PARTO (fr. accouchement; sp. parto; ted. Geburt; ingl. childbirth)
È l'espulsione o l'estrazione del prodotto del concepimento dall'organismo materno. Nella donna esso si verifica di solito 280 giorni dopo il primo giorno dell'ultima mestruazione, e si dice allora parto a termine. Si è perciò fissata convenzionalmente per la gravidanza la durata di 280 giorni, che però non corrisponde alla durata reale della gravidanza.
Infatti è ovvio che nel giorno in cui comparve per l'ultima volta la mestruazione la donna non era ancora gravida, e molto probabilmente lo è diventata solo dopo finita la mestruazione, o meglio ancora in uno dei giorni intercedenti tra la fine della mestruazione e la data in cui la nuova mestruazione si attendeva. Ne consegue che i 280 giorni non rappresentano la durata reale della gravidanza, bensì la sua durata apparente. Quanto alla durata reale, per conoscerla con esattezza bisognerebbe conoscere la data in cui avvenne la fecondazione dell'uovo. Ciò non sarà mai possibile nella donna. Tutt'al più potremo riferirci alla data del coito fecondante, limitatamente ai casi in cui la donna ha avuto un'unica coabitazione. Da calcoli fatti su dati del genere si verrebbe alla conclusione che la durata reale della gravidanza sarebbe in media di 270 giorni a partire dalla data del coito fecondante. Il codice italiano, che riconosce legittimo il bambino nato non oltre i 300 giorni dalla morte del marito, considera questa come la massima durata reale della gravidanza.
Una domanda che sorge spontanea è questa: per quale ragione nella donna 280 giorni dopo il principio dell'ultima mestruazione inizia il parto? In altre parole, quale è la causa determinante del parto? È questo un problema non ancora maturo alla soluzione. Si sa che l'eccitabilità della fibra muscolare uterina va gradatamente aumentando quanto più si avvicina il termine della gravidanza, e che certi stimoli incapaci di destare a contrazione l'utero di 3, di 4 mesi, spiegano più facilmente la loro azione nel 7°, nell'8° e nel 9° mese. Si conosce anche la natura di certi stimoli capaci di provocare a contrazione l'utero; p. es., l'anemia bulbare, gli eccitamenti termici (iperpiressie, stimolazioni termiche dirette sul collo dell'utero); le stimolazioni elettriche; quelle di natura tossica apportate da certe sostanze medicamentose, o dall'accumulo di acido carbonico nel sangue, o da tossine comunque elaborate nell'organismo della donna; le stimolazioni meccaniche agenti in via diretta o in via riflessa sull'utero. È difficile precisare a quale di queste categorie appartenga lo stimolo che eccita fisiologicamente l'utero a contrarsi verso il 280° giorno di gravidanza. C'è chi pensa a una stimolazione meccanica, sia perché l'espansione delle parti basse dell'utero (segmento inferiore), qual'è determinata dallo sviluppo dell'uovo negli ultimi tempi della gravidanza, possa a un certo momento eccitare la ricca rete gangliare che è distribuita attorno a queste parti declivi dell'utero, sia perché le membrane dell'uovo negli ultimi tempi della gravidanza vadano incontro nei loro strati esterni a fatti regressivi, per i quali l'involucro più esterno dell'uovo finirebbe col rappresentare verso la parete uterina quasi un corpo estraneo. C'è invece chi pensa di preferenza a uno stimolo tossico, quale potrebbe essere l'asserita venosità del sangue circolante nell'utero, e ciò in ragione dell'ostacolo che alla circolazione uterina porterebbe il graduale restringersi del calibro dei vasi per processi di proliferazione della loro tunica intima. Uno stimolo tossico potrebbe pure derivare dal comportamento del tessuto placentare; così nella gravidanza extrauterina, nei rari casi in cui essa giunge al termine, se il feto che non può essere espulso soccombe fatalmente poco dopò raggiunto il termine, è perché la vita degli elementi placentari più nobili ha un ciclo ben determinato, esaurito il quale essi debbono soccombere. Nello stesso modo si devono comportare gli elementi placentari anche nella gravidanza uterina, andando incontro ad autolisi con liberazione di copiosi fermenti endocellulari, che probabilmente eserciteranno un'azione tossica, stimolante della contrazione uterina. Introducendo in causa il fattore ereditarietà, s'è detto che il parto a termine rappresenta per il feto la soluzione più favorevole della gravidanza; i feti nati prima del 280° giorno devono dare un contingente assai minore di sopravvivenza, in causa della prematuranza; altrettanto quelli nati dopo il 280° giorno, in ragione delle maggiori difficoltà e pericoli incontrati nel parto. Nel succedersi delle generazioni verrebbe dunque a essere gradualmente eliminata la discendenza dei feti nati prima e dopo il 280° giorno, per una forma di selezione, cosicché la tendenza al parto verso il 280° giorno avrebbe finito con l'organizzarsi in carattere ereditario e fisso. Come si vede, però, questa interpretazione non fa altro che spostare i termini della questione, lasciando sempre nell'oscurità il modo per cui si esplichi questa misteriosa tendenza.
Se ancora sono ignote le cause determinanti il parto, ne sono invece ben conosciute le cause efficienti, cioè le contrazioni uterine e le contrazioni dei muscoli addominali.
La contrazione delle fibre muscolari dell'utero tende a ridurre il volume della cavità uterina e perciò a espellerne il contenuto. Quando con le prime contrazioni inizia il parto, l'utero veramente non può ridursi di volume, perché l'orificio chiuso non permette l'uscita del contenuto, il quale a sua volta è da ritenersi incompressibile. Perciò le prime contrazioni non hanno altro effetto che quello di sfiancare quella parte dell'utero stesso che è la meno resistente, cioè la parte bassa dell'utero, il segmento inferiore. Difatti il primo effetto delle contrazioni uterine è quello di determinare l'espansione del segmento inferiore, cioè il suo ampliamento in superficie con diminuzione di spessore. Questa parte dell'utero rimarrà perciò per tutta la durata del parto la più sottile: infatti al suo livello è più facile che si verifichino quelle rotture che rappresentano uno dei più gravi incidenti del parto. Quando sotto l'influenza delle prime contrazioni il segmento inferiore ha raggiunto il massimo della sua espansione fisiologica, l'effetto delle contrazioni uterine si esercita sul collo e sulla bocca dell'utero determinandone la graduale dilatazione. A mano a mano che queste parti si aprono, il contenuto può cominciare a uscire dalla cavità uterina spingendosi avanti col suo polo inferiore, che viene a costituire la cosiddetta borsa delle acque, la quale a sua volta contribuisce efficacemente alla dilatazione spingendosi come un cuneo nel nuovo canale che si apre. Questi fenomeni caratterizzano il primo periodo del parto o periodo dilatante, il quale avrà compiuto il suo ciclo quando la bocca dell'utero avrà raggiunto la dilatazione completa, sufficiente a dare passaggio alla testa del feto, la quale nell'atteggiamento di flessione ha diametri oscillanti tra 9 e 9,5 cm.
Dal momento in cui la dilatazione è completa comincia il secondo periodo del parto, o periodo espulsivo. Il feto sotto la spinta della contrazione uterina, trovando la via libera, esce dall'utero e passa in vagina. La presenza della testa fetale nel lume vaginale provoca nella donna il bisogno di premere. Entra così in azione la contrazione del diaframma e dei muscoli delle pareti addominali (forze espulsive), che obbligano il feto a progredire in vagina, le cui pareti non offrono grande resistenza. A circa metà altezza della vagina la progressione del feto incontra però un ostacolo, là dove la vagina attraversa il diaframma pelvico. A questo livello il lume della vagina è ridotto a un'angusta bottoniera, che dovrà essa pure aprirsi fino al diametro di circa 9 cm. per concedere il passaggio alla testa del feto. Superata, con l'aiuto dei più energici sforzi della muscolatura addominale, anche questa strettura, la testa del feto passa nella parte bassa della vagina, dove incontrerà un'ultima resistenza a livello dell'apertura della vulva, che è circondata anche essa da un robusto sfintere muscolare, il muscolo costrittore della vulva. Vinta anche quest'ultima resistenza, la testa e successivamente tutto il corpo del feto vengono espulsi all'esterno, con che ha fine il periodo espulsivo.
Dopo una breve pausa di pochi minuti ha inizio il terzo periodo del parto, il periodo del secondamento. Sempre sotto l'azione delle contrazioni uterine ha luogo prima il distacco della placenta che aderiva intimamente alla parete uterina, poi il suo passaggio in vagina e all'esterno.
Tutti i fenomeni che abbiamo così enumerato costituiscono i fenomeni materni, detti anche fenomeni dinamici del parto, per contrapposto ai fenomeni meccanici che sono rappresentati dai movimenti passivi che, a partire dall'inizio del periodo espulsivo, il feto deve compiere per attraversare il canale genitale. Sotto il nome di fenomeni plastici del parto s' intendono poi i mutamenti di forma che il corpo del feto subisce nel venire alla luce.
Ogni contrazione uterina nel parto è accompagnata da un dolore caratteristico, per cui le contrazioni stesse prendono anche il nome di dolore del parto o doglie. La sensazione dolorosa non è eguale in tutte le donne. In genere le primipare soffrono più delle pluripare. Molto influisce lo stato d'animo della donna e lo stesso ambiente dove il parto si svolge, se non sul dolore, per lo meno sulle sue manifestazioni esterne. Nelle cliniche, nelle sale di maternità, le manifestazioni del dolore sono di solito più clamorose che non per la donna che partorisce nella sua casa, del che un po' la causa è da ricercare nella suggestione dell'ambiente. Fra donne a equilibrio nervoso normale si hanno in genere minori manifestazioni esterne quando si tratti di persona colta, dotata di forti poteri d'inibizione. Nella multipara spesso il dolore del parto si riduce a poca cosa. Si conoscono anche esempî di parto indolore, benché per lo più appartengano al campo patologico.
Quanto è stato detto vale per il parto a termine, quello cioè che si verifica tra il 275° e il 285° giorno, a partire del primo giorno dell'ultima mestruazione comparsa. Se su questo termine il parto anticipa di pochi giorni, una diecina tutt'al più, lo si designa come un parto precoce. La lieve anticipazione, abbastanza frequente specialmente nelle primipare, non è tale da produrre inconvenienti né alla madre né al bambino; si può perciò considerare come una variante del parto fisiologico. Diversamente procedono le cose se il parto si verifica prima del 265° giorno. Quanto più si arretra da questo giorno, tanto più ne derivano inconvenienti per il feto, tolto anzi tempo dal suo naturale ambiente d'incubazione; né mancano talvolta alcune conseguenze moleste anche per la madre.
Il parto prima del 265° giorno è dunque un parto patologico per sé stesso, a prescindere dalle circostanze morbose che lo possono determinare. Però le risorse naturali e quelle dell'arte possono permettere la sopravvivenza del feto anche se espulso prima del 265° giorno, e il parto così anticipato prende il nome di parto prematuro. Se per il parto prematuro si può fissare un limite superiore nel 265° giorno, assai più difficile è fissarne il limite inferiore. La legge, che naturalmente tiene conto delle possibilità estreme, ammette la vitalità extrauterina del feto a partire dal 180° giorno di gravidanza. Ma la legge non basa i suoi computi sulla data, dal punto di vista legale priva di ogni valore, dell'ultima mestruazione, bensì su quella della presumibile ultima coabitazione. Per questa considerazione, sapendo che a partire dal primo giorno dell'ultima mestruazione si debbono aggiungere 280 giorni per stabilire la data del parto a termine, mentre basta aggiungere 270 giorni alla data del coito fecondante, si dovrebbe concludere che, quando si voglia tenere per punto di partenza la data della mestruazione, la vitalità del feto cominci non al 180°, ma al 190° giorno. In realtà poi, senza negare la possibile sopravvivenza di un feto nato entro questi termini, dobbiamo riconoscere che tale sopravvivenza non è che una rarissima eccezione, e che per lo più soccombono, subito o dopo breve tempo tutti i feti che siano nati prima che siano trascorsi 210 giorni circa dalla data dell'ultima mestruazione, prima cioè della fine del 7° mese. Praticamente i bambini nati all'8° mese hanno migliori probabilità di sopravvivenza, mentre soccombono quasi tutti quelli nati al 7° mese, e ciò in antitesi con la sciocca credenza del volgo che ritiene più vitali i bambini settimestri in confronto a quelli nati all'8° mese. Per concludere, da un punto di vista pratico converrà stabilire i limiti del parto prematuro tra i 210 e i 265 giorni. Questa limitazione è tanto più opportuno, in quanto che alla provocazione del parto prematuro si ricorre talvolta nell'interesse della vita fetale, ed è bene stabilire nettamente che l'interesse della vita del feto non può assolutamente essere salvaguardato, se la gravidanza non sia giunta verso la fine dell'8° mese.
Il parto che si verifica prima dei 210 giorni prende il nome di parto abortivo o aborto (v.), intendendosi con la parola aborto l'interruzione della gravidanza prima che il feto sia vitale.
Parto tardivo o serotino è quello che si verifica oltre il 285° giorno; e vediamo verificarsi parti anche dopo 300 a 320 giorni dalla data dell'ultima mestruazione, il che però non infirma punto il concetto accolto dal legislatore, che cioè il parto non si protragga mai oltre i 300 giorni dalla data del coito fecondante. Il parto, oltre che in ragione del tempo in cui si verifica, può dividersi a seconda del numero dei feti espulsi in parto semplice, se ha luogo la espulsione di un solo feto, multiplo, se più d'uno sono i feti espulsi,- a sua volta il parto multiplo si dividerà in parto gemellare, trigemellare, quadrigemellare, quinquigemellare, seigemellare, non conoscendosi casi in cui siano stati espulsi più di sei feti a un parto. A seconda del modo in cui si verifica, si distinguono il parto naturale e il parto artificiale. Il parto naturale è quello che si compie con le sole forze della natura: l'artificiale quello che ha richiesto l'intervento dell'arte. A sua volta il parto artificiale si potrà suddividere in manuale e strumentale, a seconda che la persona dell'arte intervenga con la mano o con strumenti. Un'altra distinzione che si usa fare del parto è quella in eutocico e in distocico. Si dice eutocico il parto che si svolge in tutti i suoi periodi regolarmente, senza bisogno d'intervento dell'arte e senza che nel suo decorso insorgano pericoli per la madre o per il feto. Si dice distocico quando o non si compia con le sole forze della natura, o sia turbato nel suo andamento da qualche pericolo per la madre o per il feto.
Per il parto in veterinaria, v. ostetricia.
Etnologia.
I primitivi non sono sempre ed esattamente informati sul meccanismo fisiologico della nascita e sulla durata della gravidanza. Alcuni fanno dipendere questa dal sesso del feto, onde se è una femmina la nascita si avrà fra l'ottavo e il nono mese; se è un maschio, fra il nono e il dodidesimo mese. La maniera in cui il parto si presenta si crede dipenda dalla posizione del feto nell'utero. I Goldi della foce dell'Amur (Siberia) credono che il feto sia ritto, in piedi, durante la gestazione; i Papua, al contrario, che stia col capo in giù. Da qui l'idea delle due posizioni principali, che la creatura può assumere nel momento di venire alla luce: la posizione della testa e la posizione dei piedi.
È molto comune (Indiani dell'America, Nuova Guinea, Tahiti, Hawaii, Toda dell'India, Alfuri di Celebes, ecc.) l'uso di isolare le partorienti in piccole capanne, appositamente costruite dai familiari, fuori del villaggio (capanne da parto, puerperarum domus) e di sottoporle a speciale regime, allo scopo di salvaguardarle dagl'influssi malefici e demoniaci. La donna in travaglio non deve portare sul capo bende, legami o nodi di sorta; il marito deve essere assente nell'ora dello sgravo; e in casi di pericolo interviene lo stregone, il quale con formule, fumigazioni e altri mezzi provvede alla bisogna. Nel momento decisivo la puerpera si mette in ginocchio, ovvero in posizione accoccolata. Non mancano presso varî gruppi mezzi adatti ad agevolare il parto: lo scannetto per far sedere la puerpera; la leva attaccata a due tronchi d'albero paralleli per farla aggrappare con le mani; lo sgabello con due forcelle per farle mettere i piedi distesi in avanti, ecc.; come pure non mancano le esperte o gli esperti che fan da levatrici. Talvolta, come tra gli Ewe dell'Africa occidentale, e nel Malabar, ecc., quest'ufficio incombe alla madre; talaltra alla suocera. Presso i Masai e i Suaheli esistono levatrici a pagamento; ad esse spetta, fra i Bambara, oltre il salario, la veste della puerpera. Se il parto è difficile, se ne attribuisce la ragione agli spiriti malefici, e allora si ricorre agli incantesimi, ora per combatterli, ora per placarli. Varî popoli (Nigeria, Pigmei, ecc.) fanno confessare alla donna in tale stato i nomi dei suoi amanti; l'omissione di uno solo potrebbe essere fatale al nascituro. Se il feto è visibile, si estrae con le mani o con una fune; talora si lega al cordone ombelicale un sasso, affinché il suo peso agevoli la fuoruscita.
La donna in travaglio deve dissimulare il dolore e non emettere alcun grido, altrimenti potrebbe essere accusata di adulterio o ripudiata dal marito o costretta a non avere relazioni con lui per un certo periodo di tempo. Per quanto riguarda gli usi relativi alla placenta, al cordone ombelicale e ad altri particolari fatti, v. concepimento; covata; nascita.
Bibl.: G.-J. Witkowsky, Histoire des accouchements chez tous les peuples, Parigi 1887; G. I. Engelmann, Die Geburt bei den Urvölkern, trad. dall'inglese, Vienna 1884; A. Corre, La mère et l'enfant dans les races humaines, Parigi 1882; O. Stoll, Das Geschlechtsleben in der Völkerpsych., Lipsia 1908; H. Ploss e P. Bartels, Das Weib in der Natur- und Völkerkunde, Berlino 1927.