per indicare una serie di p. di dimensioni subatomiche non corrisponde affatto ad oggetti semplici, bensì ad entità dotate di strutture assai complesse ed ancor oggi poco note che interagiscono fra loro con forze di vario tipo. L'aggettivo "elementare", certamente assai poco appropriato, è in sostanza un residuo della concezione democritea, secondo la quale, dividendo la materia in parti sempre più piccole, si giunge alla fine ad entità non ulteriormente decomponibili, invariabili ed eterne, cioè a quelle entità che Democrito chiamò "atomi". Com'è noto il termine atomo fu poi adottato da Dalton per indicare i più piccoli corpuscoli che ancora posseggono le proprietà caratteristiche degli elementi chimici. Ma l'atomo non è affatto indivisibile; esso è costituito da un nucleo attorno a cui si muovono uno o più elettroni. Ed ogni nucleo è a sua volta un aggregato di neutroni e protoni. Elettroni, protoni e neutroni vengono oggi considerati come p. elementari; si dovrebbe anzi dire che essi, insieme ai fotoni, costituiscono le prime quattro, in ordine di tempo, delle molte particelle elementari scoperte fino ad oggi. Queste sono elencate nella tab. 1, in ordine di massa decrescente, insieme ai valori di quelle grandezze fisiche, caratteristiche del singolo corpuscolo, che più facilmente si prestano ad una determinazione sperimentale.
La massa M è data nella col. 4 prendendo come unità la massa dell'elettrone
Il valore q della carica elettrica è indicato nella col. 3; esso risulta sempre rigorosamente uguale a +1, a −1 o a zero, purché si prenda come unità la carica elettrica del protone
Lo spin o momento intrinseco della quantità di moto (col. 6), è sempre un multiplo intero o semintero dell'unità quantistica
dove h è la costante di Planck.
Qui è forse utile ricordare che nella meccanica quantistica lo spin di un corpuscolo è rappresentato da un operatore vettoriale s, la cui componente in una direzione prefissata (che viene di solito presa come asse delle z o terzo asse) sz può assumere solo i valori
Pertanto, dire che lo spin di un corpuscolo, per esempio di un elettrone, è pari ad 1/2, significa affermare che sz può assumere due soli valori: sz = 1/2 ed sz = −1/2, i quali corrispondono, classicamente, a due sole possibili direzioni dello spin nello spazio: spin parallelo e spin antiparallelo rispetto all'asse delle z.
In generale, quindi, un corpuscolo di spin s può assumere 2s + 1 diverse orientazioni nello spazio.
Da questo punto di vista i corpuscoli di massa nulla (ossia il fotone e il neutrino) mostrano un comportamento anomalo derivante dal fatto che essi si muovono sempre con velocità c, qualunque sia la loro energia. Per essi lo spin può avere sempre due soli orientamenti: l'uno parallelo, l'altro antiparallelo rispetto alla direzione della loro quantità di moto.
Al fotone si attribuisce spin 1. Un fotone in uno stato di definita orientazione dello spin corrisponde ad un'onda polarizzata circolarmente in un verso o in verso opposto a seconda che lo spin è parallelo o antiparallelo rispetto alla direzione di propagazione.
Nel caso del neutrino, lo spin 1/2 dovrebbe poter assumere entrambi i due possibili orientamenti opposti. In questo caso però sembra valere la "teoria a due componenti" di Lee e Yang, secondo la quale lo spin del neutrino avrebbe sempre un ben determinato orientamento: ossia il neutrino esisterebbe in natura solo con lo spin disposto parallelamente alla sua quantità di moto. Tale teoria è stata ideata dai suddetti autori per interpretare, in maniera semplice, il fatto che nei fenomeni in cui interviene il neutrino, viene violata la legge di conservazione della parità (v. § 2.2 e anche simmetria, in questa Appendice).
Per alcuni corpuscoli è stato possibile misurare un momento magnetico (col. 7). Questo viene espresso nell'unità
che per l'elettrone assume il valore
Le p. con spin zero hanno sempre momento magnetico nullo. Il fatto che il neutrone abbia un momento magnetico diverso da zero mostra chiaramente la struttura complessa di questa particella.
Una proprietà molto appariscente di un corpuscolo è la sua eventuale instabilità; quasi tutti i corpuscoli instabili sono caratterizzati dalla corrispondente vita media definita in genere come il tempo τ dopo il quale la probabilità di sopravvivenza è ridotta a 1/e, ove e è la base dei logaritmi naturali (v. anche XXVIII, p. 696). Fa eccezione il caso del K0 la cui legge di decadimento è più complessa; esso va pensato come una miscela di due corpuscoli (K01, K02) aventi diverse vite medie e diversi processi di decadimento.
Altre proprietà caratteristiche di un corpuscolo sono: il processo, o i processi di disintegrazione e, quando due o più processi sono possibili, le corrispondenti probabilità parziali o rapporti di ramificazione. Queste grandezze sono indicate nella colonna 9; nella 10 è data l'energia Q che si libera nel processo di disintegrazione:
ove M è la massa della p. considerata e la sommatoria va estesa a tutte e sole le p. prodotte nella disintegrazione.
Come vedremo nel seguito, i corpuscoli elementari sono caratterizzati anche da altre proprietà più riposte le quali vengono espresse assegnando i valori di certi numeri caratteristici quali la parità (§ 2.2), lo spin isotopico e la sua terza componente (§ 2.3), il numero barionico, il numero leptonico (§ 2.4) e la stranezza (§ 2.5).
Sulla base di un principio generale che cercheremo di precisare nel seguito, si ritiene oggi che per ogni p. debba esistere una corrispondente antiparticella. Particella ed antiparticella hanno sempre la stessa massa e lo stesso spin; se sono instabili, la stessa vita media e se sono dotate di una carica elettrica (e di un momento magnetico intrinseco) cariche (e momenti magnetici intrinseci) rigorosamente eguali ma di segno opposto (v. antimateria).
L'esistenza delle antiparticelle è in accordo con un principio del tutto generale secondo cui la natura deve godere di una proprietà di simmetria fra cariche elettriche positive e negative: grazie a questa simmetria le leggi della fisica microscopica non permettono di riconoscere in modo intrinseco, ossia indipendentemente da una nostra scelta arbitraria, il segno positivo o negativo di una carica elettrica. Ma anche per p. neutre come il neutrone, il neutrino, il pione neutro o il fotone, esiste una corrispondente antiparticella, la quale potrà in alcuni casi essere identica alla p., in altri diversa. Sperimentalmente è stata sino ad oggi provata l'esistenza delle antiparticelle corrispondenti a tutte le p. elencate nella tab. 1, eccezion fatta per lo Ξ-, e lo Ξ0. E poiché è ragionevole ritenere che il fatto di non aver ancora osservato queste antiparticelle sia da attribuire solo a difficoltà sperimentali, che verranno presumibilmente superate in un non lontano avvenire, il principio generale cui sopra si è accennato viene oggi considerato come pienamente confermato dall'esperienza.
L'operazione che applicata ad una particella (o più in generale, ad un sistema di p.) la trasforma nella corrispondente antiparticella (o sistema di antiparticelle) prende il nome di coniugazione di carica e viene usualmente indicata con C (v. simmetria, in questa App.).
1. Metodi di produzione e osservazione delle particelle elementari. - Come è noto, gli elettroni periferici dell'atomo sono tenuti attorno al nucleo da forze elettromagnetiche che si esercitano fra le cariche elettriche degli elettroni e dei nuclei; i protoni e i neutroni sono tenuti insieme nel nucleo da forze molto più intense, e dotate di un assai breve raggio di azione, indicate col nome di forze nucleari (v. nucleo, in questa App.) Nei nuclei stabili l'energia di legame dovuta alle forze nucleari è tale da rendere impossibile il decadimento spontaneo dei neutroni costituenti. Tale processo diventa invece possibile nei nuclei radioattivi β, nel qual caso viene emesso un elettrone ed un antineutrino; più in generale neutrini ed antineutrini vengono emessi in processi di disintegrazione di corpuscoli più pesanti (tab. 1). Anche i muoni vengono prodotti nel decadimento di altre particelle più pesanti. I fotoni sono emessi (o assorbiti) dai corpuscoli o sistemi di corpuscoli dotati di carica elettrica che subiscono una transizione da uno stato quantico ad un altro. Tutti gli altri corpuscoli elencati nella tab. 1, ossia i mesoni e gli iperoni, vengono prodotti nell'urto fra due corpuscoli come per esempio due nucleoni, o un fotone e un nucleone, ecc., purché l'energia cinetica del moto relativo dei corpuscoli urtantisi sia sufficientemente elevata.
In tali processi sono rispettati, oltre ai principî classici di conservazione della quantità di moto, dell'energia totale e della carica elettrica, altri principî di conservazione, più riposti, specifici delle p. elementari, che si ricollegano a proprietà di invarianza rispetto a ben determinate operazioni di simmetria e che verranno menzionati nel seguito. In natura l'energia necessaria per dar luogo alla produzione di mesoni e di iperoni è posseduta solo dai corpuscoli primarî e secondarî della radiazione cosmica. Si può anzi dire che la maggior parte dei corpuscoli elencati nella tab. 1 sono stati scoperti nello studio della radiazione cosmica secondaria. In laboratorio, grazie all'impiego di acceleratori di particelle è diventato possibile produrre tutte le p. elementari elencate nella tab. 1 e molte delle loro antiparticelle, in condizioni sperimentalmente ben definite. Si è così andato sviluppando un vasto capitolo indicato comunemente con il nome di fisica nucleare delle alte energie il cui scopo è quello di studiare le proprietà delle particelle elementari e le loro interazioni.
I processi di produzione delle p. elementari sono assai complessi ed il loro studio è, in generale, ancora assai incompleto. Due fatti di importanza fondamentale sono ormai stabiliti con sicurezza: il primo è che nell'urto di due nucleoni, le particelle prodotte di gran lunga più abbondantemente sono i pioni. Il secondo fatto riguarda la produzione di p. strane. Con questo nome vengono indicati i mesoni K e gli iperoni; esso ebbe origine dalla difficoltà di conciliare, sulla base di principî generali, la grande sezione d'urto dei processi in cui esse vengono prodotte con la loro lunga vita media; in base al grande valore della sezione d'urto per produzione, ci si attendeva, grazie a considerazioni di carattere termodinamico, che la loro vita media fosse di gran lunga più breve di quella osservata. Tale difficoltà è stata in seguito superata grazie alla legge della produzione associata (Pais, Gell-Mann) stabilita ormai in modo definitivo: nell'urto di due nucleoni o di un pione e un nucleone non viene mai prodotta una singola particella strana, ma ne vengono sempre prodotte due, secondo regole che chiariremo meglio nel seguito (legge della conservazione della stranezza, § 2.5).
Circa l'osservazione delle p. elementari ricordiamo che essa viene eseguita a mezzo di contatori (proporzionali, di Geiger, a scintillazione e di Čerenkov), di camere di Wilson, camere a diffusione, camere a bolle e lastre nucleari.
2. Generalità sull'inquadramento teorico dei fenomeni di alta energia. - Oggi non esiste ancora una teoria soddisfacente delle p. elementari e delle loro interazioni; solo l'esperienza dice quali p. esistano in natura, quali siano, caso per caso, il valore della massa, della carica elettrica, dello spin, ecc. e quali siano le interazioni con cui esse agiscono le une sulle altre. Tutto ciò che si riesce a fare è di partire da questi dati empirici e cercare di inquadrare i fenomeni osservati in leggi generali delle quali alcune derivano dalla teoria quantistica dei campi, mentre altre sono suggerite dallo stesso materiale sperimentale a disposizione. La teoria dei campi, che costituisce oggi l'unico schema teorico generale di cui si disponga per inquadrare questi fenomeni, consiste in una generalizzazione della teoria quantistica del campo elettromagnetico, la quale, come è noto, è in ottimo accordo con l'esperienza. L'applicazione della teoria quantistica dei campi ad altri fenomeni ha dato varî risultati soddisfacenti; tali sono, per esempio, la descrizione semi-quantitativa dell'interazione pione-nucleone (teoria di Yukawa) e la teoria dei processi di disintegrazione β (teoria di Fermi).
Un esempio molto importante di legge generale che deriva dalla struttura stessa della teoria dei campi è il seguente: le p. con spin intero (in unità [4]) seguono necessariamente la statistica di Bose-Einstein (e pertanto vengono chiamate bosoni). Le p. con spin fratto (1/2, 3/2... in unità [4]) ubbidiscono necessariamente alla statistica di Fermi-Dirac (e pertanto vengono chiamate fermioni). La distinzione fra fermioni e bosoni è fondamentale: si tratta di due categorie di enti dotati di proprietà essenzialmente diverse, che giuocano ruoli completamente diversi nei fenomeni di alta energia.
Le p. elementari vengono classificate in "famiglie". I membri di una stessa famiglia godono delle stesse proprietà generali per ciò che riguarda le loro interazioni (§ 2.1). I fermioni si dividono in due famiglie: quella delle p. pesanti o barioni, costituita dal nucleone e dagli iperoni; e quella delle p. leggere o leptoni, costituita dal muone, dall'elettrone e dal neutrino. I bosoni anche si dividono in due famiglie, delle quali l'una è costituita dai mesoni e l'altra dai fotoni: i mesoni si dividono poi in mesoni π (o pioni) e mesoni K (o mesoni pesanti o kaoni).
2. 1. Tipi di interazione. - Fino ad ora abbiamo parlato dei singoli corpuscoli come se ognuno di essi potesse essere studiato come un oggetto a sé stante separatamente dagli altri. Un simile punto di vista è però troppo semplicistico in quanto ogni corpuscolo interagisce con gli altri e la natura di tali interazioni costituisce una proprietà del corpuscolo altrettanto caratteristica quanto la sua massa, la sua carica elettrica, ecc. Le stesse misure od osservazioni che noi facciamo, o pensiamo di poter fare, su di un corpuscolo hanno senso solo in quanto il corpuscolo in esame interagisce con altri corpuscoli che lo sperimentatore predispone opportunamente, di volta in volta, in modo da rendere possibile la misura o l'osservazione desiderata. Per es., per la misura del percorso di un corpuscolo entro una camera di Wilson, si sfrutta l'interazione elettromagnetica fra la carica del corpuscolo in moto e le cariche degli elettroni e dei nuclei presenti nel materiale attraversato.
Le interazioni per tutte le coppie possibili di particelle elementari si riducono a tre tipi fondamentali: interazioni forti, elettromagnetiche e deboli. Le interazioni son dette forti o deboli con riferimento a quelle elettromagnetiche le quali costituiscono un termine di riferimento ben noto. Per ragioni di completezza, ricordiamo che oltre ai tre tipi di interazione qui descritti, esistono le interazioni gravitazionali, le quali peraltro sono estremamente deboli anche rispetto alle interazioni deboli e, stando allo stato attuale delle nostre conoscenze, non sembrano avere importanza apprezzabile nei fenomeni discussi in questa voce.
a) Interazione elettromagnetica (I.E.). Questa interazione si esercita fra due qualsiasi corpuscoli carichi (in movimento o in quiete) o anche fra un corpuscolo carico, quale è l'elettrone, ed un corpuscolo neutro, quale è il neutrone, in quanto quest'ultimo è certamente dotato di una struttura elettromagnetica che si manifesta per esempio con l'esistenza di un momento magnetico (tab. 1). L'interazione ha luogo tramite il campo elettromagnetico le cui proprietà sono descritte classicamente in maniera completa dalle equazioni di Maxwell. Tuttavia lo studio dei processi di emissione e assorbimento delle radiazioni elettromagnetiche da parte di sistemi atomici e subatomici ha costretto a passare dal punto di vista classico puramente ondoso al punto di vista unificato ondoso-corpuscolare. Tale passaggio ha notoriamente luogo quantizzando le equazioni che descrivono il campo elettromagnetico, ed è precisamente in questo processo che vengono associati al campo elettromagnetico dei quanti di energia o fotoni, il cui comportamento può venir descritto come quello di corpuscoli di massa zero.
In questo schema l'interazione fra due corpuscoli carichi si presenta come il risultato dell'emissione, da parte di uno dei corpuscoli, di fotoni che vengono assorbiti dall'altro e viceversa, secondo lo schema
dove la freccia verso destra indica l'emissione di fotoni da parte di un corpuscolo carico e quella verso sinistra il corrispondente processo di assorbimento.
I processi di emissione e di assorbimento di fotoni possono anche essere rappresentati schematicamente (fig. 1 a e 1 b) mediante diagrammi spazio-temporali in cui vengono omessi gli assi (diagrammi di Feynman). Le linee, tracciate con un diverso segno per ogni tipo di particella, rappresentano le corrispondenti linee orarie; il punto di incontro di più linee, o come si dice brevemente, il vertice, rappresenta l'interazione esistente fra i corpuscoli le cui linee orarie passano per quel punto. La fig. 2 rappresenta la interazione elettromagnetica fra un protone e un elettrone come risultato della combinazione di processi di emissione ed assorbimento, quali sono quelli descritti dai diagrammi della fig. 1.
Questa descrizione dell'interazione elettromagnetica è importante, non solo in sé, ma anche perché costituisce il modello su cui, nella teoria dei campi, si cerca di foggiare le descrizione di altre interazioni (in particolare delle interazioni forti). L'intensità delle interazioni elettromagnetiche viene caratterizzata dal parametro universale, adimensionale,
b) Interazione forte (I.F.). Il tipico esempio di interazione forte è costituito dal processo di Yukawa di emissione e assorbimento di pioni da parte dei nucleoni i quali vanno pensati come sorgenti del campo mesonico, allo stesso modo che le cariche elettriche sono le sorgenti del campo elettromagnetico.
L'analogia va oltre: come i fotoni sono i quanti del campo elettromagnetico, così i pioni sono i quanti del campo mesonico. In analogia alla [7] rappresentiamo schematicamente il processo di Yukawa con il simbolo
Le forze nucleari che si esercitano fra due nucleoni hanno origine da processi di questo tipo: i pioni emessi dall'uno dei due nucleoni vengono assorbiti dall'altro e viceversa. Le figg. 3 e 4, analoghe alle figg. 1 e 2, sono i diagrammi di Feynman di processi di emissioni e assorbimenti di pioni da parte di un nucleone e della interazione fra due nucleoni.
Il nome di interazione forte deriva dal fatto che se si introduce una costante universale g a caratterizzare l'intensità di questo tipo di interazione e la si pone in forma adimensionale, in maniera analoga a quanto si è fatto per il caso elettromagnetico, si trova
Si tratta dunque di una interazione enormemente più forte della interazione elettromagnetica.
c) Interazione debole (I.D.). L'esempio più classico di interazione debole è costituita dal processo di disintegrazione del neutrone introdotto originalmente da Fermi per spiegare i processi radioattivi β. Il quadrato della costante che caratterizza questa interazione, scritto, in forma adimensionale, in modo da poter essere confrontato con i parametri universali [8] e [10) risulta essere dell'ordine di 10-12. Lo stesso tipo di interazione è responsabile dei processi di disintegrazione di tutti i corpuscoli instabili che figurano nella tab. 1, eccezion fatta per il π0 e Σ0 i cui decadimenti sono determinati dalla I. E.
Le particelle della tab. 1 presentano i seguenti tipi di interazione: fotone I.E.; neutrino I.D.; elettrone e muone I.E. e I.D.; tutte le altre p. (barioni e mesoni) I.E., I.D. e I.F.
Le p. dell'ultimo gruppo, ossia i barioni e i mesoni, vengono talvolta indicate come "particelle a I.F." (P.I.F.) in quanto esse sono le sole fra cui si esercitano interazioni di questo tipo.
2.2. La parità intrinseca dei corpuscoli elementari. - Il concetto di parità di un sistema in un ben determinato stato, si ricollega al comportamento della corrispondente funzione d'onda, ψ(x, y, z, s), di fronte all'operazione di parità P, consistente nell'invertire il verso dei tre assi x, y, z, lasciando invariata la direzione dello spin s. Poiché è evidente che l'applicazione, per due volte successive, di tale operazione deve lasciare la ψ(x, y, z, s) invariata, ne segue che si deve necessariamente sempre verificare uno dei due seguenti casi:
Nel primo caso si dice che il sistema, nello stato di autofunzione ψ(x, y, z, s), ha parità pari (o +), nel secondo che ha parità dispari (o −).
La parità di un corpuscolo in un determinato stato si può scindere nel prodotto della parità dell'autofunzione che descrive il suo moto orbitale, per la parità intrinseca del corpuscolo stesso. Mentre la prima è individuata semplicemente da (−1)l, dove l è il valore del corrispondente momento angolare orbitale (in unità [3]), la parità intrinseca esprime una proprietà del corpuscolo rispetto alle altre p. in quanto il suo valore è determinato purché si convenga di assumere come positiva la parità intrinseca di una p. scelta arbitrariamente, per esempio la parità del protone. In queste condizioni la parità degli altri corpuscoli può venir stabilita sperimentalmente grazie alla legge della conservazione della parità secondo la quale in tutti i processi in cui intervengono solo I.F. e I.E., la parità dello stato finale è sempre uguale alla parità dello stato iniziale. Tale legge deriva dall'ipotesi, a dire il vero estremamente plausibile, che la struttura dello spazio sia tale da non permettere di distinguere, se non con una nostra scelta arbitraria, una vite (o una terna di assi) destrorsa da una sinistrorsa.
Tuttavia, con grande sorpresa, è stato scoperto nel 1957 che le I.D. non rispettano la legge di conservazione della parità (v. simmetria, in questa Appendice).
Qui ci basti aggiungere che, una volta fissata come positiva la parità del protone, si trova che anche il neutrone ha parità intrinseca positiva, mentre certamente il pione, e molto probabilmente il kaone, hanno parità negative. Inoltre gli antifermioni hanno parità opposta a quella dei corrispondenti fermioni.
2.3. I multipletti di massa e lo spin isotopico. - I valori delle masse della tab. 1 sono stati riportati nella fig. 5 secondo uno schema del tutto simile a quello usualmente impiegato per rappresentare i livelli energetici di un atomo o di un nucleo. Nella parte a destra del diagramma gli stessi livelli (ossia nel caso presente le stesse masse) sono mostrati in una scala fortemente ingrandita.
Poiché la massa di un corpuscolo, moltiplicata per il quadrato della velocità della luce, rappresenta l'energia di quiete del corpuscolo stesso, è chiaro che esiste un'analogia non solamente formale fra lo schema della fig. 5 e gli schemi usuali dei livelli atomici. Analogamente al caso dei livelli energetici dell'atomo, una teoria soddisfacente delle p. elementari dovrebbe permettere di calcolare lo schema dei livelli (ossia delle masse) della fig. 5; da ciò siamo ancora ben lontani. Quello che si può fare è esaminare i dati sperimentali raccolti nella fig. 5 e cercare di dedurre qualche semplice conclusione di natura generale.
Ciò che colpisce immediatamente in tale figura è l'esistenza di multipletti di massa, ossia di gruppi di particelle le cui masse differiscono molto poco tra loro.
Usando la terminologia spettroscopica, possiamo esprimere questa osservazione dicendo che in natura esistono singoletti, doppietti e tripletti di massa, e che i termini di uno stesso multipletto si distinguono per il valore della carica elettrica, che, come già notato, può assumere solo i valori +1, 0, −1 (in unità [2]).
Le particelle appartenenti ad uno stesso multipletto sono considerate come diverse forme sotto cui si manifesta uno stesso corpuscolo: così per esempio il protone e il neutrone costituiscono i due stati di un doppietto che viene pensato come un unico ente, il nucleone. Analogamente il π+, il π0 e il π− oppure il Σ+, il Σ0 e il Σ− costituiscono due tripletti che chiameremo rispettivamente il π e il Σ, mentre il Λ0 costituisce un singoletto di carica nulla: il Λ.
In analogia con quanto è stato fatto nello studio dell'atomo, per interpretare la molteplicità dei corrispondenti livelli energetici, si associa a ciascun corpuscolo elementare un operatore vettoriale, detto spin isotopico I il quale gode, in uno spazio astratto (detto spazio isotopico o anche spazio di carica) di proprietà analoghe a quelle di cui gode l'operatore vettoriale s che rappresenta lo spin di un corpuscolo nello spazio ordinario. La componente z, o terza componente I3, del vettore I individua la carica elettrica dei singoli stati, ossia dei varî corpuscoli appartenenti allo stesso multipletto di massa. Per esempio, al nucleone si attribuisce lo spin isotopico ∣ I ∣ = 1/2 in modo da avere due soli valori possibili per I3:
corrispondenti rispettivamente al protone e al neutrone; al pione si attribuisce ∣ I ∣ = 1, per modo che esistono 3 soli valori possibili per I3:
corrispondenti al π+, π0 e π−.
In questo schema la carica q, in unità [2], di ciascun corpuscolo è data dalla formula
dove M è il valor medio della carica di un multipletto di massa. Nella tab. 2 sono indicati i valori di I, I3, M, per tutti i mesoni e i barioni. Si tenga presente che il concetto di spin isotopico non può venir applicato ai leptoni per ragioni che verranno chiarite fra poco.
Da quanto detto fino ad ora, potrebbe sembrare che l'introduzione del concetto di spin isotopico costituisca un puro artificio formale per rappresentare in modo comodo e sintetico l'esistenza di multipletti di massa e che in realtà esso non racchiuda alcun importante significato fisico.
L'esperienza però ha mostrato la validità della seguente legge di conservazione dello spin isotopico: in tutti i processi in cui intervengono solo interazioni forti, non solo I3 ma anche I ha nello stato finale lo stesso valore che nello stato iniziale. Questa legge di conservazione viene spesso espressa dicendo che le interazioni forti sono indipendenti dalla carica elettrica o, ciò che è lo stesso, che le interazioni forti sono invarianti rispetto a rotazioni nello spazio (astratto) dello spin isotopico. Insistiamo sul fatto che la legge sopra enunciata vale solo per le I.F., non per le I.E., le quali, ovviamente, dipendono in modo essenziale dal valore della carica. È proprio la I.E. che è responsabile della piccola separazione fra i varî termini di uno stesso multipletto di massa, i quali sarebbero degeneri ove non intervenisse la perturbazione provocata dalla I.E. stessa. Anche le I.D. non rispettano la conservazione dello spin isotopico; ne segue che per i leptoni, i quali presentano solo I.E. e I.D., il concetto di spin isotopico perde significato.
Infine ricordiamo che passando da una p. alla corrispondente antiparticella, I non cambia e I3 cambia di segno.
2.4. Il numero barionico e il numero leptonico. - Siamo ora in grado di introdurre due nuovi numeri caratteristici: il numero barionico B e il numero leptonico L, nonché due corrispondenti leggi di conservazione suggerite dall'esame sistematico del materiale empirico, oggi a disposizione, sui processi fra p. elementari. Con l'introduzione di questi numeri viene completata la descrizione già data di ciò che si intenda per p. ed antiparticelle.
Tutti i processi fino ad oggi osservati si svolgono rispettando la conservazione del numero barionico. Si attribuisca a ciascun barione, indipendentemente dalla sua natura particolare, un numero barionico pari a +1 e a ciascun antibarione un numero barionico pari a −1; si attribuisca infine un numero barionico uguale a zero a tutte le altre particelle. Allora si può affermare che in tutte le reazioni nucleari note fino ad oggi, la somma algebrica dei numeri barionici delle p. presenti nello stato finale è sempre uguale alla somma algebrica dei numeri barionici delle p. presenti nello stato iniziale.
Questo principio, che è del tutto simile al principio della conservazione della carica elettrica, limita notevolmente i processi possibili; in particolare esso garantisce la conservazione del numero di nucleoni in un qualsiasi pezzo di materia normale (in cui, cioè, non sono presenti antibarioni) e impone che la produzione di un antibarione nell'urto di due p., abbia sempre luogo in coppia, ossia insieme ad un barione.
Una legge analoga sembra valere (sebbene con assai minor sicurezza) anche per i leptoni: si attribuisca a ciascun leptone un numero leptonico pari a +1 ed a ciascun antileptone un numero leptonico pari a −1; a tutte le altre p. un numero leptonico uguale a zero. Vi sono buone indicazioni a favore di una legge di conservazione del numero leptonico secondo la quale in qualsiasi processo la somma algebrica dei numeri leptonici delle particelle presenti nello stato finale è sempre uguale alla somma algebrica dei numeri leptonici delle particelle presenti nello stato iniziale. Tale legge impone per esempio che nel processo di disintegrazione β subìto dal neutrone,
l'elettrone sia accompagnato da un antineutrino. Si noti che la enunciazione di questo principio è legata ad una decisione a proposito di quali sono i leptoni e quali gli antileptoni. Il risultato di una discussione di questo punto, che qui non riproduciamo, porta a concludere che se si prende come leptone l'elettrone negativo e come antileptone l'elettrone positivo, si deve prendere come muone il π− e come antimuone il π+; come neutrino il corpuscolo emesso nei processi radioattivi β+ e come antineutrino il corpuscolo emesso nel processo radioattivo β− dei quali il processo [14] è l'esempio fondamentale.
2.5. La stranezza S è un altro numero caratteristico di ciascun corpuscolo (v. tab. 2) il quale è legato ai numeri M e B dalla relazione
Esso è stato introdotto, indipendentemente, da Gell-Mann e da Nishijima, per superare l'apparente paradosso derivante dal confronto fra la relativamente abbondante produzione di p. strane (iperoni e mesoni pesanti) rispetto al loro debole decadimento. Secondo la teoria di questi autori, che ha ricevuto oggi molte conferme sperimentali, per tutti i processi in cui intervengono solo I. F. e I. E., vale la legge della conservazione della stranezza, per cui la somma algebrica delle stranezze dei corpuscoli presenti nello stato finale è sempre uguale alla somma algebrica delle stranezze nello stato iniziale. Con tale legge e con la definizione [15] del numero quantico S si vede subito che con processi iniziati da pioni, nucleoni e fotoni non si può mai produrre una sola p. strana, ma sempre due, o più di due, dotate di stranezze tali che la loro somma algebrica sia uguale a zero.
Così per esempio la produzione del Λ0 può avere luogo solo se accompagnata da un mesone K (K+ o K0) e la produzione del Ξ (Ξ− o Ξ0) solo se accompagnata dalla produzione di due K. Le I. D. invece non rispettano la conservazione della stranezza rendendo così possibile il decadimento della maggior parte delle particelle strane in particelle ordinarie (tab. 1). Il fatto che lo Ξ non decada in particelle ordinarie sembra indicare che nel caso delle I. D. la differenza di stranezza fra lo stato finale e lo stato iniziale debba essere nulla oppure uguale in valore assoluto a 1.
Combinando fra loro le [13] e [15] si trova
che è la relazione usualmente impiegata per esprimere la carica q in termini di I3, S e B.
Passando da una particella alla corrispondente antiparticella, sia M sia S cambiano di segno. La fig. 6 illustra graficamente l'operazione di coniugazione di carica.
Bibl.: C. Franzinetti e G. Morpurgo, Suppl. al Nuovo Cimento, 1957, n. 2; M. Gell-Mann e A. H. Rosenfeld, in Annual review of nuclear science, VII (1957), p. 407; E. Segrè, in Annual review of nuclear science, VIII (1958), p. 127; G. Morpurgo, in Annual review of nuclear science, XI (1961).