Pattinaggio
Fino all'avvento della moderna bicicletta, il pattinaggio su ghiaccio ha rappresentato la forma più veloce di locomozione umana, diffusa fra i popoli nordici da tempi remoti. Dal pattinaggio su ghiaccio, che si è costituito come disciplina sportiva all'inizio del 19° secolo, è derivato, alla fine dello stesso secolo, quello a rotelle: infatti i pattini a rotelle furono ideati principalmente per consentire l'allenamento degli atleti in assenza di ghiaccio.
sommario. 1. Origini del pattinaggio sul ghiaccio. 2. Aspetti di biomeccanica. 3. Caratteristiche fisiche del pattinatore. □ Bibliografia.
Il pattinaggio su ghiaccio era praticato già in età antichissima dai popoli nordici che, durante l'inverno, per i loro spostamenti usavano pattini rudimentali, costruiti con le ossa delle zampe o con le costole di animali di grossa taglia, assicurati alle scarpe per mezzo di cinghie di cuoio. Dal 14° secolo gli olandesi utilizzarono tavolette di legno provviste di una lastrina piatta di ferro; per avanzare, il pattinatore puntava sul ghiaccio un bastone di legno. Due secoli dopo si cominciò a usare una lama sottile di ferro arrotondata alle estremità, che consentiva di spingere con un piede e scivolare in avanti con l'altro, eliminando la necessità del bastone; questa forma di pattino è sostanzialmente simile al Dutch roll tuttora in uso. Nel 1848, E.W. Bushnell inventò i pattini d'acciaio e circa vent'anni dopo il famoso pattinatore J. Haines adottò la scarpa con il pattino direttamente attaccato alla suola, che conferiva ampia possibilità di movimento consentendo di ballare e saltare. Ulteriori perfezionamenti si ebbero nel 1870, quando la parte anteriore della lama fu provvista di dentini per aiutare nella frenata e nel salto, e, ancora, nel 1914 quando J.E. Strauss, un fabbricante di pattini di St. Paul (Minnesota) disegnò una lama costituita da un unico pezzo di acciaio che rendeva i pattini più leggeri e solidi. Oggi, per le diverse specialità, esistono varietà differenti di pattini.
Sulle lunghe distanze i pattini permettono di mantenere una velocità doppia rispetto alla corsa, 40-45 km/h invece di 20 km/h, e un risparmio energetico del 15%. Questo dipende dal fatto che la meccanica della locomozione sui pattini è molto diversa da quella della corsa. In quest'ultima la forza di reazione dovuta alla spinta del piede è diretta principalmente verso l'alto, la spinta avviene in una posizione fissa e, a ogni passo, la gamba deve essere riportata in avanti per riprendere contatto con il terreno; la necessità di riassumere la posizione di spinta è costosa, comportando un dispendio di energia, circa l'80% del totale, che non serve direttamente alla progressione. Nel pattinaggio, invece, durante l'avanzamento la gamba che spinge rimane sempre indietro rispetto al tronco, portandosi nella posizione di scivolata piuttosto lentamente e l'80% della potenza sviluppata dai muscoli viene utilizzata per la progressione.
La spinta di una gamba, Fp, durante la scivolata dell'altra, è applicata perpendicolarmente alla linea y di contatto pattino/ghiaccio ed è diretta verso il centro di massa del corpo; poiché la lamina non è parallela alla direzione della progressione ma forma un angolo, la componente utile in avanti della forza di spinta è piuttosto ridotta. Da questa spinta laterale con una gamba e poi con l'altra deriva la traiettoria sinusoidale di avanzamento caratteristica del pattinaggio, in parte smorzata dal movimento del braccio del lato opposto che tende a controbilanciare la spinta della gamba. La spinta è determinata dall'estensione della gamba, con una limitata flessione plantare per evitare un eccessivo attrito sul ghiaccio con la punta del pattino. Il muscolo quadricipite è il propulsore principale, mentre il gastrocnemio, il bicipite femorale, il semitendinoso e il semimembranoso lavorano per stabilizzare il ginocchio durante lo spostamento del peso da una gamba all'altra. In un'analisi cinematica e cinetica della spinta, compiuta da biomeccanici olandesi, si è osservato che questa tecnica non solo limita il contributo dei muscoli flessori plantari, ma anche il lavoro compiuto dai muscoli estensori del ginocchio. Infatti, durante il movimento balistico di estensione della gamba, la limitata flessione plantare porta alla perdita di contatto con il ghiaccio molto prima che la gamba sia completamente estesa; l'angolo del ginocchio in questo istante è solo di 160°. Su questa osservazione, gli stessi ricercatori hanno ideato e costruito un pattino con una cerniera tra lama e punta della scarpa, che consente di mantenere il contatto con il ghiaccio anche durante la flessione plantare e prolungare la spinta fino alla completa estensione della gamba. Ciò ha determinato un aumento della potenza esterna sviluppata e della velocità, rispettivamente di circa il 15% e il 7%.
Nel pattinaggio su ghiaccio a ogni passo il lavoro meccanico esterno viene compiuto per vincere sia l'attrito sul ghiaccio sia la resistenza dell'aria e, nel caso dell'accelerazione iniziale, anche allo scopo di aumentare l'energia cinetica del corpo. Lo scivolamento dei pattini sul ghiaccio viene ostacolato dall'attrito dinamico che si crea tra questi e il terreno. Il coefficiente di attrito, cioè il rapporto tra la forza che si oppone alla progressione e il peso del soggetto, dipende dalle caratteristiche del ghiaccio, in particolare la temperatura, e dalle caratteristiche dei pattini. In condizioni ottimali di temperatura del ghiaccio, ‒7 °C circa, il coefficiente minimo misurato nei rettilinei e nelle curve è risultato essere 0,0046 e 0,0059 rispettivamente, e ciò significa che per un pattinatore di 80 kg la forza è meno di 500g. In curva, l'accelerazione centripeta fa aumentare la forza esercitata sul terreno e quindi l'attrito sul ghiaccio; a temperature più basse o più elevate di ‒7 °C, il coefficiente di attrito su un rettilineo può crescere fino a 0,006. Un aumento del coefficiente d'attrito da 0,004 a 0,006 diminuisce la velocità di circa 0,3 m/s, e ciò comporta un aumento del tempo finale di circa 1 s nel caso di una gara sulla distanza di 500 m, e di più di 20 s sulla distanza di 10.000 m. Alle velocità fino a 12,5 m/s (45 km/h) che si possono mantenere nel pattinaggio su distanze di 10.000 m, il fattore più importante del lavoro meccanico esterno è rappresentato dalla resistenza dell'aria, D. Essa ha due componenti: una dovuta alla frizione generata nello strato limite tra il soggetto e l'aria che lo circonda (friction drag); l'altra, più importante alle velocità del pattinaggio, imputabile alla differenza di pressione provocata dall'aria spostata dal soggetto che si muove (pressure drag). Quest'ultima componente dipende da un coefficiente aerodinamico di forma, CD, dalla densità dell'aria, ρ (che dipende a sua volta da temperatura e pressione barometrica), dalla superficie frontale del pattinatore, Ap, e dalla velocità dell'aria, v, che in assenza di vento frontale è uguale alla velocità di progressione:
D = 0,5 ρ CD Ap v2.
CD, coefficiente di forma, è una grandezza senza una dimensione fisica che dipende a sua volta dalla velocità dell'aria; tuttavia, nell'ambito di velocità normalmente adottate nel pattinaggio, 12-13 m/s, può essere considerato quasi costante. Perciò a parità di Ap e di ρ, il caso di un soggetto che corre nella stessa postura, alla stessa temperatura ambiente e alla stessa pressione barometrica, l'equazione descritta può essere semplificata:
D = k´ v2
dove k´ raggruppa tutti i termini costanti. Inoltre, si può osservare che la resistenza aumenta con il quadrato della velocità, cosicché passando da 5 a 10 m/s la velocità raddoppia, ma la resistenza dell'aria aumenta di quattro volte. Ap è in media circa 0,30 m2, rispetto ai 0,65 m2 di un marciatore, e agli 0,42 m2 di un corridore. Nel pattinatore, Ap dipende dall'inclinazione del tronco e dall'articolazione del ginocchio. Un aumento dell'angolo, θ₁, di inclinazione del tronco rispetto alla coscia da 15° (tronco parallelo al terreno) a 30° fa aumentare k´ del 20%, mentre un aumento dell'angolo, θ₂+θ₃, tra gamba e coscia da 90° a 120° fa aumentare k´ del 27%. Gli angoli articolari comunemente osservati su pattinatori di alto livello sono circa 15° per il tronco e 110° per il ginocchio; i pattinatori meno esperti non riescono a mantenere questa posizione e gli angoli sono in genere aumentati del 10%. Nelle gare più brevi, quelle su 500 m che durano 40 s circa, i pattinatori tengono il tronco meno inclinato privilegiando all'economia lo sviluppo di una grande potenza, e quindi di una maggiore velocità. La posizione del tronco può essere dettata da fattori anatomofunzionali, come la relazione forza-lunghezza dei muscoli estensori della coscia, per cui essa può variare da pattinatore a pattinatore secondo la lunghezza delle leve ossee. Va anche detto che la posizione assunta dal pattinatore è tale per cui il punto di applicazione della forza di reazione, Fp, sul pattino è situato sotto l'articolazione della caviglia, esattamente in linea con il centro di massa. In questa posizione i muscoli flessori plantari non devono essere attivati per mantenere l'equilibrio. Quando la posizione del tronco è parallela al terreno, diminuisce Ap, ma aumenta la superficie su cui scorre l'aria e questo fa elevare la frizione (friction drag); aumenta però anche la portanza (lift), la forza che spinge verso l'alto un corpo che si muove in un fluido con un'angolatura rispetto alla velocità di progressione, il che fa diminuire l'attrito sul ghiaccio perché il soggetto pesa meno sul terreno. Ap, come peraltro la superficie corporea, è correlato con la statura e la massa del soggetto. La diminuzione di k´ si ottiene anche quando un pattinatore si muove nella scia di un altro che lo precede: alla distanza di 2 m, D diminuisce del 16%, a 1 m del 23%. Anche la densità dell'aria influisce notevolmente sulla prestazione, come è dimostrato dal fatto che in genere tutti i primati di velocità vengono conseguiti in altitudine. Infatti, la densità dell'aria secca è direttamente proporzionale alla pressione barometrica e questa, com'è noto, diminuisce con l'altitudine. Per es., a 1550 m sul livello del mare, dove è situato l'anello di Madonna di Campiglio, la densità dell'aria è diminuita del 18% circa. Infine il tipo di indumento può modificare l'effetto della resistenza dell'aria: la differenza tra una tuta di lana e le attuali tute molto aderenti di materiale sintetico è stata studiata nella galleria del vento e corrisponde a circa il 7% a 10 m/s e al 10% a 14 m/s.
Le gare di pattinaggio su ghiaccio si svolgono sulle distanze di 500, 1000, 1500, 3000, 5000 e 10.000 m, con tempi che vanno da poco più di mezzo minuto a circa 13 min. In queste condizioni le fonti di energia vengono utilizzate in misura diversa: nei 500 m le fonti anaerobiche (lattacide e alattacide) forniscono l'80% circa dell'energia richiesta; nei 1500 m il contributo delle fonti energetiche è quasi ugualmente ripartito tra quelle aerobiche e quelle anaerobiche, mentre nei 10.000 m le fonti aerobiche assicurano il 90% circa della richiesta complessiva. I pattinatori su ghiaccio sono quindi atleti che presentano un'elevata potenza aerobica massima, fino a 80 mlO₂/kg/min, ossia 28 W/kg, ma anche una notevole potenza anaerobica. È stata infatti osservata un'alta correlazione tra massimo consumo di ossigeno e velocità nelle prestazioni più lunghe, e tra massima potenza meccanica, nelle prove di valutazione della potenza anaerobica massima, e velocità nelle prestazioni più brevi. La determinazione diretta del massimo consumo di ossigeno durante il pattinaggio fornisce valori inferiori di circa il 10% a quelli misurati in laboratorio su cicloergometro, malgrado il fatto che i pattinatori si allenino abitualmente sulla bicicletta, quando non possono farlo sul ghiaccio. È difficile stabilire se questo sia dovuto a difficoltà tecniche nella misura sul campo, per es. l'alta velocità che bisogna raggiungere per sviluppare la massima potenza aerobica, oppure al fatto che esiste realmente un limite periferico al raggiungimento della massima potenza aerobica. I pattinatori devono mantenere il dorso il più possibile parallelo al terreno e l'angolo tra la coscia e la gamba, prima dell'estensione, deve essere pure ridotto, circa 110°, per tutto il lungo tempo della scivolata (3/4-4/5 del periodo totale): tutto ciò comporta lo sviluppo di una forza isometrica relativamente elevata, 30-35% della massima, anche da parte dei muscoli antagonisti, per mantenere meglio l'equilibrio. Il lungo periodo di contrazione isometrica durante la scivolata compromette il flusso di sangue e la perfetta ossigenazione dei muscoli che lavorano, con una conseguente maggiore produzione di acido lattico. Si è infatti notato su un piccolo gruppo di pattinatori che il consumo di ossigeno durante il pattinaggio è inferiore del 10% circa rispetto a quello misurato quando gli stessi soggetti corrono su nastro trasportatore a velocità equivalenti, e che la concentrazione di lattato ematico è significativamente inferiore. Tuttavia, ricerche sistematiche e misurazione del pH ematico su un numero maggiore di pattinatori non hanno messo in evidenza differenze sostanziali rispetto ad altri atleti di lunga distanza (ciclisti, corridori). Anche la determinazione del glicogeno muscolare ha mostrato una deplezione selettiva delle fibre muscolari lente (muscolo vasto laterale) analogamente a quanto riscontrato negli atleti che praticano le corse di fondo e il ciclismo. Le fibre rapide vengono reclutate massivamente soltanto quando quelle lente sono in gran parte esaurite di glicogeno oppure quando l'intensità dell'esercizio è più elevata, come nelle distanze più brevi con caratteristiche aerobiche più spiccate. Non è chiaro di conseguenza se le discrepanze osservate nei risultati ottenuti dipendano da un differente tipo di allenamento oppure da una diversa capacità ossidativa delle fibre muscolari. Va inoltre tenuto presente che la potenza massima sviluppata durante la spinta è circa tre volte superiore alla massima potenza sviluppata durante una pedalata, ma mentre quest'ultima dura quasi l'80% del periodo totale, nel pattinaggio dura solo il 20-25%, cosicché la potenza media risulta inferiore ed è quindi inferiore anche il dispendio energetico.
Nei pattinatori di alto livello si è osservato un rapporto fra la lunghezza degli arti inferiori e quella del tronco più elevato rispetto a quello riscontrato negli atleti che praticano altre discipline sportive. Anche il rapporto lunghezza della gamba (cioè del segmento compreso tra ginocchio e piede) e lunghezza totale dell'arto inferiore è alquanto elevato tra i pattinatori di velocità. Questo potrebbe costituire un certo vantaggio, perché una coscia relativamente corta richiede una minor forza dei muscoli estensori della coscia stessa e dell'articolazione del ginocchio durante la fase di scivolata. Come si è detto, nella posizione di gara la forza dei muscoli estensori della coscia e del ginocchio è circa un terzo del valore della massima forza ottenuta in una contrazione isometrica; questa forza, secondo la relazione forza-potenza, è quella a cui si sviluppa la massima potenza, infatti, a valori inferiori o superiori la potenza declina. Le altre caratteristiche antropometriche dei pattinatori di velocità sono simili a quelle di tutti gli atleti che praticano sport aerobici. Se da una parte il pattinatore ideale deve essere piccolo e leggero per diminuire il lavoro antigravitario e inerziale e l'attrito sul ghiaccio, dall'altra deve avere una superficie ridotta in rapporto al peso corporeo per offrire poca resistenza all'aria, e questo, a parità di potenza specifica, dovrebbe essere il caso degli atleti più alti e grossi. Come in quasi tutti gli sport, l'eccesso di grasso corporeo penalizza la prestazione, in quanto costituisce una zavorra che aumenta l'impegno metabolico dei muscoli. È noto che la percentuale di grasso corporeo è circa doppia nelle donne rispetto agli uomini; se però si esprime la potenza meccanica per unità di massa corporea magra, la differenza tra i due sessi tende ad annullarsi. Nel caso del pattinaggio, la differenza di prestazione tra uomini e donne è dovuta in gran parte alla maggior percentuale e alla diversa distribuzione del grasso corporeo. Nelle donne, infatti, la maggior quantità del grasso corporeo è situata nella porzione prossimale della coscia, l'angolo del ginocchio (θ₂+θ₃) è quindi maggiore di circa 10°, con un conseguente aumento della superficie Ap. Gli atleti di alto livello riescono a raggiungere velocità più elevate grazie a una maggiore frequenza dei passi e, specialmente, un maggior lavoro meccanico esterno per passo. Il prodotto frequenza-lavoro corrisponde alla potenza sviluppata: quanto più elevata è la potenza, tanto maggiore è la velocità che si riesce a raggiungere. Un'importante differenza tra atleti bravi e meno bravi è anche relativa alla capacità di mantenere una certa potenza per tutta la durata della gara. Gli atleti migliori compensano l'inevitabile piccola diminuzione di forza aumentando la frequenza delle spinte, quelli di minor livello mostrano un maggiore calo di forza lungo la durata della gara e pure una lieve diminuzione della frequenza cosicché la potenza sviluppata cala progressivamente e la velocità iniziale non può essere mantenuta fino alla fine. Nelle gare di pattinaggio, più ancora che in quelle di corsa, la migliore economia di gara sarebbe la riduzione al massimo delle variazioni di velocità rispetto alla velocità media. I pattinatori di alto livello recuperano quasi completamente l'inevitabile diminuzione di velocità in curva, aumentando la velocità media nei tratti rettilinei, mentre quelli meno bravi non riescono a recuperarla dopo i primi giri.
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