L’economia di mercato era nata ‘sociale’ nelle città libere del medioevo italiano, dove la mercatura, l’artigianato specializzato delle corporazioni e le professioni – giuristi, notai, architetti, agrimensori, contabili – erano chiamati a finanziare le opere di sostegno di chi, per i motivi più vari, era tagliato fuori dal lavoro produttivo (ospedali, Monti di Pietà, conservatori, congregazioni), insieme con i beni pubblici e con le istituzioni religiose.
Si trattava di una struttura triadica (produzione, regolazione, welfare), capace di realizzare quello che veniva riconosciuto come ‘bene comune’. Con i rivolgimenti apportati nel mondo dal capitalismo da un lato e dalla nascita delle nazioni dall’altro lato, la società si polarizzò in una struttura diadica: la produzione in mano a capitalisti che non riconoscevano altra responsabilità che quella di investire per aumentare la produttività, e regolazione e welfare in mano allo stato, che cercava di temperare le diseguaglianze generate dal modo capitalistico di organizzazione della produzione e lo faceva per ragioni di equità, ma anche di sostenibilità economica dello sviluppo. Il welfare state fu il modo più perfezionato per mettere in pratica da parte dello stato tale ruolo ‘riequilibratore’, un modo che ha visto la sua stagione più fortunata nell’‘età dell’oro’ seguita alla Seconda guerra mondiale.
Ma tale struttura diadica della società non è stata apprezzata da tutti nemmeno nella sua epoca migliore.
È stata – come è noto – fortemente contestata dal marxismo, che non riteneva coerente da parte dello stato intervenire solo ex post, proponendo di cambiare anche il modo di produzione, ma commettendo un errore fatale: quello di identificare il mercato col capitalismo. Per abbattere il capitalismo, il marxismo ha ritenuto dunque di eliminare il mercato, ma non ci può essere struttura economica avanzata senza mercato e dunque la soluzione marxista è fallita.
La struttura diadica è stata contestata anche dai sindacati, che tuttavia solo in pochi luoghi sono veramente riusciti a scalfirla in qualche modo: l’esempio migliore è la compartecipazione alle decisioni strategiche delle imprese da parte dei rappresentanti sindacali che si è realizzata in Germania con la Mitbestimmung. Si noti che è proprio a questa soluzione alla tedesca che si applica solitamente l’espressione ‘economia sociale di mercato’. Ma anche questa è una soluzione parziale, perché lascia intatto il meccanismo capitalistico della distribuzione del sovrappiù generato dall’attività produttiva a favore dei soli detentori di capitale, sia pur con una attenzione maggiore a remunerare il lavoro.
La struttura diadica è stata inoltre contestata dalle cooperative e dalle imprese non profit, che sono state capaci di dimostrare che si può fare impresa con una sensibilità intrinsecamente sociale, ma che non hanno finora raggiunto una massa critica, anche perché spesso sono state deficitarie sul lato dell’efficienza.
Si tratta in questo caso di una ripresa del concetto originario di economia sociale di mercato: un’economia, cioè, che ridiventa triadica, in quanto allo stato viene lasciato il compito di regolatore (e anche in larga misura di finanziatore, attraverso la tassazione), ma il welfare viene rimesso nelle mani della società civile, che può decidere di abbassare fino a eliminarla la tensione fra produzione e welfare. Infatti, quanto più il welfare viene vissuto come ‘risarcitorio’ dei danni provocati da un settore produttivo che si preoccupa solo dell’efficienza, tanto più il risultato per il cittadino sarà nullo (o persistentemente negativo): nel migliore dei casi, gli viene ridato dal welfare ciò che gli è stato tolto dalla struttura produttiva.
Per avere un welfare ‘addizionale’ e non meramente risarcitorio, occorre riresponsabilizzare la società civile, ciò che sta propriamente avvenendo: le imprese for profit si allenano a esercitare la ‘responsabilità sociale’, mentre le imprese non profit si allenano a esercitare l’efficienza. Su tutti e due i fronti si ha un occhio diretto alla sostenibilità del sistema.
L’‘economia sociale di mercato’ avrà ancora un brillante futuro, perché l’economia è per l’uomo, non l’uomo per l’economia, ma tale futuro non sarà nelle mani dello stato.