Partiti e movimenti di sinistra
«Perciò rivolgiamo questo appello alle donne e agli uomini che vogliono operare per la giustizia per un ritorno alla politica. Proponiamo pertanto di promuovere con il nome di Sinistra Cristiana una rete di Gruppi, di aggregazioni e di servizi “per la Costituzione, la laicità e la pace”: cioè per l’unità degli uomini nella giustizia e nel diritto, per la responsabilità comune di “credenti” e “non credenti”, per la crescita del mondo. Dire Sinistra Cristiana non significa qui riferirsi alla pur positiva esperienza che ebbe questo nome dal 1938 al 1945, né crearne oggi una nuova, ma fare appello a quella Sinistra Cristiana che è già nel Paese ed è nascosta nel fondo di molti di noi. Ciò comporta una scelta di campo di sinistra, cosa che in un’Italia drasticamente divisa in due sole parti politiche non significa più sposare una determinata ideologia […]. Il nome di Sinistra Cristiana, poi, non comporta un’identificazione confessionale, che in nessun modo può confondersi con una divisa politica, ma intende alludere ad un mondo di valori, tutti negoziabili, ossia non imposti, purché prevalgano l’amore e la libertà, vuole indicare come discriminante il principio di eguaglianza e, nel conflitto, significa fare la scelta dei poveri, delle vittime e degli esclusi. Si tratta dunque di un nome nuovo che si riferisce tuttavia ad una ricca e variegata tradizione di impegno politico che va da Murri a Sturzo a Dossetti, dai cristiani della Resistenza ai “professorini” della Costituente, da Rodano a Ossicini a Gozzini, dalla cruenta testimonianza di Moro a quella della salvadoregna Marianella Garcia Villas, che hanno attraversato il Novecento italiano».
I brani riportati costituiscono il contenuto di un manifesto, pubblicato il 10 luglio 2008, per la ricostituzione in Italia di una nuova Sinistra cristiana, che prevedeva un incontro nazionale a Roma per il lancio del progetto. Animatore dell’iniziativa è Raniero La Valle e tra i primi firmatari vi sono Adriano Ossicini1 e Giovanni Galloni, ex dirigenti di spicco della Sinistra cristiana, della Sinistra democristiana2 e della Sinistra indipendente, nonché figure emblematiche del dissenso cattolico, come Giovanni Franzoni ed esponenti dell’universo frastagliato del nuovo associazionismo della società civile, come Rita Borsellino.
Il progetto non decolla e il suo animatore e portavoce, Raniero La Valle, nelle elezioni europee dell’anno successivo, candidato nella circoscrizione Centro Italia dalla lista Rifondazione-Comunisti italiani-Socialismo 2000-Consumatori uniti, per il mancato superamento dello sbarramento del 4% non viene eletto.
Negli ultimi due decenni un secondo movimento, con connotazione precipuamente politica e, in questo caso, anche con presenza parlamentare, è costituito dal movimento dei cristiano-sociali, che si forma nel 1993 per offrire una presenza organizzata al cattolicesimo democratico e sociale nell’allora schieramento dei progressisti. Il movimento s’ispira «ai principi etico-politici di democrazia, solidarietà, libertà ed uguaglianza sanciti dalla Costituzione». Fra i padri fondatori figurano l’ex leader sindacale Pierre Carniti e l’economista Ermanno Gorrieri3. Nel 1998, in occasione degli Stati generali della sinistra a Firenze, essi hanno contribuito alla fondazione, insieme con il Partito democratico della sinistra, i Comunisti unitari, La Sinistra repubblicana e i Laburisti, dei Democratici di sinistra.
Nel marzo 2003, alla settima assemblea nazionale, tenuta a Chianciano, è stato eletto coordinatore nazionale Mimmo Lucà. Il movimento è membro dell’International League of Religious Socialists. Costituito nella forma giuridica di associazione, si configura come un movimento politico nazionale su base federale di donne e di uomini, s’ispira al personalismo comunitario e ai principi etico-politici di democrazia, solidarietà, libertà e uguaglianza sanciti dalla Costituzione repubblicana. Si propone di dar voce e peso politico al patrimonio d’idee, sensibilità ed esperienze di cristiani, credenti di altra confessione religiosa e comunque di quanti, impegnati nel sociale, ne condividono gli ideali ispiratori. I cristiano-sociali, fautori della democrazia dell’alternanza e del progetto dell’Ulivo, nel 2007 hanno contribuito alla fondazione del Partito democratico. Il movimento annovera al presente circa 5.500 iscritti, presenti in tutte le regioni italiane. Conta tre deputati e tre senatori, quattro consiglieri regionali e oltre 200 fra consiglieri provinciali e comunali.
Il terzo soggetto degli ultimi due decenni della storia politica italiana, riconducibile, nella sua ispirazione di fondo all’universo della sinistra cristiana, è costituito da La Rete, fondata nel 1991 da Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, entrato in polemica e in rottura con la Democrazia cristiana, specialmente sulla questione della lotta alla mafia. Con la collaborazione di Carmine Mancuso, Nando Dalla Chiesa, Diego Novelli, Alfredo Galasso, Orlando ottiene la convergenza di gruppi di varia estrazione, di diverse regioni (anche se la Sicilia continua a essere il suo vero punto di radicamento), portatori di un programma di difesa della democrazia e delle istituzioni e di valorizzazione delle spinte della società civile. Dal 1994 al 1999 Orlando è parlamentare europeo. La Rete si scioglie e confluisce nei Democratici di Romano Prodi e poi nella Margherita, anche se, successivamente, il suo irrequieto fondatore aderisce all’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, divenendone parlamentare e portavoce.
La vicenda dei partiti e dei movimenti inscrivibili nell’alveo della sinistra cristiana, presa sommariamente in esame per gli ultimi due decenni, ha i suoi primi sviluppi in Italia negli anni del primo dopoguerra, nel contesto del definitivo superamento del non expedit e del coinvolgimento pieno dei cattolici nelle dinamiche e nelle lotte sociali e politiche4. L’esperienza di Guido Miglioli, animatore e dirigente di organizzazioni contadine della Bassa padana, con epicentro nel cremonese, ma anche deputato cattolico al Parlamento dalle elezioni del 1913, è esemplare anche per la compresenza nella sua azione (il settimanale da lui fondato, nel 1905, portavoce delle tendenze di sinistra nel movimento sociale cristiano, s’intitola appunto «L’Azione») di radicalismo evangelico, non scevro da suggestioni moderniste; di attenzione non paternalistica, ma partecipata alla causa dell’emancipazione dei contadini non proprietari, per quanto concerne sia le loro condizioni salariali e lavorative che l’accesso alla proprietà con la riforma agraria e/o la gestione delle aziende agricole con i consigli di cascina; di netta opposizione alla guerra, quella di Libia del 1911 prima, la Grande guerra del 1915-1918 poi5.
L’esperienza migliolina è emblematica anche perché si configura, dopo la sua adesione al Partito popolare italiano, come una ‘corrente’ di sinistra, i cui aderenti sono definiti e si autodefiniscono ‘estremisti’, percepiti a lungo, anche a distanza dalla memoria collettiva, come teorici e sostenitori di un ‘bolscevismo bianco’. Da un lato la corrente migliolina si prefigge di conquistare la maggioranza all’interno del partito, ed è quanto si tenta di fare al congresso di Napoli del 1920 con punti programmatici precisi, come l’espropriazione delle grandi proprietà e la loro distribuzione in lotti ai contadini senza terra e la proposta di un’alleanza politico-parlamentare con i socialisti. Dall’altro, essa si struttura in un’organizzazione autonoma, i Gruppi d’avanguardia, nella cui direzione si distinguono Romano Cocchi e Giuseppe Speranzini, entrambi ex seminaristi, di grandi doti organizzative e propagandistiche. Su di essi si concentra la diffidenza e l’ostilità della maggioranza moderata del Partito popolare e delle autorità ecclesiastiche locali. Romano Cocchi, ad esempio, nonostante la sinistra a Bergamo abbia la maggioranza all’interno del Partito popolare, su pressione del vescovo è allontanato dalla segreteria dell’Ufficio del lavoro e poi espulso dalla Confederazione italiana lavoratori (Cil). A quasi un anno di distanza, nel marzo del 1921 è espulso anche dal partito per il suo progetto di dare un’articolazione nazionale alla frazione Gruppi d’avanguardia, e di ottenere la copertura di Miglioli. Sul terreno sindacale Cocchi, dopo l’espulsione dalla Cil, sempre insieme a Speranzini, che a Verona aveva dato vita a una combattiva rivista, «Conquista popolare», fonda un’autonoma organizzazione, l’Unione del lavoro, molto diffusa e combattiva nelle campagne e nelle fabbriche tessili della provincia di Bergamo. Sul terreno politico, invece, Cocchi e Speranzini, espulsi dal partito, vanno incontro a una rapida marginalizzazione. Fondano il Partito cristiano del lavoro che presenta proprie liste nei collegi di Bergamo-Brescia e Verona-Vicenza, raccogliendo solo 8.700 voti senza alcun eletto.
L’Unione del lavoro confluisce nella Confederazione generale del lavoro (Cgl) e Cocchi s’iscrive al Partito socialista, collocandosi nella frazione terzinternazionalista di Giacinto Menotti Serrati, collaborando attivamente alla rivista «Pagine rosse», introducendo per la prima volta tra i socialisti la tematica, tipica della sua esperienza politica e sindacale, dell’alleanza tra le masse popolari cattoliche e socialiste6. Nel 1924, poi, Cocchi aderisce al Partito comunista, occupandosi di politica agraria. Dopo un arresto, esule in Francia, lavora nell’emigrazione italiana. Dopo essere stato, in continuità con i suoi trascorsi migliolini, sostenitore della politica dei fronti popolari, per aver criticato pubblicamente il patto Molotov-Ribbentrop è espulso dal Partito comunista. Impegnato nella resistenza in Francia, nel 1943 è arrestato dai tedeschi e deportato nel campo di concentramento di Buchenwald: conclusione tragica d’un percorso biografico esemplare.
Guido Miglioli, negli anni dell’avvento e del consolidamento del fascismo, durante i quali subisce in prima persona la violenza fascista, particolarmente dura nella sua Cremona controllata dal ras Roberto Farinacci, pur continuando a propugnare un fronte unico dei lavoratori per resistere all’offensiva fascista (ma un accordo in tal senso raggiunto nel cremonese è sconfessato sia dalla direzione del Partito popolare che da quella del Partito socialista), è impegnato nel proposito di contrastare dall’interno la scelta della maggioranza popolare di entrare nel nuovo governo di Benito Mussolini dopo la marcia su Roma. Nel 1922 fonda a Milano insieme a Francesco Luigi Ferrari, che ne è il direttore effettivo, il settimanale «Il Domani d’Italia», che diventa l’organo della sinistra popolare. La posizione che è indicata al partito è quella di un’aperta caratterizzazione democratico-cristiana e di una ferma opposizione al fascismo, da condurre in collaborazione con le altre forze democratiche. Anche Miglioli, come prima Cocchi e Speranzini, arriva alla rottura con la direzione popolare: per le elezioni del 1924 non è più candidato nelle liste del Ppi e nel gennaio 1925 dopo la sua aspra critica alla scelta aventiniana e ancor più dopo la sua intervista al quotidiano comunista «L’Unità», nel dicembre 1924, in cui si sostiene la necessità dell’unità sindacale quale premessa e strumento dell’unità di classe finalizzata alla conquista del potere, è espulso dal partito. Continua, tuttavia, a mantenere dei rapporti con gruppi cattolici antifascisti, come quello torinese legato alla rivista «Il Lavoratore» di Giuseppe Rapelli. Interloquisce e collabora, frattanto, con i comunisti e segnatamente con Antonio Gramsci, Ruggero Greco, Giuseppe Di Vittorio, per il cui tramite si reca per la prima volta in Unione Sovietica per svolgere un’inchiesta, su invito dell’Internazionale contadina, il Krestintern, sulla realtà delle campagne russe dopo la Rivoluzione d’ottobre. La sua attività, che si svolge, dopo l’espatrio definitivo dall’Italia nel 1926, prevalentemente in Francia e in Germania, è fatta di conferenze, inchieste, pubblicazioni, anche in lingua straniera (tra queste Le village sovietique del 1927, Der Faschismus und die Bauernbewegung del 1930, La collectivisation des campagnes soviétiques del 1934), sempre in stretta, sia pure talvolta diffidente, collaborazione con il Partito comunista.
Nel corso degli anni Trenta Miglioli acquisisce una notorietà internazionale, come esponente autorevole non solo del Krestintern, ma anche del Rassemblement universel pour la paix, fondato nel 1935 al fine di mobilitare la pubblica opinione internazionale a favore dell’azione della Società delle nazioni a sostegno dell’Etiopia aggredita e occupata dall’Italia fascista, che ebbe adesioni in ambienti politico-culturali molto differenziati, dal conservatore inglese Robert Viscount Cecil of Chelwood al socialista radicale francese, ministro del governo del Fronte popolare, Pierre Cot.
In Francia, nel periodo fra le due guerre, hanno connotazione indubbiamente di sinistra, ‘progressista’, per usare un aggettivo che nasce proprio allora, una serie di gruppi che si formano attorno a riviste come «L’Aube», «La vie intellectuelle», «Sept», «Esprit», cui collaborano intellettuali quali Georges Bernanos, François Mauriac, Emmanuel Mounier, Jacques Maritain e teologi del calibro di Marie-Dominique Chenu e Yves-Marie Congar, ma anche attorno a singoli parlamentari democratico-cristiani, o dentro la Confédération française des travailleurs chrétiens (Cftc) e la Jeunesse ouvrière catholique (Joc), o ancora attorno al mensile «Terre nouvelle» e i cristiani rivoluzionari di Maurice Laudrain, che aderiscono al Fronte popolare. Nella vicina Gran Bretagna opera la Christian Left, che nasce alla fine degli anni Trenta a seguito di un processo di politicizzazione e radicalizzazione a sinistra della Socialist Christian League: fanno a essa riferimento, fra gli altri, il decano ‘rosso’ di Canterbury, Hewlett Johnson, il teologo americano Reinhold Niebuhr e lo storico Richard Tawney, consigliere economico del governo laburista di James Ramsay Mac-Donald, autore del libro La religione e la genesi del capitalismo, pubblicato nel 1926 e tradotto in molte lingue7.
Nel 1937 il comunismo è nuovamente e irrevocabilmente condannato con durezza estrema, per la sua dottrina atea e materialistica e per la sua politica persecutoria anticattolica in Russia, Spagna e Messico, con l’enciclica Divini Redemptoris, pubblicata a distanza di alcuni giorni dalla Mit brennender Sorge, che prendeva di mira invece il «paganesimo nazista»8. Il riferimento è ormai non al generico socialismo, ma specificamente al comunismo, che si è incarnato in uno Stato potente. Il suo «[...] pseudoideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro pervade tutta la sua dottrina e tutta la sua attività di un certo falso misticismo, che alle folle adescate da fallaci promesse comunica uno slancio e un entusiasmo contagioso, specialmente in un tempo in cui da una difettosa distribuzione delle cose di questo mondo risulta una miseria non consueta [...]» (Lettera enciclica Divini Redemptoris, n. 8).
Pseudoideale e Stato che lo incarna, che, mentre l’intero Occidente capitalistico sconta ancora gli effetti della grande crisi del 1929, si possono vantare d’esser «iniziator[i] di un certo progresso economico […] con l’intensificare la produzione industriale in paesi che ne erano quasi privi» (ibidem). Alla pratica consolidata e istituzionalizzata degli strumenti di dominio e di controllo, all’abilità nello stimolare e nell’organizzare consensi ideali e coinvolgimenti emotivi e ideali, si è aggiunta la dimostrazione concreta di saper rispondere con la pianificazione alla crisi del mercato autoregolato. È emblematico che l’ultimo paragrafo della Divini Redemptoris, che, fino alla Pacem in Terris di Giovanni XXIII, del 1963, sarà il testo dottrinario di riferimento obbligato sulla questione del rapporto cristianesimo-socialismo, abbia come titolo Premunirsi contro le insidie del comunismo. Tra queste: l’accreditarsi dei dirigenti comunisti come i «più zelanti fautori e propagatori del movimento per la pace mondiale» e la promessa che «il comunismo in paesi di maggior fede o di maggior cultura assumerà un altro aspetto più mite, non impedirà il culto religioso e rispetterà la libertà di coscienza» (lettera enciclica Divini Redemptoris, n. 57).
Nel corso della Seconda guerra mondiale, nel quadro della grande alleanza antifascista e della resistenza unitaria di forze politiche e correnti ideali differenti e convergenti contro l’occupazione tedesca, le sinistre cristiane trovano un fertile terreno di sviluppo e sperimentazione, anche perché l’Unione Sovietica non solo resiste e poi contrattacca vittoriosamente all’aggressione nazista, ma sa anche reagire, sul piano politico e propagandistico, alla crociata antibolscevica, raccogliendo i frutti della strategia della main tendue verso i cattolici, lanciata dal Partito comunista francese di Maurice Thorez nel 1936.
Lo studioso tedesco Gerd-Rainer Horn – curatore del volume Left Catholicism 1943-1955. Catholics and Society in Western Europe at the Point of Liberation – ha suggerito l’ipotesi interpretativa che nel secondo dopoguerra, quanto meno nel primo decennio, occorra tener conto congiuntamente di tre fenomeni interconnessi: impegno politico, riflessione teologica e zelo pastorale9. Lo studioso francese Yvon Tranvouez, che dell’esperienza del Catholicisme de gauche et progressisme chrétien, come da sua definizione, è stato anche testimone e protagonista, ha osservato che queste esperienze d’avanguardia, in paesi come la Francia, il Belgio e l’Italia, in comune hanno quanto meno «l’inquiétude, la vigilance, la réprobation, voire la sanction qu’elles se sont attirées de la part de la hiérarchie catholique»10.
Nel caso italiano, dei tre fenomeni indicati da Horn non ha particolare rilevanza quello della riflessione teologica, non manifestandosi un pensiero come quello di Charles Péguy o di Marie-Dominique Chenu – pur conosciuti e apprezzati in diversi ambienti politico-sindacali ed ecclesiali del nostro paese – sulla centralità dell’incarnazione nel cammino di salvezza dell’uomo e del lavoro come luogo teologico, del Vangelo vissuto nel tempo, che partecipa al suo svolgimento storico imprimendogli un senso. L’impegno politico è indubbiamente la dimensione preponderante, sia nei momenti in cui si hanno esperienze di partiti e movimenti di sinistra cristiana, sia in quelli, più numerosi, in cui si ha il fenomeno, per riprendere il titolo di un libro della metà degli anni Settanta, dei Cristiani nella sinistra. Un dato peculiare del caso italiano, perdurante nel tempo e di indubbio condizionamento, è la presenza e l’influenza, fino agli anni Novanta, del più forte e innovativo partito comunista d’Occidente da un lato e, dall’altro, della Democrazia cristiana, «partito di centro che guarda a sinistra», secondo la magistrale definizione di Alcide De Gasperi, ma anche e soprattutto, «partito italiano», per usare una categoria interpretativa di Agostino Giovagnoli11, pluridecennale detentore della guida del governo e vero perno del sistema politico12.
L’esperienza più significativa è senza dubbio, in Italia, quella del Movimento dei cattolici comunisti e del Partito della sinistra cristiana13, che ebbero in Franco Rodano, Felice Balbo, Fedele d’Amico e Adriano Ossicini i loro leader più importanti14. I Cattolici comunisti svilupparono una significativa presenza nella Resistenza, specialmente a Roma, Milano e Torino, e diedero un contributo d’elaborazione teorica d’indubbia originalità e di grande spessore. Dopo lo scioglimento del Partito della sinistra cristiana, attuato per non incorrere in pubbliche e insostenibili condanne della gerarchia ecclesiastica, ma anche per contribuire, dall’interno, alla costruzione del ‘partito nuovo’ di Palmiro Togliatti, essi diedero un rilevante contributo come dirigenti politici (Marisa Rodano, Luciano Barca, Giglia Tedesco, Tonino Tatò) o come intellettuali esterni (Franco Rodano e, per un certo periodo, Giorgio Ceriani Sebregondi e Felice Balbo) alla strategia della via italiana al socialismo e del compromesso storico15. Rodano, in particolare, con le riviste cui collabora e con quelle che fonda e anima, come «Lo Spettatore italiano», «Il Dibattito politico», «La Rivista trimestrale», non solo costituisce un punto di riferimento politico per settori importanti dell’intellettualità cattolica democratica, ma offre un contributo importante all’analisi della società opulenta e della laicità della politica.
Della Sinistra cristiana è necessario quantomeno ripercorrere le diverse fasi. La prima, preparatoria, è quella più lunga, perché va dal 1936-1937 al luglio 1943 e comprende tre diverse esperienze politiche e organizzative: il Movimento dei cattolici antifascisti (o cattolici di sinistra: dal 1936 al 1939), il Movimento (o Partito) dei cooperativisti sinarchici (dal 1939 al 1941), il Partito comunista cristiano (dal 1941 al 1943).
Cattolici antifascisti è la denominazione generica, ma allo stesso tempo indicativa per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti del regime, che il nucleo originario della Sinistra cristiana assume. Il gruppo, formato da studenti liceali per lo più dell’Apollinare (Paolo Pecoraro, Adriano Ossicini, Amedeo Coccia, Filippo Massimi) e collegato per formazione e per legami parentali all’esperienza della sinistra popolare, nasce come espressione di «sdegno, protesta prima di tutto morale contro il fascismo, la più nefanda oppressione dell’uomo; contro un’alleanza folle; contro una guerra delittuosa»16. Il programma politico dei cattolici antifascisti può essere così riassunto: abbattere il fascismo passando dalla protesta morale alla lotta clandestina; riscattare le compromissioni e le corresponsabilità dei cattolici con il regime utilizzando l’Azione cattolica come organismo di massa in cui educare i cattolici all’antifascismo; costituire un movimento di sinistra cristiana che, pur non rompendo completamente con l’eredità del Ppi, elimini l’equivoco dell’unità politica di tutti i cattolici.
Questa problematica viene superata in seguito dall’incontro e dall’unificazione dei giovani cattolici antifascisti con un altro gruppo di studenti (Franco Rodano, Romualdo Chiesa, Marisa Cinciari, Laura Garroni), tutti del Liceo Visconti, che, sia pure in termini più culturali e ideologizzanti, matura negli stessi anni una coscienza e un impegno antifascista. La stessa nuova denominazione che i due gruppi si danno è indicativa del tipo di evoluzione politica e culturale. A differenza dei ‘cattolici antifascisti’ il nuovo gruppo, in cui Rodano comincia ad avere un ruolo determinante, si vuole caratterizzare, al di là e più che per l’impegno antifascista, che non viene mai messo in discussione, per il contenuto sociale ed economico. L’antifascismo stesso è finalizzato, oltre che alla soddisfazione di un’esigenza morale e religiosa, all’individuazione delle forze sociali (classe operaia) e politiche (Partito comunista) capaci di abbattere il fascismo e di impedirne ogni rinascita, eliminando alla radice i meccanismi economici e strutturali che ne hanno reso possibile e quasi naturale l’ascesa. In tal modo non solo si esce dalle secche ‘attendiste’, nelle quali, in campo cattolico, persino il Movimento guelfo di Piero Malvestiti si era arenato, ma ci si pone in una visuale ‘postfascista’. Se il fine immediato e quasi tattico è, infatti, l’abbattimento del fascismo, l’obiettivo strategico è la costruzione di una società cooperativista e sinarchica a potere proletario, cioè con gestione sociale dei mezzi di produzione, radicalmente e sostanzialmente diversa rispetto a quella liberal-borghese prefascista. Consequenziale, date queste premesse, è la successiva trasformazione del Movimento cooperativista sinarchico in Partito comunista cristiano. La scelta della nuova denominazione, come sempre pregna di significato, data la matrice studentesco-intellettuale, rappresenta, sul piano teorico, il superamento delle tradizionali riserve cattoliche nei confronti del collettivismo marxista e della dittatura del proletariato; sul piano politico il riconoscimento nel Partito comunista, a livello nazionale, e nell’Unione Sovietica, a livello mondiale, delle forze egemoniche e trainanti della lotta antifascista e della rivoluzione socialista. Sul piano organizzativo si ha l’estensione del lavoro di agitazione e propaganda politica e di proselitismo dagli ambienti studenteschi a quelli operai-popolari, e la scelta del partito strutturato in cellule e l’inizio di una comune organica e metodica attività cospirativa con i comunisti a Roma soprattutto, ma anche in Emilia, nelle Marche, in Umbria e negli Abruzzi.
Questa prima fase si conclude nel maggio 1943 con l’arresto di oltre 40 comunisti cristiani che coinvolge l’intero gruppo dirigente e numerosissimi quadri operai. Segue una breve parentesi (la Sinistra giovanile cattolica, luglio-agosto 1943) interlocutoria e di attesa, imposta dalla prospettiva, pur nell’incerta situazione politica, di uscire dalla clandestinità e di operare a livello di forze di governo, e soprattutto dalla comparsa sulla scena politica della Democrazia cristiana. Si preferisce infatti, evitando ogni rottura e ogni settarismo, porsi come elemento centralizzatore del dialogo fra il mondo cattolico e il movimento operaio. Questo disegno fallisce di fronte al precipitare degli avvenimenti dopo l’8 settembre e al rifiuto della Dc di impegnarsi nella resistenza armata antitedesca; il recupero della propria piena e distinta autonomia sul piano politico come su quello organizzativo con l’assunzione della nuova denominazione di Movimento dei cattolici comunisti (Mcc), se per l’immediato significa principalmente rifiuto delle direttive di ‘attesa’ come precedentemente si erano rifiutate quelle di pura resistenza morale, e impegno nella lotta armata, a fianco della forza politica che più decisamente e soprattutto più conseguentemente porta avanti la lotta antifascista, comporta anche la necessità di trarre sul piano politico e ideologico tutte le conseguenze delle precedenti esperienze.
Questa fase della Sinistra cristiana, che dura quasi un anno esatto (8-9 settembre 1943 - 3 settembre 1944) e che corrisponde al periodo dell’occupazione tedesca della capitale, si caratterizza per la presenza nella resistenza romana e per l’elaborazione politico-ideologica17. Per quanto riguarda il primo punto è sufficiente ricordare che la partecipazione alla lotta armata è per i cattolici comunisti la conclusione più attesa per la loro lunga esperienza antifascista e lo sbocco della linea politica portata avanti; dato, inoltre, il ruolo di testimonianza che essi si sono assunti per l’intero mondo cattolico di fronte ai militanti dei partiti di sinistra, di quello comunista in particolare, l’impegno nella Resistenza è fortemente e costantemente stimolato dal desiderio e dall’ambizione di controbilanciare e riscattare con la propria coraggiosa presenza la posizione attendista di quello che veniva considerato quasi il partito ufficiale dei cattolici e della stessa Azione cattolica. Per quanto riguarda l’elaborazione politico-ideologica, i punti basilari sono la distinzione fra religione e politica e l’individuazione nella concezione marxiana del materialismo storico della teoria scientifica della rivoluzione.
I due punti, benché il secondo sia un’acquisizione posteriore rispetto al primo, sono strettamente connessi. La distinzione fra religione e politica comporta per i cattolici comunisti, in primo luogo, il rifiuto di tutte le posizioni politiche e sociali cattoliche che fanno dedurre un programma e una linea d’azione da una concezione specificamente religiosa del mondo e dell’uomo. Di qui la critica di tutte le esperienze politiche cattoliche precedenti e la rottura con la Democrazia cristiana. La distinzione fra religione e politica si identifica e si risolve nella ricerca, definizione e realizzazione della politica ‘vera’ cioè corretta, storicamente efficace e scientifica, che per i cattolici comunisti coincide con quella risultante dalle indicazioni e dalle conclusioni del materialismo storico, e nella specifica situazione italiana con la politica portata avanti dal Partito comunista. La separazione che si fa all’interno del pensiero marxiano, fra materialismo storico, inteso nel senso di metodologia politica, di strumento di interpretazione storica e di analisi della realtà sociale, e materialismo dialettico, visto come visione complessiva del mondo atea e deterministica, per quanto possa sembrare un artificio logico per conciliare la propria fede religiosa con l’accettazione del marxismo, si fonda sulla convinzione che il materialismo dialettico sia, oltre che non indispensabile, dannoso per lo sviluppo di una corretta e incisiva politica rivoluzionaria.
L’organizzazione autonoma in ‘movimento’ è per i cattolici comunisti contingente e straordinaria, giustificata, cioè, dalla particolare realtà e dalle peculiari caratteristiche del movimento popolare, e finalizzata al raggiungimento di due tipi di obiettivi. Il Movimento dei cattolici comunisti si prefigge in primo luogo, rompendo il monopolio del Partito democristiano, di sfatare la profonda e diffusa credenza che i cattolici in quanto tali siano portatori di una specifica politica e debbano quindi essere rappresentati da un partito, ed eliminare l’opinione conseguente che la religione e la Chiesa siano asservite a un determinato partito. In secondo luogo il Movimento dei cattolici comunisti, dal momento che porta avanti con convinzione e coerenza la politica del Pci, rifiutandone però, data la propria dichiarata fede cattolica, la Weltanschauung atea e materialistica, ritiene di poter portare consistenti masse operaie e popolari cattoliche su un avanzato schieramento di classe, contribuendo a eliminare i pregiudizi anticlericali e antireligiosi da una parte e le remore anticomuniste dall’altra18.
La traduzione in termini politici e organizzativi di questo programma è il compito che i Cattolici comunisti si pongono nella terza fase della Sinistra cristiana, quella conclusiva, dalla liberazione di Roma alla formazione del primo governo De Gasperi. È la fase indubbiamente più importante e contemporaneamente contraddittoria nell’esperienza della Sinistra cristiana, in cui, nonostante i successi politici e organizzativi, anche per le ripetute, dure diffide e condanne dell’autorità ecclesiastica – come testimonia l’articolo comparso su «L’Osservatore romano», subito dopo la liberazione di Roma, il 23 giugno 1944, dal significativo titolo Non conciliare l’inconciliabile – vengono a maturare le condizioni oggettive e soggettive della decisione dello scioglimento, approvata in un congresso che si tenne nell’aula magna del Liceo Visconti a Roma, con una presenza preponderante dei delegati delle tre federazioni più forti: quelle di Roma, Milano e Torino. Una decisione non condivisa da dirigenti come Adriano Ossicini, Pio Montesi e Fedele D’Amico, ma fortemente voluta da Franco Rodano, Mario Motta, Felice Balbo, che viene presentata come un atto di coraggio e una scommessa sulle capacità di direzione e di egemonia politica, intellettuale e morale della classe operaia e delle sue organizzazioni politiche, sindacali e sociali da un lato e, dall’altro, sulla possibilità di crescita e di maturazione laica e democratica del mondo cattolico.
Il settimanale del partito, «Voce operaia», il cui primo numero era uscito clandestino il 4 ottobre del 1943, prontamente e orgogliosamente diffuso dai militanti cattolici comunisti il giorno della liberazione di Roma, il 4 giugno del 1944, in un numero straordinario, uscito il 13 dicembre del 1945, titola a tutta pagina: Sui fronti di lotta della classe operaia continuiamo la nostra azione di cattolici e di democratici19.
Una seconda formazione politica di sinistra, d’ispirazione cristiana, si viene a formare, sempre a Roma, per iniziativa precipua di Gerardo Bruni e di Anna Maria Enriquez, che lavorano a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta nella Biblioteca apostolica vaticana insieme ad Alcide De Gasperi e Igino Giordani20. Il Movimento, poi Partito cristiano sociale, si costituisce nel 1941, dopo una fase interlocutoria con la Democrazia cristiana. Motivo insanabile di contrasto è il rifiuto dell’interclassismo, la rivendicazione della piena autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche e una connotazione di socialismo cristiano. I cristiano-sociali di Bruni sono presenti e attivi, oltre che nel Lazio, anche in Toscana e nel Veneto.
Nel 1943 alcuni esponenti cristiano-sociali, come Alberto Canaletti Gaudenti e Quinto Tosatti, animatori della rivista «Politica d’oggi», preferiscono costituire una corrente di sinistra all’interno della Democrazia cristiana, mentre l’anno successivo, alcuni suoi esponenti, tra i quali Gabriele De Rosa, scelgono di iscriversi al Partito della sinistra cristiana. Il Partito cristiano sociale, schierato su nette posizioni repubblicane, in occasione delle elezioni del 2 giugno 1946 per l’Assemblea costituente, presenta liste proprie con un proprio simbolo (un badile e un libro aperto con una croce sullo sfondo) e raccoglie poco più di 50 mila voti, pari allo 0,22% a livello nazionale, eleggendo un rappresentante nella persona del fondatore Gerardo Bruni. Nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948 il Partito cristiano sociale, pur sempre in una collocazione di sinistra, presenta proprie liste autonome senza entrare nel Fronte democratico popolare. Raccoglie 72.854, voti pari allo 0,28%, senza conquistare, questa volta, nessun seggio. A seguito di questo insuccesso esso si scioglie, anche se individualmente Bruni continuerà a essere presente e attivo, sia negli anni Cinquanta che nel periodo postconciliare in diverse successive esperienze politiche e culturali del dissenso cattolico.
Sempre in occasione delle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana del 18 aprile del 1948, Guido Miglioli, coinvolto insieme con Ruggero Greco nella costruzione di un’organizzazione contadina unitaria, la Costituente della terra, in stretta collaborazione con Ada Alessandrini e in contatto con un prudente e diffidente ex dirigente della Sinistra cristiana, Adriano Ossicini, dà vita al Movimento cristiano per la pace, che aderisce al Fronte democratico popolare. Nella strategia di Palmiro Togliatti contava di più l’adesione della Costituente della terra, ma il Movimento cristiano per la pace, in ogni caso, costituisce quasi un pendant cristiano rispetto alla componente laico-massonica dell’Alleanza repubblicana popolare e del Partito demolaburista di Enrico Molè.
A partire dagli anni Sessanta il fenomeno sin qui delineato tende a modificarsi profondamente21. Nella Chiesa cattolica, con il pontificato di Giovanni XXIII, si ha una sostanziale discontinuità sul terreno dell’impegno politico-sociale dei credenti22. L’enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963), significativamente indirizzata non soltanto ai cattolici, ma a «tutti gli uomini di buona volontà», distingue tra «errore ed erranti», cioè tra «dottrine e movimenti storici» da esse originati, ma soggetti a mutamenti anche profondi e riconosce che «quando si fanno interpreti delle giuste aspirazioni della persona umana», possono avere «contenuti positivi e meritevoli di approvazione». La costituzione pastorale Gaudium et spes del Vaticano II riprende e conferma questa posizione, ribadita dall’enciclica Populorum progressio (marzo 1967), sia pure con una minore carica di ottimismo.
Una vicenda, essenzialmente culturale, ma con indubbie ricadute politiche, specie per quanto concerne l’adesione e la militanza di cattolici nei partiti di sinistra e, segnatamente, nel Partito comunista, è costituita da quel processo noto con il titolo di un libro di Mario Gozzini, Dialogo alla prova23. Esso ha per protagonisti due dei sistemi culturali chiave del Novecento, il marxismo e il cristianesimo, il mondo comunista e quello cattolico, che sono meno monolitici e coesi di quanto appaia in superficie. Vede coinvolti avanguardie, gruppi di base, riviste24. Il tentativo di individuare il terreno comune tra i gruppi cattolici attenti alle questioni sociali, presenti nelle istituzioni ma operanti anche nelle realtà di base, e i comunisti aperti al ‘dialogo con i cattolici’, avviene in modo non ufficiale e spesso casuale, ma comunque costante e intenso25. Nel movimento comunista il dialogo con i cattolici diventa un punto fermo dei gruppi maggiormente innovatori e desiderosi di uscire dalle secche ideologiche degli anni Cinquanta che ancora avvolgono il corpo del partito, mentre a livello giovanile crescono le frange che cercano strade politiche e ipotesi ‘rivoluzionarie’ nuove anche al di fuori dell’attività di partito26.
Più in generale negli anni Sessanta e Settanta maturano processi di secolarizzazione, si afferma la società di massa e dei consumi, perdurano forti conflitti sociali ed entrano sulla scena politica nuovi soggetti collettivi, come i giovani e le donne, con motivazioni ideali e strumentazioni teoriche che si innestano sul marxismo, l’ecologismo, il femminismo e il radicalismo evangelico27.
Sull’onda del rinnovamento conciliare, anche nei paesi, come l’Italia, dove la gerarchia ecclesiastica era più conservatrice, si moltiplicano le comunità di base e i variegati gruppi del dissenso cattolico. Tratto comune è l’impegno ecclesiale e una forte proiezione esterna nel sociale in tre direzioni: iniziative per lo sviluppo del Terzo mondo e a sostegno delle lotte di liberazione; campagne contro la guerra e a favore dell’obiezione di coscienza; azioni e interventi per il diritto allo studio e contro la selezione classista (doposcuola) o per il recupero scolastico dei lavoratori adulti (corsi delle 150 ore).
Figura esemplare, divenuta nel tempo quasi un mito, è, in Italia, su questo terreno, don Lorenzo Milani. Sacerdote fiorentino colto e tormentato, testimone coerente della scelta cristiana a favore dei poveri e degli oppressi e del loro consapevole autoaffrancamento, parroco al servizio della comunità, animatore della Scuola di Barbiana, pubblica due esili libri che hanno un grandissimo impatto su un’intera generazione: L’obbedienza non è più una virtù (1965)28 e Lettera a una professoressa (1967).
Frutto del rinnovamento conciliare ma anche dell’influenza del movimento sociale e culturale che si sviluppa nella lunga stagione di lotte operaie e studentesche degli anni Sessanta e Settanta, è la scelta religiosa delle organizzazioni cattoliche ufficiali, fortemente ridimensionate nel numero degli iscritti. Sul piano politico si hanno ripercussioni importanti. Specificamente in Italia si pone fine al cosiddetto collateralismo ossia all’identificazione nella Democrazia cristiana del referente esclusivo e al conseguente obbligo di voto nei suoi confronti. È il caso delle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli), che, sotto la guida di Livio Labor29 ed Emilio Gabaglio, fra il 1969 e il 1970, a conclusione di un lungo cammino di ricerca e di presenza operativa sul terreno sociale, optano per la scelta socialista30. Negli anni Sessanta le Acli conoscono una grande espansione organizzativa e una riconosciuta influenza nella società civile, nel mondo del lavoro, nella vita politica e nella comunità ecclesiale, investita dal rinnovamento conciliare. Grazie soprattutto alle battaglie di Labor, le Acli spingono per l’unità sindacale di Cgil, Cisl e Uil e interagiscono con la sinistra democristiana e con quella socialista e comunista, dimostrando anche apertura e capacità di dialogo con il movimento giovanile e studentesco31.
Labor nel 1969 fonda l’Associazione di cultura politica (Acpol) che inizialmente vede coinvolti esponenti della corrente di sinistra Dc Forze nuove, facente capo a Carlo Donat Cattin, della Cisl, come Luigi Macario e Pierre Carniti, e del Psi come Riccardo Lombardi. L’Acpol nel 1970 si trasforma in un nuovo soggetto politico, il Movimento politico dei lavoratori (Mpl) al fine dichiarato di contribuire all’individuazione e alla costruzione di una via d’uscita dal ‘sistema bloccato’ italiano del bipartitismo imperfetto, superando il monopolio politico della rappresentanza dell’elettorato cattolico. Il Movimento politico dei lavoratori si presenta alle elezioni anticipate del maggio 1972, raccogliendo solo 120.000 voti, dopo essere riuscito a presentare liste in tutti i collegi, senza riuscire a ottenere una rappresentanza in Parlamento, come d’altronde anche Il Manifesto e il vecchio Partito socialista di unità proletaria (Psiup). Nel 1972 Labor, dopo una sofferta riflessione e un confronto con i suoi più stretti collaboratori (Luigi Covatta, Gennaro Acquaviva, Luigi Borroni), confluisce con la maggioranza del suo movimento nel Partito socialista italiano, collocandosi nella sinistra che faceva capo a Riccardo Lombardi. È cooptato nella direzione e, nel 1976, è eletto senatore.
All’interno del Partito socialista si è avuta anche una significativa presenza della comunità valdese, a partire da Giorgio e Valdo Spini32, anche se in Italia non si configura quella originale esperienza cristiano-socialista, che Michel Rocard ha chiamato deuxième gauche. In realtà, in Francia questa esperienza si avvia con la trasformazione, nel 1964, della Confédération française des travailleurs chrétiens (Cftc) in Confédération démocratique du travail (Cfdt), che ha in Paul Vignaux, Eugène Descamps ed Edmond Maire dirigenti di grande prestigio. La Cfdt innova sul terreno sindacale, interagisce con coraggio e creatività con il movimento del maggio 1968 e costituisce uno dei punti di forza, anche dal punto di vista dell’elaborazione teorica, del Parti socialiste rénové.
In Italia la Confederazione italiana sindacati lavoratori (Cisl), e soprattutto alcune categorie come quella dei metalmeccanici (Fim), per impulso di dirigenti come Luigi Macario e Pierre Carniti operano per l’unità sindacale, per una più incisiva azione contrattuale e politica sociale riformatrice e anche per comuni battaglie con le sinistre comuniste, socialiste e laiche, come nel caso del referendum sul divorzio33. In questo caso i Cattolici democratici operano per il ‘no’, dalla cui esperienza trae successivamente origine nel 1976, la Lega democratica. Scelta religiosa delle associazioni ufficiali cattoliche, con opzione preferenziale per i poveri, dislocazione a sinistra di alcune grandi organizzazioni sociali, esperienza vissuta nei movimenti della generazione del Sessantotto, determinano un fenomeno nuovo, capillare e duraturo.
Una connotazione politica ha indubbiamente l’esperienza dei Cristiani per il socialismo34, che tiene, nel settembre del 1973 a Bologna il primo Convegno nazionale, in coincidenza con la tragica fine di Salvador Allende e della sua esperienza di governo nella quale l’Izquierda cristiana aveva svolto un ruolo importante35. Ha rapporti privilegiati con i gruppi e gli ambienti della sinistra radicale, ma coinvolge ristretti cenacoli, anche se quello che può essere considerato il suo manifesto, il libro di Giulio Girardi, Marxismo e cristianesimo (1968), costituisce un significativo contributo teorico36.
Un indubbio contenitore e interlocutore di gruppi ed esponenti della Sinistra cristiana è, negli anni Settanta e Ottanta, la Sinistra indipendente. Fin dalla sua incubazione, non casualmente, è coinvolto Adriano Ossicini, che nel 1967 sottoscrive con entusiasmo l’appello di Ferruccio Parri per la presentazione, già in occasione delle elezioni politiche del 1968, di candidature unitarie per il senato del Partito comunista, del Partito socialista, del Partito socialista di unità proletaria e, appunto, di indipendenti di sinistra37. La Sinistra indipendente ha rappresentato una pluralità di matrici ideali: in particolare, ha costituito un punto d’incontro per uomini e donne provenienti dalla sinistra socialista, fedeli alla tradizione laica, critici rispetto alla perdita di carica riformatrice del centro-sinistra (come Lelio Basso, Luigi Anderlini, Tullia Carettoni); personalità contraddistinte dalla fede cristiana, critiche, a loro volta, verso la cosiddetta ‘unità politica del mondo cattolico’ (come Mario Gozzini, Adriano Ossicini, Raniero La Valle, Angelo Romanò, Claudio Napoleoni38); ex azionisti, federalisti europei, intellettuali ‘compagni di strada’ dei comunisti, che avevano abbandonato, per delusione, l’attività politica, uniti grazie al comune denominatore dell’esperienza antifascista e democratica (come lo stesso Ferruccio Parri, Franco Antonicelli, Alessandro Galante Garrone, Altiero Spinelli). La Sinistra indipendente ha rappresentato, inoltre, un vero e proprio laboratorio culturale e politico di confronto e collaborazione, di verifiche, di apprendimenti, di correzioni, fra personalità di diversa formazione, nel tentativo di un arricchimento reciproco in vista di fini comuni, uniti dal collante della Resistenza e della Costituzione.
La Sinistra indipendente, soprattutto nella posizione di Ossicini, ha elaborato una risposta politica, proprio nella fase in cui, per il processo rapido di secolarizzazione e di scompaginamento della nazione cattolica in direzione della «società radicale», per usare una categoria di Gianni Baget Bozzo39, si manifesta un ricompattamento dell’ala intransigente del polo moderato del cattolicesimo italiano, che riafferma una precisa identità religiosa ed ecclesiale, prima con Comunione e liberazione, poi con il Movimento per la vita. Ha costituito una risposta alla diffusa, sia pure non chiara e lineare, domanda di cambiamento che si è venuta esprimendo all’interno del mondo cattolico da settori significativi delle Acli, della Cisl, della stessa Fuci, per non parlare delle comunità di base e dei gruppi del dissenso. A condizione che essa si muova con grande autonomia e creatività, dando ascolto e canalizzazione, senza la rigidità e la ritualità dei partiti, alle energie nuove o risvegliate, che pur in una chiara opzione di sinistra, incontravano difficoltà o resistenze a riconoscersi e a sciogliersi nel Partito comunista.
Nella drammatica crisi sistemica, politica e sociale, degli anni Settanta, durante i quali si ha anche un mutamento profondo della realtà ecclesiale, con il passaggio dal pontificato montiniano a quello di Karol Wojtyla, un’ultima esperienza che occorre prendere in esame è quella della Lega democratica. Essa si costituisce, con la veste giuridica della cooperativa, nel 1975 per iniziativa di diversi esponenti del cattolicesimo democratico, dell’ala sinistra della Democrazia cristiana, in particolare la corrente di base: uomini politici, professori universitari, imprenditori, giornalisti, sindacalisti, esponenti del laicato cattolico. I nomi più noti sono Pietro Scoppola, Achille Ardigò, Paolo e Romano Prodi, Ermanno Gorrieri, Paola Ghiotti, Paolo Giuntella.
La Lega democratica si è prioritariamente impegnata sul terreno della formazione alla politica, specialmente dei giovani dell’associazionismo cattolico e del volontariato e ha svolto un ruolo di coscienza critica dei partiti, a partire dalla Democrazia cristiana, individuando nella lotta alla realtà e alla mentalità della lottizzazione e nella riforma del sistema elettorale un passaggio obbligato per la riscoperta del valore del bene comune. Uno strumento d’indubbia efficacia è stato, in tal senso, il mensile «Appunti di cultura e di politica», il cui primo numero è uscito nel maggio del 1978, pochi giorni dopo l’assassinio di Aldo Moro. Di quest’ultimo si continua, con un forte e convinto sostegno alla segreteria della Democrazia cristiana di Benigno Zaccagnini, a condividere e rilanciare il progetto strategico d’avvicinamento del Pci all’area di governo, perché le riforme necessarie al paese siano condivise con il maggior partito d’opposizione.
I giovani della Lega democratica, che hanno in Paolo Giuntella un leader riconosciuto e nell’associazione Rosa bianca uno strumento d’aggregazione, quando la Democrazia cristiana abbandona il progetto moroteo, premono perché si dia vita a una presenza organizzata, diffusa e capillare in tutto il paese, al fine di potersi misurare con il nuovo scenario della fine dell’egemonia democristiana, della crisi dei partiti di massa, della messa in discussione della stessa economia sociale di mercato. Lega democratica è sciolta nel 1987. Sopravvive la rivista «Appunti di cultura e di politica», oggi pubblicata dall’associazione Città dell’uomo, fondata da Giuseppe Lazzati. Nel decennio successivo un suo esponente, Romano Prodi, per due volte coagulerà e guiderà la maggioranza di governo di centrosinistra.
In conclusione, com’è agevole constatare anche dai casi passati in rassegna in apertura, nei decenni di fine Novecento – e, ancor più, in quest’ultimo decennio – non solo per la crisi delle grandi ideologie del secolo scorso, ma anche per il pluriennale processo dei mutamenti innescati dal Vaticano II, la novità in Italia, come d’altronde in Europa, è che i partiti di sinistra, compresi i partiti socialisti e gli stessi partiti postcomunisti, hanno come ‘normali’ elettori ed elettrici, e del pari come militanti e dirigenti, milioni di uomini e donne con alle spalle appartenenze ecclesiali riconosciute nonché una ben radicata fede religiosa40.
1 Cfr. A. Ossicini, Il cristiano e la politica. Documenti e testi di una lunga stagione (1937-1985), a cura di C.F. Casula, Roma 1989.
2 Sulla cui genesi e vicende nella prima fase cfr. G. Galli, P. Facchi, La sinistra democristiana: storia e ideologia, Milano 1962.
3 Si veda su di lui M. Carrettieri, M. Marchi, P. Trionfini, Ermanno Gorrieri (1920-2004). Un cattolico sociale nelle trasformazioni del Novecento, Bologna 2009.
4 Per le origini di questa tematica cfr. P.G. Zunino, La questione cattolica nella sinistra italiana (1919-1939), Bologna 1975; una panoramica in C.F. Casula, Sinistre cristiane e socialisti religiosi, in Enciclopedia della sinistra europea nel XX secolo, diretta da A. Agosti, Roma 2000.
5 Cfr. G. Miglioli, Con Roma e con Mosca: quarant’anni di battaglie, Milano 1945. Su di lui C.F. Casula, Guido Miglioli. Fronte democratico popolare e Costituente della terra, Roma 1981; Id., La figura e l’opera di Guido Miglioli, 1879-1979, a cura di F. Leonori, Roma 1982.
6 Su questo rapporto cfr. G. Hourdin, Cattolici e socialisti, Roma 1974.
7 R.H. Tawney, La religione e la genesi del capitalismo. Studio storico, Milano 1967.
8 Ph. Chenaux, L’Église catholique et le communisme en Europe (1917-1989). De Lénine à Jean-Paul II, Paris 2009.
9 Left Catholicism 1943-1955. Catholics and Society in Western Europe at the Point of Liberation, ed. by G.R. Horn, E. Gerard, Löwen 2001.
10 Y. Tranvouez, Catholiques et communistes. La Crise du progressisme chrétien 1950-1955, Paris 2000.
11 A. Giovagnoli, Il partito italiano: la Democrazia cristiana dal 1942 al 1994, Bari 1996.
12 Rimane fondamentale P. Scoppola, La repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico 1945-1996, Bologna 1991.
13 Interessante documentazione in Per una storia della sinistra cristiana: documenti 1937-1945, a cura di M. Cocchi, P. Montesi, Roma 1975.
14 Cfr. C.F. Casula, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana (1937-1945), Bologna 1976. Su Rodano si vedano F. Rodano, Cattolici e laicità della politica, a cura di V. Tranquilli, Roma 1992; F. Mustè, Franco Rodano: critica delle ideologie e ricerca della laicità, Bologna 1993.
15 G. Tassani, Alle origini del compromesso storico: i cattolici comunisti negli anni ’50, Bologna 1978; F. Rodano, Questione democristiana e compromesso storico, Roma 1977.
16 C.F. Casula, Cattolici-comunisti e sinistra cristiana (1935-1945), Bologna 1976, p. 33.
17 L. Accattoli, L. Bedeschi, A. Botti, et al., I cristiani nella sinistra. Dalla Resistenza a oggi, Roma 1976.
18 Cfr. G. Chiarante, Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie degli anni Cinquanta, Milano 2006.
19 Sulla rivista si veda F. Malgeri, Voce operaia. Dai cattolici comunisti alla sinistra cristiana, 1943-1945, Roma 1992.
20 Sul contributo di Bruni cfr. A. Parisella, Gerardo Bruni e i cristiano-sociali, Roma 1984.
21 Sui mutamenti della Chiesa e nella Chiesa cfr. i saggi contenuti in La nazione cattolica. Chiesa e società in Italia dal 1958 a oggi, a cura di M. Impagliazzo, Milano 2004; A. Riccardi, Vescovi d’Italia. Storie e profili del Novecento, Cinisello Balsamo 2000.
22 Cfr. A. Melloni, Papa Giovanni. Un cristiano e il suo concilio, Torino 2009.
23 M. Gozzini, Dialogo alla prova, Firenze 1965.
24 Sul ruolo delle riviste cfr. D. Saresella, Dal Concilio alla contestazione. Riviste cattoliche negli anni del cambiamento (1958-1968), Brescia 2005.
25 F. Gentiloni, Oltre il dialogo. Cattolici e PCI: le possibili intese tra passato e presente, Roma 1989.
26 Su questo rapporto cfr. L. Bedeschi, Cattolici e comunisti. Dal socialismo cristiano ai cristiani marxisti, Milano 1974; M. Gozzini, S. Imbarrato, I Cattolici e la sinistra: dibattito aperto, Assisi 1977; D. Kertzer, Comunisti e cattolici. La lotta religiosa e politica nell’Italia comunista, Milano 1981.
27 Su questa parabola si veda P. Scoppola, La «nuova cristianità perduta», Roma 1985; sul protagonismo giovanile cfr. P. Dal Toso, L’associazionismo giovanile in Italia: gli anni sessanta-ottanta, Torino 1995.
28 L. Milani, L’obbedienza non e più una virtù: documenti del processo di don Milani, Firenze 1983.
29 L. Labor, In campo aperto, Firenze 1969.
30 Una ricostruzione storica in C.F. Casula, Le ACLI. Una bella storia italiana, Roma 2008.
31 Sul rapporto con il sindacato cfr. C.F. Casula, Le ACLI e la CISL negli anni Settanta. Pratiche sociali e tentazioni della politica, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni Settanta, III, Partiti e organizzazioni di massa, a cura di F. Malgeri, L. Paggi, Soveria Mannelli 2003; C.F. Casula, Le frontiere delle ACLI. Pratiche sociali, scelte politiche, spiritualità, Roma 2001.
32 V. Spini, Compagni siete riabilitati! Il grano e il loglio dell’esperienza socialista, 1976-2006, Roma 2006.
33 Cfr. P. Carniti, Era il tempo della speranza: la FIM negli anni Sessanta, Roma 2001.
34 Sul gruppo cfr. J. Ramos Regidor, A. Gecchelin, Cristiani per il socialismo: storia, problematica e prospettive, Milano 1977.
35 Cristiani per il socialismo, Atti del Convegno nazionale (Bologna 1973), a cura della Segreteria Nazionale, Milano-Roma 1974.
36 G. Girardi, Marxismo e cristianesimo, Assisi 1969.
37 Sugli indipendenti si veda A. Landolfi, Compagni di viaggio: storia degli indipendenti di sinistra da Milazzo a Romano Prodi, Vibo Valentia 1996.
38 C. Napoleoni, Cercate ancora: lettera sulla laicità e ultimi scritti, a cura di R. La Valle, Roma 1990.
39 G. Baget Bozzo, Il partito cristiano, il comunismo e la società radicale, Firenze 1976.
40 Uno sguardo complessivo in Quando i cattolici non erano moderati: figure e percorsi del cattolicesimo democratico in Italia, a cura di C. Guerzoni, Bologna 2009; G. Formigoni, L’Italia dei cattolici: dal Risorgimento a oggi, Bologna 2010.