ALECCE, Pasquale
Nacque a Motta San Giovanni (Reggio Calabria) il 21 apr. 1887 da Antonio e Francesca Squillaci. Conseguita giovanissimo la laurea in farmacia presso l'università di Catania, tornò al paese natìo per dedicarsi alla produzione artigianale di medicinali nella locale farmacia. Dopo i primi incoraggianti risultati, costituì una piccola azienda nella chiara convinzione che solo il passaggio ad una dimensione industriale avrebbe potuto garantire ai suoi prodotti il successo pieno. Il suo ramo d'azione dalla zona di Motta San Giovanni e dei paesi vicini si allargò ai principali centri dell'Italia meridionale (Reggio Calabria, Cosenza, Messina, Catania), dove egli inviava i suoi primi prodotti confezionati personalmente.
L'A. aveva in particolare approfondito lo studio della terapia della scarlattina, prima della scoperta della penicillina, e delle bronchiti, prima dell'uso di antibiotici, malattie che egli guariva con elaborate sostanze sedative.
L'evoluzione della chimica aprì alla farmacia la strada della fabbricazione dei prodotti sintetici. Nacquero i primi antipiretici, il cui più fortunato, l'aspirina, è del 1889 (Onorato, 1962, p. 14). Seguirono gli antisettici, gli alcaloidi, gli anestetici, gli ipnotici, ecc. La farmacoterapia attuò la sua rivoluzione in seguito alla quale cominciò a darsi una organizzazione industriale. Intorno al 1910 la materia subì una sostanziale sistemazione con la fondazione della chemioterapia che avrebbe posto la chimica al servizio della farmacologia.
Saldamente inserito nel dibattito scientifico su questi temi, l'A. decise, nel 1915, di trasferire a Roma il centro della propria attività, impegnandosi nella creazione di un organismo che gli consentisse una realizzazione più compiuta dei suoi progetti. Nacque così, nel giugno del 1918 (GuidaMonaci, 1984), l'Istituto farmacoterapico italiano, laboratorio chimico-farmaceutico, nei pressi di piazza Venezia. I primi anni costituirono per l'A. il duro tirocinio per inserire la sua azienda in una posizione di preminenza nel panorama della nascente industria farmaceutica italiana.
Infatti solo pochi anni prima il mercato nazionale era dominato dalle case tedesche e, in parte, anche da quelle francesi e svizzere tuttavia immediatamente dopo il conflitto una non diffusa ma comunque tenace ed intelligente iniziativa privata aveva posto le basi per una concorrenza al dominio del mercato straniero. Fu in questo periodo che si materializzò una industria che sarà definita "di riflesso, …esercitata su schemi di lavoro già fatti da altri magari apportandovi rettificazioni parziali e ritocchi successivi, una industria di modeste dimensioni, sostanzialmente china nel suo carattere regionale" (Onorato, 1962, p. 10).
E subito dopo, alla fine degli anni Venti e per tutti gli anni Trenta si aprì all'industria nazionale la possibilità di una migliore competitività tesa alla conquista del mercato italiano ed in gran parte facilitata dalla politica autarchica del regime fascista.
In questo quadro l'opera dell'A. fu assai consapevole e fattiva. Dopo i primi anni spesi nell'organizzazione di una struttura, la più efficiente possibile, nel 1930 l'Istituto farmacoterapico italiano comparve per la prima volta nell'Annuarioper le industrie farmaceutiche (preziosapubblicazione annuale che uscì dal 1918 al 1933) occupandovi ancora, tuttavia un posto marginale.
Nel 1935 l'Istituto farmacoterapico italiano risultava nella Biografia finanziaria italiana con un capitale di 300.000 lire: l'A. ne era il presidente. Egli risultava contemporaneamente presidente di una società anonima edilizia Ostia a Mare (capitale di 700.000 lire), evidente segno di diversificazione nell'impiego dei capitali accumulati.
Dalla guerra l'industria farmaceutica ebbe un importante impulso che diventò addirittura decisivo quando gli esiti del conflitto portarono totalmente fuori dal mercato italiano la Germania. Il dopoguerra fu caratterizzato dalla necessità di un vasto processo di ristrutturazione teso all'adeguamento delle strutture tecniche alle rinnovate esigenze produttive. La necessità di ingenti investimenti e l'uso di materie prime importate segnarono l'ingresso preponderante degli Stati Uniti nell'industria farmaceutica italiana. D'altra parte, l'affermazione della politica economica liberista misurò la necessità di espansione sui mercati esteri.
L'Istituto farmacoterapico italiano trovò in tale contesto motivi di ulteriore sviluppo, accresciuti dalla particolare situazione in cui venne a trovarsi l'A. che non risultava compromesso col passato regime.
Di particolare difficoltà è la collocazione politica dell'Alecce. Se infatti il suo nome non appare mai negli archivi fascisti (Segreteria particolare del Duce, Polizia politica, ecc.), né nelle pubblicazioni biografiche dell'epoca, anche nel periodo successivo, la sua azione pare tutta tesa all'esclusivo impegno imprenditoriale. L'unico riferimento di un qualche significato è la notizia della presenza al suo funerale del marchese Lucifero in rappresentanza dell'ex re d'Italia Umberto II, dal che possono dedursi le sue non occasionali simpatie monarchiche.
Lasciati i locali al centro, l'Istituto farmacoterapico italiano si trasferì al decimo chilometro della Salaria in un imponente fabbricato con una superficie totale di oltre 13.000 mq. che fu definito la città farmaceutica di Alecce. Molto bene attrezzato, sia per la produzione con macchinari moderni, sia per la ricerca con strutture d'avanguardia, l'Istituto arrivò negli anni Cinquanta a rappresentare uno fra i primissimi laboratori italiani ed europei, in un panorama di base vastissimo che solo nel territorio nazionale comprendeva ormai oltre mille officine farmaceutiche.
L'A. estese notevolmente l'attività dell'Istituto sia sul piano della produzione dei farmaci (nel 1951 risultavano essere una quindicina) sia, soprattutto, su quello distributivo di medicinali in qualità di grossista. Fu tra i membri più attivi della Società italiana di farmacologia, contribuendo in misura rilevante alla costituzione di una società a questa aggregata, l'Istituto zooterapico italiano, di cui fu consigliere delegato.
Per tale fervore di attività ottenne la nomina a cavaliere del lavoro. Si occupò molto attivamente anche di agricoltura, bonificando centinaia di ettari delle sue terre in Umbria.
Pur essendosi pienamente inserito nella realtà di lavoro e mondana della capitale, era socio dalla fondazione dell'Associazione nazionale degli industriali farmochimici, dell'Unione industriali del Lazio e del Rotary Club di Roma (Il Tempo, 21 marzo 1955), aveva tuttavia conservato un rapporto molto stretto con i suoi conterranei ed ebbe il modo di dimostrarlo significativamente dall'ottobre del 1953 quando, in seguito all'alluvione in Calabria, fu tra i più generosi concessori di aiuti.
L'A. morì a Roma il 20 marzo 1955 nella clinica Bastianelli, di sua proprietà. Alle esequie, cui parteciparono numerose autorità dello Stato, l'Associazione nazionale dei calabresi organizzò la consegna alla vedova di una medaglia d'oro.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, 1951-1954, Offerta pro alluvionati calabresi, 3.2.3./ 62975.5.3., ottobre 1953; Ministero delle Corporazioni, Annuario per le industrie farmaceutiche 1930, Roma 1931, p. 613; Biografia finanziaria italiana, Roma 1935, ad nomen; Chi è? Diz. biografico degli Italiani d'oggi, Roma1948, ad nomen; Annuario dell'Italia sanitaria, Milano 1951, ad Indicem; Annuario generale chimico-medico-farmaceutico e delle industrie affini, Milano 1951, pp. 440, 666, 684; Rep. dell'industria farmaceutica, Milano 1951-52, ad Indicem; Roma sanitaria. Pubblicaz. della Guida Monaci, Roma 1953 e 1955, ad Indicem; Artefici del lavoro italiano, Roma 1956, pp. 16 s.; necrologi in: Il Globo, Il Messaggero, Il Tempo, 21-23 marzo 1955. Per lo sviluppo dell'industria farmaceutica italiana vedi: B.M. Onorato, L'industria farmaceutica italiana verso il MEC, Roma 1962; G. Manera, Il mercato farmaceutico, Milano 1962; B. M. Onorato, La farmaceutica industriale, Roma 1964.