PATHOS
La definizione è già implicita in quella di ethos (v.): in campo retorico est repentina et temporalis animi incommoditas, come ira, dolore, gioia, lutto e così via; le quali disposizioni d'animo devono esser rappresentate ed espresse ciascuna colle parole adatte: le situazioni tristi con parole lacrimose, le situazioni irate con parole concitate e sdegnose (ut tristia miserabihbus iracunda atrocibus verbis efferamus: Iul. Vict., Rhet., 439 Halm). In linea generale, anche in retorica, il p. è una gradazione di ethos; è un'agitazione e un impeto dell'animo (phorà kài synkinèsis psychès, De subl., xx, 2) che può anche caratterizzare tutta un'opera, ed anche tutte le opere di un dato autore.
È sotto questa accezione più lata che il p. si presenta nell'opera d'arte figurata, quando, chiuso il periodo classico dell'arte etica del V sec. a. C., gli artisti affrontano la rappresentazione dell'uomo secondo una visione più direttamente naturale e realistica, non più velata da leggi filosofiche. Compaiono allora le due tendenze contrastanti e reattive, una contro l'altra, della figurazione umana molle effeminata, concettosa, maliziosa da un lato; e di quella contratta, irata, commossa, concitata - con occhi profondati, collo torto, muscoli inverosimilmente moltiplicati e contratti - dall'altro.
La tendenza figurativa "patetica" ha avuta grande fortuna a cominciare dal IV sec. a. C. per tutta l'epoca ellenistica, e per i primi secoli dell'Impero; essa tendenza ha quasi esclusivamente permeato di sé tutta la cosiddetta arte provinciale d'epoca romana.