Pastorizia
L'allevamento degli animali minuti, soprattutto ovini, coincide nei momenti del suo maggiore sviluppo con la transumanza. Tale prassi, diffusa soprattutto nelle regioni meridionali d'Italia, consiste nello sfruttare per i pascoli nei mesi invernali l'incolto del Tavoliere pugliese e negli estivi gli ampi pianori degli altipiani abruzzesi.
Diffusissima nell'età classica, soprattutto dopo le guerre annibaliche che distrussero la piccola proprietà contadina con il conseguente inurbamento verso Roma e con il crearsi del latifondo che trasformò le campagne in deserta oppida o agri deserti, essa scomparve con la caduta dell'Impero romano, a seguito del venir meno di una condizione fondamentale per il suo sussistere, ovvero la certezza del diritto, che dà ai transumanti la sicurezza di un andare e tornare da terre altrui alle proprie, senza timori di possibili violente confische o prepotenze o rapine. Il venir meno di condizioni di sicurezza la rese precaria e la fece scomparire soprattutto nel periodo carolingio, quando la frontiera che era venuta a crearsi fra l'ex ducato longobardo di Spoleto ‒ che comprendeva il territorio di quello che sarebbe stato l'Abruzzo ed era caduto sotto il controllo dei franchi ‒ e l'ex ducato, poi principato, ma tuttora longobardo, di Benevento separò i grandi altipiani abruzzesi e il Tavoliere pugliese.
Tale situazione, caratterizzata da una notevole ripresa del selvatico, soprattutto per quanto riguarda la regione dei grandi altipiani, durò fino all'avvento dei normanni. Il geografo arabo al-Idrīsī (sec. XII), che descrive al re Ruggero II di Sicilia i suoi domini, afferma che tra Campomarino e Ancona (quindi in una larghissima parte dell'Abruzzo orientale) vi era una selva ampia dodici giorni di cammino nella quale gli uomini vivevano cacciando e raccogliendo miele.
Quando i normanni ricompattarono Abruzzo e Puglia nel Regno di Sicilia, riprese probabilmente anche la prassi della transumanza.
Lo lasciano pensare due assise normanne di re Guglielmo II, tramandateci attraverso la codificazione sveva. Una prima riguarda i furti di bestiame e configura un particolare tipo di abigeato che riusciva a eludere la vigilanza, tanto da rimanere impunito, facendolo passare come acquisizione di animali smarriti o sottratti ai ladri. Si estorceva quindi ai padroni delle bestie il riscatto, ottenendo a un tempo lucro e impunità. Orbene, di fronte a una tale configurazione di reato, si è portati a ritenere che, se il fenomeno del preteso smarrimento o del furto massiccio di bestiame era tanto diffuso da richiedere l'emanazione di un'assise, era perché nel contempo era ripresa la prassi della transumanza, che rendeva appunto possibile lo smarrimento o il furto di animali proprio per la precarietà di vita e di condizioni generali del gregge transumante.
Un'altra assise, sicuramente del 1172, configura una specie di conflittualità permanente causata dalla prassi della transumanza. Passando per le regioni pugliesi erano pervenuti a Guglielmo reclami e doglianze in relazione al fatto che i funzionari addetti alla custodia delle foreste demaniali commettevano vessazioni e ingiuste esazioni. Di fronte a questa situazione Guglielmo stabilisce: 1) in ciascuna contrada, tanto relativamente al demanio regio quanto alle terre dei conti e dei baroni, non siano insediati più di quattro custodi; 2) a tali custodi non sia lecito, come viceversa finora è accaduto, d'impadronirsi o di prendersi cura degli animali di alcuno.
Per quanto riguarda poi quella che sembra essere una transumanza vera e propria, sempre Guglielmo stabilisce: 1) se nel transitare da un territorio a un altro (si oves, vel alia animalia alicuius de una contrata in aliam ducta fuerint in transitu) il gregge avrà usufruito per una sola notte del pascolo di qualcuno, non sia lecito al padrone della terra o al baglivo pretendere alcun pagamento, ma si lasci liberamente transitare il gregge; 2) se gli animali che siano lontani dalla propria terra per un giorno o due attraverseranno le terre di altri, si paghino, per essi, i soli eventuali danni inferti alle coltivazioni o ai frutti e null'altro; 3) se gli animali pascoleranno soltanto e non produrranno danni in quanto custoditi, qualora il proprietario del terreno vorrà concedere il proprio fondo per il pascolo mediante contratto preventivo, riceva la relativa "fida" (in Sicilia e in Abruzzo è tuttora in uso l'espressione "fida bestiame", affitto di pascolo per i mesi estivi) sulla base del canone corrente nella zona; 4) se il proprietario del terreno non vorrà viceversa concedere pascoli secondo la fida corrente nella zona, il padrone del gregge dichiari sotto giuramento il numero dei giorni che ha stazionato in tali terreni e relativamente a essi paghi il canone, che sarà liberatorio; 5) se saranno trovate greggi senza pastore che però non abbiano stazionato in pascoli padronali per più di dieci giorni e il padrone o il pastore del gregge dichiareranno sotto giuramento che essi non hanno condotto volontariamente il gregge in quei pascoli, in tal caso il padrone dei pascoli stessi permetta che il gregge si allontani dalle sue terre senza pretendere soluzione alcuna. Se tuttavia lo stazionamento si sarà protratto oltre i dieci giorni, il padrone del gregge paghi fida sulla base dei canoni correnti per un intero anno, in misura conforme al periodo di stazionamento.
La normativa di Guglielmo II, come si vede, è estremamente favorevole ai pastori transumanti, tanto che prevede un libero passaggio di greggi addirittura per i terreni privati senza che se ne debbano pagare i proprietari. Da questa normativa si desume però anche che i tratturi dovevano essere scomparsi, altrimenti non si sarebbero previsti il passaggio e lo stazionamento in terreni non demaniali. Quale che fosse la configurazione giuridica della callis romana, sembra tuttavia che attraverso essa fosse permesso il libero transito delle greggi, situazione questa che nell'assise di Guglielmo II, viceversa, non è prevista, tanto che vi si fa riferimento ai passaggi delle greggi per terre padronali. Questo fa supporre che la normativa di Guglielmo II fosse mirata a una incentivazione della transumanza che solo allora stava tentando le prime vie di una ripresa che si sarebbe accentuata nel periodo federiciano.
L'imperatore trovò una situazione molto favorevole a nuovi insediamenti in zone spopolate indotti dalla prima fondazione cistercense d'Abruzzo, ovvero S. Maria di Casanova, che espanderà la sua zona d'influenza fino a Campo Imperatore sul Gran Sasso. S. Maria di Casanova fu fondata dai monaci del monastero dei Ss. Vincenzo e Anastasio di Roma, della linea claravallense, in virtù di una donazione del conte Berardo di Loreto e della contessa Maria sua consorte. I lavori di edificazione si svolsero dal 1191 al 1195. Un privilegio di papa Innocenzo III del 1198, concesso al vescovo di Penne, Oddone, fa riferimento a una chiesa di S. Maria di Casanova in Celiera. Nel 1222 si avrà poi la fondazione della grancia di S. Maria del Monte in Campo Imperatore. Tale circostanza è confermata da una bolla di papa Gregorio IX recante il transunto di un privilegio di Federico II che conferma i possedimenti di S. Maria di Casanova e tra questi la grancia di S. Maria in Campo Imperatore con la Valle Pacifica, ubicata tra la diocesi di Forcona e quella di Valva.
Un panorama di ampie bonifiche, dunque. Già l'autosufficienza delle abbazie e delle grance giustifica la ricca presenza di impianti di trasformazione dei prodotti. Ma nel privilegio dell'imperatore è anche chiaramente denunciato il proposito di favorire la transumanza, quando si dice che uomini e bestiame avranno libero transito nell'ambito delle terre comitali e che gli stessi potranno liberamente usufruire dei pascoli tanto montani quanto di pianura. E questo significa ovviamente incentivazione a transumare. Ma ciò è detto ancor più chiaramente quando si concede al monastero di fruire liberamente dei pascoli demaniali, tanto marittimi quanto montani, senza l'obbligo di pagare l'erbatico o il ghiandatico (le tasse per l'uso e il consumo delle erbe e delle ghiande) e con il diritto di tagliare legna verde o di raccogliere quella secca per costruire e riparare abitacoli e per le altre necessità occorrenti (chiaro riferimento alla costruzione delle abitazioni provvisorie in legno dei pastori e all'uso della legna per la trasformazione del latte in formaggio), senza l'esazione da parte di alcuno di dazi o tasse d'uso. E ancora ‒ prosegue il privilegio ‒ si conferma ai pastori la libertà di pascolo o di taglio della legna a loro concessa da conti o baroni o da altri fedeli nell'ambito delle loro terre. Inoltre, Federico II si preclude anche il diritto di recedere da quanto ha disposto o di disporre in maniera diversa e concede libertà piena e perpetua di comprare e di vendere, e di esportare, ma soprattutto libertà di passare liberamente per terra e mare esentando i pastori dal teloneo, dal plateatico o dal diritto di passo per quanto riguarda sia le persone che le cose. Infine, si conferma a S. Maria Casanova il possesso della grancia di Lucera con i relativi tenimenti e il diritto a questa concesso di libertà di pascolo. Lucera è alle porte del Tavoliere e ai suoi piedi si distende il verde 'eldorado' pugliese. Essa sarà infatti la prima sede del gran doganiere della dogana pugliese di epoca aragonese. Riprende così una prassi antichissima che durerà quasi fino ai nostri giorni.
fonti e bibliografia
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