Patologia
La patologia (dal greco πάθος, "malattia", e λόγος, "studio") è lo studio della malattia come insieme di sintomi o segni che compaiono o si avvertono nel corso di essa. Comprende tipicamente una parte descrittiva e una esplicativa: la descrizione dei sintomi, di come insorgono e si evolvono è collegata alla diretta osservazione del malato; la spiegazione della loro genesi ed evoluzione, in relazione alle cause che sono associate alla malattia (eziopatogenesi), tende a collocare i sintomi stessi in un quadro unitario che tenga conto sia delle cause che hanno provocato la malattia, sia del meccanismo di azione con cui esse producono il danno e sia, infine, della reazione dell'organismo colpito.
A seconda che il danno biologico alla base di una malattia sia osservato a livello di un organo, di un tessuto, di alcuni tipi di cellule, di aggregati sopramolecolari o di molecole con caratteristiche funzioni, si parla, rispettivamente, di patologia d'organo, patologia di tessuto o di cellule, patologia cellulare o subcellulare, patologia biochimica e patologia molecolare. La patologia generale, invece, ha come fine la ricerca dei principi generali di produzione del danno biologico per fornire una spiegazione deterministica, di relazione di causa/effetto con valore predittivo relativamente a quadri simili e, di conseguenza, offrire possibilità di prevenzione mediante una terapia razionale per la malattia stessa. Per svincolare il quadro eziopatogenetico dalle peculiarità di un organo o un tessuto o un tipo cellulare o molecolare, la patologia generale cerca le leggi universali della malattia correlando ai livelli più fini le alterazioni fra struttura e funzione. La possibilità di descrivere l'unità struttura/funzione a livello molecolare ha chiarito la genesi dei sintomi come si osservano negli organi e nei tessuti, spiegandoli con le alterazioni delle funzioni associate a una singola molecola. Le basi della patologia moderna risalgono al 18° secolo quando G.B. Morgagni intuì genialmente la necessità di correlare il quadro clinico di malattia con la sede di origine (organi) dei sintomi e con le cause che li provocavano. La patologia d'organo di Morgagni rappresentò l'affermazione del principio generale della correlazione tra alterazioni della struttura e alterazioni funzionali, principio che venne ulteriormente definito nel 19° secolo a opera di R. Virchow. Questi, con l'uso del microscopio ottico, poté descrivere e definire i quadri della patologia d'organo a livello cellulare, fondando la patologia di tessuto (istopatologia) e quella cellulare che ancora oggi è una tappa importante nell'iter diagnostico.
Cruciale acquisizione di Virchow fu l'aver appurato che essendo tutti gli organi e i sistemi del nostro corpo formati dai tessuti fondamentali (epiteliale, connettivale e suoi sottotipi, nervoso ecc.) ed essi da specifiche cellule con caratteristiche funzioni, le alterazioni di queste ultime potevano mostrare al microscopio ottico un peculiare quadro morfologico ed essere associate a cause con meccanismi comuni. Tale principio doveva essere confermato dagli studi biochimici, di fisiologia cellulare e di patologia molecolare del secolo successivo: per es., il rigonfiamento cellulare descritto da Virchow - una tappa obbligata della sequenza che porta a morte l'organismo in quasi tutte le malattie, ma specialmente nelle malattie cardiovascolari con ischemia - si è dimostrato universalmente legato, indipendentemente dalla causa o dal tipo di cellula, alla perdita dei gradienti ionici tra l'interno e l'esterno della cellula stessa. Tale perdita è determinata da un danno alla membrana plasmatica cellulare, oppure da carenza dell'energia (ATP, o adenosintrifosfato, il mediatore energetico di tutti gli esseri viventi) che permette il funzionamento della pompa che estrude sodio e acqua e mantiene i gradienti. La poderosa valenza diagnostica di questo tipo di descrizione ha portato alla nascita dell'istopatologia, la quale ancora oggi, con tutti i limiti di predittività, rappresenta il momento diagnostico definitivo che conferma, precisa e, a volte, demolisce l'iter precedente (per es., la diagnosi oncologica, che almeno statisticamente riesce a definire meglio la prognosi e frequentemente anche una base terapeutica, chirurgica o medica, è nella stragrande maggioranza dei casi legata all'istopatologia).
La rapida crescita della fisiologia e della biochimica nell'ultima parte del 19° secolo e nella prima parte del 20° ha permesso la descrizione di molte malattie su una base funzionale comune, pur in presenza di diversi substrati eziopatogenetici. Per es., il diabete mellito, in cui l'iperglicemia, sintomo peculiare, è all'origine di quadri di malattia estremamente polimorfi, è il risultato di diverse vie patogenetiche, tra cui: la mancata produzione di insulina, l'inefficienza dell'azione dell'insulina per alterazioni del recettore o della cascata di segnali da esso generata oppure, infine, dei geni bersaglio coinvolti; a monte vi sono numerosi fattori e cause, sia di suscettibilità genetica sia di agenti esogeni e ambientali. All'inizio degli anni Cinquanta del 20° secolo è iniziata l'era della biologia molecolare (v. biologia), grazie alla comprensione della struttura e della funzione del DNA e alla decifrazione dei codici genetici. Negli anni Settanta le ricerche sul cancro hanno permesso lo sviluppo vertiginoso della patologia molecolare nelle varie discipline - dall'oncologia, all'immunologia e all'endocrinologia, fino alle scienze molecolari della morfogenesi e dello sviluppo - che hanno tutte l'obiettivo ultimo di evidenziare la stretta correlazione tra le molecole e le funzioni di vario livello e complessità (dall'organo, al tessuto, alla cellula, all'organulo fino alla molecola) e, di conseguenza, di spiegare in termini molecolari le funzioni e strutture alterate quali si evidenziano nelle malattie.
La moderna patologia generale, pertanto, risulta costituita da un insieme di discipline finalizzate alla ricerca dei principi molecolari, predittivi e deterministici, che spiegano i sintomi delle malattie legandoli ad agenti causali, esterni o interni all'organismo. In quest'ultimo caso vanno considerati anche i fattori che rendono suscettibili o meno all'azione dei vari agenti causali (fattori predisponenti). Secondo questa definizione molto ampia, la patologia generale rappresenta il punto di confluenza della patologia strutturale (dall'anatomia patologica alla patologia cellulare e subcellulare, a quella sopramolecolare e molecolare), della patologia biochimica, dell'immunopatologia, della patologia genetica, dell'oncologia molecolare e della fisiopatologia di organi e sistemi, nel momento in cui queste discipline si applicano per percorrere il cammino dal sintomo alla molecola e viceversa. Il grande lavoro analitico svolto nell'ultimo quarto del 20° secolo dalla biologia molecolare applicata allo studio della malattia (patologia molecolare) ha generato una straordinaria conoscenza, che raggiungerà il suo culmine descrittivo, probabilmente definitivo, nella completa decodificazione del genoma umano intrapresa dal Progetto Genoma umano (il cui completamento è previsto per il 2003).
La descrizione di tutti i geni che sono contenuti nei nostri cromosomi e delle loro varianti (polimorfismi) costituirà la base per lo studio funzionale delle molecole codificate a livello cellulare e, quindi, degli effetti delle loro alterazioni (malattie molecolari). Parallelamente si vanno chiarendo i meccanismi che regolano l'espressione, qualitativa e quantitativa, dei vari geni nello sviluppo, nella funzione e nel mantenimento dell'organismo. La conoscenza di essi ha già aperto un altro grande capitolo della patologia umana destinato a crescere nei prossimi decenni. Queste acquisizioni, da una parte, stanno semplificando la patologia, grazie all'evidenziazione dei principi generali della produzione del danno e della genesi dei sintomi; dall'altra, hanno complicato di molto la descrizione della patogenesi dei quadri di malattia, soprattutto quando siano coinvolti numerosi geni (malattie poligeniche) e/o numerose cause (malattie polifattoriali). In questi casi il numero delle varianti e sottovarianti di una stessa malattia è cresciuto straordinariamente, ma si sono pure potute spiegare le differenze nell'insorgenza, nell'intensità dei sintomi, nella variabilità del quadro clinico e della prognosi. Infine, le nuove conoscenze e i principi che a esse sono sottesi stanno dimostrando un'alta valenza generale e predittiva.
In almeno tre situazioni tale capacità della nuova patologia si sta rivelando un potente mezzo di conoscenza della malattia. In primo luogo, è stato possibile correlare la struttura di molte proteine con le funzioni in cui esse sono implicate; in particolare, sono state definite specifiche regioni tridimensionali (domini) responsabili di specifiche funzioni, come il legame con altre proteine e molecole, l'attività catalitica enzimatica, la capacità modulatrice o peculiari proprietà strutturali. Si è poi visto che questi domini possono essere presenti anche in altre proteine e che queste ultime presentano proprietà analoghe ad altre con domini simili. Come risultato è possibile prevedere la funzione di proteine prima del tutto sconosciute e delle quali si è dedotta la struttura dalle sequenze geniche della biologia molecolare. La funzione prevista può successivamente essere verificata in modelli sperimentali o in vivo. Inoltre è possibile anche prevedere l'effetto clinico (sintomi) di mutazioni in siti funzionalmente caratterizzati e, quindi, il quadro o i quadri di malattia legati a quelle mutazioni. In secondo luogo, l'endocrinologia molecolare classica è nata come scienza dei segnali legati a molecole ormonali o ad altri ligandi nel momento in cui questi si legano ai loro recettori, e quindi con l'identificazione dei geni coinvolti. Sono stati isolati anche geni che codificano recettori del tutto sconosciuti, dei quali è stata evidenziata la funzione ma non identificato il ligando (recettori cosiddetti orfani).
La scoperta del ligando e delle funzioni da esso presiedute, in questo caso, rappresenta l'ultimo passo dell'endocrinologia molecolare inversa. Identificato il recettore e il suo ligando è possibile associarli o prevederne malattie o varianti ancora clinicamente sconosciute. Anche in questa evenienza il potere predittivo dei nuovi concetti e delle metodologie è stato evidenziato dalle soluzioni attese. Infine, la continua identificazione e descrizione di nuovi geni permette di prevedere malattie genetiche e varianti non ancora caratterizzate clinicamente, o perché poco evidenti nei sintomi o perché molto rare per la loro gravità o disvitalità (incompatibilità con lo sviluppo e la vita). Il fatto di poter prevedere l'effetto clinico di mutazioni di un determinato gene ha consentito di cercare nell'ambito di alcune malattie l'opportuna variante genica prevista.
M. Coltorti, Riflessioni sul concetto di malattia e sulla sua evoluzione, "Metodologia e didattica clinica", 1998, 6, pp. 162-75.
H.W. Florey, General pathology, Philadelphia, Saunders, 1970 (trad. it. Padova, Piccin-Nuova libraria, 1972, pp. 1-20).
G.M. Pontieri, Storia della medicina, Padova, Piccin-Nuova libraria, 1995.
M.A. Russo, Principi di patologia molecolare, in G.M. Pontieri, Patologia generale, Padova, Piccin-Nuova libraria, 19982.