GRIPPO, Pasquale
Nacque a Potenza il 12 dic. 1845 da Gerardo e Angela Biscione. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli, si laureò a soli 17 anni (Cilibrizzi) e si dedicò subito alla professione forense.
Indirizzò i suoi interessi di studio verso argomenti di diritto penale adottando, sin dall'inizio, un metodo di ricerca che si basava sulla lettura della norma alla luce della realtà sociale in cui trovava applicazione, dei precedenti storici e della comparazione con gli ordinamenti degli altri paesi occidentali. Un metodo, dunque, vicino all'indirizzo positivista e caratterizzato soprattutto dall'analisi storico-comparatista.
I temi dei suoi saggi sono numerosi. Nel 1869 pubblicò, in Archivio giuridico diretto da F. Serafini, III, pp. 495-507, un'ampia recensione al volume di V. Molinier La répression du vol d'après les lois anciennes et la jurisprudence du Parlement de Toulouse, e, l'anno successivo, il lavoro Della ferita o percossa volontaria che produce la morte (ibid., V, pp. 348-377; 511-534), nel quale si proponeva di precisare la natura giuridica della ferita o percossa con l'esplicito obiettivo di offrire alle corti di cassazione un contributo in materia. Dopo i saggi Di alcune quistioni in materia di estradizione, apparso in Il Filangieri, II (1877), pp. 37-63, e Osservazioni critiche intorno all'articolo 43 della legge sull'ordinamento dei giurati (ibid., pp. 608-627), scrisse Della revisione dei giudicati penali (ibid., III [1878], pp. 25-47, 135-149, 455-460), in cui sottolineava l'importanza della revisione penale negli ordinamenti del passato e in quelli di altri paesi europei. Una materia, quella processuale, su cui in quel momento il G. andava soffermando in modo particolare la sua attenzione, come risulta dall'articolo Della formulazione e notificazione dell'accusa e loro effetti. Saggio di giurisprudenza storico-critica (ibid., pp. 767-800), dove la comparazione con le norme processuali vigenti in altri paesi lo induceva a sollecitare, anche per l'ordinamento italiano, una più completa attuazione del principio accusatorio e una migliore tutela dei diritti della difesa. Nel 1879 pubblicò, poi, due brevi monografie: Connessità di diritto e connessità di procedura in diritto penale (Trani) e La formulazione e notificazione dell'accusa e loro effetti (Napoli).
Autore di numerose note a sentenza apparse in questi anni in diverse riviste, il G. nel 1880 intervenne nel vivace dibattito che andava svolgendosi in dottrina sul tema, particolarmente rilevante, dei reati politici.
Nel saggio Dei reati di guerra civile. Strage devastazione e saccheggio. Studio storico-critico di diritto penale (Il Filangieri, V [1880], pp. 31-47, 229-242, 382-407, 573-596), confermava la sua adesione al metodo storico-comparatistico, un metodo che, soprattutto in merito ai reati politici, si rivelava di grande significato in quanto consentiva - come lo stesso G. ricordava - di comprendere la loro disciplina concreta alla luce della storia e delle condizioni sociali di ogni popolo e, allo stesso tempo, di individuare in altri ordinamenti modelli di riferimento.
L'obiettivo perseguito dal G. era quello di pervenire a una corretta definizione del reato politico attraverso una sua precisa differenziazione da quello comune, al fine di evitare che comportamenti delittuosi diretti contro l'ordine sociale e non contro quello istituzionale potessero avvantaggiarsi della disciplina riservata ai reati politici. Perciò criticava i progetti di codice penale che tendevano a identificare "la personalità dello Stato nei beni delle classi proprietarie spingendosi poi a considerarla vulnerata dalla sola cospirazione intesa a depredare o devastare quei beni" (Sbriccoli).
L'interesse scientifico mostrato nei lavori precedenti per problemi riguardanti l'amministrazione della giustizia e la concreta e intensa attività professionale sollecitarono, poi, il G. ad affrontare l'importante tema della disciplina costituzionale dell'ordine giudiziario.
Nella monografia Il potere giudiziario in rapporto alla costituzione dello Stato (Napoli 1881) egli rilevava, fondandosi su un vasta conoscenza delle contemporanee dottrine costituzionaliste tedesca, inglese, francese, statunitense e italiana, l'importanza del monopolio statale della funzione giudiziaria e sosteneva la decisa indipendenza di questa dal potere esecutivo: il governo, infatti, era necessariamente il prodotto di una parte politica, mentre l'ordine giudiziario doveva assicurare a tutti la tutela equanime dei loro diritti. Una posizione che appare particolarmente significativa in quanto lo statuto albertino non disciplinava con altrettanta nettezza l'indipendenza dell'ordine giudiziario, riconoscendo al re la titolarità del potere.
Sempre al 1881 risale un ulteriore studio di diritto pubblico La verifica dei poteri della Camera dei deputati e il giudizio sulle elezioni contestate (Il Filangieri, VI, pp. 163-186, 214-234). Il G. considerava di grande rilevanza la verifica dei poteri in quanto legata alla rappresentanza popolare, perno su cui si muove lo Stato moderno; negava tale funzione sia alla Corona, sia al potere giudiziario (e quindi criticava la soluzione adottata in Inghilterra) e la assegnava alla stessa Assemblea, poiché considerava detta verifica giudizio non già meramente giuridico, ma politico e perché, sulla scorta del giurista inglese W. Bagehot, attribuiva al Parlamento una funzione educatrice del popolo e, di conseguenza, il compito di dimostrare il più completo rispetto della volontà dell'elettore.
All'analisi di questioni di diritto penale tornò, poi, nel 1884 con la voce Abuso di autorità o di potere (in Enc. giuridica italiana, I, 1, Milano, pp. 92-125).
Il G. indicava come prioritaria la distinzione tra diritto comune penale e diritto penale disciplinare e proponeva, come criterio per attribuire al primo le azioni o le omissioni dei funzionari pubblici, la "lesione all'ordine giuridico con danno potenziale o effettivo dello Stato e dei cittadini". Ricostruiva, poi, la disciplina vigente in Italia dopo un'attenta esposizione storica e un'ampia analisi comparata.
Nello stesso torno di anni il G. svolse anche attività didattica. A partire dall'anno accademico 1879-80 tenne corsi liberi di diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Napoli in qualità di professore pareggiato. Lasciò, comunque, l'incarico nel 1887 per impegnarsi maggiormente nella professione forense. Si dedicò successivamente all'attività politica, prima come assessore e consigliere del Comune di Napoli, poi come presidente del Consiglio provinciale della Basilicata. Nel 1886 si candidò alle elezioni per la Camera dei deputati nel collegio di Potenza, ma senza successo. Alle elezioni successive, nel 1890, fu invece eletto nel medesimo collegio. Alla Camera, dove si schierò tra i deputati della Destra liberale e successivamente aderì al centro sonniniano, rimase, come rappresentante a volte di Potenza altre di Muro Lucano, fino al 1919.
Sostenitore di F. Crispi, fece parte, nel marzo 1894, della commissione incaricata di pronunciarsi sulla richiesta di autorizzazione a procedere contro G. De Felice Giuffrida per la rivolta dei Fasci siciliani; la commissione, di cui il G. fu relatore, respinse la richiesta, ma alla Camera prevalse l'opinione opposta. Nel 1896 intervenne nel dibattito apertosi sul tema dell'ordinamento regionale, dopo che, il 5 aprile, il presidente del Consiglio A. Starrabba marchese di Rudinì aveva istituito un regio commissario per la Sicilia con ampie competenze, presentando l'iniziativa come l'avvio di una riforma dello Stato in senso regionalistico. Il G. si espresse contro l'indirizzo ministeriale, sostenendo che la riforma, auspicata anche da cattolici e socialisti, avrebbe finito per spezzare l'unità dello Stato. Nel dicembre 1897 fece parte, con i deputati G. Della Rocca, F. Garavetti, L. Tiepolo e R. Palberti, della commissione dei cinque nominata per giudicare le accuse mosse da F. Cavallotti a Crispi: la commissione escluse che si dovesse procedere penalmente contro quest'ultimo, proponendo una mera censura politica. Nel giugno 1898 fece poi parte della commissione nominata per esaminare le domande di autorizzazione a procedere contro i deputati socialisti e repubblicani che avevano partecipato ai moti di Milano. Le pressioni del presidente del Consiglio, L. Pelloux, e della stessa Corona affinché l'autorizzazione fosse concessa per tutti i deputati accusati non condizionarono la commissione che dette parere favorevole solo per alcuni di loro.
Nel febbraio 1911 fu tra gli oppositori del progetto di legge, presentato dal governo Luzzatti, di allargamento del corpo elettorale e, nel giugno dello stesso anno, distinguendosi da S. Sonnino, ribadì la sua opposizione all'estensione del suffragio, ora proposta dal governo Giolitti, pronunciandosi in particolare contro la concessione del voto agli analfabeti, con la motivazione che, a suo giudizio, negare il diritto di voto avrebbe stimolato i cittadini a imparare a leggere per acquisire i diritti elettorali: una tesi che trenta anni di storia italiana avevano smentito e al cui riguardo è arduo sostenere che il G. - il quale in qualità di deputato di un collegio lucano conosceva assai bene il problema dell'analfabetismo - non nutrisse qualche dubbio (Ullrich).
Vicepresidente della Camera dal 18 maggio 1911 al 29 sett. 1913 e dal 28 nov. 1913 al 5 nov. 1914, nel 1912 intervenne nel dibattito sulla legge per la cittadinanza, un tema, questo, di cui si era interessato già nel 1897 partecipando al IV Congresso giuridico nazionale svoltosi a Napoli, con la relazione "Riforme urgenti in tema di cittadinanza e naturalizzazione", presentata alla IV sezione, quella dedicata al diritto pubblico.
Nel dibattito parlamentare il G. affermava che la questione aveva un significato più politico che giuridico, condivideva lo spirito della legge in discussione (che fondava il diritto di cittadinanza sullo ius sanguinis), affermava che la materia doveva essere ispirata ad alcune regole, tra cui l'esclusione della doppia cittadinanza e il principio dell'unità di cittadinanza per il nucleo familiare. Il G. si mostrava sensibile alla novità, per la disciplina della materia, costituita dall'enorme incremento del fenomeno migratorio e si dichiarava favorevole a facilitare il conseguimento dei diritti politici e amministrativi da parte degli immigrati italiani negli Stati stranieri.
Allo scoppio del conflitto mondiale il G. fu tra i più decisi neutralisti e mantenne questa posizione anche quando, nel novembre 1914, entrò nel governo Salandra come ministro della Pubblica Istruzione, carica che ricoprì fino al giugno 1916.
Le critiche rivolte dalla storiografia (De Fort) alla sua politica ministeriale si appuntano soprattutto sulla decisione di accettare, alla fine del 1915, una sostanziale riduzione dei finanziamenti alla scuola elementare previsti dalla legge Daneo-Credaro del 1911; riduzione che, pur motivata dalle necessità dell'impegno bellico, contribuì comunque in modo significativo al fallimento della riforma inaugurata da quella legge.
Dopo la guerra fu nominato senatore (6 ott. 1919; convalida del 9 dicembre del medesimo anno). Con l'avvento del fascismo assunse una posizione politica marginale, dedicandosi soprattutto all'attività professionale.
Il G. morì a Napoli il 16 nov. 1933.
Fonti e Bibl.:Atti parlamentari, Senato, Discussioni, legislatura XXVIII, VI, p. 6706; G. Arangio-Ruiz, Storia costituzionale del Regno d'Italia, 1848-1890, Napoli 1898, p. 538; S. Cilibrizzi, I grandi lucani nella storia della nuova Italia, Napoli s.d., pp. 183-188; N. Valeri, La lotta politica in Italia dall'Unità al 1925. Idee e documenti, Firenze 1962, ad indicem; M. Sbriccoli, Dissenso politico e diritto penale in Italia tra Otto e Novecento. Il problema dei reati politici dal Programma di Carrara al Trattato di Manzini, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, II (1973), pp. 625-627; H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecipazione dell'età giolittiana. Liberali e radicali alla Camera dei deputati, 1909-1913, I-III, Roma 1979, ad ind.; L. D'Angelo, Lotte popolari e Stato nell'Italia umbertina. La crisi del 1898, Roma 1979, pp. 85, 202; F. Brancato, Dall'accordo di Racconigi a Vittorio Veneto, in Storia del Parlamento italiano, XI, Palermo 1980, pp. 104 s., 298; E. De Fort, La scuola elementare dall'Unità alla caduta del fascismo, Bologna 1996, pp. 303, 324; G. Speciale, Antologia giuridica. Laboratori e rifondazioni di fine Ottocento, Milano 2001, p. 181.