PASTORALE
Il termine p. designa in generale il bastone del vescovo o dell'abate e rappresenta un'insegna del potere ecclesiastico, nella letteratura medievale spesso in associazione con la mitra. In un senso più ampio, esso può qualificare anche uno scettro oppure un bastone sia da pastore sia da appoggio. La parola deriva per ellissi da 'baculo pastorale', che a sua volta trae origine dal lat. (baculus) pastoralis, più tardi baculum pastorale. Questa insegna, propria dei vescovi, degli abati e delle badesse, è costituita da una lunga asta desinente in una sommità semplicemente ricurva oppure, negli esempi più classici, in una terminazione a spirale. Quest'ultima è fissata al supporto da un collarino sormontato da un nodo. Molti degli esemplari conservati, limitati soprattutto alla parte superiore dell'insegna, provengono da corredi funerari e sono stati scoperti in tombe di ecclesiastici di alto rango.Uno dei pochi esemplari superstiti di asta di p. in legno è decorata con scene della Vita di Cristo (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny; sec. 11°); la terminazione a spirale in avorio, del sec. 13°, presenta un'Adorazione dei Magi e proviene dall'abbazia di Saint-Martin de Pontoise (dip. Val-d'Oise). La prima menzione nota di un p. si trova in una lettera del papa Celestino I (422-432) indirizzata al vescovo di Narbona e Vienne (Stékoffer, 1995, p. 27); il Sacramentarium Gregorianum cita il p. insigne episcoporum (Stékoffer, 1995, p. 27) e Isidoro di Siviglia (De ecclesiasticis officiis, II, 5; PL, LXXXIII, col. 783) nel sec. 7° afferma che il p. viene consegnato al vescovo "ut regat vel corrigat vel infirmitates infirmorum sustineat". Il bastone simboleggia dunque, con il suo essere diritto, il buon governo ecclesiastico; il vescovo e l'abate devono attirare a sé i peccatori pentiti e percuotere gli impenitenti.I p. sono realizzati con materiali e tecniche diversi: legno, avorio, osso, metallo (bronzo, rame dorato, argento, filigrane, con incrostazioni di gemme o di granati) e, molto raramente, cristallo di rocca (per es. terminazione a spirale della seconda metà del sec. 13°; Baltimora, Walters Art Gall.). I primi esemplari vennero realizzati nei materiali più modesti.La classificazione dei p. ebbe inizio nella seconda metà dell'Ottocento grazie a Martin (1856); successivamente Marquet de Vasselot (1941) si è dedicato allo studio dei p. limosini (secc. 13°-14°); Stékoffer (1995) ha pubblicato infine il più recente stato degli studi.La tipologia formale dei p., la loro cronologia relativa e la loro primitiva funzione non sono sempre chiaramente determinabili poiché, nella maggior parte dei casi, dei p. si conserva solamente l'estremità superiore. È noto tuttavia che le aste, in legno o metallo, erano in qualche caso costituite da più parti assemblate, articolate per mezzo di nodi. Le fonti testimoniano dell'uso di diversi termini che servivano a designare la funzione o la forma del p.: baculus, cambutta, virga, crocia, lituus, pedum o ferula. Baculus, così come virga, era un bastone o una canna nel senso più ampio del termine: bastone abbaziale, p., episcopale, reale, bastone del pellegrino o del cantore. Nella Gallia merovingia, il termine baculus sembra tuttavia essenzialmente associato al bastone ecclesiastico. La Vita sancti Galli, redatta da Valafrido Strabone (MGH. SS rer. Mer., IV, 1902, p. 295), per es., indica con questo termine il bastone del defunto s. Colombano inviato al monaco Gallo dal monastero di Bobbio, come segno dell'abolizione di una sanzione disciplinare. Cambutta, termine anch'esso usato nella citata Vita sancti Galli, aveva un senso più restrittivo; l'origine della parola non è del tutto chiara, potrebbe derivare dal celtico camba ('incurvatura'), oppure dalla radice latina camur, che possiede un significato analogo. Per la denominazione crocia (franc. crosse) gli etimologisti, non accettando l'ipotesi di un'origine dal lat. crux, propendono in favore di una commistione tra crox e il franco krukja ('stampella' o 'bastone dall'estremità ricurva'). Con il termine lituus si intendeva in origine il bastone ricurvo dell'augure romano (il kerýkeion dei Greci), verga che avrebbe assicurato il legame tra l'uomo e gli dei ed era investita di funzioni magiche. Il termine pedum deriva da pedo 'pedone' e all'inizio indicava una sorta di bastone da pastore simile a una stampella. Quanto alla ferula, essa designava in origine la verga dei taumaturghi; imitando lo scettro o il bastone del comando imperiale, quest'ultima si presentava come un bastone diritto, terminante in una croce. Secondo Rohault de Fleury (1889), la ferula è piuttosto impiegata per significare uno scettro; il papa, vescovo di Roma, non ha il p. ma la ferula, insegna dal valore analogo, giacché egli riceve l'investitura direttamente da Dio.I primi tipi di p. vennero prodotti secondo alcune varianti. Benché le fonti storiche e iconografiche tendano a dimostrare che il bastone a tau e il p. a impugnatura ricurva poterono coesistere, gli studiosi della fine dell'Ottocento e degli inizi del Novecento non hanno raggiunto un accordo circa l'anteriorità dell'uno o dell'altro. Una pagina miniata, copia illustrata dei Commentari all'Apocalisse di Beato di Liébana, rappresenta, intorno al 975, Elia ed Enoc che tengono l'uno un p. con l'impugnatura ricurva, l'altro un p. a tau (Gerona, Mus. de la Catedral, Arx. i Bibl., 7, c. 164r). Il tau è un p. in forma di stampella o di T, la cui derivazione dal pedum romano o piuttosto dai bastoni dei patriarchi ebrei o della Chiesa greca è incerta. Gli esemplari di tau più numerosi sono scolpiti in bosso, in osso o in avorio; essi risalgono per la maggior parte al sec. 11° e il loro uso si estese solo fino al 12° secolo. Alcuni esempi della tipologia a tau sono: il c.d. Alcester tau in avorio, proveniente dalle botteghe di Winchester e prodotto intorno al 1050 (Londra, British Mus.), il tau in avorio di produzione francese, del sec. 11°-12°, con l'asta elegantemente scolpita (Firenze, Mus. Naz. del Bargello), e il taureliquiario di Eriberto di Deutz, opera anglosassone della prima metà del sec. 11° (Colonia, Domschatzkammer). Sul collarino è l'iscrizione "Reliquie s(an)c(t)e Marie et s(an)c(t)i Christofori", mentre al centro del tau è raffigurata la Crocifissione e alle due estremità sono scolpite delle teste di leone. L'estremità dei tau era in qualche caso svuotata al fine di contenere una reliquia. Resta difficile determinare se un particolare tau sia stato di proprietà di un vescovo o di un abate: è noto tuttavia che il vescovo impugnava il tau nella mano sinistra e l'abate nella destra. A partire dal sec. 12° i p. a tau tendono a scomparire in favore di quelli a spirale, che divengono così la formula generalmente adottata.La primitiva funzione del p. resta poco chiara: si può supporre che il p. fosse solo un semplice compagno di pellegrinaggio, utilizzato dagli apostoli e dai loro discepoli missionari. Non è tuttavia ancora chiaro se in origine esso rappresentasse un'insegna dell'autorità ecclesiastica e quale tra la Chiesa greca, quella latina e quella irlandese ne fece uso per prima, nonostante gli esemplari più antichi siano irlandesi. È noto che per gli Irlandesi il bastone costituiva, insieme con la borsa e la campana, l'attributo dei monaci e degli abati in viaggio. In Irlanda il bastone-compagno era spesso personalizzato con l'apposizione di un nome proprio: si battezzò per es. il p. di s. Patrizio con il nome di bachall Iosa ('bastone di Gesù'). La Vita sancti Galli riferisce dell'importanza riconosciuta al bastone di Colombano (MGH. SS rer. Mer., IV, 1902, p. 295): il p. - che aveva il potere di assolvere - era stato conservato dai discepoli del santo e trasmesso a s. Gallo come simbolo di successione. Moosbrugger-Leu (1956) ipotizza una filiazione distinta per il p. vescovile: non escludendo che quello dell'abate potesse derivare dal bastone del missionario, egli opta per una provenienza orientale del p. episcopale, che potrebbe giustificarsi in ragione delle strettissime relazioni tra Chiesa e Stato nell'impero bizantino.Quale che sia stata la sua origine, il p. ebbe presto una funzione di simbolo del potere; spezzare il p. di un dignitario ecclesiastico significava annullarne l'autorità. L'antipapa Benedetto V, per es., allorché nel 964 rinunciò alla tiara in favore di Leone VIII, gli consegnò il suo bastone, che il secondo spezzò e mostrò al popolo (Leclercq, Gougaud, 1914). L'uso di rappresentare sulle monete e sui sigilli il vescovo o l'abate muniti del p. divenne ugualmente significativo dell'importanza dell'autorità annessa a questo attributo.Gli esemplari di p. a impugnatura ricurva conservati sono preromanici: si tratta in questo caso dei primi tipi ufficialmente adottati. Costituiti da un'anima di legno (destinata a diventare generalmente la reliquia di contatto) ricoperta di metallo, essi sono pervenuti in numero assai limitato. Tra i più importanti si ricordano: quello c.d. di s. Germano - vescovo (610-675 ca.) e primo abate di Moûtier-Grandval -, della metà del sec. 7°, con applicazioni di granati (Delémont, Mus. jurassien d'art et d'histoire), prodotto nell'ambiente di s. Eligio (Haseloff, 1955) oppure, più verosimilmente, nella Germania sudoccidentale; il p. del 999 della badessa Adelaide (999-1045), dono del fratello Ottone III (983-1002), di matrice lotaringia, rivestito in oro filigranato (Quedlinburg, Domschatz der St. Servatius-Stiftskirke); quello di Austreberta, badessa di Montreuil nel sec. 7°, ricoperto in argento e rame dorato, cabochons e filigrane del sec. 11° (Montreuil-sur-Mer, chiesa di Saint-Saulve). Un altro esempio di questa tipologia è raffigurato su uno dei piatti di legatura in avorio eseguiti intorno all'894-895 dal monaco Tuotilo dell'abbazia di San Gallo, dove il santo è raffigurato nell'atto di fronteggiare un orso mentre tiene nella mano sinistra un p. dall'impugnatura ricurva (San Gallo, Stiftsbibl., 53).Un'altra variante, più rara, di p. è costituita dalla terminazione a pomo, che sembra aver avuto origine dalla tradizione degli scettri reali a pomo merovingi e carolingi. Ne sono esempi il reliquiario del bastone c.d. di s. Pietro, prodotto nelle botteghe di Egberto a Treviri intorno al 980, in oro, smalti cloisonnés, pietre preziose e perle (Limburg an der Lahn, Staurothek Domschatz und Diözesanmus.), e lo scettro detto di s. Pietro, in legno e argento parzialmente dorato (secc. 10°-16°; Colonia, Domschatzkammer), che rivendicano entrambi la reliquia del bastone che sarebbe stato trasmesso dall'apostolo a s. Eucario, primo vescovo di Treviri. Anche il pedum in avorio del sec. 5° di Coira (Domschatz), terminante in un pomo sormontato da una croce, si inscrive nella tradizione degli scettri reali; relativamente ben conservato, la sua struttura è costituita da sette parti, avvitate l'una all'altra per mezzo di collarini di metallo.La fabbricazione dei bastoni e dei loro accessori, impugnatura e custodia, sembra aver costituito una branca dell'arte monastica irlandese. Questi p., di cui la maggior parte tra quelli conservati risale al sec. 11° o agli inizi del 12°, sono fortemente caratterizzati, tanto da costituire un gruppo tipologico a sé stante, e presentano l'estremità dell'impugnatura spezzata, quasi a formare una testa di cavallo vista di profilo; questi p. costituiscono uno stadio intermedio tra il tau e il p. a impugnatura ricurva. Esemplari di questa tipologia databili entro il primo millennio sono: il p. di una figurina in bronzo datata al 700, proveniente da un reliquiario scoperto ad Aghaboe (contea di Leix; Dublino, Nat. Mus. of Ireland), di fattura ibrida tra il modello a impugnatura ricurva e quello a impugnatura spezzata; il p. della figura di S. Matteo nel Sacramentario di Gellone, del 750 ca. (Parigi, BN, lat. 12048, c. 42r); il p. a impugnatura fortemente ricurva di un vescovo raffigurato in una miniatura dell'Evangeliario di MacDurnan, dell'850 ca. (Londra, Lamb., 1370, c. 115v).Si è conservato un buon numero di pezzi irlandesi risalenti a dopo il Mille: il p. scoperto nel 1814 in un muro del castello di Lismore (contea di Waterford; coll. privata) - probabilmente il reliquiario del bastone di s. Cartaco (m. nel 638) - risale al 1090-1113, è realizzato in bronzo dorato su quercia, con filigrane e incrostazioni di vetro colorato, ed è sormontato da un fine traforo raffigurante dei crostacei. L'esemplare rinvenuto presso Prosperous (contea di Kildare), in bronzo incrostato d'argento, era in origine smaltato e risale alla fine del sec. 10° (Clongowes Wood, College). A Longford (St. Mel's College) si conserva la parte superiore del p. di s. Mel, ritrovata ad Ardagh; si tratta di un'opera del sec. 11°, in bronzo parzialmente dorato. Il p. di s. Lathmac, proveniente da Rath-Blathmac (contea di Clare), scoperto in un muro della chiesa di Corofin, realizzato in bronzo e argento, risale al 1100-1125 (Dublino, Nat. Mus. of Ireland). Anche a Londra (British Mus.) si conserva un esempio di questo tipo, detto p. di Cuduilig e Maelfinenn oppure p. di Kells (contea di Meath), che risale a dopo il 1108. Uno degli esempi più significativi è costituito dal p. in bronzo degli abati di Clonmacnoise (contea di Offaly), degli inizi del sec. 12° con ritocchi del 14° (Dublino, Nat. Mus. of Ireland). Prodotto nel periodo ibernicovichingo, il bronzo è decorato da motivi a intrecci d'influenza scandinava eseguiti con la tecnica dell'argento colato bordato a niello; la decorazione plastica è formata da un gruppo di cinque canidi che si mordono la coda. La fronte del p. presenta una piccola nicchia sormontata da una testa grottesca, che ricorda la prua di una nave; in questa nicchia trova posto una figura di vescovo. Il nodo è ornato da superfici triangolari che contengono motivi a intreccio, mentre il collarino della base contiene figure di cani a rilievo.Come attestano le fonti scritte e iconografiche, è antico anche l'uso di p. sul continente europeo.Nei secc. 11° e 12° la tipologia dei p. conobbe una variante derivata dal p. a impugnatura ricurva: il p. a voluta, caratterizzato da un'estremità superiore in forma di spirale, che trovò poi uno sviluppo spettacolare. La prima testimonianza a Roma di questo tipo di p. è nel ciclo di pitture murali della chiesa inferiore di S. Clemente (1080). Il carattere stereotipato del p. a voluta è sintetizzabile nelle dimensioni piuttosto grandi e nel nodo alla base della voluta. In generale - elemento questo che però non è esplicito nel ciclo di S. Clemente - l'asta termina in basso con una punta o un puntale.A partire dai secc. 11°-12° l'elemento ricurvo sommitale andò accentuandosi per dar vita alla vera e propria voluta o riccio, che divenne successivamente il supporto per complessi temi iconografici. In un primo tempo, la voluta a spirale assunse la forma di serpente o drago; in seguito venne utilizzata come cornice per figure isolate o integrate in composizioni più complesse. Questa evoluzione portò alla nascita dei p. con riccio istoriato dei secc. 12° e 13°, di cui il repertorio limosino offre numerosi esemplari. L'Agnus Dei fu uno dei primi temi figurativi disposti al centro della composizione. La formula della voluta in forma di serpente o drago, di origine germanica, si stabilizzò solo dopo il Mille. Il p. di s. Annone (Siegburg, St. Servatius, Schatzkammer), arcivescovo di Colonia (1056-1075) e fondatore dell'abbazia di Siegburg, venne scoperto, secondo la tradizione, nel suo sarcofago nel 1183; l'asta in legno rosso presenta un'iscrizione disposta sui due collarini metallici intorno al nodo: "Tytyre coge pecus cecos ne ducito cecos / moribus esto gravis rector fore disce suavis / astu serpentis volucris tege simpla gementis"; il tutto è sormontato da un riccio in avorio del sec. 11° (forse eseguito prima del 1075) che forma un mostro dalla testa ricurva nell'atto di inghiottire un uccello.Il p. in bronzo di Basilea (Historisches Mus.), della fine del sec. 11° o del 12°, presenta una tripla circonvoluzione, pur mantenendo una bella sobrietà in rapporto all'epoca in cui venne prodotto. Il p. in argento dorato (Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer), rinvenuto nella tomba del vescovo Enrico III (m. nel 1362), con l'iscrizione di dedica a Erchembaldo, abate di Fulda (997-1011) e parente di Bernoardo di Hildesheim, raggiunge una complessità notevole già intorno all'anno Mille: vi sono infatti raffigurati i Quattro fiumi del paradiso, il Peccato originale e Dio giudice. Sempre a Hildesheim (Diözesanmus. mit Domschatzkammer) sono custoditi i p. in avorio di s. Gottardo (1022-1038) e di Ottone I (1260-1279), riferibili a una produzione siculo-araba. Il primo mostra nella voluta una testa di animale (forse un'antilope) con una croce, mentre il secondo presenta un drago che avvolge le sue spire intorno a una gazzella; quest'ultimo reca anche una decorazione di epoca tardogotica. Muovendo dal semplice tema dell'animale avvolto dalle spire, il c.d. p.-rettile mise a poco a poco in scena protagonisti che simboleggiavano la lotta tra il bene e il male o ancora altre tematiche. L'avorio si trova adottato estesamente sia in Francia sia in Inghilterra, Spagna, Italia, Germania e Austria. L'Inghilterra fu però la regione in cui questo materiale venne utilizzato in misura maggiore. Esistono tuttavia anche esemplari smaltati, come il p. di Willelmus, detto di Rangefroi (Firenze, Mus. Naz. del Bargello), prodotto intorno al 1175, con voluta a tripla spira; su questa compaiono scene di psicomachia, mentre sul nodo sono raffigurate scene della Vita di Davide. Sempre a Firenze (Mus. Naz. del Bargello) è conservato il p. detto di Ivo di Chartres, databile al primo decennio del sec. 12°, che presenta il nodo, ritrovato a Beauvais e più antico, e il riccio non omogenei. Alla base della voluta si trovano, posti sotto arcate, un vescovo e quattro personaggi; al di sopra si sviluppano dei girali abitati da uomini nudi, belve e draghi. All'estremità si trova un drago che tiene in bocca una croce spezzata. Il p. in avorio di s. Nicola (Londra, Vict. and Alb. Mus.) è un'opera degli anni 1150-1170, che viene ricondotta a botteghe di Angers o di Winchester. Sulla curvatura si sviluppano da un lato scene della Natività, dall'altro scene della Leggenda di s. Nicola; questa inusuale maniera decorativa ricorda le iniziali ornate. Un esempio provinciale di voluta di p. in avorio è costituito dall'esemplare conservato ad Arles (Saint-Trophime, Mus. d'art religieux), della seconda metà del 12° secolo. La scena rappresenta una Deposizione nel sepolcro, forse in riferimento al rinvenimento del corpo di s. Trofimo o, più verosimilmente, la Deposizione di Cristo a opera di Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea.Alla fine del sec. 11° la voluta del p. si arricchì di piccoli gruppi scolpiti, fusi a parte e quindi applicati. Le botteghe di Limoges fecero di questa tecnica la loro specialità. Temi iconografici come S. Michele Arcangelo che uccide il drago e l'Annunciazione - prefigurazione della nuova Eva che avrebbe schiacciato il serpente - fecero così la loro comparsa. In molti esempi limosini non è presente la testa del serpente o del drago, ma gli smalti turchesi dell'asta e della voluta raffigurano le scaglie del rettile.Successivamente la voluta divenne un girale vegetale, assumendo spesso l'aspetto di un motivo a fogliami. Il tema del fiore sbocciato al centro delle spire di una voluta fu all'origine di un gruppo di p. limosini, di cui rimangono ca. trenta esemplari. La scelta e la fortuna del motivo fu certamente ispirata dall'episodio della verga fiorita di Aronne (Nm. 17, 6-8). Il p. di Poitiers (Mus. Sainte-Croix), del 1175-1185, il più piccolo del gruppo, è verosimilmente il più antico esemplare conservato. Tuttavia questa tipologia era già stata utilizzata precedentemente in ambito anglonormanno, per es. nei p. inglesi di St David's e di Whithorn, del 1180 (Edimburgo, Nat. Mus. of Antiquities of Scotland). Anche il motivo decorativo a 'palmette-piovre', frequente nei p. limosini, sembra aver avuto origine in Inghilterra. Il citato p. di Poitiers comprende un fiore a cinque ramificazioni a 'palmette-piovre', mentre altri p. limosini che ne derivarono ebbero, a partire dal 1200, fiori a tre escrescenze (motivo a 'palmetta-fiore'). In questa stessa epoca fece la sua comparsa una piccola cresta sul bordo esterno della voluta; numerosi p. di questo gruppo presentano poi un nodo cilindrico decorato con busti di angeli o con creature fantastiche, come sui p. di Troyes (Trésor de la Cathédrale) e di Saint-Maurice d'Agaune (Trésor de l'Abbaye de Saint-Maurice).La voluta limosina è più spesso decorata da figure isolate o integrate in composizioni più complesse. Nelle città di Valencienne (Mus. des Beaux-Arts), di Basilea (Historisches Mus.), di Parigi (Louvre), di Londra (Vict. and Alb. Mus.), di Stoccolma (Stadsmus.) e di Orléans (Trésor de la Cathédrale) si conservano esemplari limosini con figurazioni, applicate entro mandorle o polilobi, di Cristo in trono su una faccia e della Vergine sull'altra.I soggetti preferiti dalle botteghe limosine furono S. Michele arcangelo che lotta con il drago (per es. Parigi, Louvre, inv. nr. OA 7286) e, tra le scene della vita della Vergine, essenzialmente l'Annunciazione (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Applicata; New York, Metropolitan Mus. of Art) e l'Incoronazione. Ricorrono anche il Noli me tangere e Adamo ed Eva posti ai due lati dell'albero della conoscenza del bene e del male. Si conservano inoltre ca. dieci p. che rappresentano un serpente che morde la coda di un leone. Questa iconografia ha dato luogo a interpretazioni divergenti, poiché i due animali possono essere caricati di una simbologia benefica o malefica; secondo gli ultimi studi, il leone rappresenterebbe la tribù di Giuda, prefigurazione di Cristo. Nella produzione limosina, infine, dominò nettamente il blu, a tal punto che spesso risulta essere il solo smalto utilizzato.Uno dei primi esemplari gotici, della fine del sec. 12°, è il p. scoperto nell'abbazia di Clairvaux nel 1819, appartenuto a un prelato di Langres, realizzato in rame cesellato e dorato (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny). La spirale sommitale fuoriesce dalla bocca di un uccello e termina con una protome di drago. All'interno del cerchio si trova una figura di agnello a banderuola; lo stelo della voluta è traforato da finestrature a buco di serratura, mentre il nodo e la ghiera sono ornati da cabochons di vetro colorato. Nei secc. 13° e 14° la voluta divenne sempre più ampia, fino a comprendere un doppio riccio; ricurvo come una falce e sormontato da una cresta, il p. era corredato frequentemente dal sudarium (o pannisellus), annodato all'asta o al nodo. Il sudarium, il cui uso si diffuse soprattutto nel sec. 14°, doveva avere un preciso significato, che resta però tuttora incerto. Una vetrata di Saint-Denis, della metà del sec. 12°, presenta l'abate Suger che impugna un p. velato. Rohault de Fleury (1889) riteneva che si dovesse trattare di un segno di rispetto verso l'autorità episcopale, poiché per es. la patena veniva tenuta con le mani velate, aggiungendo che talvolta il p. stesso aveva funzione di tabernacolo (una vetrata della cattedrale di Tournai mostra infatti un p.-tabernacolo).In epoca gotica si assiste a un'accentuazione dei motivi decorativi; l'estetica del sec. 14°, con il suo gusto pronunciato per la decorazione architettonica, trasformò in seguito il nodo del p. - in origine sferico o poligonale - in edicola architettonica. Un bell'esemplare con nodo architettonico è il p. proveniente dalla Reichenau (Londra, Vict. and Alb. Mus.), prodotto nelle botteghe di Costanza, in rame dorato, ricoperto d'argento e di placche smaltate su rilievi a sbalzo. Dal testo di dedica si apprende che l'opera venne realizzata nel 1351 per Eberardo di Brandis da parte di Nicola di Gutenberg. Gli smalti del nodo rappresentano la Vergine con il Bambino, Maria Maddalena, i tre Magi e un abate, forse s. Firmino, fondatore della Reichenau nel 724. Nella voluta, sostenuta da un angelo, si trovano due piccole figure a tutto tondo: Maria e, inginocchiato ai suoi piedi, l'abate Eberardo. Questo p. appartiene a un gruppo comprendente anche quello di Colonia (Domschatzkammer), prodotto intorno al 1320 a Colonia o a Parigi nella corrente di gusto artistico della corte avignonese, e quello detto di Egmondo a Haarlem (Schatkamer van de Kathedrale Basiliek St. Bavo), del 1340-1350, con smalti importati forse da Parigi (Gauthier, 1972).La voluta del p. in avorio con il Battesimo di Cristo nel riccio (Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana), di produzione italiana del secondo quarto del sec. 14°, arricchita da grandi crochets vegetali di stile flamboyant, scaturisce da una gola mostruosa e reca un'iscrizione dipinta: "Ego te debeo baptizari". Sul nodo ottagonale architettonico sono dipinti i busti dei quattro santi protettori di Siena: Vittore, Ansano, Crescenzio e Savino. Sempre a Siena (Mus. dell'Opera della Metropolitana) sono conservati anche un altro p., con le armi di s. Galgano, e un terzo esemplare, più antico, risalente alla seconda metà del 12° secolo. Il p. con il Battesimo di Cristo può essere confrontato con quello che reca le armi di Benci Aldobrandini, vescovo di Gubbio nel 1331 (Londra, Vict. and Alb. Mus.), e con quello appartenuto a Pietro di Monte Caveoso, vescovo di Acerenza tra il 1334 e il 1343 (Firenze, Mus. Naz. del Bargello), ma non presenta i busti emergenti dai fogliami a crochets, caratteristici invece di questi due esemplari veneziani. Se i p. in avorio di epoca gotica si conservano in numero significativo, rari sono quelli che presentano ancora applicazioni in metallo lavorato. Un esemplare prodotto nelle botteghe parigine del secondo quarto del sec. 14° (Parigi, Mus. Nat. du Moyen Age, Thermes de Cluny) presenta rame dorato nel nodo a decorazione architettonica e nei crochets; all'interno della voluta si evidenziano figure traforate a giorno: la Vergine con il Bambino su una faccia e la Crocifissione sull'altra (soggetto questo prediletto in epoca gotica); un altro p. simile, del 1330-1340 (Firenze, Mus. Naz. del Bargello), anch'esso prodotto in una bottega parigina, denota una composizione meno ariosa. Un ultimo esempio caratteristico di questa tendenza gotica è rappresentato dal p. detto di Felice V, commissionato dall'abate Guglielmo III di Villien ed eseguito intorno al 1430 (Saint-Maurice d'Agaune, Trésor de l'Abbaye de Saint-Maurice), dove il nodo lavorato mostra una sovrabbondanza di dettagli. Nel livello inferiore si distacca, su di uno sfondo di finestrature flamboyantes ripartite, la statuetta di un apostolo posta sotto un baldacchino assai traforato. Nei sei contrafforti, l'orafo ha ricavato una nicchia in cui è collocato un minuscolo cavaliere. Il secondo livello, segnato da contrafforti a pinnacolo, è aperto da finestre con quattro lancette e tre medaglioni circolari. Il terzo livello, coronato da una galleria, è traforato da lancette più piccole. È al di sopra di questa architettura miniaturizzata che si sviluppa la voluta del p., decorata da crochets lungo il bordo esterno. All'interno della voluta si distacca, a tutto tondo, la figura di S. Maurizio a cavallo.
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