GALLUPPI, Pasquale
Nacque a Tropea il 2 apr. 1770 dal matrimonio fra i cugini Vincenzo e Lucrezia Galluppi, appartenenti rispettivamente al ramo siciliano e al ramo calabrese della famiglia, che si fregiava del titolo baronale di Cirella. Non potendo contare sull'aspettativa di una posizione di rendita, fu avviato agli studi e la sua educazione si svolse in seminario, fra la città natale e Santa Lucia del Mela, presso Messina, dove il ramo paterno conservava residui interessi fondiari. Con i primi rudimenti letterari imparò la lingua francese e, dall'età di tredici anni, approfondì la filosofia e la matematica, alla scuola di G.A. Ruffa e di I. Barone. Alla speculazione si era peraltro avvicinato già nel seminario messinese, grazie all'insegnamento del canonico G. Ragno e del rettore C. Santacolomba, noto per le sue simpatie gianseniste.
Giunto finalmente a Napoli per conseguire quella laurea in giurisprudenza verso cui la famiglia l'aveva indirizzato (1790), il G. risentì del magistero di F. Conforti e si volse definitivamente agli studi di filosofia e di teologia, dedicandosi in particolare allo studio di G.W. Leibniz e di Cartesio. Richiamato dal padre sia per la mancata corrispondenza al progetto professionale, sia per la concomitante morte del fratello minore Ansaldo, fece ritorno a Tropea accettando di buon grado il matrimonio (1794), come d'uso combinatogli al punto che solo il giorno delle nozze conobbe la sposa, la nobildonna cosentina Barbara d'Aquino, che gli darà ben quattordici figli, otto maschi e sei femmine, e gli sarà compagna per quarant'anni.
Le cure domestiche non lo distolsero, però, dalla filosofia e dalla teologia, come dimostra la sua prima pubblicazione, una Memoria apologetica (Napoli 1795) dapprima presentata quale discorso d'esordio all'Accademia degli Affatigati di Tropea (in cui prese il nome di Infuriato) e dedicata a confutare - secondo un'impostazione agostiniana ripresa dal giansenismo - la teoria delle virtù dei pagani, giudicate comunque peccaminose perché non riferite al vero Dio e quindi "mancanti della vera carità". Non a caso, sin dalla presentazione orale, la memoria fu oggetto di una denuncia presso la S. Sede.
L'ostilità ecclesiastica nei suoi confronti sembra perdurare nella crisi rivoluzionaria del 1799. Benché non vi fossero prove di un suo diretto coinvolgimento - a parte la collaborazione, forse occasionale, forse forzata, con l'occupante francese quale traduttore -, egli fu tenuto in ostaggio per un certo tempo dalle milizie del cardinale F. Ruffo a Pizzo Calabro. Fu inoltre fatto il suo nome come "settario" in una denuncia anonima che coinvolgeva il suo antico maestro Santacolomba; ma fu soprattutto il giudizio del vescovo di Tropea G.G. Mele a pesare sul suo conto: "non gode buona fama, perché si pretende aversi ingoiato collo studio vari errori della vana filosofia" (E. Di Carlo, Una denunzia anonima contro P. G., in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, VII [1937], pp. 35-40).
Al ritorno dei Francesi il G., continuando probabilmente a sfruttare più la sua conoscenza della lingua che non impegnandosi sotto il profilo politico, ottenne, nell'ambito della riorganizzazione amministrativa e in particolare della riforma della tassazione fondiaria (1806), un impiego pubblico alle dipendenze del Fisco quale "controloro" della percezione delle contribuzioni dirette per il distretto di Tropea, incluso nella provincia di Calabria Ultra. Nonostante gli apprezzamenti per l'attività svolta e le proposte di promozione, ogni avanzamento sembrava però essergli precluso e la sua supplica per divenire sottointendente a Reggio Calabria non ricevette alcuna risposta (1812). Assicuratasi comunque una pur modesta entrata a reddito fisso che corroborava le ristrette rendite fondiarie per il sostentamento della crescente famiglia, il G. poté proseguire a coltivare gli studi. Forse sulla scia degli echi di Francia lesse É.-B. de Condillac ma, pur traendone spunti di ridiscussione di quel dogmatismo razionalistico alla cui scuola si era formato, restò insoddisfatto delle conclusioni sensistiche, come dimostra l'opuscolo Su l'analisi e la sintesi (Napoli 1807) in cui, traendo esempi sia dalla matematica, sia dalla filosofia e paragonando i due metodi, anticipava la sua filosofia dell'esperienza, delineando il processo della conoscenza umana nelle sue varie fasi. Fu però soltanto grazie al confronto con I. Kant, alla lettura delle cui opere si dedicò in seguito fino al 1815, che il G. prese coscienza della centralità del problema gnoseologico e cercò di darne una soluzione personale. La prima traccia di tale ricerca è rinvenibile nel discorso per la celebrazione di s. Alfonso de' Liguori, pronunciato di nuovo nell'accademia tropeana (1816; cfr. l'ed. postuma in E. Di Carlo, Un discorso accademico di P. G. su Alfonso de' Liguori, in Riv. di filosofia neoscolastica, XXII [1930], pp. 54-61).
Su questa base nascerà la sua opera principale, destinata a essere via via arricchita, il Saggio filosofico sulla critica della conoscenza, i cui due primi tomi uscirono a Napoli nel 1819, e i successivi quattro a Messina in coppie, rispettivamente nel 1822 e nel 1832. Nella stessa città videro la luce tra il 1820 e il 1827 gli Elementi di filosofia, in sei tomi, di taglio didattico (logica pura, psicologia, ideologia, logica mista, filosofia morale, teologia naturale), nonché le tredici Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente ai principii delle conoscenze umane da Cartesio sino a Kant inclusivamente (Messina 1827; 2ª ed. Napoli 1838), indirizzate al canonico G. Fazzari, docente di filosofia presso il seminario di Tropea, allo scopo di offrire alla scuola una sintesi storiografica del pensiero moderno.
"Non vi sarebbe una strada media fra il razionalismo e l'empirismo? Non bisogna, io dissi, disperarne. Con questa veduta io cercai di fare un'analisi esatta dell'umana intelligenza" (Lettere filosofiche, p. 286): nel percorso speculativo che il G. così si propose il criticismo kantiano rappresenta solo un punto di partenza, poiché inevitabilmente esso ricade nel soggettivismo e nello scetticismo e si rivela incapace di fondare l'oggettività della conoscenza, in quanto non ammette che l'esperienza possa essere anteriore all'attività della coscienza e indipendente da essa. Per il filosofo calabrese, invece, il sentimento del "me" è inseparabile dal sentimento del "fuori di me" (l'autopercezione è nello stesso tempo eteropercezione). Nel passaggio dall'esperienza alla riflessione sull'esperienza lo spirito ricava le idee generali, ma resta salva l'obiettività del mondo esterno, in opposizione al mondo noumenico kantiano, e ne deriva la necessità del principio trascendente, deducibile secondo il principio di causalità. È quindi la finitezza dell'essere umano a rinviare a un essere divino in sé perfetto e assoluto, causa sui e al tempo stesso causa produttrice del mondo materiale e del mondo intellettuale. L'esistenza di Dio verrebbe così a essere dimostrata logicamente, benché la sua natura resti inesplicabile: dal piano gnoseologico il G. passa a quello metafisico per riconoscere "la suprema intelligenza che l'ordine ammirabile dell'universo ci palesa ad ogni istante" (Saggio, V, p. 63) e quindi proclamare l'immortalità e la libertà dell'anima, che è la nostra coscienza di essere, sentire, pensare.
Fu dunque nella prima Restaurazione che il G. conseguì la maturità del suo pensiero e si preoccupò di divulgarlo sia per utilità didattica, sia per farlo conoscere al di fuori del suo ambiente di provincia, in cui peraltro, conservato l'impiego nell'amministrazione finanziaria, le sole occasioni intellettuali gli provenivano dalle accademie (oltre alla Tropeana, anche la Cosentina e la Vibonese) e dai seminari locali. Non trascurava, tuttavia, i contatti con gli esponenti delle famiglie più in vista della sua provincia (Capialbi, Gagliardi, Lombardi Satriani), cui era legato non solo dalla classe sociale ma anche dagli interessi culturali. Sembra essergli favorevole punto di riferimento culturale ed editoriale in questo periodo, più della stessa Napoli, la meno lontana Messina, cui era legato dagli studi giovanili e dai vincoli familiari e patrimoniali, anche se lo stampatore pretendeva congrui anticipi, che lo costringevano spesso a chiedere agli amici più facoltosi prenotazioni delle opere e veri e propri prestiti (cfr. L. Franco, Lettere inedite di P. G. a V. Capialbi, in Arch. stor. per la Calabria e la Lucania, XXII [1953], pp. 118 s.).
Anche quando, in occasione del nonimestre costituzionale (1820-21), gli parve opportuno porre la sua filosofia a contatto con il dibattito politico, furono proprio alcuni tipografi messinesi a stampare tre suoi opuscoli, due dei quali dedicati alla "libertà individuale del cittadino", probabilmente connessi con i precedenti ma inediti, Pensieri filosofici sulla libertà individuale compatibile con qualunque forma di governo. Nel primo, prendendo le mosse dalla legge provvisoria promulgata il 26 luglio 1820, si tratta della libertà di stampa; nell'altro si fa derivare dalla libertà di coscienza la libertà di unire o non unire al matrimonio civile, in quanto contratto, il matrimonio religioso, in quanto sacramento. Il terzo opuscolo, di cui dava notizia il 30 dic. 1820 il giornale napoletano L'Indipendente (riprendendola a sua volta dal confratello siciliano L'Imparziale), era intitolato Lo sguardo d'Europa sul Regno di Napoli. Scarsa dovette tuttavia essere l'eco di tali pubblicazioni, se il G. sfuggì alla repressione successiva, non perdendo neanche il suo ufficio. Senz'altro per far dimenticare questi trascorsi, ma anche per la diffusa speranza che si nutriva in Ferdinando II all'indomani della sua incoronazione, il G. gli dedicò un discorso accademico e un sonetto. Nel 1831 egli finalmente ricevette il pubblico riconoscimento della sua opera filosofica che da tanto tempo attendeva: la nomina a professore nell'Università di Napoli. Un gustoso racconto delle circostanze di tale conferimento per chiara fama è tramandato da Luigi Settembrini - che del G. fu allievo - nelle sue Ricordanze (Napoli 1879, I, p. 53) ove pure si legge la celebre sfida del filosofo a rifiuto del pubblico concorso: "E chi c'è a Napoli che può giudicare il barone Galluppi?", in cui l'orgoglio intellettuale sembra mescolarsi con quello feudale, ma con una preponderante nota di assoluta buona fede maturata nei tanti anni di studio in provincia. La nomina regia, proposta dal ministro dell'Interno, il marchese di Pietracatella G. Ceva Grimaldi, cui allora faceva capo anche l'Istruzione, rientrava peraltro in quel clima di cauto rinnovamento, che appunto il nuovo sovrano sembrava voler promuovere.
Con l'insegnamento universitario di logica e metafisica da quella che era stata la cattedra di A. Genovesi, il G. iniziò a oltre sessant'anni la seconda parte della sua vicenda biografica. Per più di un quindicennio egli tenne le sue lezioni a Napoli, prendendo parte attiva alla vita intellettuale della città. Vi si trasferì da solo, ma si fece presto raggiungere dall'ormai ammalata consorte mentre la numerosa prole restava nella natia Tropea, donde si teneva in costante e affettuoso contatto con i genitori lontani, come testimoniano alcune lettere familiari. Le sorti dei figli e dei nipoti furono peraltro sempre oggetto di cure da parte del G., che provvide loro sia con sovvenzioni, sia con commendatizie. Un grande dolore gli procurò nel 1844 l'uccisione del primogenito Vincenzo, che prestava servizio nella guardia regia, nel corso del moto cosentino che avrebbe successivamente richiamato invano in Calabria i fratelli Bandiera. Un altro figlio, Teofilo, gli era già stato egualmente sottratto in un fatto di sangue, tuttavia per mano di un folle (1818). Una figlia, Raffaella, era invece stata destinata alla vita monastica presso il monastero aversano di S. Francesco d'Assisi (1837).
Il G. era finalmente divenuto un personaggio di spicco anche nella vita sociale della capitale. Membro delle principali accademie (Sebezia, Pontaniana), collaborava ai periodici culturali più significativi, mentre mons. G.M. Mazzetti lo chiamava a far parte della Giunta di Pubblica Istruzione (1836). Svolse anche le funzioni di revisore librario.
In parallelo con l'attività didattica, pubblicò dapprima la prolusione al suo corso universitario (Introduzione alle lezioni di logica e metafisica, 1831), quindi in quattro tomi le Lezioni di logica e metafisica (1832-34) e in altri quattro l'incompiuta Filosofa della volontà (1832-40), dedicata al marchese di Pietracatella: il G. riespone così la sua filosofia come "scienza del pensiero umano", rispettandone la tripartizione in logica, metafisica ed etica. Anche nella morale egli si ispira a Kant: l'azione moralmente buona è quella comandata dalla ragione. Tuttavia, non potendo accettare l'incondizionatezza assoluta dell'autonomia kantiana, sostenne che la ragione non crea la moralità, ma la riconosce e la proclama, ubbidendo a un'eteronomia superiore. D'altra parte, per tutta la filosofia galluppiana, il rapporto col kantismo resta il problema critico principale, come è testimoniato sia dalle interpretazioni coeve sia da quelle moderne (si pensi alla definizione di "kantiano malgré lui" datagli da B. Spaventa e ripresa da G. Gentile, poi contestata dalla storiografia cattolica; oggi invece sembra prevalente l'interesse per il rapporto con gli idéologues).
Nel 1838, per la seconda edizione delle Lettere filosofìche, il G. aveva aggiunto una quattordicesima lettera (una traduzione francese apparirà a Parigi nel 1844, per cura di L. Peisse) in cui riassumeva gli stadi di formazione del suo contributo speculativo e ne precisava l'originalità rispetto ai suoi contemporanei: il coscienzialismo, capace di sfuggire allo scetticismo e di rifondare obiettivamente l'idea di Dio. Quattro anni dopo, uscì il primo di una progettata serie di dodici volumi di storia della filosofia, denominato Archeologia filosofica e incentrato sull'esame delle dottrine platoniche e aristoteliche. L'opera avrebbe dovuto essere stampata in fascicoli mensili, disponibili presso la casa stessa dell'autore in Napoli.
Dalla capitale, il suo pensiero e la sua fama si diffusero più agevolmente, mentre i suoi testi conobbero una crescente fortuna didattica: se ne discuteva nel resto d'Italia, e in particolare in Toscana (a opera del Rosmini, del Gioberti, del Mamiani o del Tommaseo), ma soprattutto al di là delle Alpi, dove, per il tramite di V. Cousin (i cui Fragments philosophiques il G. aveva tradotto in italiano), ottenne prestigiosi riconoscimenti quali la nomina a socio corrispondente straniero dell'Accademia di Francia (1838) e l'onorificenza della Legion d'onore (1841). Negli atti di quel sodalizio fu, quindi, inserita una sua memoria in cui faceva i conti con le correnti filosofiche contemporanee (in particolare con J.G. Fichte e F.W.J. Schelling) e con le critiche e osservazioni a lui rivolte (Considerazioni filosofiche sull'idealismo trascendentale, e sul razionalismo assoluto, Napoli 1841). Da una coeva lettera a G. Massari, che allora soggiornava a Parigi e che appare uno dei suoi tramiti con la cultura francese, si apprende che altre memorie, egualmente destinate, erano in corso di redazione (Roma, Museo centr. del Risorgimento, b. 383, c. 69; ma cfr. G. Brescia, Lettere di A. Rosmini, P. G. e G. Massari, in Riv. rosminiana di filosofia e cultura, LXXXII [1988], pp. 325-330).
La popolarità dell'insegnamento galluppiano, cui forse non andava esente neanche il suo personaggio, sempre a metà tra la facondia e la ruvidezza, ma che senz'altro riposava sul suo originale e ininterrotto sforzo di confrontarsi con tutti gli esponenti del pensiero moderno europeo e quindi di ricondurre l'Italia nell'alveo della cultura filosofica, è infine attestata dal numero e dall'intensità dei necrologi che l'ambiente universitario napoletano gli tributò all'indomani della morte, avvenuta a Napoli il 13 dic. 1846.
L'anno prima aveva ricevuto in casa propria l'omaggio di una delegazione del Congresso degli scienziati che si riuniva a Napoli, cui non aveva potuto partecipare a causa dell'ormai compromessa salute. La generazione che sarà poi protagonista del Quarantotto, da L. Settembrini a E. Pessina, da L. La Vista a P.S. Mancini, aveva in fondo avuto in lui il suo maestro.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Archivi privati: Galluppi di Cirella (contiene docc. di natura prevalentemente patrimoniale); Restaurazione: Pubbl. Istruzione, f. 280; Napoli, Biblioteca nazionale, Sezione mss.: cfr. P. Franzese, Opere mss. ed a stampa di P. G. nella Bibl. nazionale di Napoli. Catal. ragionato, Napoli 1987; P.E. Tulelli, Sopra gli scritti ined. del barone P. G., in Atti dell'Acc. di scienze morali e politiche di Napoli, III (1867), pp. 81-131. Tra le fonti edite: Autobiografia (15 ag. 1822), a cura di F. Pietropaolo, in Riv. di filosofia scientifica, VI (1887), pp. 260-265, poi in C. Toraldo Tranfo, Saggio sulla filosofia del G. e le sue relazioni col kantismo, Napoli 1902, pp. 29-32, quindi in G. Calogero, P. G. maestro del pensiero calabrese, Cosenza 1966, pp. 243-247, e in P. Galluppi, Lettere filosofiche, a cura di G. Bonafede, Palermo 1974, pp. 389 ss.; Frammento autobiogr., a cura di E. Di Carlo, in Nosside, VIII (1929), nn. 7-8; raccolte di articoli: P. Galluppi, Opuscoli filosofico-politici sulla libertà, a cura di G. Oldrini, Napoli 1976; Id., Saggi e polemiche. La collab. ai periodici dal 1828 al 1845, a cura di F. Ottonello, Genova 1991; dai mss. napoletani: Id., La filosofia della matematica, a cura di G. Lo Cane, Tropea 1995. Bibliografie degli scritti del e sul G. in F. Palthoriès, La théorie idéologique de G. dans ses rapports avec la philosophie de Kant, Paris 1909, pp. VII-XI; P. Galluppi, Lettere filosofiche, a cura di A. Guzzo, Firenze 1923, pp. XIX-XLVIII; A.M. Rocchi, P. G. storico della filosofia, Palermo 1934, pp. 99-121; G. Di Napoli, La filosofia di P. G., Padova 1947, pp. 276-284; Opuscoli filosofico-politici…, cit., pp. 111-122; La collaborazione ai periodici…, cit., pp. 25-77.
P.E. Tulelli, Intorno alla dottrina ed alla vita politica del barone P. G. Notizie ricavate da alcuni suoi scritti ined. e rari, in Atti della R. Acc. delle scienze morali e politiche di Napoli, II (1865), pp. 101-121; III (1867), pp. 81-131; A. Catara Lettieri, Ricerche stor. intorno al movimento filos. della prima metà del sec. XIX in Sicilia, Messina 1881, pp. 18 ss.; C. Toraldo Tranfo, Saggio sulla filosofia del G.…, cit.; G. Gentile, Dal Genovesi al G., in La Critica, I (1903), pp. 216-274; N. Arnone, P. G. giacobino, in Studi dedicati a F. Torraca nel XXXVI anniv. della sua laurea, Napoli 1912, pp. 129-152; G. Gentile, P. G. giacobino?, in Rass. stor. del Risorgimento, I (1914), pp. 389 ss.; D.A. Cardone, La morale e il diritto nel pensiero di P. G., in Riv. internaz. di filosofia del diritto, XI (1931), pp. 407-438, poi in Diritto e politica ed altri saggi, Milano 1951, pp. 109-143; G. Di Napoli, La filosofia di P. G., Padova 1947; M.F. Sciacca, La filosofia nell'età del Risorgimento, Milano 1948; C. Librizzi, Il risorgimento filos. in Italia, Padova 1952, I, pp. 3-83; S. Mastellone, Victor Cousin e il Risorgimento italiano…, Firenze 1953, pp. 181-213; Una memoria ined. di P. G. sulla storia della teodicea filosofica, Padova 1957; G. Oldrini, La cultura filos. napoletana dell'Ottocento, Roma-Bari 1973, pp. 68-78; Studi galluppiani. Atti dei convegni tropeani per il centenario della nascita e il bicentenario della morte di P. G., Tropea 1979; M. Filipponio, Il metodo gnoseologico nella filosofia di P. G., Cosenza 1984; F. Ottonello, P. G. nella "infedele" interpretazione di B. Spaventa, in Riv. rosminiana di filosofia e cultura, LXXXII (1988), pp. 41-50; A. Sofia, G. e Pancaldo, Messina 1988; G. Tortora, P. G. e il materialismo del Settecento francese, Napoli 1989; Studi galluppiani. Atti del Convegno galluppiano di Tropea… 1987, Cosenza 1991; P. Broussard, Diacronia galluppiana, Pisa 1991; G. Tortora, L'"idealismo" di Berkeley nell'analisi critica di G., in Atti dell'Acc. di scienze morali di Napoli, CII (1991), pp. 197-242; S.M. Staffiere, Conoscenza, storiografia ed etica nella filosofia di P. G., Milano 1992; Nuova Enc. popolare italiana, Torino 1859, IX, sub voce; Enc. Italiana, XVI, sub voce; Enc. filosofica, II, coll. 1575-1579; The Encyclopedia of philosophy, III, sub voce; Grande Antologia filosofica, XX, pp. 163-182; ibid., Aggiorn., XXIV, pp. 345-357; Diz. dei filosofi, Firenze 1976, pp. 420 ss.; Dict. des philosophes, Paris 1984, I, p. 1002; Enc. pedagogica, Brescia 1989, III, coll. 5258 s.