VILLARI, Pasquale
– Nacque a Napoli il 3 ottobre 1827 da Matteo e da Luisa Ruggiero, secondo di sei figli.
Il padre, avvocato, scomparve durante l’epidemia di colera del 1837. Di buona condizione sociale era anche la famiglia materna, oltre che ben inserita negli ambienti napoletani: uno zio, Francesco Paolo, fu ministro nel governo costituito da Ferdinando II dopo la repressione dei moti del 15 maggio 1848.
Pasquale frequentò gli studi privati cittadini, fino al passaggio nel 1846 alla scuola di Francesco De Sanctis.
Sugli anni della sua formazione egli sarebbe tornato in varie circostanze, a partire dall’edizione delle Memorie e scritti di Luigi La Vista (Firenze 1863), l’amico caduto a Napoli il 15 maggio. L’esistenza di un interessante diario giovanile consente un riscontro sulle successive formulazioni del ricordo.
La famiglia avrebbe voluto avviarlo agli studi legali. La passione per la letteratura, la storiografia, l’arte – il primo scritto, nel 1848, era dedicato a un quadro del pittore Domenico Morelli, che sarebbe divenuto suo cognato – sostenne la resistenza del giovane, e alimentò anche la sua passione politica e nazionale. Villari fu coinvolto nei fatti del 15 maggio; l’arresto dovette rimanere senza conseguenze grazie alle coperture politiche familiari. Non lasciò subito Napoli; la partenza, nell’agosto 1849, aveva sullo sfondo l’intensificarsi della reazione, ma fu dovuta alla volontà di sottrarsi alle pressioni familiari. Aveva iniziato a leggere gli scritti di Girolamo Savonarola; il lavoro doveva proseguire a Firenze. Gli esordi non furono privi di difficoltà, sia sul piano materiale, sia su quello dei rapporti con gli ambienti dotti, nonostante alcune presentazioni, come quella di Antonio Ranieri; importante, in quegli anni, la rete dei contatti epistolari con De Sanctis e con i compagni, nella condivisa esperienza dell’esilio.
Villari ebbe modo di pubblicare nel Nazionale di Firenze due saggi, in particolare una Introduzione alla storia d’Italia, premessa a Savonarola, nella quale cercava di proporre uno schema interpretativo del Medioevo italiano. Poco dopo il suo arrivo a Firenze prese a frequentare il salotto di Margherita Albana Mignaty, luogo di ritrovo cosmopolita, legandosi a quel mondo e alla persona. De Sanctis lo aveva avviato alla storiografia francese del primo Ottocento; da quel circolo fiorentino Villari – che conosceva l’inglese, e che si era proposto come insegnate privato – trasse informazioni e spunti che lo spinsero in direzioni allora poco consuete in Italia. Risale al 1854 l’avvio del carteggio con John Stuart Mill; nel giugno 1855 i due si incontrarono a Firenze.
Il dettaglio rinvia a una questione più generale. La posizione di Villari presenta dei tratti irriducibili al mondo di letture e di valori della cultura fiorentina, di un Gino Capponi o di un Marco Tabarrini. La dissonanza non impedì la collaborazione, ma si accentuò nel primo periodo postunitario, e va tenuta presente per cogliere il senso di alcuni passaggi, come la famosa prolusione ‘positivistica’ del 1865. Nel 1854 Villari curò per Le Monnier un’edizione di scritti di Cesare Beccaria che gli attirò le attenzioni non benevole della Civiltà cattolica. Nello stesso anno pubblicò un saggio, Sull’origine e sul progresso della filosofia della storia, nel quale, muovendo dalle sue letture hegeliane, guardava però soprattutto agli sviluppi più recenti della filosofia e della scienza sociale. Una esplicita preoccupazione politica si collegava all’interesse metodologico e storiografico: Auguste Comte e Mill, ma anche una tradizione italiana, da Niccolò Machiavelli agli illuministi, e forse soprattutto Giambattista Vico, ben presente nell’opera di Villari, e condensata in una scelta di fondo, quella «per la ‘filologia’ rispetto alla ‘fisiologia’, il nesso fra la scienza della mente umana e quella del mondo degli uomini» (Moretti, 2012a, p. 493). Villari, pur curioso di scienza, avrebbe ribadito più volte la sua visione della specificità dell’esperienza storica, e questo lo allontanava dal monismo metodologico e da inclinazioni materialistiche; donde, già nel 1854, la preferenza accordata a Mill su Comte.
Nel 1856 iniziava la collaborazione all’Archivio storico italiano, e nel 1857 veniva ammesso all’Accademia Colombaria; il suo inserimento negli ambienti fiorentini si consolidava con il procedere delle ricerche savonaroliane.
Pregio indiscutibile delle due grandi biografie di Savonarola (Firenze 1859-1861) e di Machiavelli (Firenze 1877-1882), se si tiene conto della coeva situazione degli studi, è l’apporto documentario collegato a un sistematico sforzo di messa a punto storiografica. Alla vicenda savonaroliana Villari guardava da un punto di vista particolare, e aveva pensato di scrivere una Storia della Riforma filosofica e religiosa tentata dagl’Italiani, affrontando quell’epoca «che i francesi chiamano “de la Renaissance”» (Moretti, 2005, p. 50). Questo disegno lo allontanava dall’impianto devoto e rivendicativo dei neopiagnoni, fra i quali il padre domenicano Vincenzo Marchese, con il quale Villari fu in rapporto; ma divenne evidente il dissenso sul profilo spirituale e sulla collocazione storica del frate. Per i neopiagnoni le coordinate del problema erano la religione, e Firenze; per Villari, che aveva respinto le interpretazioni di Savonarola in chiave preluterana, lo sfondo era diverso. Attorno a Savonarola si presentava un grumo di questioni che avrebbero poi segnato la storiografia villariana. Il frate era fra i capifila di una schiera di personaggi, fino a Giordano Bruno, uomini della rinascenza votati alla «conquista d’un nuovo pensiero e d’una nuova civiltà; di quella civiltà a cui l’Italia dette i martiri e gli eroi, ma non poté poi gustarne i frutti maturi» (ibid., p. 63). Rinascimento e moderno, contributo e destino nazionale d’Italia, grandezza, declino e ritorno: su un terreno in buona parte analogo si sarebbero collocate pagine importanti di Bertrando Spaventa, e la stessa Storia di De Sanctis.
Il primo volume della Storia di Girolamo Savonarola e de’ suoi tempi apparve nell’autunno del 1859, in coincidenza con la nomina di Villari a professore di storia nell’Università di Pisa. Privo di un solido retroterra specifico, Villari divenne rapidamente un accademico di primo piano, uno degli artefici dell’assetto degli studi storici nell’Italia unita, e uno dei protagonisti della politica universitaria, anche se la sua opera più concreta rimase localizzata in due istituzioni atipiche. Alla fine del 1859 si imponevano altre urgenze; e Villari, che aveva pubblicato nella Rivista contemporanea di Torino una tempestiva recensione dell’On Liberty di Mill, sarebbe passato nell’estate 1860 alla politica pratica impegnandosi, a Napoli, in chiave filocavouriana. La convulsa esperienza di quelle settimane gli suggerì alcune osservazioni che intendeva indirizzare a Cavour; un anno dopo le avrebbe riprese in una serie di corrispondenze alla Perseveranza.
Gli anni Sessanta furono decisivi nel definire quello che sarebbe stato il profilo dello studioso e dell’uomo pubblico maturo. Nel 1862 fu nominato direttore degli studi nella Scuola normale di Pisa, che riorganizzò con grande efficacia sia dal punto di vista istituzionale sia da quello culturale, ponendo le basi di una peculiare vicenda accademica. Nel 1865 rientrò a Firenze, all’Istituto di Studi superiori, creato nel 1859 con finalità incerte, riuscendo a trasformare la sezione di filosofia e filologia – della quale fu formalmente alla guida per quasi quarantacinque anni, a partire dal 1867 – in centro qualificato per la formazione di insegnanti secondari, e l’Istituto in uno dei luoghi più vitali della cultura ‘positiva’ in Italia, grazie a una serie di nomine non sempre ben viste dall’establishment cittadino. Villari ebbe l’occasione di compiere importanti missioni di studio, come quella in Gran Bretagna nel 1862, in occasione dell’esposizione universale: scuole e università, ma anche i libri di Charles Darwin, del quale avrebbe parlato nei suoi corsi pisani, e di Henry Thomas Buckle. Significativo anche il viaggio pedagogico in Germania nel 1864; e i resoconti che stese in queste circostanze sono fra i suoi migliori scritti di argomento scolastico. Villari fu uno degli studiosi italiani più noti a livello internazionale nella seconda metà dell’Ottocento. Il Savonarola e il Machiavelli furono tradotti nelle principali lingue europee, ristampati e recensiti anche all’estero. Un ruolo notevole lo ebbe la moglie, Linda White, conosciuta da Villari nel 1871. Il matrimonio avvenne nel 1876, e la coppia ebbe un figlio, Luigi, più tardi attivo propagandista fascista. Linda, figlia del deputato liberale James White, aveva sposato in prime nozze Vincenzo Costanzo Mazini, con il quale aveva avuto una figlia, Costanza, poi entrata nella famiglia di Villari; e il nome di Linda ricorre nei carteggi di Giuseppe Mazzini. Scrittrice, curò poi la traduzione inglese e la circolazione di opere e raccolte di saggi di Villari. William Gladstone, con il quale Villari ebbe contatti personali, già nel 1861 leggeva il Savonarola. Il primo traduttore inglese di quest’opera, Leonard Horner, era un geologo corrispondente di Darwin, ispettore del lavoro noto a Karl Marx, e una delle sue figlie sposò lo storico tedesco Georg H. Pertz. Non sono aneddoti. È su questo sfondo, all’interno di queste reti di relazioni, che va considerata la figura di Villari, per darle collocazione più veritiera rispetto alle ironie – spietate, anche se per vari aspetti fondate – dei grandi critici idealisti su Pasqualino. E l’attenzione alla dimensione internazionale si rinviene agevolmente negli scritti di Villari, dalle pagine del 1864 sulla guerra di secessione alle più tarde considerazioni sugli sviluppi della democrazia statunitense svolte a partire dall’American Commonwealth di James Bryce (1889, 1911), o alle riflessioni sullo stato dell’impero britannico (1887). Mirava a porsi sul piano del dibattito europeo anche la prolusione del dicembre 1865 su La filosofia positiva e il metodo storico, che spiacque ai comtiani ortodossi e anche ai padri gesuiti.
Di questo testo non possono essere sottovalutati né il livello dell’informazione, né una certa ambizione metodologica: un nuovo codice per le scienze umane da rifondare in Italia, al posto di una tradizionale cultura delle élites bollata come arcadica e retorica, a sfondo conservatore e clericale. Vi si depositavano letture recenti – dalla storiografia di Buckle all’accostamento, attraverso Max Müller, alle scienze linguistiche, dalla scienza delle religioni alla mitologia comparata, fino alla fisiologia di Claude Bernard –, e un’accurata rivisitazione di una linea del pensiero italiano, da Machiavelli a Galileo Galilei e a Gaetano Filangieri: a questi ultimi Villari aveva dedicato due notevoli saggi nel 1864. Contro il materialismo, e l’empirismo baconiano, Villari «aveva illustrato i procedimenti galileiani insistendo sull’inseparabilità dell’osservazione dal lavoro creativo della mente, e dalla formulazione di ipotesi» (Moretti, 2012a, p. 495). Di nuovo si guardava con particolare attenzione a Mill; ma quella del ‘metodo storico’ era formula inclusiva e duttile, adatta a sostenere un progetto culturale che andava al di là del confronto metodologico e disciplinare.
Di questo progetto era elemento costitutivo una forte istanza secolarizzatrice, di fronte alla Chiesa del Sillabo e del Concilio Vaticano I. Villari, che a Pisa si era scontrato con gli ambienti legati al cardinale Cosimo Corsi, a Firenze non mancò di provocare disagio con alcune sue scelte culturali e accademiche, come le prese di posizione a favore del fisiologo Moritz Schiff. Affiliato alla massoneria nel 1862, Villari non dovette però essere molto coinvolto in quest’ambito; cinquant’anni più tardi, rispondendo nel 1913 a una inchiesta in materia dell’Idea nazionale, avrebbe usato espressioni piuttosto dure contro lo spirito settario, in una situazione politica e culturale completamente mutata. Il laicismo politico si collegava a una forte sensibilità etica; e Villari avrebbe guardato con preoccupazione a quella che gli pareva una pericolosa tendenza in atto nella vita del Paese, polarizzato fra miscredenza e clericalismo, come avrebbe dichiarato alla Camera nel 1875. La sua personale risposta sarebbe stata affidata all’impegno civile, e a una ricerca spirituale non connotata in senso confessionale. Più tardo è un certo avvicinamento a figure del conciliatorismo cattolico come Geremia Bonomelli e Angelo Scalabrini sul terreno della tutela dell’emigrazione, e dei timori sociali per la crisi di fine secolo. Né pretofobo né clericale si sarebbe definito ancora nel 1906 (Moretti, 2005, p. 281). Pochi mesi dopo la prolusione fiorentina, subito dopo le sconfitte del 1866, Villari ebbe modo di dare un saggio pratico dell’indirizzo intellettuale da lui sostenuto: analisi fattuale, non reticente, antiretorica, di quel che la guerra aveva a suo avviso rivelato dell’Italia, e individuazione di campi di azione, dalla scuola all’apparato pubblico e alla ormai evidente questione sociale. Né il titolo del saggio – Di chi è la colpa? O sia la pace e la guerra – né alcune frasi poi divenute celebri erano del tutto originali (Moretti, 2012b, p. 89); ma nel 1866 prese il via la stagione più significativa dell’opera di Villari scrittore politico, destinata a protrarsi per oltre un quindicennio. Crescente e notevole il suo ruolo pubblico, del quale si ricordano alcune tappe principali. Nel 1865 venne nominato membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, organo consultivo del quale avrebbe fatto parte, con alcuni intervalli, fino al 1902, e del quale fu per due volte vicepresidente; per breve tempo, fra il maggio del 1869 e il marzo del 1870, fu anche segretario generale del ministero della Pubblica Istruzione, con il ministro Angelo Bargoni, ed ebbe modo di occuparsi, fra l’altro, dei problemi dell’istruzione femminile. Sempre a partire dalla metà degli anni Sessanta Villari cercò di acquisire una diretta funzione politica, incappando in più di una delusione, e riscontrando la freddezza di antichi amici, come De Sanctis. Fra fallimenti diretti ed elezioni annullate per eccesso nel numero dei deputati professori, riuscì a entrare alla Camera solo nel dicembre del 1873, per rimanervi fino al settembre del 1876 e poi, brevemente, tra il maggio e il dicembre del 1880; fra i suoi principali interlocutori politici va menzionato Quintino Sella. Nominato nel 1884 senatore, tra il 1897 e il 1913 fu anche, a varie riprese, vicepresidente del Senato.
Non fu il Parlamento, tuttavia, il luogo più rilevante dell’azione pubblica di Villari; non trascurabile invece la più tarda esperienza ministeriale alla Pubblica Istruzione, tra il febbraio del 1891 e il maggio del 1892. Il contesto politico e finanziario era però difficile, dopo la caduta di Francesco Crispi, e Villari, che pure si dedicò a un’attenta manutenzione di delicati settori del sistema scolastico e prese importanti iniziative in materia di tutela dei beni artistici, finì per essere ricordato soprattutto per le difficoltà incontrate sul terreno della disciplina universitaria, e per l’impopolare aumento delle tasse scolastiche. Eletto nel febbraio del 1876 socio corrispondente della rinnovata Accademia dei Lincei, ne fu socio nazionale dal 1878 e presidente dal 1902 al 1904, dopo una contrastata elezione nel 1901; in quella veste curò l’organizzazione e lo svolgimento del Congresso internazionale di scienze storiche a Roma nel 1903. Lenta fu anche la conquista della Deputazione toscana di storia patria, fondata nel 1862, e della quale Villari divenne presidente nel 1898, rimanendo in carica, almeno nominalmente, fino alla sua morte nel 1917. Lunga l’attività nel Consiglio superiore degli archivi, del quale fu membro dal 1874 e presidente dal 1898 al 1913. Presente alla prima adunanza generale dell’Istituto storico italiano nel gennaio 1885, Villari fu presidente dell’Istituto dal febbraio del 1898 fino al 1911.
Non occorre scendere nei dettagli di una pervasiva, ma anche fattiva presenza istituzionale che, assieme alla sua notorietà di scrittore e commentatore, gli valse il conferimento del collare dell’Annunziata nel 1910. Bisogna invece tornare sui tre indirizzi principali e tra loro connessi della sua opera: indagine storiografica e riflessione metodologica, lavoro pubblicistico e politico attorno alle diverse manifestazioni della questione sociale in Italia, impegno istituzionale e larga partecipazione al dibattito in campo scolastico. Sui problemi educativi Villari mantenne uno sguardo largo, attento alla comparazione internazionale e al manifestarsi di nuove esperienze pedagogiche. L’istruzione popolare rientrava nelle sue preoccupazioni di politica sociale; l’interesse per l’università era materia di ufficio. Ma al centro della sua produzione scolastica si colloca l’istruzione secondaria, punto di snodo in una prospettiva pedagogica e politica. Difensore non tradizionalista della scuola classica, non avrebbe guardato con favore alle aperture verso la scuola media unica. Al punto di intersezione fra politica e istruzione alcuni saggi famosi, come, nel 1872, La scuola e la questione sociale in Italia. Nella genealogia dei ‘meridionalisti’ Villari occupa un posto di rilievo, ma l’etichetta è insoddisfacente. La raccolta in volume dei suoi scritti politici, centrata sulle Lettere meridionali del 1875 (Le Lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze 1878) segna il momento della sua massima incidenza come commentatore e suscitatore. Fra la caduta della Destra e gli esordi della Sinistra al governo, Villari cercò di promuovere attorno alla questione sociale una nuova agenda politica, con nuovi attori, in una prospettiva di riformismo preventivo distante dalla vulgata liberista. Gli esiti concreti furono modesti; ma è questo il senso del suo sodalizio con Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, documentato dalla ricca esperienza della Rassegna settimanale (1878-1881). C’è una certa tensione fra il volontarismo che animò molte sue iniziative in questo campo e l’insistenza sulle ‘leggi’ della vita storica e sociale che la scienza positiva avrebbe dovuto illuminare; prevaleva comunque una forma di radicalismo etico che lo spingeva a documentarsi e a scrivere. Le sue analisi, inizialmente notevoli, non tennero il passo di un crescente specialismo tecnico; a proposito dell’emigrazione Villari se ne mostrò consapevole. Non persero però mai la loro efficacia comunicativa, dalla crisi di fine secolo al fenomeno migratorio – seguito da Villari anche come presidente della società Dante Alighieri dal 1896 al 1903 –, fino al confronto con il socialismo, che per lui ebbe anche le fattezze dell’allievo più caro, Gaetano Salvemini; efficacia confermata da un’intensa attività giornalistica in tarda età.
Il pensiero politico, specie nella sua ultima fase, fu alimentato anche dalla crescente attenzione per la storia delle dottrine, che aveva le sue radici nelle ricerche rinascimentali.
Le direttrici principali della storiografia di Villari furono due. Fra il 1866 e il 1869 pubblicò vari saggi di storia medievale fiorentina. Il centenario dantesco faceva da sfondo alla ripresa di motivi già sviluppati in un saggio del 1861, e che ora trovavano diversa trattazione. I temi della conquista, dello scontro e sovrapposizione di popoli, lingue, civiltà diverse all’origine delle nazioni moderne era ben radicato nell’Europa dell’Ottocento; per Villari, latinità e germanesimo costituivano l’antitesi alla base delle dinamiche sociali e istituzionali del Comune fiorentino. Il rigido impianto ‘etnico’ originario venne attenuandosi, e svolgendosi in direzione ‘sociale’. Questi studi, ripresi dopo vent’anni, sarebbero stati raccolti in due volumi (I primi due secoli della storia di Firenze, Firenze 1893-1894), che ebbero una funzione di primo indirizzo nell’orientare un settore della medievistica italiana di fine secolo verso la storia della vita sociale. Villari non avrebbe nascosto i propri dubbi verso gli eccessi della storiografia filologica, tornando a interrogarsi sulla natura della storiografia (La storia è una scienza?, 1891), ricollegandosi così al Methodenstreit europeo. La grande monografia machiavelliana attende ancora un’adeguata considerazione storiografica. Segnata dal moralismo, certo, e anche da uno strumentale ricorso ad attenuanti patriottiche; ma il discorso di Villari era più complesso, aperto alla comprensione del ‘sogno’ machiavelliano, come a una realistica proiezione della dottrina sull’Europa bismarckiana. Villari si dedicò poi a opere di sintesi sull’Italia medievale.
Negli ultimi anni di vita, segnati dalla scomparsa della moglie nel 1915, guardò con turbamento alla politica internazionale. Favorevole, ma freddo, nei confronti dell’impresa libica, denunciò, fra il 1913 e il 1914, i pericoli che minacciavano la vita europea. Visse l’intervento in guerra dell’Italia come una dolorosa necessità, prestando il suo nome a iniziative di mobilitazione civile.
Si spense a Firenze il 7 dicembre 1917.
Fonti e Bibl.: Il carteggio e gran parte delle carte di Villari sono conservati nella Città del Vaticano, presso la Biblioteca apostolica Vaticana. Un nucleo consistente di documenti è ora nella Biblioteca Umanistica dell’Università di Firenze. Importante è anche il fondo della moglie, Linda White Villari, Oxford, Bodleian Library. La più ampia bibliografia delle opere di Villari è quella curata da A. Panella, Bibliografia degli scritti di P. V., in Archivio storico italiano, LXXVI (1918), pp. 37-83. Fra le riprese testuali più recenti: Teoria e filosofia della storia, a cura di M. Martirano, introduzione di G. Cacciatore, Roma 1999, e la raccolta dei Discorsi parlamentari, Roma 1992. Per una rassegna della letteratura critica e delle fonti edite su Villari fino al 1980: M. Moretti, Preliminari ad uno studio su P. V., in Giornale critico della filosofia italiana, LIX (1980), pp. 190-232; Id., La storiografia italiana e la cultura del secondo Ottocento: preliminari ad uno studio su P. V., ibid., LX (1981), pp. 300-372. Sezioni consistenti dell’epistolario di Villari sono edite, per singoli corrispondenti, o comprese nei carteggi di alcuni suoi interlocutori, da De Sanctis a Salvemini. Utile, ma non felice dal punto di vista critico, il lavoro di M.L. Cicalese, Dai carteggi di P. V. Corrispondenze con Capponi, Mill, Fiorentino, Chamberlain, Roma 1984. Di ben altro livello ‘Un anello ideale’ fra Germania e Italia. Corrispondenze di P. V. con storici tedeschi, a cura di A.M. Voci, Roma 2006; si veda anche D. Morelli, Lettere a P. V., a cura e con un’introduzione di A. Villari, I-II, Napoli 2002-2004. Materiali vari in G. Spadolini, La Firenze di P. V. con documenti inediti e rari, Firenze 1989, e in S. La Lota Di Blasi, P. V., Saonara 2016. Inoltre: E. Garin, Il positivismo come metodo e come concezione del mondo, in Id., Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l’Unità, Bari 1983, pp. 65-89; E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, Napoli 1990, ad ind.; F. Tessitore, La storiografia come scienza, in Id., Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, III, Roma 1997, pp. 141-87; Pasquale Villari nella cultura, nella politica e negli studi storici, in Rassegna storica toscana, XLVI (1998), 1, monografico; M. Moretti, V. ministro della Pubblica Istruzione. Un profilo introduttivo, in Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche, VI (1999), pp. 219-246; Id., P. V. storico e politico, con una nota di F. Tessitore, Napoli 2005; Id., P. V., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice. Filosofia, Roma 2012a, pp. 490-498; Id., Di chi è la colpa? P. V. e il dibattito sul 1866, in La vittoria macchiata. Memoria e racconto della sconfitta militare nel Risorgimento, a cura di D. Tongiorgi, Roma 2012b, pp. 75-101; G. Paoloni, P. V. (1901-1904), in Umanisti e presidenti. L’Accademia Nazionae dei Lincei (1900-1933), a cura di R. Simili, Roma-Bari 2017, pp. 39-65; M. Moretti, Attorno a P. V. nel centenario della scomparsa, in Atti e Memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, LXXXIII (2018), pp. 13-32; Camera dei Deputati, Portale storico, https://storia.camera.it/deputato/pasquale-villari-18271003#nav; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/ web/senregno.nsf/V_l2? OpenPage.