Partiti politici
L’art. 49 Cost., ponendo l’accento sulla libertà di associazione in partiti politici, ha consentito ai partiti di rimanere nella configurazione giuridica di associazioni non riconosciute sottratte ad ogni forma di controllo. La l. 6.7.2012, n. 96, di modifica del finanziamento pubblico dei partiti, ha per la prima volta nel nostro ordinamento previsto che per accedere ai finanziamenti pubblici lo statuto del partito debba conformarsi a principi democratici nella vita interna. Il particolare momento politico-economico che il Paese sta attraversando ha indotto il Governo a presentare un disegno di legge che modifica ulteriormente le modalità del finanziamento pubblico e che accresce, sia pure parzialmente, le garanzie di trasparenza e di democraticità interna dei partiti. Nel peculiare quadro della situazione italiana si conferma la necessità di una garanzia di democraticità e di trasparenza dei partiti per un virtuoso funzionamento del sistema democratico.
Negli ultimi anni nel nostro Paese si è registrata una apparente “dinamicità” del sistema partitico (nascita di nuovi grandi partiti, esclusione dalla rappresentanza parlamentare di forze politiche in precedenza sempre presenti, mutamenti di denominazione, fusione e/o scomparsa di partiti preesistenti, ecc.) cui si contrappone la constatazione di una evidente “sclerotizzazione” (almeno con riguardo ai gruppi dirigenti) dei vari partiti e di una incapacità degli stessi di far fronte alle concrete domande provenienti dal corpo sociale nel quale cresce una evidente disaffezione per la politica. I partiti politici, canali permanenti della partecipazione politica e fattori di organizzazione del pluralismo sociale, sono coessenziali allo stato democratico in quanto strumenti di filtro della volontà popolare, ma anche di organizzazione pluralistica dell’elettorato1. Bisogna pertanto interrogarsi sulla capacità dell’assetto politico-partitico di elaborazione di risposte adeguate alle sfide del pluralismo democratico e di assicurazione di un adeguato tasso di pluralismo (e dunque di democraticità) del sistema. Pertanto, anche con riguardo all’assetto attuale della forma di governo italiana, la riflessione sui partiti si rivela centrale e dimostra l’errore di prospettiva delle opinioni che tendono a sopravvalutare l’efficacia dei meri congegni normativi di razionalizzazione.
Secondo l’art. 49 Cost., «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Già i primi commentatori sottolinearono che con tale disposizione si era avuta la legittimazione di quei «poteri di fatto»2 conquistati dai partiti raccolti nel CLN in quanto protagonisti dell’ordinamento costituzionale provvisorio ed «autentici ‘padri della Costituzione’»3. E all’opinione secondo cui i partiti avrebbero occupato l’intero ambito della “politica” fin dalla nascita della Repubblica, esaurendo il pluralismo (previsto in Costituzione) nel solo pluralismo partitico4, si contrappone una ricostruzione secondo cui anche nell’approvazione della Costituzione il tasso di pluralismo sarebbe stato assicurato dalla partecipazione alle dinamiche politiche di ulteriori soggetti (dalla Chiesa cattolica alle organizzazioni sindacali) oltre che dalle “incrinature” interne ai partiti5. Di certo il “sistema dei partiti” diventa il “perno” della nuova Costituzione materiale6 e sarà all’interno dei (singoli) partiti che gli ulteriori momenti di aggregazione (dai sindacati ai movimenti cattolici) cercheranno di veicolare le proprie aspettative e Weltanschauungen. L’esigenza dei partiti di non vedersi condizionati da una disciplina ad hoc (e dai relativi controlli) porta ad una formulazione dell’art. 49 Cost. che pone l’accento sul principio di libertà di associazione in partiti ed ove «il ‘concorso’ dei cittadini attraverso i partiti» viene ad essere «completamente assorbito nel “concorso dei partiti”»7. Funzionale a tale quadro è stata la configurazione meramente privatistica dei partiti i quali, nei decenni di vita repubblicana, hanno preferito non elaborare una organica disciplina dei partiti sicché oggi è possibile rinvenire solo norme settoriali nella legislazione elettorale, in quella sul finanziamento dei partiti e nella disciplina dei mezzi di comunicazione di massa. Ma l’impostazione esclusivamente “privatistica” dei partiti politici (quali associazioni non riconosciute ex artt. 36 e ss. c.c.) ha da tempo mostrato i propri limiti soprattutto (ma non solo) con riguardo alle norme vigenti relative al finanziamento pubblico e alla regolamentazione della comunicazione politica.
1.1 La l. n. 96/2012
La crisi della finanza pubblica ha reso necessario per le forze politiche affrontare la questione del finanziamento pubblico dei partiti che aveva raggiunto dimensioni considerevoli. Le principali fonti di finanziamento dei partiti sono rappresentate dai contributi pubblici (fra i quali bisogna annoverare anche quelli corrisposti agli organi ufficiali di informazione − giornali e radio − dei partiti), oltre a specifiche agevolazioni fiscali (dalla possibilità di detrazione d’imposta per le erogazioni di privati all’esenzione delle imposte per i trasferimenti ai partiti e per la registrazione degli statuti), e dai finanziamenti dei privati (anch’essi disciplinati dalla legge).
Il contributo pubblico è stato introdotto dalla l. 2.5.1974, n. 195 che prevedeva un contributo statale per il funzionamento ordinario dei partiti (abrogato dal referendum del 1993) ed un contributo a titolo di rimborso per le spese elettorali (elezioni politiche, europee e regionali). Con la l. 3.6.1999, n. 157 è stata operata una riforma del sistema di finanziamento dei partiti, a sua volta oggetto di varie modifiche fino alla l. 6.7.2012, n. 96 («Norme in materia di riduzione dei contributi pubblici in favore dei partiti e dei movimenti politici, nonché misure per garantire la trasparenza e i controlli dei rendiconti dei medesimi»), la quale, oltre a ridurre di circa il 50 per cento l’ammontare dei contributi (fissandolo a 91.000.000 euro annui), ha modificato il sistema di contribuzione prevedendo che il 70 per cento degli stanziamenti a favore dei partiti venga erogato come rimborso per le spese elettorali e quale «contributo per l’attività politica», mentre il restante 30 per cento è distribuito (a titolo di cofinanziamento) in misura proporzionale ai finanziamenti privati raccolti. L’ammontare dei rimborsi elettorali era già stato ridotto negli anni precedenti e tali riduzioni, che avrebbero dovuto applicarsi a partire dalla XVII legislatura, sono state assorbite dal dimezzamento operato dalla l. n. 96/2012, che ha trovato immediata applicazione. Per l’assegnazione dei contributi sono previsti quattro fondi (corrispondenti al Senato, alla Camera, al Parlamento europeo e ai Consigli regionali) il cui ammontare è pari, per ciascun anno di legislatura, a 15.925.000 euro ciascuno. La determinazione in misura fissa dell’ammontare dei fondi è stata introdotta dalla l. n. 96/2012: in precedenza l’ammontare era determinato dalla moltiplicazione dell’importo di 1 euro per il numero degli iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera (determinandosi così una significativa crescita del relativo ammontare). La legge prevede inoltre una forma di rimborso per le campagne referendarie. L’accesso ai rimborsi spetta ai partiti aventi almeno un candidato eletto. Al cofinanziamento possono accedere i partiti che hanno conseguito un candidato eletto o che abbiano ottenuto almeno il 2 per cento dei voti validi alle elezioni della Camera (e dunque anche partiti che non abbiano nessun eletto ma aventi una minima consistenza a livello nazionale). La l. n. 96/2012 ha ampliato le agevolazioni fiscali per le erogazioni liberali dei privati in favore dei partiti ed ha introdotto un obbligo di trasparenza (pubblicazione dei bilanci sul sito internet del partito e su quello della Camera). Il bilancio è sottoposto al giudizio di una società di revisione ed il successivo controllo è affidato alla «Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici», composta da cinque magistrati designati dai vertici delle supreme magistrature e nominati dai presidenti delle Camere. Per accedere ai contributi i partiti devono dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto, conforme ai principi di democrazia interna (con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti) e che indichi l’organo competente ad approvare il rendiconto di esercizio e l’organo responsabile per la gestione economico-finanziaria, da trasmettere ai Presidenti delle Camere (pena la decadenza dal diritto ai rimborsi per le spese elettorali e alla quota di cofinanziamento). Spiace dover evidenziare che la primissima attuazione legislativa del principio della democraticità interna dei partiti sia stata approvata senza un’adeguata riflessione (ed infatti non è da escludere che la stringata formulazione legislativa − secondo cui «Lo statuto deve essere conformato a principi democratici nella vita interna, con particolare riguardo alla scelta dei candidati, al rispetto delle minoranze e ai diritti degli iscritti» − finisca per dar vita ad un non trascurabile contenzioso) e soltanto in stretta correlazione con il godimento del finanziamento pubblico (a sua volta oggetto di demagogiche ed apodittiche affermazioni).
La necessità di una disciplina che assicuri una democraticità interna dei partiti politici è stata chiaramente dimostrata in Assemblea Costituente da Piero Calamandrei che sottolineò che «una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti in cui si formano i programmi ed in cui si scelgono gli uomini che poi vengono esteriormente eletti coi sistemi democratici. L’organizzazione democratica dei partiti è un presupposto indispensabile perché si abbia anche fuori di essi vera democrazia»8.
Anche la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto il ruolo e l’autonomia dei partiti politici quali «organizzazioni proprie della società civile, alle quali sono attribuite ... funzioni pubbliche»9. Di fronte alla formalistica contrapposizione fra natura pubblica o privata del partito politico è necessario ricordare lo stretto legame funzionale esistente «tra uno spazio pubblico intermedio fra Stato e privati e l’attuazione dei contenuti assiologici della Costituzione» e che conduce a ritenere necessari «adeguati congegni di responsabilità e trasparenza» dell’operato dei partiti10. Deve invece riscontrarsi che negli ultimi decenni si è ulteriormente ridotto anche il pluralismo partitico in antitesi con il principio ex art. 49 Cost. che costituzionalizza la regola del “correre insieme” e che dunque postula il principio (del pluralismo e) della Chancengleichheit rispetto al procedimento elettorale e alla vita politica11. La resistenza dei partiti all’introduzione di una disciplina organica sull’assetto e sull’azione dei medesimi (resistenza accresciuta con l’introduzione del sistema elettorale maggioritario) è confermata dalla scelta (contenuta nei regolamenti di Camera e Senato) di non porre alcun vincolo normativo nemmeno ai gruppi parlamentari (cioè a soggetti istituzionali) che vengono invece ad essere subordinati alle singole decisioni politiche degli organi direttivi del partito. E con particolare riguardo alla legislazione sul finanziamento pubblico dei partiti, deve evidenziarsi che la stessa non ha rappresentato un “fattore propulsivo” di dinamiche pluralistiche e non ha assicurato né trasparenza né democraticità interna ai partiti, avendo operato nel senso di un rafforzamento delle oligarchie interne e nella stabilizzazione dei rapporti di forza fra i partiti12.
2.1 Il d.d.l. governativo del 2013
Il Governo ha presentato alla Camera il disegno di legge (A.C. 1154) «Abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore», che dispone l’abolizione del regime dei contributi pubblici sostituito da forme di contribuzione volontaria fiscalmente agevolata e rappresentata da detrazioni per le erogazioni liberali e dalla destinazione volontaria del 2 per mille Irpef. Sono inoltre previste forme di «benefici di natura non monetaria» (dalla disponibilità di immobili pubblici a canone agevolato alla concessione a titolo gratuito di spazi televisivi). L’accesso a queste forme di contribuzione è condizionato al rispetto di requisiti di trasparenza e democraticità e all’iscrizione nel «registro dei partiti politici». Vengono eliminate alcune novità introdotte dalla l. n. 96/2012 (quali il cofinanziamento pubblico), mentre viene mantenuta la parte relativa alla trasparenza e ai controlli dei bilanci ed il vincolo tra democrazia interna e concessione dei benefici. Viene previsto un contenuto necessario dello statuto (previsione del rappresentante legale, organi, procedure deliberative, diritti e doveri degli iscritti, misure disciplinari, modalità di selezione delle candidature per le competizioni elettorali, indicazione del responsabile della gestione economico–finanziaria, procedure per lo scioglimento e per la modifica dello statuto) e, con riguardo alla natura giuridica, i partiti sono semplicemente definiti «libere associazioni».
La «Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti» assume la denominazione di «Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici» in quanto competente anche alla verifica della conformità dello statuto ai requisiti richiesti dalla legge, il cui esito positivo è condizione per l’iscrizione al registro «nazionale» dei «partiti riconosciuti» (registro tenuto dalla stessa Commissione). E l’iscrizione (e la permanenza) nel registro è condizione necessaria per l’ammissione del partito ai benefìci. Ogni partito deve nel proprio sito internet inserire le informazioni relative all’assetto statutario, agli organi associativi, al funzionamento interno e ai bilanci.
Per poter accedere al finanziamento privato agevolato è richiesto che i partiti abbiano almeno un candidato eletto nelle elezioni politiche (o Parlamento europeo o Consigli regionali) o avere presentato candidati in almeno tre circoscrizioni per le elezioni politiche (o in un Consiglio regionale o una circoscrizione per le europee). Ai benefici del 2 per mille e ai benefici non monetari sono ammessi solo i partiti aventi almeno un candidato eletto alle elezioni politiche od europee. Il costo globale del nuovo meccanismo di finanziamento è definito in 91 milioni di euro annui (e cioè nell’identica somma impegnata dalla l. n. 96/2012) cui si provvede mediante utilizzo dei risparmi generati dall’abolizione del finanziamento diretto. Il costo a carico dell’erario resta dunque identico. È infine prevista la possibilità per i partiti di optare (fino al 2017) di continuare a godere (ma con progressive riduzioni) del sistema di contribuzione attualmente vigente.
La resistenza dei partiti all’introduzione di discipline che pongano un controllo sulla vita interna degli stessi è confermata dal difficile (e singolare) iter parlamentare del d.d.l. (che, trasmesso dalla Commissione affari costituzionali all’Assemblea per la discussione sulle linee generali, è stato oggetto di rinvio in commissione).
Lo scenario dei partiti si presenta caratterizzato da una persistente difficoltà di «ridefinizione delle identità»13 che rende instabile l’intero quadro politico determinando tensioni sulla forma di governo e sul sistema elettorale. Questa situazione ha favorito la tendenza alla personalizzazione della politica ma ha prodotto anche un’ampia sfiducia nella politica e nei partiti.
La polarizzazione (pro o contra Berlusconi) che ha caratterizzato gli ultimi venti anni della vita politica italiana ha fatto cadere in secondo piano le problematiche relative al merito delle singole scelte compiute. Dietro la difesa o la demonizzazione di Berlusconi tutte le forze politiche hanno potuto occultare le proprie responsabilità ed i propri limiti. L’attuale situazione del paese (altissimo debito pubblico, crollo del PIL, crisi economica senza una chiara prospettiva di via di uscita, smarrimento sociale e morale del paese) costituiscono il risultato dell’azione di tutte le forze politiche che hanno governato (più o meno alternativamente) il paese. Ed anche il M5S sembra esaurire la propria azione politica in una mera contrapposizione. La vicenda del finanziamento pubblico dei partiti costituisce l’emblema di una classe politica attenta più a trarre dal bilancio pubblico risorse per il proprio sostentamento che a preoccuparsi dell’effettivo perseguimento del bene comune. Alla pervasiva occupazione delle istituzioni (e di ambiti del sistema economico e finanziario) i partiti uniscono un’incapacità decisionale e di elaborazione di politiche inclusive. La necessità dell’introduzione di discipline dell’assetto organizzativo e dell’azione dei partiti è confermata dalla constatazione che i partiti si presentano quali meri contenitori e pertanto facilmente permeabili da parte di lobbies economiche (cui bisogna aggiungere – peculiarità del nostro Paese – una opaca ingerenza della “alta burocrazia” di Stato che ha tratto da tale situazione consistenti privilegi). Il paradosso attuale è rappresentato dal fatto che, nonostante un’evidente crisi di legittimazione ed una palese incapacità (o quanto meno difficoltà) di elaborazione di risposte decisionali, i partiti continuano a svolgere un ruolo decisivo nel processo politico. Questa constatazione conferma la necessità di una disciplina legislativa che ancori i partiti a standard minimi di democrazia con riguardo ai processi di selezione delle candidature elettorali e alla trasparenza dei processi decisionali e delle fonti di finanziamento. La crisi dei partiti politici è riflesso della crisi del rapporto fra Stato e società e dell’incapacità dell’odierno assetto politico-partitico di elaborare soluzioni idonee alle sfide della democrazia pluralistica (deficit di classe dirigente a sua volta conseguenza di una crisi – prima ancora che economica − culturale e valoriale). Per avviare un circolo virtuoso è necessario adeguare la «forma-partito … ad irrinunciabili istanze costituzionali di libertà, pubblicità e trasparenza del processo politico»14 così come è necessario riflettere sulla combinazione nelle democrazie pluralistiche di componenti rappresentative e di componenti plebiscitarie15.
1 Ridola, P., L’evoluzione storico-costituzionale del partito politico, in Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, Napoli, 2009, 20, 25-26.
2 Esposito, C., I partiti nella Costituzione, 1952, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 147.
3 Crisafulli, V., I partiti nella Costituzione, in Studi per il XX anniversario dell'Ass. Cost., Firenze, 1969, 111.
4 Ridola, P., op. cit., 14.
5 Merlini, S., I partiti politici, il metodo democratico e la politica nazionale, in Partiti politici e società civile a sessant’anni dall’entrata in vigore della Costituzione, cit. , 53 ss.
6 Mortati, C., Note introduttive ad uno studio sui partiti politici nell’ordinamento italiano, 1957, in Id., Raccolta di scritti, Milano, 1972, vol. III, 355 ss.
7 Ridola, P., op. cit., 16.
8 Calamandrei, P., Atti Assemblea Costituente, XLIX, Discussione sul progetto di Costituzione, seduta del 4.3.1947, 1753.
9 C. cost., ord. 1.3.2006, n. 79. V. anche sentt. 15.7.2010, n. 256; 30.1.2008, n. 15; 10.7.1975, n. 203; ord. 29.10.1999, n. 407.
10 Ridola, P., op. cit., 47.
11 Ridola, P., op. cit., 82.
12 Ridola, P., Parteienfinanzierung in Italien, in Parteienfinanzierung im europäischen Vergleich, a cura di D.Th. Tsatsos, Nomos, Baden-Baden, 1992, 273 ss.
13 Ridola, P., op. cit., 19.
14 Ridola, P., op. cit., 35.
15 Fränkel, E., La componente rappresentativa e plebiscitaria nello stato costituzionale democratico, 1958, Torino, 1994, 39 ss.