patrizi e plebei
I conflitti sociali nella Roma antica
Lo scontro tra patriziato e plebe caratterizzò il periodo più antico della storia di Roma. I patrizi erano i membri di quel ristretto numero di famiglie che costituivano il Senato di Roma in età regia. Ai patrizi si opponeva la plebe, che era la maggioranza della cittadinanza romana: infatti l’etimologia del termine deriva dalla radice ple- (in latino plenus «pieno», in greco plèthos «moltitudine»)
Secondo la tradizione storica arcaica, confluita nelle opere di Tito Livio e di Dionigi di Alicarnasso, il Senato sarebbe stato fondato già da Romolo, che fissò a cento il numero dei senatori. Costoro costituivano, quindi, il più antico nucleo di patrizi. Il loro numero si sarebbe triplicato sotto i successivi sei re.
I patrizi godevano della totalità dei diritti politici e civili: pieno accesso alle magistrature, pieni diritti di proprietà e così via. I patrizi erano riuniti in stirpi (gentes), che costituivano in origine, forse, delle unità autonome, solo successivamente sottoposte all’autorità del rex.
La plebe era costituita da contadini, commercianti, artigiani, insomma la parte produttiva della popolazione. Nonostante l’importanza economica e numerica, la plebe era esclusa dalla gran parte dei diritti politici. In origine i plebei non potevano nemmeno godere delle distribuzioni dei territori conquistati ai nemici vinti in guerra con il loro determinante contributo. Privi di diritti politici, dovevano però pagare le tasse per sostenere la comunità patrizia che li difendeva. I plebei avevano anche una organizzazione religiosa distinta da quella dei patrizi, costituendo, quindi, quasi uno Stato nello Stato.
Secondo la tradizione, il grande riformatore Servio Tullio concesse alla plebe il diritto di voto nei comizi centuriati, un’assemblea popolare dove avevano accesso anche i patrizi. Da allora col termine populus romanus si intese la comunità costituita da patrizi e da plebei. Tutto il periodo arcaico della storia di Roma, fino agli inizi del 3° secolo a.C., è caratterizzato dalle tensioni sociali esistenti tra patrizi – gelosi dei loro privilegi – e plebei – che cercavano in ogni modo di cancellare l’esclusione dal potere operata ai loro danni. Per far questo la plebe fece ricorso, per la prima volta nella storia, allo sciopero, ritirandosi in massa fuori della città, sul colle dell’Aventino. Grazie anche a queste azioni clamorose i plebei ottennero lentamente la parificazione dei loro diritti con quelli dei patrizi.
A partire dagli inizi del 5° secolo a.C. i plebei ottennero il diritto di poter eleggere propri rappresentanti nelle magistrature, i tribuni della plebe (i più importanti furono i due fratelli Gracchi). Alla metà del secolo fu inoltre stabilito che le leggi, scritte, fossero sottratte all’arbitrio dei patrizi: si ebbero così le leggi delle XII Tavole.
A metà del secolo successivo i plebei ottennero l’accesso al consolato, la massima magistratura dello Stato romano. Dopo di allora i plebei furono ammessi a tutte le magistrature, un tempo riservate ai soli patrizi; si ebbe quindi una nobilitas patrizio-plebea. A partire dal 300 a.C., quando i plebei entrarono a far parte dei collegi dei pontefici e degli àuguri, si registrò la completa parificazione tra patrizi e plebei. La conflittualità sociale non opponeva quindi più patrizi ricchi e con pieni diritti a plebei poveri e privi di diritti: basti pensare che, nel periodo della tarda repubblica romana, Marco Licinio Crasso, il cittadino romano più ricco in assoluto e uno dei più influenti, era di famiglia plebea!
I termini patrizi e plebei continueranno a essere usati dagli autori antichi anche nei periodi successivi all’anno 300 a.C., ma con accezioni diverse, a indicare genericamente ricchi e poveri, senza effettivo riferimento ai ceti originari. In particolare il termine plebe indicherà la popolazione delle città dell’Impero e di Roma in particolare, priva di propri mezzi di sostentamento e dipendente, in maniera più o meno completa, dall’assistenza pubblica.