passato remoto
Il passato remoto è un tempo semplice (➔ tempi semplici; ➔ coniugazione verbale) dell’➔indicativo, che esprime un evento avvenuto nel passato senza che ci sia relazione tra il momento dell’enunciazione e il momento dell’avvenimento, e senza che ci sia possibilità di riattualizzazione della situazione (Bertinetto 1986 e 1991).
Dal punto di vista morfologico, il passato remoto è una forma sintetica direttamente discendente dal perfetto latino (➔ latino e italiano; ➔ morfologia). Appare nei modi finiti dell’indicativo secondo le strutture morfologiche descritte di seguito:
(a) passato remoto arizotonico (non accentato sulla radice), coniugazione in -are, -ere e -ire: radice del verbo, per es. cant-, vend-, part- + vocale tematica (-a, -e,-i) + marca del passato + marca della persona e del numero + -ai, -asti, -ò, -ammo, -aste, -arono per la classe dei verbi in -are (cantai, cantasti, ecc.), + -ii, -isti, -ì, -immo, -iste, -irono per la classe dei verbi in -ire (partii, partisti ecc), + -ei / -etti, -esti, -è / -ette, -emmo, -este, -erono / -ettero per la coniugazione in -ere (vendei o vendetti, vendesti, ecc.);
(b) passato remoto rizotonico (accentato sulla radice): radice con alterazione consonantica e / o vocalica con la marca del passato: fec-, scriss-, vid- + marca della persona e del numero (-i, -e, ecc., con alternanze vocaliche opportune): feci, fece, scrissi, scrisse, vidi, vide ecc.
L’irregolarità nella coniugazione fa sì che la seconda persona singolare e plurale e la prima plurale conservino la forma del passato remoto arizotonico, sicché si ha facesti, scrivemmo, vedeste (Tekavčić 1972). Per i verbi cosiddetti difettivi, ➔ passato prossimo.
Dal punto di vista dell’➔aspetto, il passato remoto è un tempo perfettivo di tipo aoristico, designante cioè un processo interamente concluso, le conseguenze del quale non si possano considerare attuali, come non si possano ricondurre gli eventi al momento dell’enunciazione. Ciò significa che la situazione espressa dal passato remoto non è più vigente al momento dell’enunciazione, come si vede confrontando (1 a.) con (1 b.):
(1)
a. Chiara visse a lungo a Roma
b. Chiara ha vissuto a lungo a Roma
L’uso di visse significa che Chiara ormai non vive più a Roma; il passato prossimo ammette invece un’accezione inclusiva: Chiara vive ancora a Roma.
Anche se il tempo esprime eventi avvenuti nel passato, non è necessario, specie nell’italiano fino all’Ottocento, che debba trattarsi di un passato lontano:
(2) ieri incontrammo Paolo in piazza
In generale il passato remoto permette la lettura narrativa di fatti che si susseguono cronologicamente: tale lettura sequenziale è facilitata dai verbi telici (trasformativi e risultativi):
(3) Ma non disse niente di tutto questo. Accese un sigaro, si asciugò col tovagliolo il sudore che gli colava sulla fronte, si sbottonò il primo bottone della camicia e disse: le ragioni del cuore sono le più importanti (Tabucchi, Sostiene Pereira, p.45)
Gli eventi espressi dal passato remoto non sempre però hanno lettura sequenziale, salvo quando la sequenzialità sia indicata da avverbiali temporali. In (4) il fatto che i due verbi abbiano soggetti diversi permette una lettura simultanea dei due eventi:
(4) Ntoni si grattò il capo, e il nonno soggiunse (Verga, I Malavoglia, p. 114)
Sebbene il passato remoto di valore aoristico esprima generalmente avvenimenti che occorrono singolarmente, in taluni contesti può indicare anche un esplicito numero di ricorrenze:
(5) per anni Giovanni visitò regolarmente sua nonna la seconda domenica del mese
Il riferimento a eventi ormai conclusi implica che dal punto di vista temporale il passato remoto non possa esprimere un momento di riferimento rispetto a un altro tempo nel passato, come invece accade per il passato prossimo. Nelle frasi principali (➔ principali, frasi) l’evento espresso dal passato remoto può costituire il momento di riferimento per un altro evento collocato anteriormente, purché questo sia espresso con una forma che possa esprimere indicazioni di tempo relative, ad es., il trapassato prossimo in (6 a.) (Bertinetto 1991: 99):
(6)
a. arrivai alla conclusione che avevi fatto male a trattar così Lucia
b. *arrivai alla conclusione che facesti male a trattar così Lucia.
In contesti pragmaticamente marcati, il passato remoto può fungere da ➔ trapassato prossimo, collocando l’evento anteriormente a un altro evento in una subordinata, spesso relativa. Tale uso era piuttosto frequente nell’italiano antico:
(7)
a. Rimontò per la via onde discese
(Dante, Inf. XIX, 126)
b. Poi fece il segno lor di santa croce;
ond’ei si gittar tutti in su la piaggia:
ed el sen gì, come venne, veloce
(Dante, Purg. II, 49-51)
(8) Ma nessuno badava a lui, e dopo che i due ciechi furono dentro in caserma la gente se ne andò ed egli rimase solo, a distanza, seduto su una pietra ad aspettare
(Deledda, Canne al vento, p. 182).
Nei testi commemorativi e storici relativi a personaggi cui si attribuisce una certa dignità, il passato remoto esprime un attributo o una condizione stabile, specie con verbi stativi, che con tale forma non denotano generalmente una condizione permanente. L’uso rispecchia la riattualizzazione di una situazione in un passato lontano:
(9) Alessandro Manzoni fu uno scrittore, poeta e drammaturgo italiano.
In certi contesti la simultaneità tra eventi, generalmente espressa dall’➔imperfetto, può essere indicata dal passato remoto (o dal passato prossimo). Fattori pragmatici fanno sì che il passato remoto possa esprimere eventi sia temporalmente sovrapposti sia in successione. In (10) è possibile l’interpretazione di conclusione simultanea degli eventi indicati da si chiusero e cominciarono a suonare.
La congiunzione mentre è interpretata invece come avversativa nel caso in cui gli eventi vengano concepiti come sequenziali, cioè nel senso che le porte si chiusero, dopodiché i violini cominciarono a suonare. Il passato remoto col verbo incoativo cominciare focalizza il completarsi del processo espresso dal verbo:
(10) Sola, seguendo da distante Galateo, giunse a Pratofungo, e i cancelli del paese si chiusero dietro di lei, mentre le arpe e i violini cominciarono a suonare (Calvino, Il visconte dimezzato, p. 34).
La funzione gnomica (enunciante cioè regole o principi generali) del passato remoto è arcaizzante e si ritrova soprattutto in testi letterari. Perché possa attuarsi, occorre che gli avverbi di tempo che accompagnano il passato remoto alludano a un contesto temporale ampio e generico, o perfino illimitato. Nelle espressioni così ottenute è in qualche modo implicato che l’evento passato possa valere anche per il presente e il futuro: in (11), ad es. (Bertinetto 1991: 98), è plausibile che le colpe continuino a essere scontate dai figli:
(11) spesso i figli scontarono le colpe dei padri
In (12) si enuncia una sorta di regola generale:
(12) ché nullo effetto mai razïonabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile
(Dante, Par. XXVI, 127-129)
Dato questo suo carattere, il passato remoto appare spesso nei ➔ proverbi:
(13) il motto degli antichi mai mentì (Verga, I Malavoglia, p. 56).
L’uso del passato remoto varia a seconda delle regioni: l’uso nell’➔italiano regionale rispecchia grosso modo quello dialettale (➔ dialetti). Per le differenza da nord a sud, si veda la voce ➔ passato prossimo (Rohlfs 1969: 45-46; Bertinetto & Squartini 1996; Squartini & Bertinetto 2000).
Alcuni autori, come il siciliano Andrea Camilleri, usano il passato remoto per marcare la prossimità al parlato locale. Nei dialoghi dei racconti del commissario Montalbano, Camilleri crea un suo dialetto siciliano (agrigentino o italiano sicilianizzato), che presenta usi stereotipati del passato remoto:
(14) «Pronto, Mimì, Montalbano sono». «Oddio, che fu, che successe?» (Camilleri, Il ladro di merendine, p. 80)
La scelta del passato remoto o del passato prossimo dipende anche dalla natura del testo, secondo che si tratti di narrazioni personali (comportanti elementi deittici come la prima persona e avverbiali riferiti al momento dell’enunciazione), impersonali (prevalentemente alla terza persona e con avverbi privi di ancoraggio al momento dell’enunciazione) o narrazioni di tipo storico (➔ testi narrativi). Per la narrazione personale, si nota al Nord una netta preferenza per il passato remoto (15) e nel Centro una ripartizione abbastanza paritaria di passato prossimo e remoto (➔ Milano, italiano di):
(15) certo, anche perché giocai una buona partita, entrai nel finale del secondo set, quando Modena dominava e dallo 0-2 andammo sul 2-2, perdendo 15-13 al tie break. Chissà, magari Modena mi ha preso proprio perché feci un bel match («Gazzetta di Modena» 20 ottobre 2010)
Nelle narrazioni impersonali si ha un incremento del passato remoto dal Nord (suddivisione abbastanza equa tra passato prossimo e passato remoto) al Centro (la forma è nettamente preferita):
(16) L’inchiesta ha preso il via dopo una segnalazione su un presunto abuso edilizio del ministro Brunetta. L’ispezione non ebbe alcun seguito e le indagini presero un’altra strada, quella cioè della gestione dei fondi del Parco («Gazzetta di Modena» 2 ottobre 2010)
Nell’area dei dialetti siciliani, calabresi e salentini (➔ siciliani, calabresi e salentini, dialetti) il passato remoto è nettamente preferito, indipendentemente dal tipo di narrazione, dunque anche per le narrazioni personali, come nell’esempio seguente, detto la sera, con una distanza minima tra il momento dell’enunciazione e il momento dell’avvenimento:
(17) u circammu tutta a mattinata [= «lo cercammo tutta la mattina»]
In tutt’Italia il passato remoto è diffuso nelle narrazioni storiche e nelle fiabe. Tale uso, omogeneo dal Nord al Sud, fa supporre che la competizione tra le due forme continuerà, per la loro multifattorialità, soprattutto a vantaggio del passato prossimo (Loporcaro 2009: 148; 153; Squartini & Bertinetto 2000).
Nelle narrazioni letterarie (come in 18), nelle narrazioni obiettive o nei racconti personali privi di ancoraggio deittico, il passato remoto (insieme ad altri tempi perfettivi come passato prossimo e presente perfettivo; ➔ presente) codifica sequenze narrative di primo piano (quelle che costituiscono la trama principale della narrazione), mentre gli eventi di sfondo sono codificati da tempi imperfettivi come l’imperfetto o il presente (Weinrich 1978; Centineo 1991):
(18) Albeggiava. Due degli uomini si tolsero gli sci ed entrarono nell’isba; il terzo, quello che aveva parlato, rimase fuori con l’arma puntata. Era alto, molto giovane, e portava una corta barba nera; a tutti e tre, gli abiti imbottiti sotto la tuta mimetica conferivano l’apparenza dei loro movimenti. I due, con le pistole in pugno, ordinarono che nessuno si muovesse (Levi, Se non ora, quando?, p. 69)
Fino al terzo decennio del Novecento il passato remoto prevaleva sul passato prossimo nei testi di cronaca giornalistica (➔ giornali, lingua dei), per passati sia lontani che vicinissimi. Successivamente ebbe luogo uno slittamento dell’uso del passato remoto, limitato sempre di più a contesti di passato non recentissimo. Al giorno d’oggi si registra una differenza tra testi cartacei e testi radio/televisivi o on-line. Nei primi il passato remoto continua a resistere all’espansione del passato prossimo. Espressioni di fatti compiuti in un passato non recentissimo appaiono con entrambe le forme, anche se il passato remoto si adopera soprattutto per esprimere eventi conclusi, accaduti in un passato lontano (Bonomi 2002).
Sin dai primi testi in volgare il passato remoto appare con la funzione aoristica del perfetto latino, cioè quella di designare un processo interamente concluso (Tekavčić 1972: 507). Dall’italiano antico in poi le funzioni del passato remoto sono in sostanza quelle descritte sopra, anche se nel medioevo esso aveva un repertorio d’uso più ampio rispetto al giorno d’oggi.
Esso era usato principalmente per eventi narrativi, di constatazione oggettiva di processi già avvenuti, con una focalizzazione sulla transizione (Brambilla Ageno 1978: 226-227). In Dante, invece, il passato remoto esprime la posizione dell’osservatore, mentre l’imperfetto esprime il contenuto dell’osservazione: esso era assai produttivo, ad es., anche con verbi stativi, esprimendo una condizione più o meno permanente (una funzione per la quale oggi si userebbe l’imperfetto):
(19)
Una montagna v’è che già fu lieta
d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida;
or è diserta come cosa vieta
(Dante, Inf. XIV; 97-99).
Calvino, Italo (2003), Il visconte dimezzato, Milano, Mondadori (1a ed. Torino, Einaudi, 1952).
Camilleri, Andrea (199914), Il ladro di merendine, Palermo, Sellerio (1a ed. Milano, Mondolibri, 1995).
Deledda, Grazia (1978), Canne al vento, Milano, Mondadori (1a ed. Milano, Treves, 1913).
Levi, Primo (1992), Se non ora, quando?, Torino, Einaudi (1a ed. 1982).
Tabucchi, Antonio (1997), Sostiene Pereira, Milano, Feltrinelli (1a ed. 1994).
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Bonomi, Ilaria (2002), L’italiano giornalistico. Dall’inizio del ’900 ai quotidiani on line, Firenze, Cesati, pp. 104, 206-208.
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