PARTONE
Lo studio dei processi di diffusione di alta energia avvalorò, alla fine degli anni Sessanta, l'idea che gli adroni (ossia tutte le particelle come il protone, il neutrone, il mesone π, ecc., che presentano interazioni forti) si comportino, in particolari condizioni, come un fascio di particelle puntiformi, non interagenti tra loro, chiamate da R.P. Feynman partoni, dall'ingl. parton. Quest'ipotesi ha avuto un notevole sviluppo e il termine p. è divenuto d'uso corrente; il modello a p. ha inoltre contribuito a determinare importanti sviluppi teorici che, nell'arco di alcuni anni, sono confluiti nella moderna teoria relativistica dei campi quantizzati delle interazioni forti chiamata cromodinamica quantistica (v. in questa Appendice) brevemente indicata con QCD (Quantum Chromodynamics). Al giorno d'oggi il termine p. è usato per indicare, generalmente, i quark e i gluoni (v. Gluone e Quark in questa Appendice), che sono le particelle fondamentali della QCD; mentre il modello a p. è da considerarsi come la rappresentazione fenomenologica degli effetti, calcolabili in teoria delle perturbazioni, della QCD.
Il modello a p. fu proposto (R.P. Feynman, J.D. Bjorken) con l'intento d'inquadrare un rilevante numero di risultati sperimentali della fisica adronica che si era accumulato, senza trovare adeguata spiegazione, nelle teorie dell'epoca; a ciò si aggiungevano i nuovi dati che si stavano ottenendo dall'acceleratore lineare di Stanford, entrato in funzione nel 1969. Il fascio collimato di elettroni di energia di 20 GeV prodotto da questo acceleratore veniva fatto urtare contro un bersaglio fisso; in tal modo si studiava la reazione di diffusione inclusiva tra un elettrone e− di alta energia e un protone P del bersaglio:
e− P→e− X [1]
Lo stato finale della reazione [1] è composto da un elettrone diffuso a un certo angolo ϑ rispetto alla direzione del fascio incidente e da un insieme di particelle, indicato con X, sulle cui variabili si somma e che non si vuole identificare; per questo motivo la reazione è detta inclusiva.
Il processo [i] può essere rappresentato, in base alle regole della teoria dei campi quantistici relativistici, dal diagramma di fig. 1, in cui l'elettrone iniziale irraggia un fotone virtuale che, a sua volta, interagisce col protone e produce lo stato adronico X. Il fotone si comporta, quindi, come una sonda che analizza la struttura interna dell'adrone con un dettaglio, dipendente dalla sua lunghezza d'onda, che raggiunge, negli esperimenti di cui stiamo parlando, distanze 〈10−16 m. Il fotone-sonda risolve i dettagli dell'interazione fotone-adrone di alta energia (vertice indicato in fig. 1 con un cerchio scuro) mettendo in luce l'urto elementare con i p. come indicato in fig. 2. Il fotone scambiato è detto virtuale per distinguerlo dai fotoni reali che appaiono come stati iniziali o finali nelle reazioni tra particelle; una particella virtuale compare soltanto negli stadi intermedi di una reazione e, dovendo conservare l'impulso e l'energia a ogni vertice, ha una massa che è diversa da quella fisica (la massa del fotone reale è zero) ed è funzione dell'energia e dell'impulso delle particelle che sono ai vertici.
Illustreremo ora brevemente il processo [1] in termini del modello a p.; per far ciò dobbiamo, prima, dare qualche ragguaglio sulla descrizione fenomenologica del processo [1], e poi passare all'interpretazione partonica. La grandezza fisica caratteristica di un processo di diffusione qualsiasi è la sezione d'urto totale, indicata normalmente con σ; essa è definita come l'area efficace che il singolo bersaglio offre al flusso di particelle incidenti per quel determinato processo; molto spesso si preferisce considerare la sezione d'urto differenziale integrando la quale si ottiene la sezione d'urto totale. Se analizziamo la reazione nel sistema di riferimento del laboratorio e chiamiamo (v. fig. 1) E ed E′ l'energia rispettivamente dell'elettrone entrante e uscente, possiamo definire due variabili Q2 e ν, che sono invarianti sotto trasformazioni di Lorentz, tramite le relazioni: Q2=(4EE′/c2)sin(ϑ/2) e ν=E-E′, in cui c è la velocità della luce. È importante notare che, a fissata energia E del fascio, ci sono due variabili indipendenti: l'energia dell'elettrone uscente E′ e il suo angolo di diffusione ϑ; al posto di queste variabili si possono usare Q2/c2 e ν, che sono rispettivamente la massa cambiata di segno, e l'energia del fotone virtuale. Le quantità Q2 e ν rappresentano anche, rispettivamente, il modulo quadro del quadrimpulso e dell'energia trasferiti dall'elettrone al protone. Applicando le regole di calcolo della teoria dei campi quantizzati si può esprimere la sezione d'urto differenziale per il processo [1] in termini di funzioni, da determinare sperimentalmente, nelle quali è racchiusa l'informazione sulla dinamica dell'urto del fotone sul protone; queste funzioni sono dette funzioni di struttura del protone e verranno indicate nel seguito con WP1,2(Q2, ν). La sezione d'urto differenziale assume la forma seguente:
in cui α≅1/137 è la costante di struttura fine e ℏℏ≅6,58 10−25 GeV·s è la costante ridotta di Planck; la misura sperimentale della sezione d'urto in funzione di Q2 e ν permette di determinare le WP1,2(Q2,ν). Quando l'impulso e l'energia trasferiti sono grandi, ossia: Q2≫M2c2 e Mν≫M2c2 a Q2/Mν fissato (M≅0.938 GeV/c2 essendo la massa del protone), allora si dice che la collisione avviene nella zona cinematica altamente anelastica. In queste condizioni il protone si comporta come una nuvola di oggetti puntiformi non interagenti tra loro, i p. appunto, e il fotone virtuale interagisce con i p. incoerentemente causando la rimozione del p. colpito e la successiva formazione di particelle adroniche ottenute dal riassestamento dei p., come illustrato in fig. 2. Il complicato processo di trasformazione da p. in una o più particelle fisiche, detto adronizzazione, non è spiegato nell'ambito del modello a p.; si giustifica invece in QCD con la teoria del confinamento (v. cromodinamica quantistica, in questa Appendice), per la quale i p. non si manifestano come particelle fisiche ma sono confinati in dimensioni spaziali di ∼10−15 m. Comunque, per la descrizione di una reazione inclusiva come la [1], non è necessario conoscere i dettagli di questa trasformazione, ma occorre soltanto sapere l'energia e l'impulso del p. colpito.
Nel modello a p. l'energia e l'impulso del p. colpito sono collegati da una relazione di proporzionalità con l'energia e l'impulso dell'adrone considerato, espressa tramite la variabile x (0≤x≤1); esplicitando la conservazione dell'energia e dell'impulso al vertice fotone-p.-p. in fig. 2, si può determinare x dalle grandezze sperimentali usando le condizioni di diffusione profondamente anelastica; in questo modo risulta: x=Q2/(2Mν). I già citati esperimenti di Stanford mostrarono che le funzioni di struttura WP1,2(Q2,ν) dipendono soltanto dal rapporto tra le due variabili ovvero dalla variabile x; possiamo, quindi, esprimere la sezione d'urto in termini delle funzioni di struttura adimensionali FP1, 2 definite in questo modo:
FP1(x)=Mc2WP1(Q2,ν), FP2(x)=νWP2(Q2,ν).
Questo stringente vincolo funzionale, detto legge di scala o scaling di J.D. Bjorken, è la manifestazione del fatto che l'interazione con il protone, nelle reazioni profondamente anelastiche, non dipende da un parametro intrinseco (scala) come potrebbe essere per es. il raggio della distribuzione della carica se il protone fosse assimilabile a una sfera più o meno omogenea (descrizione che peraltro ben rappresenta il comportamento degli adroni nelle reazioni di diffusione di bassa energia). Quindi, per ragioni dimensionali, le funzioni di struttura dipendono soltanto dal rapporto delle variabili cinematiche del processo; ciò ben si accorda con la descrizione dell'urto su oggetti puntiformi.
Il confronto delle previsioni basate sul modello a p. con gli esperimenti ha permesso di stabilire la carica elettrica e lo spin dei p. elettricamente carichi confermando l'identificazione naturale di questi con i quark. Nell'ambito del modello a p. il calcolo delle funzioni di struttura di qualsiasi adrone si effettua agevolmente in termini delle distribuzioni di probabilità di trovare un p. con frazione di energia e impulso (dell'adrone di cui fa parte), compresa tra x e x +dx. Allora se indichiamo con uP(x), dP(x) e sP(x) le distribuzioni di probabilità dei quark up, down e strange nel protone P, si ha:
in cui abbiamo indicato le funzioni di distribuzione degli antiquark con la barra sopra. I pesi 4/9, 1/9 e 1/9 che compaiono nella [3] sono il quadrato della carica elettrica dei quark espressa in unità di carica dell'elettrone e determinano l'intensità della forza elettromagnetica tra quark e fotone. In questa discussione abbiamo considerato soltanto tre tipi di quark detti leggeri; i quark pesanti charm, bottom e top (per quest'ultimo manca ancora una evidenza sperimentale certa) possono essere analogamente inclusi nel calcolo.
Allo scopo d'illustrare la notevole flessibilità del concetto di p. descriveremo alcune applicazioni tipiche in cui il modello a p. viene applicato con successo. Particolarmente importanti sono i processi inclusivi di diffusione altamente anelastica in cui un fascio di neutrini incide su un nucleone N (protone o neutrone) producendo un elettrone e un insieme di particelle adroniche X: νN→e− X. La descrizione partonica di questo processo è simile a quella del processo [1] rappresentato nella fig. 2 dove, in questo caso, la particella scambiata è il bosone vettoriale W+, particella che, insieme al W− e allo Z, fa le veci del fotone nella teoria delle interazioni deboli (v. interazioni elettrodeboli in questa Appendice); quindi il vertice elettrone-elettrone-fotone è sostituito dal vertice neutrino-elettrone-bosone vettoriale W+. La sezione d'urto assume una forma molto simile alla [2], e anche in questo caso le funzioni di struttura (che ora sono tre per tener conto della non-conservazione della parità delle interazioni deboli) si esprimono come combinazioni delle funzioni di distribuzione partoniche pesate con le cariche deboli.
Un'altra categoria di processi, attivamente studiata al giorno d'oggi, è quella delle reazioni di diffusione altamente anelastica tra adrone e adrone, in cui intervengono direttamente e in modo determinante, oltre ai quark, anche i gluoni. Risulta infatti, già dallo studio del processo [1], che, oltre ai p. elettricamente carichi, esistono anche dei p. neutri; infatti nel processo [1] l'impulso portato dai quark è soltanto circa il 50% di quello dell'adrone, mentre l'altro 50% è associato a p. elettricamente neutri di spin 1: i gluoni, i quali, nella moderna QCD, sono le particelle mediatrici dell'interazione forte tra quark (v. particelle elementari e antiparticelle, in questa Appendice). I gluoni non interagiscono né elettricamente né debolmente, ma si manifestano in modo determinante nella dinamica della fisica adronica.
Nei processi altamente anelastici tra adroni, per es. le reazioni protone (P)-antiprotone (P), l'urto elementare avviene tra due p. p1 e p2 (v. fig. 3), al quale contribuiscono anche i gluoni; inoltre la fenomenologia tipica che si osserva è quella dei getti (dall'ingl. jets): P→2 getti +X essendo il getto un insieme ben collimato di particelle adroniche prodotto nello stato finale da ciascun p. a causa della sua alta energia.
La dinamica partonica si applica anche ai processi di annichilazione e+e− ; in queste reazioni è ben riconoscibile, specialmente nei processi e+e− in tre getti, il getto corrispondente a un gluone nello stato finale, il quale ha proprietà diverse da quelli generati dai quark. L'osservazione di questo getto rappresenta il modo più diretto di studiare i gluoni nelle reazioni fisiche di alta energia.
Nella fisica dei processi e+e− ad alta energia è molto importante, inoltre, la quantità R definita come il rapporto tra la sezione d'urto totale per il processo e+e−→ adroni e quella per e+e−→μ+μ− che è usata come normalizzazione; R=[σ(e+e-→adroni)]/[(σ(e+e-→μ+μ−)].
La sezione d'urto e+e− →adroni è ottenuta, nel modello a p., sommando le sezioni d'urto delle coppie di quark; il valore di R misura, quindi, il numero di quark attivi all'energia considerata. Il suo valore attuale, conosciuto fino a una energia nel centro di massa della coppia e+e− di circa 50 GeV, è consistente con la determinazione odierna di 5 diversi tipi di quark (detti sapori) con molteplicità 3 per la carica di colore (v. cromodinamica quantistica, in questa Appendice); l'effetto dell'esistenza del sesto sapore detto top si manifesterà a più alte energie rispetto a quelle raggiunte finora aumentando il valore di R di 4/3.
Il modello a p. rappresenta ancora oggi uno strumento estremamente potente per lo studio della fenomenologia delle interazioni forti anche se è reinterpretato, con notevoli perfezionamenti e modifiche, alla luce di quello che ormai si sa dallo studio della QCD. Infatti la QCD spiega in modo eccellente il modello a p. in base alla proprietà conosciuta come libertà asintotica, scoperta nel 1973 da D.J. Gross, F. Wilczek e B.D. Politzer. Questa proprietà consiste nel fatto che la forza tra i quark, che in QCD è mediata dallo scambio dei campi gluonici, cambia con la scala di energia alla quale avviene l'interazione e diminuisce man mano che l'energia trasferita aumenta, giustificando così l'ipotesi euristica di p. liberi all'interno degli adroni. Ciò dà luogo, tra l'altro, a piccole violazioni, chiaramente osservate, delle leggi di scala di cui abbiamo parlato, per cui le F1,2, e perciò le funzioni di distribuzione dei p., vengono a dipendere, oltre che da x, anche da Q2. La QCD consente di calcolare l'andamento delle funzioni di distribuzione partoniche al variare di Q2 mediante le equazioni di G. Altarelli e G. Parisi che descrivono matematicamente la dinamica dei processi partonici all'interno dell'adrone; in questo modo si ottiene un ottimo accordo con i dati sperimentali.
Bibl.: R.P. Feynman, Photon-hadron interactions, Reading (Mass.) 1972; G. Morpurgo, Introduzione alla fisica delle particelle, Bologna 1987.