Patto commissorio e patto marciano
Con una pronuncia del maggio del 2013, la Corte di cassazione ha statuito che il divieto del patto commissorio non attinge il patto marciano, giacché, in quest’ultimo, il trasferimento della proprietà della cosa data in garanzia a favore del creditore non si verifica se non a prezzo equo, sulla base di una stima imparziale posteriore all’inadempimento, con eventuale versamento di conguaglio. In tal modo, la nullità del patto commissorio viene fondata su una ratio esclusivamente patrimoniale, concernente la sproporzione tra il valore del bene in garanzia e l’entità del credito garantito. In una dimensione meramente economica, il divieto del patto commissorio si presta ad essere vanificato da un’impropria reductio ad aequitatem. Esso, tuttavia, malgrado alcuni fattori di crisi, può essere investito di una rinnovata funzione, quale presidio dei valori costituzionali di solidarietà nelle relazioni obbligatorie e dignità nei rapporti economici.
Negli ultimi anni, ha acquisito rinnovata centralità il dibattito sul rapporto – di giustapposizione o di contrapposizione – tra le figure del patto commissorio e del patto marciano.
Il patto commissorio è «il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore». L’art. 2744 c.c., che offre tale definizione, fulmina di nullità l’accordo, non soltanto quando esso sia contestuale all’istituzione della garanzia (patto in continenti), ma «anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno» (patto ex intervallo). La norma sanzionatoria – che l’art. 2744 c.c. formula tra le disposizioni generali sulla responsabilità patrimoniale – si trova anticipata dall’art. 1963 c.c., in materia di anticresi («è nullo qualunque patto, anche posteriore alla conclusione del contratto, con cui si conviene che la proprietà dell’immobile passi al creditore nel caso di mancato pagamento del debito»).
Il patto marciano è ignoto alla legge positiva, ma gode di una millenaria tradizione dogmatica, risalendo ad una probabile interpolazione giustinianea di un testo del giurista Marciano, che permetteva al creditore insoddisfatto di appropriarsi della cosa ricevuta in garanzia, purché stimata al giusto prezzo («rem iusto pretio tunc aestimandam»: D.20.1.16.9).
Del rapporto tra le due figure si è occupata una sentenza della Corte di cassazione, pubblicata nel maggio del 2013, ove è affermata la validità del patto marciano, sulla base dell’identica ratio che, a segno invertito, fonderebbe la nullità del patto commissorio1.
1.1 Gli argomenti della Suprema Corte
I giudici di legittimità non celano quanto sia stata discussa e sia tuttora opinabile la ratio della nullità del patto commissorio; evocano le tesi più diffuse, incentrate sulla tutela del debitore bisognoso, sulla par condicio creditorum o su entrambe; non dimenticano la tesi del monopolio statuale della funzione esecutiva, ostativo all’autotutela creditoria, né l’altra, per cui si tratterebbe di evitare che il patto commissorio divenga clausola di stile.
La decisività della questione teleologica è messa in relazione alla natura del divieto, qualificato come «norma materiale», che invalida, cioè, non un predeterminato mezzo negoziale, bensì il risultato giuridico ed economico avversato dagli artt. 1963 e 2744 c.c.
Su base finalistica, il perimetro applicativo del divieto ha incluso – con una progressione ultraletterale evidenziata e condivisa dai giudici di legittimità – il patto commissorio autonomo, non adietto, cioè, a pegno, ipoteca o anticresi, nonché la vendita con patto di riscatto o retrovendita, se compiuta a scopo di garanzia e, quindi, in frode alla legge.
Riguardo agli «elementi sintomatici» della frode alla legge, «più che l’indagine sull’atteggiamento soggettivo delle parti», conta «l’accertamento di dati obiettivi, quali la presenza di una situazione credito-debitoria (preesistente o contestuale alla vendita) e, soprattutto, la sproporzione tra entità del debito e valore del bene alienato in garanzia»; la sproporzione, invero, denunzia «una situazione di approfittamento della debolezza del debitore da parte del creditore, che tende ad acquisire l’eccedenza dì valore, così realizzando un abuso che il legislatore ha voluto espressamente sanzionare».
Se ne trova conferma nel fatto che «l’illiceità è invece esclusa, pur in presenza di costituzioni di garanzie che postulano un trasferimento di proprietà, qualora queste siano integrate da schemi negoziali che il menzionato abuso escludono in radice, come avviene nel caso del pegno irregolare (art. 1851 c.c.), del riporto finanziario e del cd. patto marciano, in virtù del quale, al termine del rapporto, si procede alla stima ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entità del credito».
«Argomentando a contrario dalla liceità delle figure ora menzionate», la Corte innesta la ratio del divieto di patto commissorio sulla «sproporzione tra entità del credito e valore del bene, e conseguente abusiva appropriazione dell’eccedenza».
Viene giudicato irrilevante che tale sproporzione non sia espressamente richiesta dagli artt. 1963 e 2744 c.c., in quanto «il legislatore, nel formulare un giudizio di disvalore nei riguardi del patto commissorio, ha fondatamente presunto, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, che, in siffatta convenzione, il creditore pretende, di regola, una garanzia eccedente l’entità del credito».
Ad avviso della Corte, l’esistenza della norma generale di cui all’art. 1448 c.c. non implica che la sproporzione rilevi unicamente agli effetti della rescissione per lesione, giacché «resta da dimostrare l’assoluta coerenza del sistema sanzionatorio previsto dal codice civile, nel quale si rinvengono ipotesi di tutela del contraente debole mediante l’irrogazione della nullità (artt. 1341, 1815, co. 2)»: il divieto ex artt. 1963 e 2744 c.c. «esprime una specifica valutazione legale di riprovevolezza del patto commissorio, in virtù della sua intrinseca elevata potenzialità – per frequenza di impiego e facilità di realizzazione – a determinare il rischio (presunto) di produrre effetti che l’ordinamento non consente e che si risolvono, in definitiva, in un eccesso di garanzia per il creditore e di responsabilità patrimoniale per il debitore».
1.2 Il quadro giurisprudenziale recente
Nel distinguere il patto commissorio dal negozio fiduciario con causa lecita – valido, quest’ultimo, per non essere la retrovendita condizionata all’adempimento del fiduciante –, la Suprema Corte ha ribadito la natura materiale del divieto ex artt. 1963 e 2744 c.c., sull’assunto che «qualsiasi negozio può integrare tale violazione, quale che ne sia il contenuto, nell’ipotesi in cui venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, di far ottenere al creditore, mediante l’illecita coercizione del debitore al momento della conclusione del negozio, la proprietà del bene dell’altra parte, nel caso in cui questa non adempia la propria obbligazione»2.
Quindi, «anche un contratto preliminare di compravendita può incorrere nella sanzione dell’art. 2744 c.c., ove risulti l’intento primario delle parti di costituire, con il bene promesso in vendita, una garanzia reale in funzione dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore con altro negozio collegato», purché «i contraenti abbiano predisposto un meccanismo (quale la previsione di una condizione) diretto a far sì che l’effetto definitivo e irrevocabile del trasferimento si realizzi solo a seguito dell’inadempimento del debitore promittente venditore»: allora, infatti, «il contratto preliminare viene impiegato per conseguire l’illecita coartazione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, per cui non sussiste la causa di scambio, tipica di ogni contratto di compravendita, ma il preliminare costituisce il mezzo per raggiungere il risultato vietato dalla legge»3.
Sulla medesima linea, può rilevare il collegamento tra il preliminare di vendita e il definitivo con cui il promittente venditore aliena il bene al creditore del promissario acquirente, ove tali negozi rispondano ad uno scopo esclusivo di garanzia: «non può ritenersi di per sé ostativo alla configurabilità del patto commissorio il fatto che il venditore sia rimasto estraneo all’accordo, in quanto ciò che conta è che i contratti, nell’intenzione del creditore e del debitore, siano stati rivolti al conseguimento di un risultato identico a quello vietato dall’art. 2744 c.c.»4.
Il risultato commissorio è stato evidenziato nell’appropriazione dell’immobile anticretico, senza che rilevi l’equità del prezzo, giacché unicamente rileva lo snaturamento causale dell’atto5, nonché nel rilascio di una procura irrevocabile a vendere, essendo in re ipsa «la coartazione del debitore, preventivamente assoggettatosi alla discrezione del creditore, per l’ipotesi d’inadempimento del debito»6, ed irrilevante essendo il pattuito obbligo del creditore di riversare al debitore la quota di prezzo eventualmente superiore all’ammontare del debito garantito7; quel risultato è stato escluso, invece, nel sale and lease back «isolato», tra soggetti, cioè, non legati da preesistente o coevo rapporto obbligatorio, in assenza, peraltro, della sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene, che è tra gli «indici sintomatici della frode»8.
Entro tale contesto si iscrive la decisione sul patto marciano.
L’apparato motivazionale ad essa proviene, in larga misura, dalla sentenza che, circa vent’anni fa, ha tendenzialmente legittimato il sale and lease back, quale contratto d’impresa socialmente tipico9.
Gli argomenti reiterati occorre misurare alla luce del dibattito odierno, fattosi quanto mai vivace, intorno alla lex marciana.
L’ipotesi della validità del patto marciano deve essere riguardata, oggi, nella prospettiva della crisi del divieto di patto commissorio.
Assai eloquente è la vicenda francese.
La riforma delle sûretés (ord. 23.3.2006, n. 346), abrogata la comminatoria di nullità del patto commissorio (artt. 2078, 2088 code civil), ha ammesso il patto marciano, ad effetto del quale il creditore insoddisfatto diviene proprietario del bene in garanzia, corrispondendo l’eccedenza di valore al debitore o, se ve ne sono, agli altri creditori pignoratizi e ipotecari (artt. 2348, 2459, 2460 code civil).
Nell’ordinamento nazionale, la crisi del divieto di patto commissorio è testimoniata dall’art. 6, co. 2, d.lgs. 21.5.2004, n. 170, il quale, in attuazione della direttiva 2002/47/CE, dispone che «ai contratti di garanzia finanziaria che prevedono il trasferimento della proprietà con funzione di garanzia, compresi i contratti di pronti contro termine, non si applica l’art. 2744 c.c.»; fermo che, ai sensi dell’art. 4, l’appropriazione delle attività finanziarie avviene sino a concorrenza del valore dell’obbligazione garantita, con restituzione dell’eccedenza.
Il divieto del patto commissorio viene lambito, altresì, da forme creditizie importate dagli ordinamenti anglosassoni, cui il divieto medesimo è sostanzialmente ignoto; così, il prestito vitalizio ipotecario, introdotto dall’art. 11 quaterdecies, co. 12, d.l. 30.9.2005, n. 203, conv. in l. 2.12.2005, n. 248, finanziamento riservato agli ultrasessantacinquenni come strumento di liquidazione ante mortem dell’immobile ipotecato, salva restituzione dell’eccedenza agli eredi (equity release, lifetime mortgage, reverse mortgage).
D’altronde, la progettata codificazione europea sembra aver individuato nella legittimazione del patto marciano la chiave di volta di una strategia di mediazione tra gli ordinamenti che ignorano il divieto del patto commissorio e gli ordinamenti che ne perpetuano la tradizione.
Il Draft of a Common Frame of Reference, in particolare, ribadisce l’invalidità dell’accordo commissorio («predefault agreement on appropriation of encumbered assets»), ma eccettua le ipotesi in cui la garanzia abbia ad oggetto beni fungibili a quotazione corrente o le parti abbiano concordato un metodo di stima, ipotesi nelle quali il creditore insoddisfatto ha titolo all’appropriazione dell’asset per il valore di mercato o di stima, con obbligo di restituzione dell’eccedenza (DCFR, IX, 7:105).
2.1 Sulla validità del patto marciano
La crisi del divieto di patto commissorio si manifesta, dunque, con nettezza, sul versante comparatistico, tanto che la Suprema Corte, a Sezioni Unite, ha escluso la pertinenza di tale divieto all’ordine pubblico internazionale, giacché il patto commissorio «non è conosciuto, né vietato, in una (sicuramente rilevante) parte dell’Unione europea»10.
La perentorietà di questa esclusione ha suscitato qualche riserva11.
Essa parrebbe assecondare, tuttavia, una prospettiva di larga sdrammatizzazione del divieto di patto commissorio, che, nel quadro giuridico europeo, viene derubricato, come attesta la riforma transalpina, ad un divieto di arricchimento ingiustificato, un divieto strettamente patrimoniale, quindi, cui resterebbe estraneo il patto marciano12.
Lungo questa direttrice, anzi, l’ordinamento italiano accuserebbe notevoli ritardi.
Soprattutto in materia immobiliare, il nostro legislatore manterrebbe una policy conservatrice e i formanti interpretativi un approccio paternalistico, mentre la tutela del debitore esigerebbe unicamente la proporzionalità tra importo del debito e valore della garanzia13.
Da tempo, agli interpreti italiani è stato rimproverato un «isomorfismo» nel segno della rigidità, che si manifesterebbe nella negazione di ogni temperamento degli effetti della nullità del patto commissorio e nell’emarginazione del patto marciano14.
Si è proposto, quindi, di «attribuire un ruolo decisivo al patto marciano, inteso non solo come espressa convenzione negoziale, ma anche come meccanismo operante ex lege, in base ai principi fondamentali dell’ordinamento, idoneo a riequilibrare, senza travolgerle con la nullità, le fattispecie nelle quali sia presente un patto commissorio»15.
La logica della proporzionalità tra i valori, sottesa al patto marciano, dovrebbe assumere il «ruolo di guida» nella prospettiva rimediale dell’intervento correttivo del giudice16.
In materia di lease back, ad esempio, laddove non risulti pattuita la cautela marciana, si propone di applicare analogicamente la disposizione dell’art. 2803 c.c., sull’obbligo restitutorio dell’eccedenza a carico del creditore pignoratizio nel pegno di crediti17.
Tale impostazione riduce lo specifico divieto del patto commissorio ad un mero riflesso del generale divieto di ingiustificato arricchimento, sicché l’illiceità non sarebbe in re ipsa, ma andrebbe verificata in concreto, sul piano dell’equilibrio negoziale18.
La causa concreta legittimerebbe il mandato a vendere in rem propriam, se il creditore mandatario, una volta soddisfattosi sul ricavato, dovesse consegnare l’eccedenza al debitore mandante, purché si trattasse di un autentico patto marciano, con stima compiuta dopo l’inadempimento e ad opera di un terzo imparziale19.
Come dalla tipicità legale del pegno irregolare, così dalla tradizionale validità del patto marciano, si desume che «le ipotesi di trasferimento di proprietà in funzione di garanzia non urtano contro il divieto del patto commissorio tutte le volte in cui è previsto un meccanismo di valutazione, successivo all’inadempimento, che consenta di evitare un arricchimento del creditore ai danni del debitore»20.
Del resto – prescissi i limiti applicativi della normativa di settore, oggettivamente circoscritta al financial collateral arrangement21 e soggettivamente dedicata agli operatori «istituzionali»22 –, il patto marciano è stato legittimato per i contratti di garanzia finanziaria con trasferimento dominicale, avendo il legislatore sottratto tali negozi al divieto ex art. 2744 c.c., purché l’appropriazione non ecceda il valore del debito e sia restituito l’esubero23.
Nell’ambito di una revisione critica della par condicio creditorum, della tassatività delle garanzie reali e del divieto di autotutela esecutoria, la clausola marciana viene eletta senz’altro a paradigma di evoluzione del sistema24.
2.2 Sull’invalidità del patto marciano
Anche nella dottrina recente, la validità del patto marciano non è affatto indiscussa.
Talora, la questione è impostata in termini causali. Individuata la ratio del divieto di patto commissorio nell’«irragionevolezza del disporre in funzione di garanzia», dovendo la garanzia rispondere all’interesse creditorio all’adempimento e non all’interesse creditorio all’appropriazione, trovano spiegazione la validità della datio in solutum, alienazione in funzione non di garanzia, ma, appunto, di adempimento, e l’invalidità del patto marciano, atteso che l’equità dei valori non può supplire all’inettitudine causale di un negozio di garanzia attributivo della proprietà25.
Talaltra, si fa leva sulla par condicio creditorum. Individuata la ratio del divieto di patto commissorio nel principio di eguaglianza dei creditori, avente rango costituzionale, si evidenzia la lesione che ad esso infligge il patto marciano, il quale, vincolando il bene al soddisfacimento del creditore stipulante, lo sottrae all’aggressione degli altri creditori, per di più, mantenendo al privilegiato la garanzia patrimoniale ordinaria per l’eventuale residuo creditorio26.
Talaltra, ancora, si pone al centro la libertà morale del debitore. Individuata la ratio del divieto di patto commissorio nella presunzione assoluta di debitoris suffocatio, fondata sulla capziosità di un’appropriazione che sfrutta il bisogno qualificato del debitore e la sua illusione di conservare o riprendere il dominio, si sottolinea che la clausola di stima, incidendo unicamente sull’aspetto patrimoniale del negozio, non è sufficiente ad escludere a priori l’equivalenza al risultato coercitivo e insidioso del patto commissorio, sicché anche il patto marciano, come ogni alienazione condizionata all’inadempimento, può consumare la frode alla legge ex art. 1344 c.c.27.
Lo squilibrio tra le prestazioni è un elemento sintomatico dell’approfittamento, non è l’elemento costitutivo della fattispecie commissoria28.
Questa viene integrata da ogni operazione, semplice o complessa, il cui risultato finale sia l’assoggettamento esecutivo del debitore, tramite compressione della libertà negoziale, a prescindere dal rapporto tra valore del bene ed ammontare del debito29.
La liceità del patto marciano è considerata tuttora incerta, quindi, proponendosi una soluzione mediana, coerente al quadro giuridico europeo, che la validità di tale negozio ammette entro certi limiti, oggettivi (garanzia su danaro, azioni, obbligazioni o crediti) e soggettivi (rapporti d’impresa inter pares)30.
Il nodo gordiano del patto commissorio avviluppa, tuttora, la ratio del divieto.
Trattandosi di una norma materiale, lo spazio applicativo viene fissato dall’ampiezza del risultato commissorio, irrilevante essendo la struttura del negozio-mezzo.
Per contrapporre la nullità del patto commissorio e la validità del patto marciano, occorre assegnare, quindi, al divieto ex artt. 1963 e 2744 c.c. una ratio sensibile all’unico elemento che distingue le due figure, cioè, all’equivalenza – programmatica e non meramente occasionale – tra la cosa in garanzia e il credito garantito.
La teorizzata, aprioristica, liceità del patto marciano esige che il divieto del patto commissorio sia animato da una ratio esclusivamente patrimoniale, inerte non appena la clausola di stima escluda il rischio di locupletatio.
Resta da chiarire per quali motivi il legislatore si sarebbe determinato ad irrogare la sanzione estrema della nullità per un negozio il cui solo difetto risiederebbe nello squilibrio economico tra le prestazioni.
La Suprema Corte pone questo tema sotto la rubrica della «coerenza del sistema sanzionatorio»: coerenza sistematica che potrebbe, e dovrebbe, orientare l’interprete e che, viceversa, i giudici di legittimità non temono di revocare in dubbio.
3.1. La rilevanza dell’equilibrio patrimoniale
Quando il legislatore ha voluto costruire una fattispecie astratta intorno all’elemento dello squilibrio patrimoniale tra le attribuzioni, non ha esitato a dirlo (scilicet, per la rescissione del contratto), né ha mancato di tracciare la soglia di rilevanza della lesione (ultra quartum ex art. 763 c.c., ultra dimidium ex art. 1448 c.c.).
Che il divieto del patto commissorio sia formulato senza riferimento alcuno alla (carenza di) proporzionalità tra valore della cosa in garanzia ed entità del credito garantito è un’evidenza positiva, difficile da trascurare.
Essa testimonia che il legislatore ha inteso collocare la norma in una dimensione non patrimoniale, rectius, non essenzialmente patrimoniale.
L’eccedenza del valore della cosa rispetto all’importo del credito può avere – e normalmente ha – un rilievo presuntivo nell’individuazione del patto commissorio occulto (dissimulato o indiretto), atteso che la supercapienza del bene rappresenta un chiaro indizio della funzione di garanzia.
Quell’eccedenza non possiede, invece, un rilievo costitutivo della fattispecie commissoria, se non si vuol manipolare in senso additivo la norma che ne delinea gli estremi.
Il negozio commissorio è vietato ex se, ove pure fosse equo nelle condizioni patrimoniali.
In ordine alla rilevanza dello squilibrio economico, quale presupposto di operatività del divieto di patto commissorio, la giurisprudenza di legittimità – evidenziata negli arresti più recenti – appare oltremodo incerta.
Quando dichiara nullo il patto di acquisizione dell’immobile anticretico senza riguardo per l’equità del prezzo o quando riconosce la natura commissoria della procura a vendere a dispetto dell’obbligo del creditore di riversare al debitore la quota di prezzo eccedente l’ammontare del debito, la Suprema Corte mostra di reputare estraneo alla sostanza del patto commissorio l’estremo della lesione patrimoniale.
Al contrario, quando dichiara valido il patto marciano con l’argomento che vi è esclusa la sproporzione tra il valore del bene e l’entità del credito o che, almeno, vi è al creditore impedito di appropriarsi dell’eccedenza, la Suprema Corte osserva una logica squisitamente patrimonialistica.
In realtà, il divieto del patto commissorio non tutela il patrimonio dell’obbligato, ma ne difende la libertà. Esso soccorre il debitore che, versando in una situazione di bisogno qualificato, rivelata dall’istituzione di una garanzia reale, trasferisce la proprietà sotto condizione di inadempimento, capziosamente indotto dalla prospettata eventualità di conservare il bene, o di recuperarlo, mercé il tempestivo adempimento.
Il contesto del patto marciano non è differente. Anche qui, il debitore aliena un bene al creditore, sotto condizione di inadempimento, in funzione di garanzia.
L’obbligo del creditore di pagare l’eccedenza stimata al tempo dell’inadempimento rappresenta un fattore di atipicità rispetto al paradigma commissorio, idoneo a disattivare la presunzione assoluta di debitoris suffocatio, sottesa alla comminatoria di nullità ex artt. 1963 e 2744 c.c.; esso non è sufficiente, tuttavia, ad escludere a priori l’aggiramento fraudolento della comminatoria medesima, che il giudice potrà ricostruire come d’ordinario, ai sensi dell’art. 1344 c.c.
L’assimilazione della figura atipica del patto marciano alle figure tipiche del riporto e del pegno irregolare – operata dalla Suprema Corte per trasferire a quella il giudizio di liceità che il codice civile riserva a queste – non sembra persuasiva.
A norma degli artt. 1548 e 1851 c.c., riportato e datore di pegno alienano irrevocabilmente la proprietà dei valori al riportatore e al creditore pignoratizio, il cui obbligo restitutorio (per l’intero o l’esubero) concerne il tantundem.
Non ricorre, quindi, la struttura condizionale dell’alienazione, che – nel patto commissorio e nel patto marciano – insidia il debitore bisognoso, inducendolo ad un trasferimento provvisorio, con la speranza dell’adempimento risolutore.
In concreto, si può veramente dubitare che l’alienazione in garanzia di beni infungibili – il macchinario strategico, il brevetto conteso, l’ambìto immobile, il quadro d’autore – sia emendata da ogni asperità commissoria sol perché, al momento della spoliazione definitiva, viene pagato un conguaglio.
3.2 La coerenza del sistema rimediale
Il carattere estremo della sanzione di nullità è alla base delle teorie che individuano la ratio del divieto di patto commissorio nella salvaguardia di interessi pubblici (monopolio statuale della funzione esecutiva, prevenzione della stilizzazione di una garanzia atipica).
Queste impostazioni si distaccano nettamente dalle concezioni patrimonialistiche, non soltanto dal lato debitorio, ché il requisito della lesione patrimoniale non ha fondamento positivo, ma anche dal lato creditorio, in quanto la sanzione per gli accordi pregiudizievoli ai creditori non è la nullità, ma l’inefficacia relativa, ai sensi dell’art. 2901 c.c.
D’altronde, la pubblicizzazione della fattispecie trasfigura in senso collettivo l’essenza individuale del bene giuridico, che sta nella libertà morale del debitore.
Quando è soggetto ad un vincolo reale (anche se implicito in un’alienazione provvisoria), il debitore si trova nella condizione di minima resistenza e di massima esposizione, una condizione assai più severa del generico stato di bisogno che legittima l’azione generale di rescissione per lesione, ai sensi dell’art. 1448 c.c.
L’espropriazione negoziale che ne approfittasse captiose altro non potrebbe esser che nulla, in funzione dell’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, prescritto dall’art. 2 Cost., e del rispetto della dignità della persona, limite all’iniziativa economica privata sancito dall’art. 41 Cost.
È assicurata la perfetta coerenza del quadro sanzionatorio e rimediale.
Per la fattispecie abusiva generica, ai sensi dell’art. 1448 c.c., viene irrogata la sanzione meno intensa o – se si preferisce – viene approntato il rimedio meno drastico.
Per la fattispecie abusiva aggravata, ai sensi degli artt. 1963 e 2744 c.c., viene irrogata la sanzione più aspra o – se si preferisce – viene approntato il rimedio più incisivo.
La ratio nullitatis non concerne l’iniquità nel disporre, ma l’illibertà del disporre.
Il patto marciano non è estraneo a questa ragione di nullità.
Esso non è la panacea del sistema delle garanzie reali.
1 Cass., 9.5.2013, n. 10986.
2 Cass., 20.2.2013, n. 4262.
3 Cass., 21.5.2013, n. 12462.
4 Cass., 8.2.2013, n. 3134.
5 Cass., 12.1.2009, n. 437.
6 Cass., 5.3.2010, n. 5426.
7 Cass., 10.3.2011, n. 5740.
8 Cass., 3.2.2012, n. 1675.
9 Cass., 16.10.1995, n. 10805.
10 Cass., S.U., 5.7.2011, n. 14650.
11 Martino, M., Le Sezioni Unite sui rapporti tra divieto del patto commissorio e ordine pubblico internazionale, in Giur. comm., 2012, II, 693 s.
12 Fiorentini, F., La riforma francese delle garanzie nella prospettiva comparatistica, in Europa e dir. priv., 2006, 1198.
13 Fiorentini, F., Le garanzie immobiliari in Europa. Studio di diritto comparato, Berna, 2009, 525 ss.
14 Bussani, M., Il problema del patto commissorio. Studio di diritto comparato, Torino, 2000, 290 ss.
15 Cipriani, N., Patto commissorio e patto marciano. Proporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, 296 s.
16 Macario, F., Circolazione e cessione dei diritti in funzione di garanzia, in Riv. dir. civ., 2006, fasc. 6, 407 s.
17 Rispoli, G., Lease back: chiaroscuri applicativi fra funzione di finanziamento e garanzia, in Giur. it., 2012, 579.
18 Agabitini, C., Recenti orientamenti giurisprudenziali in tema di patto commissorio, in Riv. crit. dir. priv., 2012, 140 ss.
19 Adilardi, G., Brevi osservazioni in tema di divieto di patto commissorio, causa concreta del contratto e patto marciano, in Giust. civ., 2011, I, 1456 s.
20 Salvatore, B., Circolazione dei beni ed evoluzione del divieto del patto commissorio, in Notariato, 2012, 725 ss.
21 Carrière, P., La nuova normativa sui contratti di garanzia finanziaria. Analisi critica, in Banca borsa, 2005, I, 184 ss.
22 Gabrielli, E., Contratti di garanzia finanziaria, in Dig. civ., Aggiornamento, I, Torino, 2007, 306.
23 Tarantino, G., Patto commissorio, alienazioni in garanzia ed autonomia privata: alla ricerca di un difficile equilibrio, in Contratti, 2012, 1030 s.
24 Murino, F., L’autotutela nell’escussione della garanzia finanziaria pignoratizia, Milano, 2010, 7 ss.
25 Minniti, G.F., Patto marciano e irragionevolezza del disporre in funzione di garanzia, in Riv. dir. comm., 1997, I, 46 ss.
26 Barbiera, L., Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Comm. c.c. Schlesinger, II ed., Milano, 2010, 305 s., 315 ss.
27 Carbone, E., Debitoris suffocatio e patto commissorio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2012, 1108 s.
28 Trotta, A., Il patto commissorio autonomo: tradizione e cambiamento, in Giur. it., 2013, 343 s.
29 Cilento, A., Convenzioni commissorie tra integrità del consenso e funzione negoziale, in Banca borsa, 2013, II, 213 s.
30 Trimarchi, M., The predefault agreement on appropriation of an encumbered asset: “patto commissorio” and “patto marciano”, in Alpa, G.-Iudica, G., a cura di, Draft Common Frame of Reference (DCFR). What for?, Milano, 2013, 83.