Abstract
L’istituto della non procedibilità per fatto tenue, introdotto dal d.lgs. 16.3.2015, n. 28 ha visto, in questi primi anni di applicazione, plurimi interventi giurisprudenziali, volti principalmente a chiarire i vuoti di tutela lasciati dal legislatore. Il contributo che segue, seppure analizza l’assetto normativo che regolamenta la materia, si sofferma principalmente sull’analisi delle più rilevanti pronunce, sia di merito che di legittimità.
È ormai noto che l’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto – introdotto con il decreto legislativo n. 28/2015 – miri ad attuare il cd. “diritto penale minimo”. Invero, l’art. 131 bis c.p. disciplina un istituto di diritto penale sostanziale che configura una causa di esclusione della punibilità, giustificata alla stregua dei principi di proporzione e di extrema ratio del ricorso alla sanzione penale, finalizzata ad escludere dal circuito penale fatti che, proprio in quanto bagatellari, si palesano, in concreto, non meritevoli del ricorso alla pena (sul punto Cass. pen., S.U., 25.2.2016, n. 13681, in CED Cass., n. 266593).
Nel contempo si attua una deflazione del sistema penale che può operare sin dalla fase delle indagini, avendo il legislatore previsto anche una nuova ipotesi di archiviazione per fatto tenue.
A ben vedere, in questi ultimi anni, si è assistito alla trasmigrazione nel rito ordinario di alcuni istituti già sperimentati in altri riti (minorile, ovvero davanti al giudice di pace), quali, ad esempio, la sospensione del processo con messa alla prova, con l’evidente finalità di introdurre nuovi meccanismi deflattivi e/o rieducativi per “rimediare” alla crisi del sistema penale e della pena.
Con l’introduzione dell’art. 131 bis c.p., il legislatore, pertanto, ha inteso prevedere una causa di non punibilità applicabile a tutte le condotte sanzionate con la sola pena pecuniaria o con pene detentive non superiori nel massimo a cinque anni, purché risulti particolarmente tenue l’offesa e la non abitualità del comportamento.
L’istituto in esame opera, come vedremo, sotto il controllo dell’autorità giudiziaria, posto che spetterà al giudice la determinazione finale, nonché la valutazione della sussistenza dei presupposti di proporzione e di economia processuale.
La nuova causa di non punibilità, disciplinata dall’art. 131 bis c.p., presuppone comunque la sussistenza di un fatto di reato integrato in tutti i suoi elementi che, tuttavia, viene ritenuto non punibile qualora ricorrano i requisiti enunciati dalla suddetta norma. L’istituto della particolare tenuità, pertanto, è sostanzialmente diverso rispetto al fatto tipico inoffensivo, ex art. 49, co. 2, c.p., i cui elementi non integrano né il reato, né la sussistenza di un fatto tipico.
Quanto ai profili processuali, il legislatore delegato ha introdotto la nuova ipotesi di archiviazione (art. 411, co. 1 bis, c.p.p.); il proscioglimento predibattimentale (art. 469, co. 1 bis, c.p.p.); l’efficacia di giudicato nei giudizi civili e amministrativi di danno della sentenza di non punibilità per fatto tenue pronunciata all’esito del dibattimento (art. 651 bis c.p.p.) ed infine si introduce l’iscrizione dei provvedimenti «che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale».
La disposizione, introdotta con il d.lgs. n. 28/2015, art. 1, co. 2, prevede l’esclusione della punibilità quando, in presenza di reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni (ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta alla suddetta pena detentiva), l’offesa sia di particolare tenuità in considerazione delle modalità della condotta, dell’esiguità del danno o del pericolo ed del grado della colpevolezza, valutati ai sensi dell’art. 133 c.p., co. 1; sempre che il comportamento risulti non abituale.
Preliminarmente va rilevato che l’istituto ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 28/2015, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Suprema Corte può rilevare anche di ufficio, ai sensi dell’art. 609, co. 2, c.p.p. la sussistenza delle condizioni di applicabilità del predetto istituto (ex plurimis, Cass. pen., S.U., 25.2.2016, n. 13681, in CED Cass., n. 266593).
Chiaramente la diretta applicazione della causa di non punibilità, da parte dei giudici di legittimità, implica la possibilità di riconoscerne i relativi presupposti sulla base della ricostruzione dei fatti e delle valutazioni compiute dai giudici della cognizione. Diversamente, la decisione deve essere demandata al giudice di merito, non potendo espletarsi – nel giudizio di cassazione – apprezzamenti di fatto tesi alla ricostruzione ed alla valutazione dei fatti (Cass. pen., S.U., n. 13681/2016, in Cass. pen., 2016, 2842).
Per i reati di competenza del giudice di pace, invece, non può trovare applicazione la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., soluzione, questa, imposta dalla disciplina dettata dall’art. 16 c.p.
L’art. 131 bis c.p., infatti, è applicabile esclusivamente al procedimento davanti al giudice ordinario (ex multis, Cass. pen., sez. V, 15.9.2016, n. 47518, C. cost., 24.2.2017, n. 46, in www.giurcost.org ).
La ratio sottesa a tali approdi giurisprudenziali, attiene ai molteplici profili che differenziano le fattispecie dell’art 34 d.lgs. 28.8.2000, n. 274 e dell’art. 131 bis c.p. e, nello specifico:
1) l’area dei reati suscettibili di declaratoria di improcedibilità: astrattamente illimitata per la particolare tenuità del fatto ex art. 34, poiché non sussistono limiti di pena; applicabile ai soli reati che presuppongono una pena edittale non superiore a anni cinque nell’art.131 bis c.p.
2) I presupposti applicativi: nel procedimento davanti al giudice di pace, la declaratoria di improcedibilità per la particolare tenuità del fatto implica la valutazione congiunta degli indici normativamente indicati (l’esiguità del danno o del pericolo, il grado di colpevolezza e l’occasionalità del fatto), unita alla considerazione del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento possa arrecare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute dell’interessato. Di converso, la causa di non punibilità introdotta con l’art. 131 bis c.p. fa leva su un giudizio di particolare tenuità del fatto e di non abitualità della condotta basato su «una valutazione complessa che ha ad oggetto le modalità della condotta, l’esiguità del danno e del pericolo da valutarsi ai sensi dell’art. 133 c.p., comma 1» (Cass. pen., S.U., n. 13681/2016).
Inoltre, la novella del 2015 ha poi delineato una serie di parametri di definizione negativa della particolare tenuità del fatto (art. 131 bis, co. 2, c.p.) e di definizione positiva dell’abitualità del comportamento (art. 131 bis, co. 3, c.p.), parametri che si riferiscono ad elementi ostativi alla configurabilità della causa di non punibilità in esame.
3) Il ruolo persona offesa: la disciplina di cui all’art. 34 attribuisce alla persona offesa una «facoltà inibitoria» ricollegabile alla «valutazione del legislatore circa la natura eminentemente conciliativa della giurisdizione di pace, che dà risalto peculiare alla posizione dell’offeso del reato» (Cass. pen., S.U., 16.7.2015, n. 43264).
Al contrario, l’istituto previsto dall’art. 131 bis c.p. non prevede (salvo che per la particolare ipotesi di cui all’art. 469 c.p.p.) «alcun vincolo procedurale conseguente al dissenso delle parti» (ex multis Cass. pen. sez. IV, 14.7.2015, n. 31920, in CED Cass., n. 264420).
Il diverso ruolo riconosciuto alla persona offesa rinviene il proprio fondamento giustificativo nella finalità conciliativa a cui è ispirato il d.lgs. n. 274/2000 (sul punto si rimanda a C. cost., 19.11.2004, n. 349), sicché solo il giudice di pace ha istituzionalmente il compito di favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.
Appare opportuno delineare le fattispecie di reati a cui, allo stato, è applicabile la causa di non punibilità in esame.
Sappiamo che, ai sensi del comma 4 dell’art. 131 bis c.p., il massimo edittale della pena, rilevante per delimitare l’ambito di applicazione della causa di non punibilità, deve essere individuato senza tenere conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge prevede una pena diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale. Inoltre, la causa di non punibilità in esame è da ritenersi pacificamente applicabile al delitto tentato, che costituisce una figura autonoma di reato, con una propria cornice edittale (Trib. Milano, 9.4.2015, n. 3936, in www.penalecontemporaneo.it, 21.5.2015 ; nonché Tribunale Napoli, sez. I, 20.5.2016, n. 16622).
Tuttavia, in questi primi anni di applicazione, la Cassazione ha delimitato il perimetro di applicazione dell’istituto ed appare opportuno un breve excursus delle più recenti pronunce.
1) Per quanto riguarda l’ipotesi di “reato permanente”, si è ritenuta preclusa l’applicazione della causa di non punibilità in esame, finché la permanenza non sia cessata, in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa (ex multis Cass. pen., sez. III, 8.10. 2015, n. 50215, in CED Cass., n. 265435). Tuttavia, i giudici di legittimità hanno precisato, in una sentenza edita, che il reato permanente non è ex ante riconducibile nell’alveo del comportamento abituale che preclude l’applicazione di cui all’art. 131 bis c.p., essendo, invece, doverosa un’attenta e puntuale valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell’offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza (Cass. pen., sez. III, 8.10.2015, n. 47039, in CED Cass., n. 265448).
2) La dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è invece preclusa dalla presenza di più reati legati dal vincolo del concorso formale, poiché in tale ipotesi il comportamento non è da considerarsi abituale (Cass. pen. n. 47039/2015).
3) Invece, la giurisprudenza di legittimità ha più volte escluso l’applicabilità dell’art. 131 bis c.p. in caso di reati legati dal vincolo della continuazione, e giudicati nel medesimo procedimento, poiché anche il reato continuato configura una ipotesi di comportamento abituale, ostativo al riconoscimento del beneficio (ex multis Cass. pen., sez. III, 28.5.2015, n. 29897, CED Cass., n. 264034).
4) È, invece, applicabile la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto al reato di cui all’art. 186, co. 2, lett. b), d.lgs. 30.4.1992, n. 285; infatti, le Sezioni Unite hanno stabilito che la causa di non punibilità in esame non è astrattamente incompatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza (Cass. pen., S.U., n. 13681/2016). Spetterà al giudice verificare se il fatto descritto dall’imputazione presenti rispetto alla cornice astratta un ridottissimo grado di offensività.
Oltre al limite di pena edittale, espressamente esplicitato dall’art. 131 bis c.p., sappiamo che sussistono altri presupposti applicativi, suddivisibili in tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo e il grado della colpevolezza, parametri che il giudice deve apprezzare alla stregua di una valutazione complessiva ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p.
Seppure sussistono dei comportamenti ex ante ostativi all’applicabilità dell’istituto in esame (aver agito per motivi abietti o futili; con crudeltà, anche in danno di animali; adoperato sevizie; profittando delle condizioni di minorata difesa della vittima ), la nuova normativa non si interessa della mera condotta tipica, bensì delle forme di estrinsecazione della stessa, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e – conseguentemente – il bisogno di pena.
Il doveroso apprezzamento in ordine alla gravità dell’illecito, connesso all’applicazione dell’art. 131bis c.p., impone, pertanto, di considerare se il fatto di reato abbia generato un contesto concretamente e significativamente dannoso e/o pericoloso con riguardo ai beni indicati.
Si rileva quindi che la valutazione sulla particolare tenuità del fatto richiede l’analisi e la considerazione della condotta, delle conseguenze del reato e del grado di colpevolezza, valutazioni ineliminabili nel giudizio di merito, con conseguente motivazione sul punto.
Come già esplicitato, l’ambito applicativo è definito anche da un profilo soggettivo afferente alla non abitualità del comportamento.
Su tale requisito, l’opinione giurisprudenziale ormai consolidata, confortata dal chiaro tenore della norma, è nel senso di escludere la particolare tenuità del fatto in caso di comportamenti seriali, concretizzatisi in più reati della stessa indole, eventualmente commessi anche successivamente a quello per cui si procede ed in ipotesi ancora sub iudice (Cass. pen., sez.V, 10.2.2016, n. 26813, CED Cass., n. 267262). Pertanto, ai fini del riconoscimento della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. vanno considerate congiuntamente le modalità della condotta, il grado di colpevolezza da esse desumibile, l’entità del danno o del pericolo ed altresì il carattere cd. bagatellare dello stesso autore del reato, posto che è escluso possa ritenersi la causa di non punibilità ove il comportamento risulti abituale (Cass. pen., sez. IV, 15.7.2016, n. 48758).
La nuova causa di archiviazione è disciplinata dall’art. 411, co 1-bis, c.p.p., tuttavia, le peculiarità connesse all’applicazione della causa di archiviazione in esame (che presuppone la sussistenza di un fatto penalmente rilevante e di una riconducibilità dello stesso in capo ad uno specifico soggetto) ha indotto il legislatore a prevedere un regime procedurale autonomo.
È ormai nota la procedura: il pubblico ministero, qualora ritenga che il fatto sia tenue, deve dare avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, la quale, nel termine di dieci giorni, può prendere visione degli atti e presentare opposizione. L’offeso deve essere sempre avvisato, anche qualora non abbia fatto espressa richiesta ai sensi dell’art. 408 c.p.p.
Peculiari sono, in primis, le caratteristiche che deve avere l’atto di opposizione, nel quale, a pena di inammissibilità, l’offeso deve indicare le ragioni del dissenso rispetto alla sussumibilità della condotta nell’ipotesi di cui all’art. 131 bis c.p. e non deve necessariamente le indagini suppletive e i relativi mezzi di prova, come invece richiesto dall’art. 410, co.1, c.p.p., stante la diversità tra le due ipotesi di archiviazione e le differenti ragioni poste a sostegno delle stesse (ex multis, Cass. pen., sez. IV, 22.12.2015, n. 8384, CED Cass., n. 266227).
Se l’opposizione è ammissibile, il giudice procede all’instaurazione dell’udienza camerale ai sensi dell’art. 409, co. 2, c.p.p. Dopo avere sentito le parti, può accogliere la richiesta di archiviazione, con conseguente provvedimento in tal senso, ovvero accogliere l’opposizione e restituire gli atti al p.m. per il prosieguo delle indagini, oppure la formalizzazione dell’imputazione. Va rilevato che il giudice può disporre l’archiviazione, anche senza fissare l’udienza in camera di consiglio, nel solo caso in cui ritenga (e argomenti sul punto) inammissibile l’opposizione e, nello specifico, in merito all’omessa indicazione delle ragioni del dissenso della persona offesa rispetto alla sussumibilità del fatto nell’ipotesi delineata dall’art. 131 bis c.p. (Cass. pen., sez. VI, 12.10.2016, n. 46277).
Tuttavia, qualora il p.m. formuli richiesta di archiviazione per un caso diverso da quello dettato dall’art. 131 bis c.p., il giudice non può emettere provvedimento di archiviazione per fatto tenue. Infatti, la disciplina codicistica appare predeterminare un itinerario processuale obbligato, vincolante per le parti. Pertanto, l’eventuale provvedimento di archiviazione per fatto tenue ex art. 131 bis c.p., deve essere preceduto da apposita richiesta in tal senso del pubblico ministero, richiesta che deve essere portata a conoscenza delle parti (sia dell’indagato sia della persona offesa, anche se quest’ultima non ne ha fatto, in precedenza, esplicita richiesta), in modo che, all’udienza in camera di consiglio, il contradditorio si svolga proprio su tale specifica causa di archiviazione. In caso contrario, il contraddittorio e il diritto di difesa sarebbero violati se il giudice per le indagini preliminari, applicasse, ex officio, l’art. 131 bis c.p. Deve desumersi che il provvedimento di archiviazione previsto per l’ipotesi di non punibilità della persona sottoposta alle indagini ai sensi dell’art. 131 bis c.p., è nullo se non si osservano le disposizioni processuali speciali previste dall’art. 411, co. 1-bis, c.p.p., non garantendo il necessario contraddittorio sul punto le più generali disposizioni previste dall’art. 408 c.p.p. e ss. (Cass. pen., sez. V, 7.7.2016, n. 36857).
Di converso, non sembrano sussistere cause ostative nell’ipotesi in cui il pubblico ministero formuli una richiesta di archiviazione nel rispetto del procedimento dettato dall’art. 411, co. 1-bis, c.p.p. e il giudice decida di archiviare con una delle formule di cui all’art. 409 c.p.p.
Il provvedimento di archiviazione può essere impugnato solo per ragioni procedurali, in analogia con i casi di nullità previsti dall’art. 127, co. 5, c.p.p., ovvero quando non sia stato instaurato correttamente il contraddittorio, ad esempio per mancato avviso, ex co. 1-bis dell’art. 411 c.p.p., alla persona offesa e/o all’indagato.
Il nodo critico della disciplina dell’archiviazione è dato dalla mancata previsione del consenso dell’indagato. Va rilevato, infatti, che tale ipotesi di archiviazione, a differenza delle altre, appare pregiudizievole per l’interessato in considerazione dell’iscrizione di tale provvedimento nel casellario giudiziario (art. 3, lett. f), d.P.R. 14.11.2002, n. 313).
Il d.lgs. n. 28/2015 disciplina l’ipotesi di sentenza pre-dibattimentale attraverso l’introduzione del co. 1-bis all’art. 469 c.p.p. prevedendo che «la sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l’imputato non è punibile ai sensi dell’articolo 131 bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare»; nonché con l’introduzione dell’art. 651 bis c.p.p., viene regolata l’efficacia della sentenza di proscioglimento nel giudizio civile o amministrativo di danno.
Tuttavia, il legislatore è silente relativamente all’applicabilità della tenuità del fatto ai sensi degli artt. 129, 425, 529 e 530 c.p.p.
Relativamente all’art. 469, co. 1-bis, c.p.p., erano sorte criticità, stante il silenzio normativo, sulla necessità/doverosità che il giudice sentisse le parti, nonché l’offeso se compare.
Doveroso l’intervento della giurisprudenza di legittimità, la quale, con un orientamento ormai consolidato, ha rilevato che, se il legislatore avesse inteso differenziare in qualche modo la procedura da seguire durante la fase predibattimentale, nell’applicazione della causa di non punibilità, lo avrebbe fatto espressamente o, comunque, di tale intento vi sarebbe traccia nei lavori preparatori. Invece, la relazione allegata allo schema di decreto legislativo, nel richiamare la finalità di coordinamento processuale delle disposizioni contenute nell’art. 3, si limita a precisare che la modifica all’art. 469 c.p.p. ha lo scopo di consentire alla persona offesa, sempre che compaia, di interloquire sul tema della tenuità, al pari del p.m. e dell’imputato (Cass. pen., sez. II, 11.11.2015, n. 6310).
La Cassazione ha, preliminarmente, statuito che la sentenza di non doversi procedere, prevista dall’art. 469, co. 1-bis, c.p.p., perché l’imputato non è punibile ai sensi dell’art.131 bis c.p., presume che l’imputato medesimo e il pubblico ministero non si oppongano alla declaratoria di improcedibilità, rinunciando alla verifica dibattimentale.
Le parti potrebbero infatti avere interesse ad un diverso esito del procedimento. L’imputato potrebbe mirare all’assoluzione nel merito o ad una diversa formula di proscioglimento, considerando che la dichiarazione di non punibilità per particolare tenuità del fatto comporta, quale conseguenza, l’iscrizione del relativo procedimento nel casellario giudiziale.
La persona offesa, inoltre, seppure non ha alcun potere di veto, deve essere comunque messa in condizione di scegliere se comparire ed interloquire sulla questione della tenuità. Pertanto deve ricevere avviso della fissazione dell’udienza in camera di consiglio, con l’espresso riferimento alla specifica procedura dell’art. 469, co. 1-bis, c.p.p., non potendovi sopperire la notifica del decreto di citazione a giudizio, effettuata quando tale particolare esito del procedimento non è neppure prevedibile (Cass. pen., sez. V, 12.10.2016, n. 51734).
In conclusione la “non-opposizione” del pubblico ministero e dell’imputato costituisce presupposto necessario anche per la sentenza emessa ex art. 469, co. 1-bis, c.p.p., e l’offeso deve essere messo in grado di partecipare alla camera di consiglio, per esporre le proprie considerazione nella pienezza dell’esercizio di un completo contraddittorio.
Ne deriva, come logico corollario, che, per conseguire tale finalità, è indispensabile che alla vittima sia dato l’avviso della data d’udienza. Il mancato avviso alla persona offesa genera una nullità a regime intermedio giacché attiene ai presupposti della “vocatio in iudicium”. Tale nullità si verifica nella fase degli atti preliminari al dibattimento, pertanto, a norma dell’art. 180 c.p.p., deve essere dedotta o rilevata d’ufficio prima della deliberazione della sentenza del grado successivo (Cass. pen. n. 6310/2015).
Seppure la novella nulla dispone in ordine all’applicabilità della causa di non punibilità in sede di udienza preliminare, va rilevato che l’espresso richiamo nell’art. 425 c.p.p. dell’art. 131 bis c.p. sarebbe superfluo, in quanto, quest’ultima norma espressamente prevede che il giudice possa pronunziare sentenza di non doversi procedere anche quando l’imputato è persona «non punibile per qualsiasi causa». Pertanto, con l’introduzione dell’art. 131 bis c.p. tra le cause di non punibilità, si può ritenere che la suddetta norma rientri ex se nell’ampia previsione di applicabilità di detto istituto giuridico in sede di udienza preliminare (Cass. pen., sez. V, 12.2.2016, n. 21409).
Viene da chiedersi se, in sede di udienza preliminare, ai fini dell’applicabilità dell’art. 131 bis c.p., sia necessaria la non opposizione delle parti, mentre appare doverosa l’audizione delle stesse, nonché della persona offesa se compare. Invero, l’interesse dell’imputato alternativo ad una dichiarazione di non procedibilità per fatto tenue è dato dalla volontà di dimostrare la propria estraneità in sede dibattimentale.
Pertanto, qualora il fatto appare tenue, sembrerebbe doveroso estendere il principio di diritto già sancito in ordine alla necessaria “non opposizione delle parti”, quale presupposto per la sentenza emessa ex art. 469, co. 1-bis, c.p.p., anche all’ipotesi di sentenza ex art. 425 c.p.p.
La formula assolutoria della particolare irrilevanza del fatto non sembra produrre problemi interpretativi. Il giudice si pronuncia in tal senso all’esito del dibattimento e, tale decisione è consentita dall’art. 530, co. 1 e 3, c.p.p., pur senza l’esplicito rimando all’art. 131 bis c.p.
In tale ipotesi, tuttavia, l’istituto non svolge alcuna funzione deflattiva.
Sebbene l’art. 129 c.p.p. non richiami espressamente l’ipotesi in cui sussistano cause di non punibilità per tenuità del fatto, può ritenersi ammessa la rilevabilità di queste con sentenza di proscioglimento ai sensi della suddetta norma.
Ne discende la rilevabilità d’ufficio da parte del giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta ex art. 444 c.p.p.; nonché la rilevabilità d’ufficio in qualsiasi fase del giudizio, salva l’eventuale formazione del giudicato, anche implicito, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità (Cass. pen., sez. III. 28.4.2016, n. 6870).
Giova segnalare anche il recente approdo giurisprudenziale ove si sancisce la rilevabilità anche in sede di legittimità, purché il ricorso non sia originariamente inammissibile (Cass. pen., S.U., n. 13681/2016, in Foro it. 2016, 7-8, II, 412).
Art. 131 bis c.p.; artt. 411, co. 1-bis, 469, co. 1-bis e 651 bis c.p.p.
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