passo
Deverbativo di ‛ passare '. Ricorre solo nella Commedia, nel Fiore e nel Detto.
Il vocabolo esprime la nozione di " passaggio " in quanto essenzialmente collegata a quella di " transito ", e può essere perciò assunto tra le parole-chiave del poema proprio per la sua aderenza alla trama della ‛ fabula '; non per nulla, nella terza cantica ricorre sempre in senso estensivo o figurato, sottolineando così in quale misura la materialità fantastica del viaggio attraverso l'Inferno e il Purgatorio si trasfiguri, nel Paradiso, in un impeto di ascesa privo di ogni terrestre concretezza.
Come sostantivo astratto, indica l'atto del passare, il moto che si effettua passando: If VIII 104 Non temer; ché 'l nostro passo / non ci può tòrre alcun; XVIII 74 noi fummo là dov' el [il ponticello che cavalca la bolgia] vaneggia / di sotto per dar passo a li sferzati. E così XII 126, Fiore LXXVI 9 (di nuovo la locuzione ‛ dar p. '), Detto 291.
In senso concreto designa un luogo, un'apertura, un varco attraverso i quali si possa passare: Pg XI 50 con noi venite, e troverete il passo / possibile a salir persona viva. Ha la stessa accezione in If XIV 84, Pg XIII 42, Detto 282.
Tutti i commentatori sono concordi nell'identificare lo passo / che non lasciò già mai persona viva (If I 26) con la selva, " idest viam viciorum " (Benvenuto); solo il Pagliaro (Ulisse 17 e 21) pensa al passaggio che separa la valle della selva dalle pendici del monte. In ogni caso, come osserva opportunamente il Sapegno, dovrà essere riconosciuto al vocabolo un valore pregnante, contemporaneamente allusivo alla realtà fisica del luogo e alla realtà tremenda del passaggio dalla vita alla morte dell'anima, che il p. allegoricamente simboleggia. Ha valore pregnante nella denominazione di passo d'Arno (XIII 146) data al ponte Vecchio.
L'espressione ‛ al p. ' compare nella descrizione dell'apparizione del Messo celeste, ch'al passo / passava Stige con le piante asciutte (If IX 80). La frase è stata variamente interpretata: " cioè il luogo ov'era lo passaggio dell'anime sopra Stige, in sulla nave di Flegias " (Buti; Boccaccio); " al valico ", " nel punto dove si passa " (Casini-Barbi; Steiner), ed è questa l'interpretazione più convincente; " al passaggio ", " nell'atto di passare " (Grabher). Altre spiegazioni riconducono al sostantivo omofono: " camminando, non correndo " (Porena); " col proprio passo, non da nave portato " (Lombardi); " di passo, cioè camminando sulle acque come su terreno fermo " (Scartazzini-Vandelli, Rossi, Pietrobono, Chimenz, Mattalia, ecc.). In ogni caso, come osserva il Sapegno, potrebbe trattarsi " soltanto di un'espressione ridondante suggerita dal compiacimento per i fiori della rettorica che si avverte nella senza dubbio voluta replicazione passo-passava ".
Conserva il senso generico di " passaggio ", " transito ", quando, in una metafora cara anche al Petrarca (Rime CXXVI 22, CCCLXVI 107, ecc.), é usato con riferimento alla morte. Con questo valore, secondo alcuni commentatori antichi (Boccaccio, Benvenuto, Vellutello, Daniello) e moderni (Biagioli, Porena), il vocabolo ricorrerebbe nella pietosa meditazione di D. sul racconto di Francesca: If V 114 quanti dolci pensier, quanto disio / menò costoro al doloroso passo! Ma già il Buti, con una chiosa perspicua e acuta (passo " dell'amore onesto al disonesto, e dalla fama all'infamia; e dalla vita alla morte ") aveva individuato nell'espressione una molteplicità di allusioni, che poi, secondo la sensibilità individuale, sono state riprese e approfondite dai commentatori più recenti. Così, se per il De Sanctis il doloroso passo è " il momento dell'oblio e della colpa " (e a questa interpretazione si attengono il Chimenz e il Fallani), il commento Scartazzini-Vandelli spiega " alla morte violenta, cui seguì la dannazione eterna ", mentre il Sapegno, pur riprendendo la spiegazione desanctisiana, la integra accogliendo la chiosa del Buti.
L'attraversamento di un valico offre sempre qualche difficoltà. Di qua il significato di " impresa ardua ", " ostacolo ", che p. assume nel linguaggio figurato. Di questo traslato si ha un esempio evidente in Pd IV 91 Ma or ti s'attraversa un altro passo / dinanzi a li occhi, tal che per te stesso / non usciresti, cioè nelle parole con le quali Beatrice richiama l'attenzione di D. sulla complessità del problema che ella gli sta chiarendo.
A una prova ardua e difficile che il poeta si accinge a superare p. allude anche nell'invocazione ai Gemelli, cui sospira / l'anima mia, per acquistar virtute / al passo forte che a sé la tira (Pd XXII 123). Non interessa qui esaminare come l'oggetto di questa prova sia variamente determinato: l'ultima parte del Paradiso secondo il Vandelli, il trionfo di Cristo per il Mattalia e per altri. Occorre invece ricordare come, per il Barbi (Problemi I 290-291), il passo forte è quello della morte: interpretazione, questa, che peraltro non ha trovato alcun seguito.
L'analogia dello spunto con il brano ora esaminato consente di ritenere che il medesimo valore figurato p. abbia anche in Pd XXX 22 Da questo passo [la descrizione della bellezza di Beatrice] vinto mi concedo / più che già mai da punto di suo tema / soprato fosse comico o tragedo. Solo il Mattalia però, richiamando a riscontro Pd IV 91, dimostra implicitamente di accettare questa interpretazione; altri commentatori, invece, o non danno alcun chiarimento o spiegano " da questo punto della mia narrazione ", evidentemente dando a passo il valore che ha locus in latino (né occorre ricordare che, se così fosse, il vocabolo qui usato sarebbe il sostantivo omofono).
Due volte ricorre l'espressione alto passo: nella preghiera rivolta da D. a Virgilio (If II 12 Poeta che mi guidi, / guarda la mia virtù s'ell'è possente, / prima ch'a l'alto passo tu mi fidi) e nella descrizione del viaggio di Ulisse (XXVI 132 poi che 'ntrati eravam ne l'alto passo). " L'identità dell'espressione ", osserva il Chimenz, " potrebbe voler sottolineare l'affinità della situazione ", e suggerirebbe quindi l'opportunità di ricercare una spiegazione valida per tutti e due i casi. Da questo punto di vista sono ugualmente soddisfacenti le interpretazioni del Mattalia (il quale assegna a passo il valore di " varco ", identificandolo con la porta infernale nel primo caso e con lo stretto di Gibilterra nel secondo) e di coloro che, come Scartazzini-Vandelli, attribuiscono un significato figurato a tutto il verso XXVI 132, commentando " dacché s'erano accinti all'arduo viaggio ". Meno persuasive appaiono invece le chiose del Sapegno (" a questo tremendo salto dalla vita mortale all'immortale, dal tempo all'eterno ", per II 12; " nell'ardua impresa ", per XXVI 132), proprio perché si fondano su due accezioni diverse del termine (" passaggio " in un caso, " impresa " nell'altro). Per un quadro completo delle interpretazioni, si veda comunque F. Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla D.C., Firenze 1967, 180-184.
È tratto dal linguaggio familiare, secondo un modulo tuttora rappresentato dalla locuzione ‛ porre uno alle strette ', l'esempio di Fiore L 14: nei confronti di Malabocca ti convien così ovrare, / insin ch'e' sia condotto al passo stretto.
Per Pg XVIII 94, v. PASSO (latino passus).