Partiti politici
Italia
Nei mesi successivi alla costituzione del secondo governo guidato da M. D'Alema (dic. 1999) i processi in atto nelle due alleanze di partiti che si fronteggiavano sulla scena politica italiana presentarono andamenti opposti: mentre nella coalizione di centrosinistra, maggioritaria in Parlamento, si accentuavano le spinte centrifughe affiorate all'indomani della caduta del governo di R. Prodi, la coalizione di centrodestra progrediva sotto il profilo sia dell'ampiezza dello schieramento sia della coesione interna. Proprio per dare l'idea dell'apertura a nuove forze e di una comune ispirazione culturale tra i soggetti della coalizione, il centrodestra adottò in quel periodo la nuova denominazione di Casa delle libertà (CdL). Nel centrosinistra le tensioni più forti nascevano dai rapporti tra i Democratici di sinistra (DS) e le diverse componenti 'centriste' (Partito popolare italiano, PPI; Unione democratici per l'Europa, UDEUR; Rinnovamento italiano; I Democratici), che sin dal momento della successione di D'Alema a Prodi avevano manifestato disagio per la preminenza dei DS nell'alleanza: avvicinandosi la fine della legislatura, l'eventualità che il centrosinistra affrontasse le nuove elezioni politiche sotto la leadership del presidente del Consiglio in carica accresceva il timore di una egemonia dei DS, anche per la possibile reazione negativa dei settori moderati dell'elettorato. Da parte dell'ala non diessina dell'alleanza si proponevano però soluzioni diverse per fronteggiare questa situazione (di qui ulteriori schermaglie polemiche): una parte del PPI e l'UDEUR propendevano per un'aggregazione dei 'moderati' del centrosinistra, che, oltre a far da contraltare ai DS, secondo alcuni avrebbe anche potuto costituire in futuro l'embrione di un terzo polo politico di centro, in grado di attrarre forze collocate per il momento nell'alleanza di centrodestra; I Democratici sollecitavano invece un processo di superamento dei partiti esistenti, nella direzione di un soggetto politico unitario del centrosinistra.
La confusione evidente in seno alla maggioranza parlamentare era naturalmente uno dei fattori della contemporanea rivitalizzazione dell'opposizione, che derivava però anche da processi endogeni al centrodestra stesso. La ripresa della collaborazione con la Lega Nord, insistentemente voluta da Forza Italia e realizzata in vista delle elezioni regionali del 2000, non solo mise il centrodestra nella condizione di poter nuovamente aspirare alla conquista della maggioranza dei consensi elettorali - un più limitato apporto venne pure dal ritorno dei Cristiani democratici uniti (CDU) nell'alveo della coalizione -, ma contribuì anche a restituire forza alla leadership di S. Berlusconi, tornato ad affermarsi come l'unica personalità politica in grado di rappresentare un punto di equilibrio tra le diverse componenti dell'alleanza e di esprimerne l'anima comune. Sia la coesione del centrodestra sia la posizione del suo leader si giovarono inoltre dell'insuccesso dei tentativi di Alleanza nazionale (AN) di coltivare propri spazi di iniziativa politica. Il partito di G. Fini aveva patrocinato l'allargamento del centrodestra anche in direzione del Partito radicale, ma le trattative che furono avviate a tal fine, diversamente da quelle con la Lega Nord, ebbero esito negativo; inoltre AN aveva fatto proprie le richieste di modifica in senso maggioritario della legge elettorale, sicché le forze della CdL affrontarono divise il referendum per l'abrogazione della norma della legge elettorale politica che prevedeva l'attribuzione del 25% dei seggi con il metodo proporzionale (maggio 2000): il fallimento del referendum, che non raggiunse il quorum richiesto di votanti, anche a causa delle divisioni ugualmente esistenti nel centrosinistra (favorevoli solo DS e I Democratici), spense le ultime velleità autonomistiche di AN, dopodiché l'intera CdL si rinserrò attorno all'autorità indiscussa di Berlusconi.
Le elezioni regionali dell'aprile 2000 portarono alla luce l'inversione del rapporto di forza tra le due coalizioni maturato nel Paese. Il centrodestra conquistò 8 delle 15 regioni a statuto ordinario (divenute 9 nel 2001 dopo l'annullamento e la ripetizione delle elezioni in Molise), ottenendo più del 49% dei suffragi, mentre il centrosinistra si arrestò al di sotto del 40% e il Partito della rifondazione comunista (PRC), che solo in alcune regioni si presentò alleato al centrosinistra, raggiunse il 5,1%. Forza Italia risultò il partito più votato (25,4%) seguito dai DS (17,6%), da AN (12,9%), dal PRC e dalla Lega Nord (5%); nessun altro partito toccò la soglia del 5%.
La polverizzazione del voto tra un elevato numero di piccole formazioni si confermò un dato strutturale del sistema italiano dei partiti, con un grado di dispersione più elevato nel centrosinistra che nel centrodestra. D'Alema, che aveva legato a un successo nelle regionali la possibilità di guidare lo schieramento di centrosinistra nelle elezioni politiche del 2001, diede le dimissioni da presidente del Consiglio. Il nuovo governo, presieduto da G. Amato, ancor più del precedente si caratterizzò come coalizione di una molteplicità di partiti distinti - DS; I Democratici; PPI; Federazione dei verdi; Socialisti democratici italiani (SDI); Partito dei comunisti italiani (PdCI); UDEUR; Rinnovamento italiano - più che come espressione di un'alleanza politica organica secondo l'originaria idea dell'Ulivo. In quel frangente si ebbe anche il distacco dai Democratici di A. Di Pietro, il quale fondò un proprio movimento, Italia dei valori, dichiarandolo autonomo da entrambi gli schieramenti maggiori. Nei mesi successivi, in vista delle elezioni politiche, il centrosinistra dovette necessariamente proporsi di invertire la tendenza alla frammentazione, in primo luogo con l'indicazione unitaria di un leader della coalizione (ribattezzata Ulivo-Insieme per l'Italia), da opporre a Berlusconi come candidato alla guida del governo: la scelta cadde su F. Rutelli, sindaco di Roma ed esponente dei Democratici. Contemporaneamente si avviò un processo di aggregazione tra alcune delle formazioni minori (I Democratici, PPI, UDEUR, Rinnovamento italiano), che portò (ott. 2000) alla nascita di Democrazia è libertà-La Margherita, organizzazione plurale, di carattere federativo, intesa da alcuni come 'seconda gamba' dell'Ulivo accanto ai DS, da altri (I Democratici) come primo passo verso la costituzione di una nuova formazione unitaria dell'intero centrosinistra. Una strada diversa seguì l'ex segretario della CISL, S. D'Antoni, che diede vita a un nuovo movimento, Democrazia europea, con l'ambizione di porre le basi di un 'terzo polo' centrista all'interno del panorama politico italiano.
Le elezioni politiche svoltesi il 13 maggio 2001 assegnarono alla CdL una larga maggioranza di seggi - 368 alla Camera (contro 250 dell'Ulivo e 11 del PRC), 176 al Senato (contro 130 dell'Ulivo, 4 del PRC, 1 dell'Italia dei valori) - e portarono alla formazione di un governo di centrodestra presieduto da Berlusconi. Come era avvenuto nel 1996, ma a parti invertite, il successo dello schieramento vittorioso - al quale si erano uniti anche il Nuovo partito socialista italiano (Nuovo PSI), costituito nel 2000 sotto la guida di G. De Michelis, e quanto restava del Partito repubblicano italiano (PRI) di G. La Malfa - fu amplificato dalla capacità della CdL di interpretare assai meglio degli avversari la logica di coalizione insita nello scrutinio maggioritario. Il ritrovato accordo con la Lega Nord (pur fortemente in calo di consensi) fu la carta vincente della CdL (che ottenne il 42,6% nel voto per il Senato e il 45,4% nel voto uninominale per la Camera), mentre l'Ulivo (39,2% al Senato e 43,7% nella parte uninominale dell'elezione della Camera) scontò la rottura con il PRC (5,1% al Senato; alla Camera concorse solo per la quota proporzionale) e il distacco dell'Italia dei valori (3,4% al Senato e 4% nel voto uninominale per la Camera). Notevole fu la diversità del rendimento delle due coalizioni tra la parte uninominale e quella proporzionale del voto per la Camera: secondo una tendenza già emersa nel 1996, ma accentuatasi nel 2001, i candidati dell'Ulivo attrassero nei collegi uninominali più voti di quanti ne conseguirono nel voto di lista i partiti della coalizione; all'inverso i voti dei partiti della CdL (49,5% complessivamente) non si riversarono per intero sui candidati indicati dalla coalizione nei collegi uninominali. Forza Italia risultò largamente il primo partito nella quota proporzionale della Camera (29,4%), seguito a distanza da DS (16,6%), La Margherita (14,5%) e AN (12%). Grazie alla dimostrazione dell'effetto dispersivo delle candidature esterne alle coalizioni e al completo fallimento dell'ipotesi centrista perseguita da Democrazia europea (che nei diversi tipi di scrutinio non superò il 3,5%, ottenendo appena 2 seggi al Senato), il risultato elettorale comportò un rafforzamento dell'assetto bipolare del sistema politico, mentre il netto divario di forza parlamentare fra i due schieramenti principali, di gran lunga superiore a quello che si era manifestato nel voto popolare, diede consacrazione al principio maggioritario.
Dati questi presupposti, nel corso della xiv legislatura le dinamiche di partito furono strettamente intrecciate a quelle di coalizione. La compattezza inizialmente manifestata dalla CdL - interessata anche da un processo di semplificazione interna, che portò nel dicembre 2002 all'aggregazione del Centro cristiano democratico (CCD), dei CDU e di Democrazia europea nell'Unione dei democratici cristiani e di centro (UDC), con segretario M. Follini - s'incrinò nel corso del tempo a causa di dissensi insorti nel corso dell'azione di governo, che riportarono in superficie differenze di ispirazione e tensioni competitive tra i soggetti dell'alleanza. L'esercizio della leadership da parte di Berlusconi, nella sua duplice veste di capo politico della coalizione e di guida del governo, si risolse spesso, di conseguenza, in un'opera di armonizzazione dei conflitti e di compensazione tra le esigenze particolari poste dai singoli partiti della maggioranza parlamentare. I successi di quest'opera di armonizzazione ebbero un riscontro nella capacità del secondo governo Berlusconi di mantenersi al vertice della politica nazionale più a lungo di qualunque altro esecutivo della storia dell'Italia repubblicana, ma in due dei partiti della coalizione - AN e UDC - si fece strada la convinzione che, nella ricerca di un equilibrio, il presidente del Consiglio fosse portato a prestare un'attenzione eccessiva alle istanze della Lega Nord, costruendo di fatto in seno alla maggioranza un accordo preferenziale tra quest'ultima e Forza Italia. Diversi fattori (la presenza in AN e UDC di settori meno inclini alla polemica nei confronti degli alleati, le posizioni non sempre collimanti fra questi stessi due partiti, la forza del vincolo di coalizione all'interno di un sistema maggioritario) consentirono però a Berlusconi di mantenere il controllo della situazione, salvaguardando la coesione della maggioranza.
Difficoltà ben maggiori dovette affrontare, nella parte iniziale della legislatura, la coalizione di centrosinistra, alle prese con problemi di leadership (essendosi quella di Rutelli di fatto esaurita nei mesi successivi alle elezioni) e di frammentazione interna, aggravati dalla concorrenza, non sempre soltanto latente, tra le due principali componenti dell'alleanza, DS (con il nuovo segretario P. Fassino) e La Margherita (quest'ultima trasformatasi in partito nel marzo 2002, con Rutelli come presidente, senza però l'apporto dell'UDEUR, rimasta organizzazione autonoma). Le incertezze e la demoralizzazione del vertice della coalizione crearono le condizioni perché tra militanti ed elettori del centrosinistra riscuotessero successo per tutto il 2002 appelli alla mobilitazione provenienti dall'esterno degli apparati di partito (il cosiddetto movimento dei girotondi), mentre anche la maggiore delle confederazioni sindacali, la CGIL, era portata ad assumere una funzione di traino nell'organizzazione di iniziative di contrasto dell'azione governativa, in particolare in occasione della manifestazione nazionale tenutasi a Roma nel marzo 2002 con grande partecipazione popolare. Il momento culminante di questo tipo di mobilitazioni si ebbe nei primi mesi del 2003, con le manifestazioni pacifiste contro la seconda guerra del Golfo, dopodiché nell'area dell'Ulivo si avviò un processo di ricomposizione della frattura tra partiti e 'movimenti', favorito dal manifestarsi dei primi segni di difficoltà della maggioranza di governo e dal successo del centrosinistra in alcune elezioni amministrative. Una scossa venne anche nel luglio 2003 in seguito all'invito di Prodi alle forze dell'Ulivo affinché presentassero una lista unitaria alle elezioni europee del 2004: alla discussione, fino a quel momento inconcludente, sull'adozione di regole interne di comportamento, in grado di rafforzare il profilo unitario di un'alleanza fortemente articolata sotto il profilo organizzativo e politicamente differenziata, si sostituiva in tal modo la proposta di un'aggregazione che incominciasse a ridurre proprio quella diversificazione. Nello stesso tempo Prodi si riproponeva implicitamente come leader dell'Ulivo, ben prima che venisse a scadenza, nel novembre 2004, il suo mandato di presidente della Commissione europea. La sua proposta fu accolta da DS, La Margherita e SDI, che, con il concorso anche del piccolo movimento dei Repubblicani europei, decisero di partecipare alle elezioni europee con la lista Uniti nell'Ulivo.
Le elezioni europee del giugno 2004 registrarono un equilibrio tra partiti di maggioranza e di opposizione. Le forze della CdL raggiunsero il 45,4%, mentre il complesso dei partiti del centrosinistra, includendo anche PRC e Italia dei valori (che avevano ripreso a muoversi in una prospettiva di coalizione) ottenne il 46,1%. La lista Uniti nell'Ulivo conseguì il 31,1%, mentre nell'ambito del centrodestra si ebbe un consistente ridimensionamento di Forza Italia (21%) e una tenuta di AN (11,5%), che dimostrò di non aver risentito della nascita di Alternativa sociale, formazione promossa nel dicembre 2003 da A. Mussolini, uscita da AN in segno di protesta contro le parole di condanna dell'esperienza fascista pronunciate da Fini nel corso di una visita in Israele. Esito più sfavorevole per la maggioranza di governo ebbero invece una serie di elezioni locali, svoltesi contemporaneamente a quelle europee, che videro la conquista da parte del centrosinistra di diverse amministrazioni comunali, provinciali e regionali, prima rette dal centrodestra. AN e UDC, che soprattutto nel Mezzogiorno avevano sensibilmente eroso l'area di consenso di Forza Italia, si sentirono incoraggiate dal risultato elettorale a chiedere con forza un assetto più equilibrato della CdL e strapparono, in luglio, un apparente successo, ottenendo le dimissioni dal governo del ministro dell'Economia e delle Finanze G. Tremonti, simbolo di quel legame politico tra Forza Italia e Lega Nord che aveva fin lì impresso alla CdL l'immagine di una coalizione territorialmente incentrata sull'area lombardo-veneta e portata, con i suoi programmi politici, a farsi interprete soprattutto di interessi e aspirazioni radicati in quella parte della Paese. La prova di forza in atto nella CdL riguardava però anche le modalità dell'esercizio della leadership da parte di Berlusconi: soprattutto il segretario dell'UDC Follini criticava il regime di 'monarchia assoluta' vigente nella CdL e chiedeva che nell'alleanza avesse più spazio la dialettica tra i partiti. Proprio al fine di mettere i partiti in condizione di affermare la loro specifica individualità anche nel quadro di un bipolarismo di coalizione, l'UDC sollecitava con insistenza la reintroduzione del sistema elettorale proporzionale. Dopo qualche momento di difficoltà, verso la fine dell'anno Berlusconi riprese saldamente il controllo della situazione: accordò sì un riconoscimento ai suoi alleati più inquieti (Fini divenne ministro degli Esteri e Follini vicepresidente del Consiglio dei ministri), ma in occasione della discussione della legge finanziaria per il 2005, con un colpo di teatro, impose un riordino del sistema fiscale su cui AN e UDC avevano inizialmente espresso forti riserve, dimostrando in tal modo di essere di nuovo in condizione di dettare l'agenda politica della CdL e del governo.
Nel frattempo la coalizione di centrosinistra era impegnata a definire i suoi assetti interni. Il disegno di Prodi era quello di raccogliere in un'alleanza larga e pluralistica tutte le forze in grado di riconoscersi in un progetto di alternativa al governo della CdL, sollecitando nello stesso tempo i partiti che avevano promosso la lista unitaria per le elezioni europee a stipulare un patto federativo e ad assumere così una funzione coesiva all'interno dell'alleanza; il candidato alla guida del governo in vista delle elezioni politiche del 2006 sarebbe poi stato designato con il metodo delle elezioni primarie, in modo che risultasse espressione di una scelta collettiva degli elettori, e non solo di un accordo tra partiti. Presero così forma due cerchi concentrici: da un lato nell'ottobre del 2004, la Grande alleanza democratica (poi più sobriamente ribattezzata L'Unione), dall'altro nel febbraio del 2005, la Federazione dell'Ulivo (Fed), con Prodi come presidente. La Fed avrebbe dovuto beneficiare di parziali e progressive cessioni di sovranità da parte delle quattro organizzazioni politiche aderenti, ma si scontrò subito con la difesa dell'identità di partito (che era poi difesa di una particolare vocazione politico-ideologica, che non si voleva disperdere in un'aggregazione unitaria) da parte dell'ala sinistra dei DS e di una consistente porzione de La Margherita (gran parte degli ex PPI e lo stesso presidente Rutelli). Così, alle elezioni regionali svoltesi nell'aprile 2005, solo in 10 regioni, prevalentemente del Centro-Nord, i partiti federati riproposero la lista Uniti nell'Ulivo; altrove concorsero ciascuno con il proprio simbolo.
Le elezioni segnarono comunque una netta affermazione dell'Unione, che conquistò 12 delle 14 amministrazioni in palio (solo la Lombardia e il Veneto andarono alla CdL), ottenendo con le sue liste il 52,3% (CdL 44,6%). Le liste, unitarie o autonome, dei partiti aderenti alla Fed raggiunsero nel loro insieme il 34,6%, mentre Forza Italia toccò il 18,7%, AN il 10,6%. Malgrado il successo elettorale, il timore di confondersi con i DS restava assai forte in consistenti settori de La Margherita: la maggioranza del partito (giugno 2005) escluse la possibilità di ripetere l'esperienza della lista unitaria in occasione delle elezioni politiche svoltesio nel 2006, ritenendo che la formazione de La Margherita, presentandosi autonomamente per la quota proporzionale della Camera, avrebbe avuto maggiori possibilità di ottenere consensi tra gli elettori moderati delusi dalla CdL. Tale scelta non solo provocò la crisi della Fed, ma portò anche La Margherita sull'orlo di una rottura, a causa dell'irritazione che la linea di Rutelli suscitò nella componente più legata al progetto di Prodi, il quale a sua volta giudicò un 'suicidio' quella decisione. Fu possibile placare le tensioni più laceranti confermando l'impegno di far scaturire da elezioni primarie la designazione del leader dell'Unione nelle elezioni politiche e ribadendo il sostegno alla candidatura di Prodi di tutti i partiti che avevano dato vita alla Fed. Le elezioni primarie dell'Unione che costituirono una novità assoluta in Europa, tenutesi nell'ottobre 2005 con una partecipazione di oltre 4 milioni di votanti, assegnarono a Prodi il 74% dei consensi (il segretario del PRC, F. Bertinotti, ottenne il 14,7%).
Nella CdL il primo contraccolpo della sconfitta alle elezioni regionali si abbatté sul governo, costretto alle dimissioni. Dall'interno stesso della coalizione si levava la richiesta di una discontinuità rispetto al passato. La novità più rilevante nella composizione del nuovo esecutivo (terzo governo Berlusconi) venne però dalla decisione di Follini di non accettare il rinnovo dell'incarico di vicepresidente del Consiglio. Proprio Follini sviluppò nei mesi successivi un'iniziativa politica tendente a mettere in discussione la riconferma di Berlusconi come leader della CdL nelle elezioni politiche del 2006 e a bloccare la strada all'ipotesi della costituzione di un 'partito unico dei moderati', avanzata da Berlusconi dopo le elezioni regionali. In quest'opera di interdizione Follini si spinse però oltre il punto fino al quale il suo partito (per non dire di AN) era disposto ad assecondarlo. Alla via da lui imboccata, che rischiava di portare l'UDC a far valere la propria autonomia fuori della CdL, si oppose lo stesso presidente dalla Camera P. Casini che, pur nella sua veste istituzionale, restava l'autorità maggiore del partito. L'UDC negoziò pertanto una nuova intesa con gli alleati, con l'obiettivo di garantirsi dentro la CdL i margini di autonomia per promuovere i propri caratteri politici specifici. La base dell'accordo fu la riforma del sistema elettorale per le elezioni politiche, con l'abbandono del sistema uninominale e il ritorno allo scrutinio di lista con ripartizione proporzionale dei seggi; a salvaguardia del principio maggioritario e del bipolarismo la nuova legge elettorale stabilì la possibilità di apparentamenti e premi di maggioranza (su base nazionale per la Camera, su base regionale per il Senato) alla coalizione che avesse ottenuto più voti (l. 21 dic. 2005, n. 270). La decisione dell'UDC di accantonare la questione della leadership della CdL fu intesa da Follini come una sconfessione della sua linea politica: egli diede pertanto le dimissioni dalla segreteria del partito (ott. 2005) e fu sostituito da L. Cesa.
La nuova legge elettorale impose ai maggiori partiti dell'Unione una riconsiderazione delle scelte precedenti. Senza più il legame unitario costituito dal candidato comune della coalizione nei collegi uninominali, la competizione tra una pluralità di liste in un sistema proporzionale era foriera di pericolose tensioni centrifughe, anche perché vi era la possibilità che Prodi sfruttasse l'ampio successo riscosso nelle primarie dell'Unione per dar vita a una lista personale. Così La Margherita finì per accettare la formazione di una lista unitaria dell'Ulivo nelle elezioni politiche, sia pur limitatamente al voto per la Camera; secondo la proposta di Rutelli la lista unitaria doveva aprire la porta alla costituzione, dopo le elezioni, di un 'partito democratico', destinato a fungere da perno dell'Unione. L'idea del partito democratico era da tempo sul tappeto, propugnata da quanti avvertivano la necessità di una confluenza sul piano organizzativo delle culture politiche riformiste che rappresentavano là e il superamento, al tempo stesso, delle tradizioni del progressismo di ascendenza cattolica, laica e socialista. A tale prospettiva aderirono i DS, ma non i SDI, che dopo la fine della Fed aveva imboccato la strada di una convergenza con il Partito radicale, anche in polemica con le posizioni giudicate eccessivamente compiacenti della maggioranza de La Margherita nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche (in occasione di un referendum sulla legge per la procreazione assistita nel giugno 2005, Rutelli aveva appoggiato, al pari della CdL, la scelta astensionista propagandata dalla Conferenza episcopale italiana, e il quorum prescritto di votanti non era stato raggiunto). Dall'intesa creata tra i SDI e il Partito radicale nacque un'aggregazione denominata Rosa nel pugno, con un programma di ispirazione rigorosamente laica, che dopo qualche difficoltà fu accolta nell'Unione.
L'esito delle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006 fu, quanto all'espressione del voto popolare, di sostanziale parità. La CdL, in forte recupero rispetto alle precedenti tornate elettorali amministrative e regionali, prevalse al Senato (50,2%, contro il 49% all'Unione); l'Unione alla Camera (49,8%, contro il 49,7% alla CdL). La distribuzione dei premi di maggioranza previsti dalla legge elettorale assegnò 155 seggi del Senato alla CdL, 154 all'Unione; 340 seggi della Camera all'Unione, 277 alla CdL. Per la prima volta una quota supplementare di seggi fu assegnata dal voto degli italiani all'estero (l. 27 dicembre 2001, n. 459). Ciò consentì all'Unione di ampliare la maggioranza alla Camera (348 a 281) e di raggiungerla anche al Senato (158 a 156). Per quanto riguarda la distribuzione del consenso tra i partiti, alla Camera la lista dell'Ulivo ottenne il 31,3% (al Senato DS e La Margherita ottennero rispettivamente il 17,5% e il 10,7% ), Forza Italia il 23,7%, AN il 12,3%. Degli altri partiti superarono il 5% l'UDC (6,8%) e il PRC (5,8%). Sulla base di questi risultati, successivamente all'elezione del nuovo presidente della Repubblica G. Napolitano, si costituì un governo dell'Unione, presieduto da Prodi.