BINI, Pasquale (detto Pasqualino)
Nacque a Pesaro il 2 giugno 1716 (come risulta dall'atto battesimale, e non, come vorrebbe il Fétis, nel 1720) da una famiglia di musicisti. Nel 1731 fu posto, con la protezione del cardinale F. Olivieri, nella celebre scuola di G. Tartini a Padova; ivi rimase per tre o quattro anni, dopo i quali fu chiamato dal suo protettore a Roma, dove stupì per il precoce virtuosismo che ebbe modo di manifestare nell'esecuzione violinistica delle più difficili composizioni del maestro. Il Fétis scrive che fu ammirata la "hardiesse et la pureté de son jeu".
Venuto a conoscenza, durante il soggiorno romano, che il Tartini aveva abbandonato il brillante stile virtuosistico per una interpretazione sempre più profonda e raffinata, il B. tornò a Padova per studiare ancora sotto la sua guida per circa un anno. Il 2 febbr. 1738 era di nuovo a Roma; in quell'anno, infatti, il Tartini stesso lo raccomandava al giovane inglese Wiseman, venuto da lui a prendere lezioni, con parole di profonda e affettuosa stima. Nello stesso 1738 morì il primo protettore del B., e fu forse allora che egli si recò a Napoli, dove ebbe come allievo E. Barbella. Certo si trovava di nuovo a Roma nel 1740, poiché il 30 aprile veniva ammesso nella Congregazione di S. Cecilia, di cui proprio in quell'anno era stato eletto presidente il suo secondo protettore, il cardinale Troiano Acquaviva dei duchi di Atri, tanto che il B. fu segnato come "il Sig. Pasqualino d'Acquaviva violinista". Il 3 giugno di quell'anno indirizzava una lettera all'abate S. F. Maggiori di Fermo, nella quale rifiutava l'invito di tornare nelle Marche; un simile invito, ugualmente rifiutato, gli era giunto da parte del marchese Ricci di Macerata. Nel 1747 morì anche il suo secondo protettore, il cardinale Acquaviva, e il B. rimase senza appoggi. All'inizio del 1750 decise di abbandonare Roma, dove ormai la vita gli era divenuta impossibile, e di tornare a Pesaro; in questa città diresse nel carnevale del 1753 le opere Merope di N. Jommelli e Antigona di B. Galluppi al Teatro del Sole. Il Tartini, frattanto, tentava di ottenere per il suo prediletto allievo una sistemazione all'estero: vi aveva già provato nel 1750, scrivendo il 24 febbraio al conte F. Algarotti per informarsi sulle possibilità di un impiego alla corte di Federico il Grande; il 12 marzo scriveva al ministro segretario presso il principe Lobkowitz (che cercava un direttore per la cappella della sua residenza a Vienna), dichiarando che il B. era felice di passare alle dipendenze del principe, alla condizione, però, di poter condurre seco il fratello, di poter tornare in Italia, qualora il clima non si confacesse alla loro salute, e di non esser costretto a tornare a Roma.
Il Tartini stesso spiegava le ragioni di tali richieste con la natura apprensiva e con la debolezza "di spirito" del B., che, per i disagi sofferti a Roma, era quasi impazzito e che aveva rifiutato, pur di non tornare nella capitale, un posto offertogli con insistenza "dal cardinale di Jorc" (York).
Le trattative ebbero esito negativo, ma il 1º marzo 1754 il B. fu nominato alla corte di Carlo Eugenio, duca del Württemberg, direttore dei concerti e compositore di camera, con lo stipendio di 400 ducati. Non si sa con sicurezza quanto tempo si trattenne a quella corte; il Gerber afferma che vi si trovava ancora nel 1757. Sostò poi forse anche in altre corti straniere. Secondo il Bonamini (citato dal Radiciotti), "ritornato a Pesaro..., rimase alquanto leso nel cerebro; ma tuttavia sempre sonò alla gran meraviglia... (la predisposizione a una malattia mentale si era manifestata fin dai tempi della permanenza a Roma).
Il B. morì a Pesaro nell'aprile del 1770, a cinquantaquattro anni, secondo il Ronconi (citato dal Radiciotti), mentre altri lo dicono morto a Stoccarda nel 1760.
Oltre a E. Barbella, fu suo allievo forse anche L. Tommasini, ma non lo fu G. Pugnani, che conobbe il B. e lo frequentò, probabilmente durante un suo soggiorno romano, tra il 1749 e il 1750, avendone solo qualche consiglio. Delle composizioni del B. poco resta: il Ronconi diceva che, unitamente a numerose musiche lasciate manoscritte (e che sono forse perdute), egli scrisse dodici Concerti (con violino obbligato, oboe, viola e corni da caccia). Rimangono manoscritti una Sonata a solo, per violino e basso continuo (secondo l'Enciclopedia Ricordi della Musica, sarebbero sei), nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino e un Concerto in sol maggiore, per violino e orchestra nella Bibl. della Gesellschaft der Musikfreunde di Vienna, quest'ultimo di chiara derivazione tartiniana. È tuttavia impossibile delineare il carattere musicale del B. per mancanza di documenti sufficienti, ma la stima tributatagli dal Tartini potrebbe essere garanzia del suo valore artistico.
Bibl.: Ch. Burney, A general history of music…, III, London 1789, pp. 562 s., 570; J. Sittard,Zur Geschichte der Musik und des Theaters am Württembergischen Hofe, II, 1733-1793, Stuttgard 1891, pp. 55 s.; C. Lozzi, Tartini e B., in La Cronaca musicale, I, 6 (1896), pp. 182-185; Id.,Ancora di P. B., violinista pesarese,ibid., V, 8-9 (1900), pp. 121-123; G. Radiciotti,Pro domo nostra e per il violinistaB., ibid., V, 10-11 (1900), pp. 153-157; A. Cametti,I soci della Congregazione di Santa Cecilia dal 1746 al 1769. Le cappelle musicali di Roma nel 1746, Roma 1918, p. 18; A. Capri, G. Tartini, Milano 1945, pp. 70, 378, 384 s., 393, 397, 399; E. L. Gerber,Historisch-biographisches Lexikon der Tonkünstler, I, Leipzig 1790, col. 164; F. J. Fétis,Biographie univ. des Musiciens, I, Paris 1866, V. 420; R. Eitner,Quellen-Lexikon der Musiker, II, pp. 47 s.; C. Schmidl,Diz. univ. dei Musicisti, I, p. 187; suppl., p. 101; G. Grove's Dict. of Music and Musicians, I, London 1954, pp. 712 s.; Encicl. Ricordi della Musica, I, Milano 1963, p. 264.