Parto
Il parto rappresenta il meccanismo della nascita dell'uomo e dei Mammiferi. Al termine della gravidanza, quando lo sviluppo prenatale può considerarsi concluso, l'utero contraendosi ritmicamente (travaglio di parto) determina l'espulsione del feto e, successivamente, il secondamento degli annessi fetali dall'organismo materno. Per quanto riguarda il parto umano, la fuoriuscita del feto attraverso le vie genitali della madre che si svolge in modo naturale e senza interventi esterni viene indicata come parto eutocico (spontaneo); se subentrano complicanze od ostacoli, il parto si dice distocico; è chiamato operativo quando è necessario un intervento strumentale o manuale, che si può realizzare per via vaginale (con applicazione di forcipe, di ventosa o semplicemente con scollamento manuale della placenta), oppure attraverso l'incisione chirurgica della parete addominale e dell'utero (taglio cesareo). A seconda del numero dei feti, il parto può essere semplice (un solo feto) o multiplo (due o più feti). Viene definito a termine il parto che si verifica tra l'inizio della 38ª e la fine della 41ª settimana di gestazione; pretermine, tra l'inizio della 24ª e la fine della 37ª settimana; post-termine dopo la 42ª settimana; abortivo prima della 24ª settimana (180° giorno di gravidanza). Per quanto riguarda il parto abortivo, le moderne tecniche di assistenza al neonato estremamente prematuro consentono di abbassare il limite del 180° giorno, tanto che alcuni autori preferiscono considerare aborto l'espulsione del feto prima della 20ª settimana, travaglio immaturo quello che si verifica tra la 21ª e la 27ª settimana e travaglio prematuro quello tra la 28ª e la 37ª settimana. La donna in travaglio viene indicata come partoriente, dopo l'espletamento del parto, puerpera.
1.
Diverse teorie hanno tentato di spiegare gli eventi che portano all'inizio del travaglio e alla sua progressione e che si concludono con l'espulsione del feto e degli annessi fetali. Sono state studiate modificazioni a livello di liquido amniotico, placenta, feto, miometrio, cervice, asse ipofisi-surrene fetale e stimoli nervosi. Tutti questi fattori sembrano essere coinvolti, ma nessuno di essi appare sufficiente, da solo, a spiegare il fenomeno. Pertanto, le cause del parto sono tuttora discusse, soprattutto per quanto riguarda la coordinazione e il mantenimento dei diversi meccanismi di autoregolazione. L'andamento del travaglio dipende essenzialmente dall'intensità, dall'organizzazione e dalla regolarità delle contrazioni uterine (forza espulsiva del miometrio), e dalla capacità del canale cervicale di dilatarsi senza opporre resistenza alla progressione del feto. Per una completa comprensione della contrazione uterina, bisogna tenere presente la particolare struttura del miometrio (v. utero). Perché essa si verifichi, è fondamentale la presenza di adeguate concentrazioni di sostanze chimiche, enzimi ed elettroliti.
Avvicinandosi l'epoca presunta del parto, la membrana delle fibrocellule muscolari del miometrio diventa progressivamente più responsiva agli stimoli che sono in grado di determinare la contrazione. Si assiste infatti a una diminuzione del sodio intracellulare, a un aumento della concentrazione di potassio e alla mobilizzazione degli ioni calcio dai siti di legame sul reticolo sarcoplasmatico. In quest'ambito, entrano sicuramente in azione meccanismi ormonali complessi e non del tutto chiariti, che prevedono il coinvolgimento del progesterone, degli estrogeni, dell'ossitocina, delle prostaglandine, della relaxina. L'effetto inibitorio del progesterone sulla contrazione uterina è noto da molto tempo.
Questo ormone è prodotto all'inizio della gravidanza dal corpo luteo e successivamente dalla placenta. La sua azione è essenzialmente quella di fissare il calcio ai suoi siti di legame, rendendolo non disponibile ai fini del meccanismo contrattile e, in secondo luogo, di inibire la propagazione dello stimolo da una cellula all'altra, contrastando la formazione di ponti di giunzione intercellulari, con un meccanismo opposto rispetto a quello degli estrogeni. L'effetto di antagonismo per gli estrogeni si realizza con il blocco dei recettori specifici per tali ormoni, mentre non sembra esserci un'azione inibitoria sui recettori per l'ossitocina e su quelli per le prostaglandine. È stato dimostrato che il progesterone è in grado di inibire sia la contrazione spontanea sia quella indotta dall'ossitocina, cosicché sembrerebbe che l'inizio del travaglio possa essere l'effetto della rimozione di un blocco del progesterone. In realtà, prima del parto non si verifica alcuna diminuzione delle concentrazioni di progesterone; tuttavia una correlazione tra i livelli di progesterone e la sensibilità all'ossitocina è dimostrata dal fatto che in donne con basse concentrazioni plasmatiche di progesterone la stimolazione con ossitocina (per l'induzione farmacologica del travaglio) produce risultati in tempi più brevi.
Nel corso della gravidanza, l'azione degli estrogeni si esplica prevalentemente attraverso l'aumento delle proteine contrattili e l'accumulo di molecole ad alto potenziale energetico (molecole di ATP, adenosintrifosfato). Il loro meccanismo d'azione sulla conduzione cellulare si attua con la formazione di ponti di legame tra le cellule, che promuovono il sincronismo e la diffusione delle contrazioni. Gli estrogeni, infine, agiscono determinando un incremento del numero di recettori specifici per l'ossitocina nel miometrio, mentre non sembrano influenzare la concentrazione dei recettori per le prostaglandine. L'ossitocina è un ormone prodotto dall'ipofisi posteriore, dotato di un notevole potere stimolante sull'attività contrattile del miometrio. L'ossitocina sintetica viene impiegata con successo per provocare farmacologicamente il parto o per intensificare le contrazioni uterine spontanee. Nonostante ciò, non sembra che l'inizio del travaglio spontaneo possa essere determinato da un incremento dei livelli plasmatici di ossitocina endogena, ma l'aumento dei legami dell'ossitocina con i suoi recettori sembra essere un fattore favorente.
La concentrazione ematica dell'ossitocina, infatti, aumenta in modo modesto solo dopo l'inizio del travaglio, specie nel periodo espulsivo. I suoi recettori specifici, invece, aumentano di 100-200 volte nel corso della gravidanza; all'inizio del travaglio crescono ulteriormente raddoppiando o triplicando il loro numero. Ciò determina un progressivo aumento della sensibilità all'ossitocina. Le prostaglandine sono prodotte dalla decidua e dalle membrane amniocoriali e sono probabilmente in grado di scatenare il travaglio di parto. Esse sono, infatti, dei potenti attivatori della contrazione uterina (soprattutto la prostaglandina F₂α), che agiscono favorendo l'accumulo di ioni calcio all'interno della cellula. Esse svolgono anche un'azione a livello della cervice (soprattutto la prostaglandina E₂), determinandone il rammollimento, l'accorciamento e la dilatazione (maturazione cervicale). È stato ipotizzato un sinergismo tra gli estrogeni, l'ossitocina e le prostaglandine: gli estrogeni favorirebbero l'aumento dei recettori per l'ossitocina, che a sua volta causerebbe le prime contrazioni e porterebbe alla successiva liberazione di prostaglandine da parte della decidua. La relaxina è un ormone non ancora ben conosciuto, prodotto dal corpo luteo gravidico e dalla decidua, il cui ruolo è presumibilmente quello di intervenire nella maturazione del collo dell'utero nel periodo che precede il travaglio.
Altre sostanze ormonali possono avere una funzione modulatoria della contrazione uterina; tra queste vi sono: l'endotelina, ad azione stimolante; l'ormone paratiroideo, dotato di capacità inibitoria; il polipeptide vasoattivo intestinale (VIP, Vasoactive intestinal peptide), che agirebbe sia inibendo l'attività delle fibrocellule muscolari, sia aumentando l'apporto ematico al miometrio, con un meccanismo dose-dipendente. Per fare diagnosi di travaglio di parto è necessario rilevare contrazioni uterine regolari, frequenti e intense. Tali contrazioni portano a modificazioni della porzione vaginale del collo uterino, che sono ben evidenziabili con l'esplorazione vaginale. Un altro elemento diagnostico da considerare è l'espulsione del tappo mucoso che, durante la gravidanza, sigilla l'orifizio uterino esterno, contribuendo a proteggere il feto dall'ambiente extrauterino. Deve essere inoltre valutata la condizione di integrità o rottura delle membrane amniocoriali, di fondamentale importanza nella gestione clinica del travaglio.
2.
Durante il parto eutocico, la forza delle contrazioni uterine e del torchio addominale permette la fuoriuscita del feto (o corpo mobile) attraverso il canale del parto (pelvi e parti molli). È per tale ragione che nel parto sono classicamente considerati tre fattori: la forza, il canale del parto, il corpo mobile.
a) La forza. È data dalle contrazioni uterine, che si propagano come un'onda, dal punto di insorgenza a tutto il resto dell'utero. Come in tutti i tessuti dotati di una propria ritmicità, è presente nel miometrio un pacemaker, che scandisce la frequenza dell'attività muscolare; nella specie umana, tuttavia, esso non ha una localizzazione anatomica precisa; la conduzione dell'impulso, invece, è facilitata da fibrocellule miometriali che prendono il nome di pacefollowers. Le contrazioni che ne derivano sono quindi involontarie, cioè incontrollabili dalla volontà, ma sono regolate per via riflessa da stimoli locali. Esse sono presenti nel corso di tutta la gravidanza, in forma incoordinata e non dolorosa, ma in prossimità del termine l'intensità, la frequenza e la durata aumentano progressivamente. Nel corso del travaglio, a ogni contrazione segue un periodo di riposo, necessario alla cellula sia per il rifornimento energetico, sia per lo smaltimento delle sostanze di rifiuto. Poco prima dell'espulsione del feto, la pausa diventa sempre più breve e ciò determina, a livello della fibrocellula, una carenza di ossigeno che, insieme allo stiramento e alla compressione dei nervi uterini, rende dolorosa la percezione della contrazione a livello della corteccia cerebrale. Subito dopo il parto, durante il secondamento e immediatamente dopo, le contrazioni non sono dolorose, pur essendo ancora intense; nel puerperio la frequenza e l'intensità sono diminuite, ma le contrazioni sono avvertite come dolorose (morsi uterini). I muscoli della parete addominale e il diaframma possono contribuire ad aumentare la forza agendo in sinergismo con le contrazioni del miometrio.
b) Il canale del parto. È formato dalle ossa del bacino e dalle parti molli, costituite dalle vie genitali materne. Il canale osseo (o meglio il piccolo bacino) limita la distensibilità delle parti molli, costringendo il feto a superare un vero e proprio cingolo osseo completo. L'ingresso del bacino (stretto superiore) ha nella donna una forma ovalare ed è inclinato di circa 60° sul piano orizzontale. È costituito, procedendo dalla parte anteriore a quella posteriore, dalla sinfisi pubica, dall'osso del pube, dall'eminenza pettinea delle ossa iliache, dalle ali del sacro, dal promontorio lombosacrale (v. cap. Pelvi). Nello stretto superiore si possono misurare un diametro trasverso massimo (circa 13,5 cm), due diametri obliqui, destro e sinistro (circa 12,5 cm), un diametro anteroposteriore, detto coniugata, misurabile in vari modi: in particolare, prende il nome di coniugata ostetrica il diametro anteroposteriore più ristretto con cui si deve confrontare la testa fetale (circa 10,5-11 cm). Scendendo verso il basso, nel canale del parto, troviamo lo stretto medio, delimitato dal margine inferiore della sinfisi pubica, dalle spine ischiatiche e dalle ultime vertebre sacrali. Lo stretto inferiore, invece, corrisponde all'uscita del canale osseo; esso è contornato da parti dure solo anteriormente e lateralmente (arcata sottopubica, branche ischiopubiche e tuberosità ischiatiche), mentre è formato posteriormente da legamenti molto estensibili e dal coccige, che può essere spinto indietro dal passaggio della testa fetale. Il diametro anteroposteriore dello stretto inferiore può andare, pertanto, da un valore abituale di circa 9-10 cm a circa 12-13 cm, durante il passaggio del feto; il diametro trasverso misura invece circa 11 cm.
c) Il corpo mobile. Nel feto l'estremo cefalico costituisce il polo più voluminoso e meno comprimibile; è quindi quello che offre la maggior resistenza nel tragitto attraverso il canale del parto. Tra le ossa del tavolato cranico fetale, tuttavia, ci sono dei sottili spazi fibrosi (suture) o spazi membranosi più ampi (fontanelle), che consentono un certo grado di plasticità. Con l'esplorazione vaginale è possibile fare diagnosi di presentazione e posizione del feto individuando la fontanella anteriore (o maggiore, o bregmatica), oppure quella posteriore (o minore, o lambdoidea). La prima ha forma di losanga ed è situata tra le ossa frontali e le parietali, la seconda è di forma triangolare e si trova tra l'occipite e le ossa parietali. I più importanti diametri della testa fetale, dal punto di vista ostetrico, sono: il diametro biparietale anatomico, misurabile da una bozza parietale a quella controlaterale (circa 9,2 cm); il diametro frontoccipitale, che va dalla radice del naso al punto più sporgente dell'occipite (circa 11 cm); il diametro sottoccipitobregmatico, esteso tra il centro della fontanella bregmatica e la parte più bassa dell'occipite (circa 9,5 cm).
È molto importante per l'ostetrico conoscere le misure della testa fetale, per confrontarle con quelle del bacino materno e valutare la possibilità di parto per le vie naturali. Da questo punto di vista, il tronco del feto non presenta, in genere, ostacoli meccanici, potendo essere notevolmente compresso durante la progressione nel canale del parto.
In base ai rapporti che il feto contrae con il canale del parto e con l'utero si distinguono le seguenti caratteristiche: 1) l'atteggiamento, che è dato dai rapporti reciproci delle varie parti del feto; il più frequente è quello di flessione generalizzata, con testa flessa sul tronco, avambracci sulle braccia, gambe sulle cosce e cosce sull'addome, con flessione della colonna vertebrale; 2) la situazione, considerata in riferimento al rapporto tra l'asse longitudinale del feto e quello della cavità uterina; nella maggior parte dei casi la situazione è longitudinale, ma può essere obliqua o trasversa; 3) la presentazione, che si riferisce alla prima grossa parte fetale che si confronta con lo stretto superiore (testa, podice o spalla), senza tenere conto di eventuali piccole parti (arti) che precedono quella più grande; la presentazione di testa (cefalica) è quella che consente l'effettuazione del maggior numero di parti eutocici, mentre si ricorre in genere al taglio cesareo elettivo se la presentazione è podalica o di spalla; 4) la posizione, data dal rapporto che l'indice di presentazione contrae con i quattro punti in cui i diametri obliqui incrociano lo stretto superiore; si possono quindi verificare per ogni indice due posizioni anteriori e due posteriori, due destre e due sinistre, con un totale di quattro possibili combinazioni (sinistra anteriore, sinistra posteriore, destra anteriore, destra posteriore). Mediante la palpazione dell'addome è quasi sempre possibile stabilire se il feto è in situazione longitudinale o trasversale, se la parte presentata è cefalica o podalica. La presentazione del feto e la posizione, tuttavia, sono meglio apprezzabili con l'esplorazione vaginale; in casi dubbi si può far ricorso all'ecografia.
3.
Nel parto si distinguono classicamente tre tipi di fenomeni: dinamici, meccanici e plastici. Nella trattazione che segue si farà riferimento esclusivamente al parto eutocico in presentazione di vertice.
a) Fenomeni dinamici. Appartengono a questo gruppo gli eventi materni che si verificano durante il travaglio al passaggio del feto nel canale del parto. Essi comprendono le diverse fasi di seguito elencate. Espansione del segmento uterino inferiore. Negli ultimi 2 mesi di gravidanza, l'istmo dell'utero si trasforma nel cosiddetto segmento uterino inferiore; sotto la spinta di contrazioni preparatorie, esso si assottiglia, allungandosi sia trasversalmente sia longitudinalmente; tale distensione avviene con un meccanismo passivo, permesso dalla grande quantità di fibre elastiche presenti a livello istmico; quando le fibrocellule muscolari del corpo uterino si contraggono, retraendosi, le fibre elastiche dell'istmo cercano di compensare tale retrazione allungandosi. Appianamento e dilatazione della cervice. Anche questo momento costituisce un fenomeno passivo, essendo il collo dell'utero particolarmente ricco di tessuto fibroso; nel corso del travaglio, quindi, la cervice va incontro a raccorciamento e dilatazione progressivi (periodo dilatante), fino a quando l'orifizio uterino esterno raggiunge il diametro di circa 9-10 cm (dilatazione completa); la modalità è generalmente differente nella donna che non ha mai partorito e in quella che ha già avuto figli, in quanto nella prima l'appianamento precede la dilatazione, mentre nella seconda i due fenomeni procedono di pari passo; all'inizio del travaglio il collo uterino si trova in prossimità del fornice vaginale posteriore (collo posteriore), ma con l'avanzare del processo di appianamento e dilatazione, l'orifizio uterino esterno si porta in avanti (collo centralizzato) e, dopo la dilatazione, prende il nome di bocca uterina. Formazione della borsa delle acque e rottura delle membrane. Contrariamente al segmento uterino inferiore e alla cervice, le membrane sono inestensibili; pertanto, durante la distensione del segmento uterino inferiore e della cervice esse si distaccano, formando la cosiddetta borsa delle acque. La rottura di tale borsa si verifica fisiologicamente nel corso del travaglio, quando il collo è già dilatato (rottura tempestiva), negli altri casi la rottura viene definita: intempestiva, se la cervice non è ancora dilatata; prematura, se si verifica prima dell'inizio del travaglio; precoce, se avviene subito dopo l'inizio delle contrazioni; tardiva, se la bocca uterina ha già raggiunto la dilatazione completa.
A volte la rottura delle membrane viene praticata artificialmente (amniorexi), quando il collo appare già parzialmente dilatato e dopo l'impegno della parte presentata, allo scopo di accelerare il parto stesso. Distensione della vagina, del perineo e della vulva. In questa fase, il corpo uterino, il segmento inferiore, la cervice e la vagina formano un canale unico e continuo, che si estende al passaggio del feto. A questo livello la resistenza maggiore è opposta dall'anello vulvare, in particolare dal muscolo elevatore dell'ano.
b) Fenomeni meccanici. Appartengono a questo gruppo i fenomeni materno-fetali, i quali portano il feto a compiere dei movimenti passivi al passaggio nel canale del parto. Si possono osservare in successione cronologica diversi momenti.
Riduzione e impegno. La riduzione dei diametri fetali a livello della parte presentata è di fondamentale importanza per facilitare il passaggio del corpo mobile attraverso le vie genitali materne; essa può essere data o dalla sostituzione di un diametro più lungo con uno minore (riduzione indiretta) o dall'accorciamento di un diametro per compressione (riduzione diretta); si ha una riduzione indiretta nella presentazione cefalica, diretta nella podalica, mentre nella presentazione di vertice si verifica la riduzione indiretta mediante un movimento di flessione della testa fetale; in questo modo il diametro frontoccipitale viene sostituito dal sottoccipitobregmatico, che si dispone lungo un diametro obliquo (per lo più il sinistro) dello stretto superiore. Quando lo stretto superiore è stato superato dalla maggiore circonferenza della parte presentata, quest'ultima viene definita impegnata.
Progressione. È dovuta alla forza delle contrazioni uterine che, a dilatazione completa, spingono il feto lungo il canale genitale materno, fino a raggiungere il piano perineale (stretto medio).
Rotazione interna. La parte presentata, procedendo verso il basso, ruota per disporre il diametro maggiore lungo l'asse anteroposteriore dello stretto medio. Disimpegno della parte presentata. Consiste nel superamento dell'anello vulvare da parte della parte presentata, che esce all'esterno del canale del parto, mentre il resto del corpo fetale è ancora all'interno.
Rotazione esterna. La rotazione esterna della parte disimpegnata, che viene denominata anche restituzione, consiste in un movimento rotatorio in senso contrario a quello verificatosi all'interno delle vie genitali materne, allo scopo di riallineare lungo lo stesso asse tutto il corpo fetale.
Espulsione totale del feto. La totale fuoriuscita del corpo fetale avviene mediante un movimento elicoidale. Nella presentazione cefalica, dopo il disimpegno della testa, si ha prima la liberazione delle spalle, infine del resto del corpo.
c) Fenomeni plastici. Consistono nelle modificazioni della forma che la parte presentata fetale subisce durante il passaggio nel canale del parto; persistono anche dopo la nascita, ma in breve tempo la parte fetale torna alla sua forma originaria. Tali modificazioni possono interessare sia strutture semirigide, come quelle ossee del tavolato cranico, sia parti molli. L'estremo cefalico ha la possibilità di rimodellare la sua forma grazie alla presenza delle fontanelle e delle membrane fibrose che si trovano lungo le linee di congiunzione tra le differenti ossa; tali strutture conferiscono una particolare elasticità alla testa fetale, mentre sono sostituite nell'adulto da tessuto osseo rigido.
I fenomeni plastici che portano alle modificazioni più vistose del profilo dell'estremo cefalico del feto, tuttavia, sono quelli che interessano i tessuti molli; queste deformazioni vengono indicate con la locuzione 'tumore da parto', poiché consistono nella formazione di una zona circoscritta di infiltrato edematoso, di spessore variabile, che conferisce alla testa un aspetto bozzuto: ne è causa la differenza tra la pressione atmosferica (esercitata sulla parte di testa fetale che sporge all'esterno, circondata dalla bocca uterina) e la pressione endouterina, di maggior intensità (esercitata sulla rimanente porzione della testa, non ancora fuoriuscita dalla bocca uterina). Per il verificarsi di questo fenomeno è necessario che, dopo la rottura delle membrane, la parte presentata resti per un tempo sufficientemente lungo nel canale del parto e, inoltre, che il feto sia vivo e abbia un sistema circolatorio efficiente.
4.
Dal punto di vista clinico, in base a quanto descritto, è possibile riconoscere nel parto quattro momenti: periodo prodromico, periodo dilatante, periodo espulsivo, periodo del secondamento. Il periodo prodromico è caratterizzato dalla comparsa delle contrazioni ritmiche e dolorose, che diventano progressivamente più intense e frequenti. Il periodo dilatante corrisponde al periodo di dilatazione della cervice, caratterizzato da un aumento dell'intensità e della durata delle contrazioni, che in questa fase sono particolarmente dolorose, e termina con la dilatazione completa del canale cervicale. Il periodo espulsivo, così definito poiché porta all'espulsione (nascita) del feto, rappresenta la fase in cui si verificano in successione i fenomeni meccanici, sotto la spinta delle contrazioni uterine, e con la collaborazione della partoriente, che contrae volontariamente il torchio addominale. La recisione del cordone ombelicale avviene subito dopo l'espulsione del feto e prima del secondamento. Il periodo del secondamento consiste nell'espulsione della placenta e degli annessi fetali.
Dopo la fuoriuscita del feto, l'utero si contrae e inizia la sua retrazione, data dal fisiologico raccorciamento delle fibre muscolari. Poiché la placenta e le membrane fetali, al contrario delle pareti uterine, non sono costituite da tessuti elastici, non riuscendo a seguire le modificazioni dell'utero, scivolano sui piani sottostanti, distaccandosene (generalmente entro 15-30 min). Poiché i tessuti placentari non sono semplicemente adesi alla superficie dell'endometrio, ma penetrano nello spessore dello strato funzionale, trasformato in decidua, il vero distacco si realizza tra la porzione più superficiale dell'endometrio (strettamente unita alla placenta) e quella sottostante, che è in grado di rigenerare la mucosa.
La separazione dei due strati deciduali viene facilitata dalla formazione di un'emorragia (ematoma) retroplacentare che, espandendosi progressivamente, può scollare completamente la placenta secondo due modalità: per distacco centrale, se dopo la formazione dell'ematoma i margini restano aderenti; per distacco laterale (o marginale), se lo scollamento inizia dalla periferia dell'inserzione placentare. Dopo il distacco, la placenta 'cade' nel segmento uterino inferiore, trascinandosi dietro le membrane e vi resta per un breve periodo di tempo, quindi passa in vagina e viene espulsa all'esterno insieme alle membrane, lasciando un'ampia ferita sulla superficie interna dell'utero. Il controllo dell'emorragia che ne deriva è assicurato in una prima fase da un'emostasi meccanica, dovuta alla contrazione della muscolatura uterina, che costituisce il cosiddetto globo di sicurezza; l'emostasi definitiva, invece, dipende dai normali processi di coagulazione del sangue.
5.
È di fondamentale importanza che la visita ostetrica, effettuata nel momento in cui si presentano le prime contrazioni uterine, sia molto accurata, allo scopo di ottenere tutte le informazioni necessarie per la diagnosi di travaglio di parto. Per prima cosa, deve essere raccolta un'anamnesi minuziosa, la quale permetterà sia di valutare correttamente l'epoca gestazionale effettiva, sia di conoscere eventuali patologie croniche o legate alla gravidanza, che possono avere un'importanza decisiva nella gestione clinica del parto. Mediante la palpazione addominale è possibile apprezzare il livello raggiunto dal fondo dell'utero; nella maggior parte dei casi si può fare diagnosi di situazione e presentazione. L'esplorazione vaginale ha invece lo scopo di valutare il grado di sofficità, appianamento e dilatazione del collo uterino, nonché la localizzazione di quest'ultimo rispetto all'asse del canale del parto. Con l'esplorazione digitale è inoltre possibile stabilire quale sia la parte presentata, in quale posizione si trovi e quale sia la sua progressione attraverso il canale del parto; in caso di dilatazione cervicale, penetrando all'interno del canale cervicale si può infine valutare la condizione di integrità o rottura delle membrane amniocoriali.
Per ottenere una migliore pulizia dei genitali esterni si esegue una rasatura delle grandi labbra (tricotomia), fino al monte di Venere; il clisma evacuativo generalmente praticato ha invece lo scopo di minimizzare il rischio di contaminazione fetale durante il parto. È infine importante che la donna svuoti la vescica prima di partorire. Le urine, infatti, sono incomprimibili, e perciò lo stato di replezione vescicale, oltre a rendere più difficoltose le visite, potrebbe addirittura ostacolare la discesa della parte presentata oppure danneggiare la vescica. Durante il periodo dilatante l'assistenza è prevalentemente psicologica; dal punto di vista clinico, è limitata alla sorveglianza delle condizioni della donna e del feto per mezzo della cardiotocografia, una tecnica che permette la contemporanea valutazione della contrattilità uterina materna e della frequenza cardiaca fetale. La progressiva dilatazione viene valutata con esplorazioni vaginali periodiche.
A dilatazione completa, se le membrane non si sono ancora rotte, si effettuerà l'amniorexi, previa disinfezione dei genitali esterni. Per facilitare il disimpegno della parte presentata, soprattutto nelle donne che non hanno mai partorito prima, si esegue un'incisione dell'orifizio vulvare (episiotomia o perineotomia), che costituisce una misura profilattica nei confronti di possibili lacerazioni spontanee e che previene l'insorgenza a distanza di prolassi genitali. Durante il periodo espulsivo, si protegge il perineo appoggiandovi una mano a piatto e la partoriente viene invitata a effettuare spinte espulsive sincrone con le contrazioni uterine. Dopo la nascita, al fine di evitare che il neonato inali liquido amniotico, sangue o altre secrezioni, viene eseguita l'aspirazione delle mucosità dal cavo orale e dalle narici; il cordone ombelicale viene prima clampato e poi reciso. A questo punto il neonato viene affidato alle cure dei pediatri, i quali valuteranno il suo stato di salute tenendo in considerazione il colorito della cute, il respiro, la reattività, il tono muscolare e la frequenza cardiaca.
A secondamento avvenuto, è opportuno controllare scrupolosamente l'integrità della placenta e delle membrane, per evitare manifestazioni emorragiche nell'immediato post partum e nel puerperio. Al termine del parto l'eventuale episiotomia è suturata (episiorrafia) con un'accurata ricostruzione degli strati tessutali (mucosa vaginale, strato muscolare, cute). Nel post partum è necessario verificare la contrazione e retrazione del corpo uterino (formazione del globo di sicurezza), controllare l'entità delle perdite ematiche, lo stato di salute generale della donna (con la misurazione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa) e la ripresa della minzione (che di solito si ha entro 2 ore dal parto).
Il momento del parto è, dal punto di vista psicoanalitico, un passaggio fondamentale della vita psichica: un'ampia, anche se discussa, letteratura sostiene che l'impostazione psichica generale dell'individuo, oltre all'aspetto psicopatologico delle nevrosi e delle psicosi, è legata a una serie di avvenimenti che vanno dalla gravidanza fino alla nascita, e hanno come momento centrale proprio il parto. Per questo la psicologia del parto va riferita non solo e non tanto alla donna che partorisce, ma soprattutto alla diade madre-bambino. Dal momento che la gravidanza è l'unico momento della realtà psichica in cui una persona ne contiene un'altra, la quale è un organo della prima, parlando di diade madre-bambino si fa riferimento a una realtà concreta e non metaforica. Potremmo dunque dire che essa è la concretizzazione, o l'uscita dalla metafora, del concetto di narcisismo. Questa impostazione deve tener conto di alcuni limiti metodologici inevitabili: è molto difficile, anche se tentativi in questo senso sono stati fatti, studiare l'apparato mentale di un bambino nell'utero, che pure esiste e funziona (v. feto); meglio si può studiare la biologia del cervello, che però non corrisponde alla realtà del fenomeno mentale del bambino.
Una via di approccio, che è quella seguita dalla metodologia psicoanalitica, consiste nella ricerca di elementi interni, rappresentazioni mentali e contenuti che possano costituire un'eco dell'antica situazione e possano ricalcarla. Questa metodologia di ricerca non è sperimentale, ma interamente dipendente dal dato clinico, ed è dunque discutibile dal punto di vista scientifico. Un altro metodo, di derivazione etologica, è quello dell'infant observation, che consiste nell'osservazione della diade madre-bambino dalle fasi iniziali del rapporto. Con entrambe le metodologie, si deve comunque rinunciare alle pretese dello scientismo positivo e fare riferimento a un'attività di ricerca di tipo ermeneutico, che tenga conto del mondo interno e della fantasia più di quanto non faccia la metodologia prettamente scientifica: questo rende ragione del continuo collegamento a fonti letterarie, artistiche e creative, a cui lo psicoanalista deve ricorrere nel tentativo di trarne conoscenze emozionali.
Per quanto concerne il parto, può essere utile prendere le mosse da Edipo. Il problema dell'Edipo è il rapporto triadico padre-madre-figlio e la necessità, insita in questo schema, di perdere l'oggetto d'amore-madre, in quanto il padre si oppone alla stretta relazione tra essa e il bambino, almeno nel mondo fantastico di quest'ultimo, dove viene a costituire l'istanza proibitiva (v. complesso). Sull'oggetto amato viene convogliato un fortissimo investimento emotivo, che assorbe tutta la libido del bambino. La necessità del distacco dall'oggetto d'amore edipico comporta dunque un iter depressivo lungo e faticoso, dal momento che la libido è vischiosa, e tende a fissarsi all'oggetto: questa vischiosità rende ragione sia della capacità di coltivare dentro di sé l'amore, sia della difficoltà di tollerarne la perdita. Dunque la difficoltà di tollerare la frustrazione connessa alla perdita dell'oggetto d'amore edipico e alle perdite successive, in epoca adolescenziale fino all'età adulta, si spiega probabilmente con il fatto che tutti questi distacchi ricalcano quello antichissimo, vale a dire la perdita della condizione intrauterina che non può più essere ripristinata.
Da questa perdita scaturisce un sentimento fondamentale per l'uomo, la nostalgia. Secondo S. Freud (1926), la nostalgia nasce infatti dai ripetuti soddisfacimenti che danno origine all'oggetto d'amore-madre e lo rendono insostituibile. La reazione dolorosa è una conseguenza della nuova situazione. I soddisfacimenti più intensi, assoluti e continui, sono certamente quelli intrauterini, perché, dal punto di vista biologico, il piacere consiste nel mantenere l'omeostasi e annullare gli stimoli, eliminando gli elementi di eccitamento; la totale dipendenza tipica della situazione intrauterina e il costante mantenimento dell'omeostasi creano l'idea dell'oggetto-madre totalmente appagante attraverso il soddisfacimento continuo. Lo sviluppo psicofisico, però, esige la separazione iniziale e poi, durante l'arco della vita, tutta una serie di distacchi, fino all'ultimo grande abbandono, che è la morte. Questo iter tragico comporta la costante presenza di sentimenti nostalgici che esprimono il bisogno antico e tutte le situazioni di distacco ricalcano sempre l'angoscia della nascita, che è la separazione primaria e sta alla radice di ogni nostalgia. Questa impostazione ha certamente un valore clinico-medico, ma il suo sconvolgente significato giace sul piano delle ipotesi generali del mondo dell'uomo, con il ruolo centrale della nascita, il senso di modello che a essa viene dato per tutte le esperienze successive, compresa l'idea della morte, e con il riferimento all'antichissima nostalgia dell'uomo, al νόστος incessante che è il nucleo dello svolgersi della tragedia umana.
L'impossibilità del soddisfacimento pulsionale senza limiti caratterizzante la vita adulta ha come antecedente proprio il parto, in quanto brusca eliminazione della situazione di soddisfacimento assoluto che è quella intrauterina. Da questo punto di vista, il taglio del cordone ombelicale può essere considerato l'evento castratorio centrale che genera angoscia. Facendo seguito all'opera di O. Rank (1924) sul trauma della nascita, Freud modificò la sua posizione iniziale, secondo cui l'angoscia originava dalla rimozione di pulsioni intollerabili, e rovesciò la teoria, sostenendo che era l'angoscia a generare la rimozione: appena insorge qualche condizione che ricorda un evento angoscioso importante, l'individuo rimuove e ciò che scatena la rimozione è la possibilità che possa riaffiorare l'angoscia della nascita, attraverso la ripetizione di qualcosa che le assomigli, la ricordi, la simboleggi. L'angoscia che segue l'evento è il segnale di allarme che mette in moto la rimozione, per cui viene eliminata ogni possibilità di ripetere una situazione intollerabile. Naturalmente, non sempre questo meccanismo funziona. In effetti, per valutare uno stato d'animo o un'emozione, dobbiamo riferirci a qualcosa già provato in precedenza. L'angoscia o paura è sempre evocabile, anche se non tollera una definizione: questo significa che chi non l'ha provata non sa e non può pensarla, e che il riferimento deve ricondursi a una precedente esperienza. Ma il riferimento è sicuro e tutti sanno, al di fuori e prima delle definizioni, cos'è l'angoscia: tutti lo sanno perché esiste un'esperienza sicuramente comune a tutti gli uomini, che è appunto la nascita.
Nella nostra specie, indipendentemente da ogni considerazione di tipo filogenetico, l'esperienza originaria di angoscia è connessa alla nascita e questa emozione costituisce l'ingrediente fondamentale non solo del parto, in quanto paradigma di ogni esperienza separativa, ma anche di tutti i distacchi successivi che lo ricalcano. L'angoscia e la nevrosi rappresentano dunque condizioni generali dell'uomo, che cerca di evitarle e di modificarle attraverso i meccanismi di difesa. L'opera di Rank è introdotta da una frase di F.W. Nietzsche, estrapolata da La nascita della tragedia: Sileno, interrogato da Creso, sostiene che la vera felicità consiste nel "non essere nato, non essere, essere niente", dunque nel mantenere la condizione omeostatica di soddisfacimento totale della situazione intrauterina. La conclusione che il periodo prenatale è costituito da un benessere assoluto e che la nascita è il paradigma dei traumi non è universalmente condivisa e va profondamente rivista: anche il periodo prenatale può essere soggetto ad angosce e, viceversa, non tutte le nascite sono così terribilmente traumatiche. D.W. Winnicott (1971) sostituisce prudentemente al concetto di trauma quello di esperienza della nascita. Anche se nella condizione intrauterina esiste una serie di stimoli, la nascita comporta un vero e proprio bombardamento improvviso di sollecitazioni sul sistema nervoso centrale, con impossibilità di tollerarli e di elaborarli: basti pensare alla necessità di imparare a respirare, di abituarsi alla luce, ai rumori, al freddo ecc.
Già secondo Freud (1926), "Il pericolo della nascita non ha ancora alcun contenuto psichico... Il feto non può percepire nient'altro che un grandissimo disturbo dell'economia della sua libido narcisistica" (trad. it., p. 283). La psiche del bambino, intesa non come coscienza, ma piuttosto come apparato reattivo psicofisiologico, risponde catalogando gli innumerevoli stimoli. Ma soprattutto l'angoscia della nascita può essere superata prolungando la condizione intrauterina in una sorta di autogestazione: questa è la funzione principale della diade madre-bambino. La separazione forzosa connessa alla nascita genera nel bambino un nucleo di aggressività che deve essere controllata e scorporata, perché non si trasformi in autoaggressività. L'aggressività e il nucleo di odio con essa correlato vengono quindi messi nella madre che, se può, li recepisce, mediante quello che viene definito meccanismo di identificazione proiettiva. In questo modo il bambino ritrova uno spazio contenitivo all'interno della madre e recupera così l'utero come elemento contenitivo sufficientemente positivo. Potremmo dire che l'accorgersi che fuori c'è qualcosa, e non il vuoto, è il primo movimento psichico valido e organizzato contro il pericolo e anche il primo atto della formazione del Sé.
È anche vero, però, che il qualcosa fuori è pur sempre il mostro 'abbandonatore', per cui il problema del bambino è che la stessa persona che lo ha espulso deve garantire il prolungamento della sua gestazione; in ogni caso, l'istanza dell'escludere ciò che è fuori e riferire ancora tutto al dentro è la radice del prolungamento mentale della gestazione, come dire dell'autogestazione sostitutiva, delineata da Freud con l'osservazione che l'oggetto materno psichico sostituisce per il bambino la situazione fetale biologica. Il primo atto mentale del bambino è dunque quello di mettere dentro la madre ansie, cattiverie, timori, aggressività, paure, che essa può contenere, creando la possibilità di essere di nuovo recepito e di prolungare in qualche modo la gestazione, in modo che il passaggio sia il meno traumatico possibile. Questa funzione è fondamentale, perché dal suo corretto funzionamento dipende la possibilità di creare una sorta di autocontenimento mediante l'invenzione della mente.
La mente rende meno dolorose le separazioni: con i ricordi, con le fantasie, essa rinvia, programma, procrastina, costruisce alternative, attenua il dolore. La nascita della mente e, con essa, della capacità di costruire un'autogestazione mentale dipende dalla capacità della madre di favorire, in questa fase, il prolungamento della condizione intrauterina: dopo la nascita la madre riceve i contenuti informi che il figlio le mette dentro come una comunicazione che essa recepisce non razionalmente, ma in una sorta di stato sognante (rêverie materna); questa comunicazione preverbale, a livello fantastico, all'interno della diade madre-bambino con un valido rapporto emozionale, trasmette al bambino la sensazione di essere di nuovo contenuto e di poter uscire poco a poco. La creazione della mente passa quindi attraverso il momento della nascita e, successivamente, il ripristino della gestazione mediante l'offerta al bambino della mente della madre per contenere i suoi elementi angosciosi. L'acquisizione mentale del Sé, e cioè il processo di sviluppo dal corpo alla psiche, "non sarebbe possibile se non fosse preceduta dal faticoso processo di emersione da un corpo non oggettivo, che è quello della funzionalità unita del bambino con la madre" (Gaddini 1980).
Per quanto concerne la madre, la possibilità di svolgere questa funzione dipende dal superamento dei conflitti che emergono, durante il parto e nel periodo successivo, principalmente tra la paura di espellere e il desiderio di trattenere il bambino, cui è imputabile, dopo la nascita, un senso di vuoto interno (il fisiologico fifth day blues). Il funzionamento emotivo della neo-madre è fondamentale per la struttura del bambino e dell'adulto che diventerà. L'argomento è aperto e richiederà una sempre maggiore attenzione scientifica alle ricerche, già iniziate e per alcuni versi promettenti, condotte per mezzo dell'ecografia sul comportamento del feto.
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