AMATO, Pasquale
Nacque a Foggia il 7 marzo 1886 da Cosimo e da Maria Capursi, ma presto si trasferì con la famiglia a Santa Maria a Vico in provincia di Caserta, dove il padre nel 1898 aveva cominciato l'attività industriale rilevando l'esercizio di un piccolo molino e costituendo la ditta Cosimo Amato fu Antonio.
L'A., dopo aver portato a termine gli studi classici presso il convitto "Pontano" di Napoli, assunse nel 1904, a soli diciotto anni, la direzione tecnica ed amministrativa dell'azienda paterna, promuovendo nel giro di pochi anni uno sviluppo rapido e di notevole entità che comportò l'ampliamento del molino e la costruzione di un pastificio adiacente per una occupazione operaia totale di circa sessanta unità.
Nel 1908 l'A. acquistò in San Benedetto di Caserta un piccolo stabilimento molitorio inattivo da oltre venti anni, decise di trasferirvi la sua attività, lo trasformò ed ampliò specializzandosi nella produzione di farina, semola e paste alimentari.
Lo sviluppo della ditta Amato fu in linea con la grande affermazione che l'industria molitoria e della pastificazione ebbe in Italia fino al primo conflitto mondiale per impulso della lavorazione di grano estero, principalmente russo che per la ricchezza di glutine trovava un largo impiego prestandosi per i suoi caratteri organolettici ad essere mescolato con la varietà mediocre del grano nazionale. Dopo il ridimensionamento del mercato russo in seguito alla rivoluzione sovietica, il posto di primi produttori del mondo fu preso dai paesi del Nord e Sud America e fu necessario per le aziende italiane rivolgersi a quei mercati. In effetti l'insufficienza del raccolto nazionale fu progressivamente ridotta dal governo fascista sin dal 1923 con la nota battaglia del grano. Dal 1920 al 1938 si riuscì a raddoppiare la quantità prodotta e ridurre ad un terzo quella importata. Tale impegno, oltre a compromettere gli equilibri delle produzioni agricole (scarsa cura dell'allevamento), penalizzò direttamente lo sforzo di penetrazione dell'industria di pastificazione nei mercati esteri, le cui conseguenze furono pesantemente subite dall'industria campana a partire dalla riconversione del primo dopoguerra.
In questo quadro l'A. seppe mantenere alla sua azienda una posizione leader nel ramo attraverso una scrupolosa osservazione delle possibilità offerte dalla politica economica fascista. Si trattava in sostanza, per quanto riguardava l'industria molitoria, di lavorare prevalentemente grano nazionale ridimensionando la pretesa superiorità del grano estero e, per l'industria della pasta, di non poter più usufruire del grande sbocco del mercato nordamericano ormai autosufficiente e di collocare il prodotto su quello nazionale con le difficoltà di una concorrenza, non soltanto campana, sempre più agguerrita.
L'A. continuò ad allargare la propria attività a San Benedetto mentre avviò la sua presenza anche sul mercato partenopeo riattivando, nel 1930, un vecchio molino e costituendo la Società anonima industria molitoria, della quale fu amministratore unico, e nel 1935 un altro stabilimento in Casoria, nel quale impegnò oltre cento operai.
L'A. ebbe con il fascismo un rapporto molto stretto. Si iscrisse al Partito nazionale fascista sin dal marzo 1921 e fu squadrista della marcia su Roma. Ma fu soprattutto nella sua azienda che egli attuò il disegno corporativo occupandosi personalmente della stesura dei contratti collettivi, in linea con la collaborazione e la presunta comunanza di interessi tra operai ed industriali. Si fece promotore, inoltre, di un dopolavoro con vaste sale di intrattenimento, fornito di radio, biliardo e biblioteca e di una cassa mutua aziendale per l'assistenza sanitaria alle maestranze.
Con il riassetto amministrativo del 1926 la provincia di Caserta-Terra di Lavoro fu, come è noto, abolita ed aggregata a Napoli. Ciò spinse ancor più l'A. ad intensificare i contatti nel capoluogo partenopeo, ed infatti dal 1927 egli entrò a far parte della giunta esecutiva dell'Unione industriale fascista di Napoli presieduta da Teodoro Cutolo, mentre dal 1935 fu nominato nel direttorio presieduto da Giuseppe Cenzato. Altrettanto numerose le sue cariche nelle organizzazioni di categoria come, dal 1926, quella di presidente dell'Unione industriale fascista arte bianca (Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del Duce) e successivamente quella di delegato alla assemblea della Federazione nazionale mugnai, pastai e trebbiatori (Ann. industr. della prov. di Napoli, p. CLXX).
Ma anche la sua stessa condizione familiare sembrava proiettarlo oggettivamente nelle simpatie mussoliniane; infatti, poco più che ventenne, egli aveva sposato Carolina Parlato, dalla quale ebbe ben dieci figli, di cui otto maschi, così che quando nel maggio del 1928 si decise a scrivere a Mussolini per chiedere la rituale fotografia con firma autografa, ricevette una risposta pronta ed entusiastica, anche per il giudizio con il quale l'alto commissario di Napoli, Castelli, accompagnò la richiesta: "L'A. è un ricco industriale, proprietario di un molino e pastificio elettrico sito nella frazione di S. Benedetto di Caserta, serba ottima condotta morale e politica ed è personalmente fedele all'attuale Regime. I suoi beni sono valutati a parecchi milioni" (Archivio centr. dello Stato, Segr. part., nota del 26 maggio 1928).
Il rapporto dell'alto commissario, per quanto positivo, mostra chiaramente che l'A. non era ancora, nel 1928, quella personalità di spicco nel panorama industriale napoletano, quale sarebbe in effetti diventato tra la fine degli anni Trenta e l'inizio dei Quaranta.
La sua stretta amicizia con il nuovo federale di Napoli, Fabio Milone, nominato nel gennaio del 1940, facilitò l'ascesa dell'A. e non a caso sarebbe stato proprio il Milone sin dal 1941 a caldeggiare presso il ministero delle Corporazioni la sua nomina a cavaliere del lavoro, avvenuta il 21 apr. 1942 in coincidenza con la celebrazione fascista della festa del lavoro.
L'azienda dell'A. era ormai affermata, aveva una potenzialità produttiva giornaliera di 1.200 quintali di sfarinati e pastificazione ed occupava ormai oltre trecento operai; lo stabilimento di San Benedetto si estendeva su un'area di oltre 6.500 mq ed era fornito di macchinari potenti ed efficienti, compreso un utilissimo raccordo ferroviario. La ditta poteva vantare il brevetto della Real Casa d'Italia, era fornitrice di case reali straniere ed aveva ottenuto un grande successo alla esposizione di Lipsia del 1940.
Con i duri e difficili anni di guerra prima e la caduta del fascismo poi, l'A. scomparve progressivamente di scena. La conduzione dell'azienda passò nelle mani del primogenito Alfredo. L'A. morì a Napoli il 20 febbr. 1949 senza alcuna menzione sui quotidiani napoletani dell'epoca.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio ord., ad nomen; Ibid., Federaz. naz. dei Cavalieri del lavoro; Ibid., Presidenza del Consiglio dei ministri, 1948-1950, fasc. 12472.7/3.1-7; Annuario degli insigniti di onorificenze cavalleresche del Regno d'Italia, a cura di A. Cerreto, Milano 1934-1935, p. 22; Biografia finanziaria italiana, Roma 1935, ad nomen; Napoli d'oro, Napoli 1935, p. 178; Annuario industr. della prov. di Napoli, Napoli 1939, pp. CLXX, CXCVI, CCXX, 78, 86; Napoli e i napoletani, 1941, ad Indicem; ibid., 1942, ad Indicem; Il Messaggero, 21 apr. 1942; Chi è? Diz. biogr. degli Ital. d'oggi, Roma 1948, ad nomen; Risorgimento (Napoli), 21 dic. 1949; Annuario generale dei molini d'Italia, Roma 1955, p. 586; ibid., Roma 1958, p. 552; Artefici del lavoro ital., Roma 1956, p. 27: R. Mele, L'industria manifatturiera in Campania. Analisi di struttura ed annuario delle aziende, Napoli 1970, ad nomen; A. Picarelli, L'industria della pasta alimentare nel Mezzogiorno, Napoli 1971, p. 195.