parto
Due occorrenze, sempre nel significato proprio: una in Cv IV XXVIII 17 io sono per li parti vota (Marzia chiede a Catone di riprenderla nella sua casa, ora che gli ha obbedito, e ora che, finita la sua fertilità, non può più essere utile a nessun altro).
L'altra occorrenza è in Pd XVI 35, nell'avvio della rievocazione da parte di Cacciaguida del passato di Firenze: Da quel dì che fu detto ‛ Ave ' / al parto in che mia madre... / s'allevïò di me ond'era grave.
partorire (parturire). Il tono lamentoso e dolente con cui gli avari del Purgatorio invocano, nel pianto, il nome della Vergine, richiama alla fantasia di D. i lamenti di una donna che in parturir sia (Pg XX 21). Ancora nel Purgatorio il verbo è adoperato altre due volte in senso proprio: una con riferimento alla Vergine (III 39: ma l'azione è vista in funzione dei suoi effetti: se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria, non era necessario " che Cristo nascesse "); l'altra alla mitica Latona (XX 132: cfr. Ovid. Met. VI 190-192).
L'accezione di " generare " è comune anche ad altre occorrenze del verbo, ma in senso figurato. Una delle più efficaci rappresentazioni dell'atto della creazione e della Trinità è nelle parole di s. Tommaso, quando spiega che tutto il creato non è se non splendor di quella idea / che partorisce, amando, il nostro Sire (Pd XIII 54). Dio " vede ed intende sé stesso. Egli ha dunque l'Idea di sé stesso; e tale Idea è il Verbo. Ma esso Verbo, o Idea, deve dirsi non tanto concepito, così come noi diciamo concepite le idee, che delle cose ci formiamo... ma addirittura generato, anzi partorito da Dio stesso... donde il nome di Figlio che al Verbo o Idea di Dio viene pur dato... Ma Dio, vedendo e intendendo sé stesso come Sommo Bene, si ama... e quest'amore è lo Spirito Santo.. " (Scartazzini-Vandelli). E anche, ad altro proposito: La fama buona... è generata da la buona operazione ne la mente de l'amico, e da quella è prima partorita... Quella mente che prima la partorisce... non si tiene a li termini del vero (Cv I III 7 e 8): si noti la congruenza delle immagini (‛ generare '-p.), dove il verbo vale più esattamente " provocare ", " dar luogo a "; nel girone dei golosi D. sente piangere e cantar... per modo / tal, che diletto e doglia parturìe (Pg XXIII 12), " cagionò " (Lombardi), " produsse " (Rossi-Frascino). Nello stesso ambito si colloca il passo di Pd I 31: il culto della poesia è diventato talmente raro, che parturir letizia in su la lieta / delfica deïtà dovria la fronda / peneia, quando alcun di sé asseta; e ancora: la beatitudine consiste nella visione di Dio, e tale visione è commisurata al merito prodotto dalla grazia divina e dal buon volere della creatura: del vedere è misura mercede, / che grazia partorisce e buona voglia (XXVIII 113).
Il significato del verbo si allontana alquanto da quello finora visto, in Rime C 3 Io son venuto al punto de la rota / che l'orizzonte, quando il sol si corca, / ci partorisce il geminato cielo: rota va interpretato come " rotazione dei cieli ", e che vale " in cui ". Il passo significa dunque, come spiegano Barbi-Pernicone (cfr. anche la nota ai vv. 2-3): " ci mostra (la costellazione dei Gemelli) come se fosse nata in quel momento trovandosi quasi aderente alla linea dell'orizzonte orientale " (geminato cielo è il cielo delle Stelle fisse " ornato della costellazione zodiacale dei Gemelli ", Contini). Quanto al ci, sembra preferibile considerarlo pronome personale (Barbi-Pernicone) anziché avverbio di luogo (" qui "), come pensa il Contini.