Partito comunista cinese (PCC)
(PCC) Partito politico cinese fondato a Shanghai nel luglio 1921 in presenza di 12 delegati, rappresentativi di gruppi creati nel 1920 in Cina e all’estero, e di un delegato del Comintern. Il suo primo segretario fu Chen Duxiu, già tra i promotori del movimento antigiapponese e antimperialista del 4 maggio 1919. Il PCC nacque come organizzazione rivoluzionaria clandestina e rifiutò la collaborazione con i nazionalisti del Guomindang (GMD). Di ideologia ispirata alla Rivoluzione d’ottobre, era orientato verso gli operai delle città. Nel 1923 il Congresso del partito si adeguò alla richiesta del Comintern che i membri aderissero al GMD a titolo individuale e iniziò una fase di collaborazione fra i due movimenti, favorita da Mosca, che continuò negli anni seguenti malgrado i contrasti con una parte del GMD, conclusisi con la rottura finale del luglio 1927, quando Jiang Jieshi attaccò i comunisti a Shanghai, dando inizio al massacro sistematico dei membri del PCC e alla guerra civile. In questo quadro Mao Zedong, anch’egli tra i fondatori del PCC, caldeggiò la necessità di una insurrezione contadina e della «guerra popolare». Nel 1929 venne creata una base nel Jianxi (nel 1931 Repubblica sovietica cinese) contro la quale si diressero le campagne di sterminio dell’esercito, finché alla fine del 1934 essa venne abbandonata e iniziò la cd. Lunga marcia, durante la quale emerse la figura dominante di Mao nella conferenza di Zhunyi. La marcia, nel corso della quale furono fondate centinaia di comuni popolari, si concluse nell’ottobre del 1935 nello Shanxi. Fra il 1935 e il 1936 si svolsero complesse trattative con il governo di Nanchino per sanare il conflitto e avviare una collaborazione contro il Giappone, finché i due movimenti raggiunsero un’intesa all’indomani dell’inizio della guerra cino-giapponese che durò fino al gennaio del 1941. Durante il conflitto il ruolo dell’Esercito popolare di liberazione si accrebbe progressivamente. Nel novembre del 1944 l’emissario americano P. Hurley visitò Mao a Yenan e nel 1945, conclusasi vittoriosamente la guerra, si tenne il 7° Congresso del partito, che consacrò l’autorità dello stesso Mao, eleggendolo presidente del Comitato centrale. Successivamente, falliti i tentativi americani di mediazione e i negoziati per un governo di coalizione, riprese la guerra civile, che pure vide prevalere sulle forze nazionaliste l’Esercito popolare di liberazione. Il 1° ottobre 1949 Mao proclamò dunque la Repubblica popolare di Cina (RPC) nelle cui istituzioni il rapporto tra Stato e partito rimase strettissimo, anche se nella RPC non c’era formalmente monopartitismo. Negli anni Cinquanta emerse una divisione in correnti, specialmente sul tema della collettivizzazione agricola, che si aggravò negli anni Sessanta. Intanto la Cina, a seguito delle forti perplessità di Mao sulla politica chruscioviana, a partire dal 1960 (pubblicazione dell’opuscolo Viva il leninismo! e conferenza di Mosca dei partiti comunisti) si pose come contraltare ideologico rispetto all’URSS, rigettando la linea della coesistenza pacifica, sostenendo l’antagonismo città/campagne su scala mondiale, individuando nei movimenti di liberazione del Terzo mondo l’elemento centrale della lotta al capitalismo e infine ponendosi come partito-guida alternativo al Partito comunista sovietico. Questa linea non mancò di produrre contrasti nel partito, che esplosero nel 1965 con la Rivoluzione culturale, in cui Mao stesso esortò gli studenti e le Guardie rosse ad attaccare i vertici politici; oggetto degli attacchi furono in particolare Deng Xiaoping (segretario del PCC dal 1956 e indotto alle dimissioni) e Liu Shaoqi, stigmatizzato come «Chruščëv cinese»: il PCC cessò virtualmente di funzionare e la normalità tornò solo nel 1969 col 9° Congresso, ma le rivalità si riacutizzarono. Dopo la morte di Mao e la fine della sinistra radicale (arresto della «banda dei quattro», tra cui la vedova di Mao, 1976), iniziò dal 1977-78 un nuovo corso, legato alla figura di Deng Xiaoping e maturato a partire dal 13° Congresso (1987). Nel 1989 le proteste e la strage di piazza Tien an men provocarono le dimissioni del segretario Zhao Ziyang, vicino alle posizioni di Gorbacëv. Il suo successore (1989-2002) fu Jiang Zemin, che assieme a Deng portò avanti il nuovo corso, affiancando le riforme economiche al mantenimento del potere politico nelle mani del partito. Al 16° Congresso (2002), l’ideologia ufficiale, pur senza rinnegare il pensiero di Mao, con la Teoria delle tre rappresentanze affermò l’avvento del tecno-socialismo e dell’economia socialista di mercato. Il successore di Jiang Zemin, Hu Jintao, ha proseguito sulla stessa linea, proponendo al 17° Congresso l’obiettivo di una «società armoniosa» che riesca a contemperare le riforme e lo sviluppo economico con l’equilibrio sociale e tra le diverse zone del Paese.