PARTITO
. Un naturale istinto di lotta domina l'umanità pur nel suo stato sociale. Gli uomini si riuniscono in gruppi, si creano dei capi, si dànno una gerarchia, ma, incontrando altri gruppi, si misurano con essi e lottano. La guerra è fenomeno d'organizzazione sociale. D'altra parte, ove non sia lotta verso l'esterno, nell'ambito del gruppo si assiste al manifestarsi delle stesse tendenze agonistiche, nell'urto non di persone singole, bensì di classi, fazioni, consorterie, partiti.
Secondo la dottrina tradizionale il partito (dal lat. pars) non è che una parte di un tutto. Come osserva J.K. Bluntschli, la sua coscienza, quindi, non può essere che coscienza di una parte della nazione ed esso non si deve identificare col tutto, popolo o stato. Altrimenti commetterebbe un'usurpazione contro gli altri partiti, che può combattere ma non ignorare né distruggere.
Per assicurare la libertà al contrasto dei partiti si vuole quindi considerarli non come istituzioni di diritto pubblico, ma come mere entità sociali e politiche, epperò porre fuori da essi i più delicati organi dello stato. Il re, nella monarchia costituzionale, è fuori dai partiti, rappresenta l'unità dello stato. I funzionarî, ancorché come privati possano appartenere a un partito, debbono essere imparziali nell'attività che esercitano ai fini collettivi. Da questo punto di vista il Bluntschli, che rappresenta compiutamente l'accennato indirizzo, definisce i partiti come gruppi di soci, liberi di appartenervi o no, i quali sono avvinti da un determinato sentimento e indirizzo a una comune azione politica. Essi sono un prodotto e una rappresentanza delle diverse correnti dello spirito politico, il quale muove la vita politica nel seno dell'ordinamento giuridico.
In genere si distingue tra fazioni e partiti. Si dice che solo il mondo moderno conosce i partiti, presupponendo questi un ambiente di libertà e la conquista del potere senza violenza. Distinzione che invero fa appello ad astratte considerazioni etico-giuridiche, e prescinde dalla realtà storica, ove il contrasto dirompe nelle guise più diverse. Se giuridicamente il partito s'inquadra nella legalità, la considerazione sociologica lo pone sullo stesso piede della fazione, espressione dell'istinto agonistico proprio dell'uomo. È questo il comune fondamento. La lotta, ove non trovi limiti in altri motivi spirituali, che la risolvano nell'ordinamento giuridico, degenera; oltre il partito crea la setta. Di contro, ove l'agonismo si temperi con sentimenti di solidarietà sociale, miri a ideali di vita organizzata più ampia, la scissura dei gruppi si risolve in un potenziamento della compagine collettiva. Lo stesso scindersi e quindi il giuoco dei partiti finisce per generare equilibrio, ché il controllo degli avversarî significa legalità, bisogno di affinamento, più piena e differenziata realizzazione di una convivenza comune. Il partito s'inquadra nel moderno costituzionalismo, rappresentandone l'aspetto dinamico e sociale, mentre la divisione dei poteri e la tutela giuridica ne rappresenta l'aspetto strettamente formale.
Ogni partito presuppone una dottrina, che può consistere sia in un principio universale sia in più principî particolari. Le differenze possono essere profonde o superficiali. In genere l'antitesi si polarizza tra due estremi: un gruppo che domanda qualcosa, una minoranza che aspira a divenire maggioranza per ottenere un diritto nuovo, un gruppo che difende la situazione attuale, sia negando la richiesta sia ritenendola intempestiva. Il primo si dice liberale o radicale o progressista, l'altro conservatore. Le varietà sono molteplici, in ogni caso relative e storiche. In paesi di matura libertà il conservatore è solo meno liberale del liberale. Dualismo, questo, che solo raramente si mantiene, come per lungo tempo è stato in Inghilterra. Più spesso per interessi e passioni i partiti si decompongono e si frazionano, dando luogo a tipiche degenerazioni nella moderna politica parlamentaristica. Contro le quali non è mancata una tendenza che nell'abolizione del sistema dei partiti vuole instaurare il partito unico, il partito-stato.
In quanto ai fattori da cui dipende la diffusione di un partito politico occorre tener presenti soprattutto motivi storici più che criterî astratti. Per alto che sia il credo di un partito, deve essere adatto a un dato momento, soddisfacendo un gran numero di inclinazioni umane. Il partito inoltre deve darsi un'organizzazione, suscitare un capo o dei capi, che mantengano la dottrina, la svolgano e la impongano, deve coordinare le masse degl'indifferenti su cui operare. Sociologia complessa, che di recente ha avuto trattazioni autorevoli, anche in Italia.
G. Mosca, rinnegando il giusnaturalismo della politica precedente (tipica la teoria di F. Rohmer, per cui i partiti dovrebbero rispondere a naturali esigenze, corrispondendo alle età dell'uomo; nonché quella di E.S. Stahl, che vuole spiegare tutte le differenze di partito con l'antitesi di rivoluzione e legittimità, ove per legittimità intende il riconoscimento di un ordine superiore assolutamente obbligatorio, posto da Dio e quindi oltre la volontà dei singoli), ne studia la morfologia e lo spirito. Oltre il numero vede i capi, oltre le masse la classe politica, gruppo selezionato che dirige le sorti dello stato, oltre le dottrine la formula politica, strumento di lotta. Per democratico che sia un regime, per ampio ed egualitario che sia il partito, superando la sovrastruttura è possibile rinvenire sempre un'aristocrazia. Il contrasto dei partiti è contrasto di classi politiche; la politica rotazione di esse.
Alle tendenze oligarchiche dei partiti hanno dedicato la loro indagine varî autori. M. Ostrogorski le ha studiate in rapporto al governo democratico in Inghilterra e soprattutto negli Stati Uniti. Più ampia e generale la trattazione di R. Michels. Per questo autore qualsiasi organizzazione di partito presenta un potere oligarchico poggiante su basi democratiche. Ovunque sono elettori ed eletti, ovunque un illimitato potere dei capi sulle masse. La struttura oligarchica soffoca il fondamentale principio democratico. La democrazia è un ideale criterio etico alla cui stregua è da misurare il grado di oligarchia immanente ad ogni assetto sociale.
La tendenza sovraccennata, del partito unico, sembra legarsi in parte alla tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come necessaria nel partito. Non rinnegando l'ampio fondamento democratico, esalta l'aristocrazia militante dei primi confessori dell'idea e sublima religiosamente il capo (Duce, Führer). Il partito divien stato; acquista rilievo giuridico, assurge a personalità morale. Il diritto non l'ignora, bensì lo comprende. L'esperienza del fascismo in Italia, del nazionalsocialismo in Germania è profondamente istruttiva al riguardo. Certo essa scuote il dogma del costituzionalismo che nel contrasto dei partiti vuol fondare l'ordine e l'equilibrio, attendendo la selezione politica dalla scelta spontanea e libera. Tuttavia bisogna pur dire che non elimina la dialettica delle tendenze, sempre operosa nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito unico s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e questo sopra di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione etica, quindi nel partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si trasformi arricchendo i suoi strumenti, i suoi organi, le sue funzioni. Elidere ogni varieta di motivi in un' instaurazione dogmatica di principî rigidi è vano sogno, ché oltre gli schemi irrompe la vita e il contrasto. Ciò non esclude che questa debba ricondursi nell'ambito totalitario dello stato, nell'unicità etica che questo rappresenta.
Bibl.: F. Rohmer, Lehre von den politischen Parteien, Zurigo 1844; F. G. Stahl, Die gegenwärtigen Parteien in Staat u. Kirche, Berlino 1863; J. K. Bluntschli, Charakter und Geist der politischen Parteien, Nordlingen 1859; rifuso nel libro XII della Dottrina dello stato moderno, III: La politica come scienza (trad. it., Napoli 1879); F. Paulsen, Parteipolitik u. Moral, Dresda 1900; M. Ostrogorski, La démocratie et l'organisation des partis politiques, voll. 2, Parigi 1903; F. Naumann, Die politischen Parteien, Berlino 1910; R. Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, trad. A. Polledro, Torino 1912; id., Saggio di classificazione dei partiti politici, in Riv. intern., di fil. del dir., VIII (1928), pp. 162-178; id., Studi sulla democrazia e sull'autorità, Firenze 1933; G. Mosca, Il principio aristocratico ed il democratico nel passato e nell'avvenire, Torino 1903; id., Elementi di scienza politica, 2ª ed., Torino 1923.