PATTO (pactum)
Diritto romano. - Dal verbo pacio o paciscor che letteralmente significa "fare la pace", il patto indica nel più antico latino (ad es. nelle XII Tavole) l'accordo fra delinquente e offeso per il riscatto dalla vendetta. Da ciò la regola che l'azione di furto o d'ingiuria si estingue per pactum.
Nell'editto del pretore il nome di patto è dato a un accordo non formale intervenuto fra le parti d'un rapporto di obbligazione, nel senso che il creditore non debba più chiedere l'adempimento, o possa chiederlo soltanto dopo un certo tempo. Nel primo caso, l'intenzione evidente è di rimettere il debito: mancando la forma solenne, per diritto puro (ius civile) l'obbligazione resta; ma il pretore fornisce al debitore chiamato in giudizio un'eccezione perentoria, mediante la quale il creditore e respinto. Un'eccezione analoga, ma dilatoria, è data nel caso che l'intesa mirasse a un differimento.
Ma i giuristi classici adoperano la parola pactum a indicare qualsiasi accordo di volontà, sempre che vogliano sottolineare la sua minore efficacia, o il valore puramente accessorio, rispetto ad atti giuridici aventi pienezza di effetti o capaci di produrne per sé soli. Quando, ad es., si dice che la proprietà si acquista con i mezzi giuridici appositi e non con i semplici patti (nudis pactis), sotto il nome di patti si comprendono tutti gli atti produttivi di obbligazione, appunto perché in questa ipotesi sono tutti insufficienti. Il più delle volte antitesi del patto è il contratto; ma ancora in vario senso. Certe convenzioni ignote al diritto civile, ma protette dal pretore, sono chiamate patti per indicare che contratto vero e proprio è soltanto quello riconosciuto dall'antico costume o dalla legge. Ma patto è anche la convenzione accessoria aggiunta a un contratto per mutarne in qualche modo gli effetti normali; il che può avvenire all'atto stesso del contratto (in continenti), nel qual caso la volontà delle parti è attuata, se non dal diritto civile stesso, almeno mediante ripieghi escogitati dal pretore; oppure successivamente (ex intervallo), di solito senza efficacia giuridica. Nel mondo bizantino la dottrina dei patti o convenzioni (σύμϕωνα) è trattata con predilezione, dando luogo a innumerevoli distinzioni e classificazioni: basti ricordare il lungo brano di Stefano, contemporaneo di Giustiniano, che nei manoscritti dei Basilici fu premesso al titolo dei patti (11, 1), e la più tarda Meditatio de nudis pactis.
Bibl.: C. Manenti, Contributo alla teoria generale dei pacta, in Studî senesi, VII-VIII (1890-91); G. Rotondi, Natura contractus, in Bull. Ist. dir. rom., XXIV (1912), p. 5 segg. (Scritti giur., II, p. 159 segg.); H. Monnier e G. Platon, La Meditatio de pactis nudis, in Rev. hist. de droit, XXXVII-XXXVIII (1913-15); G. Paturini (G. Platon), Pactes et contrats, in Rev. gén. du droit, XXXVII-XL (1913-16); B. Biondi, Judicia bonae fidei, Palermo 1920, p. 22 segg.; P. Bonfante, Sui contractus e sui pacta, in Scr. giur., III, Torino 1921, p. 135 segg.; G. Grosso, L'efficacia dei patti nei bonae fidei iudicia, in Studi Urbinati, I-III (1927-28); S. Perozzi, Istit. di dir. rom., 2ª ed., Firenze 1928, II, p. 369 segg.; H. Siber, Röm. Recht, II, Privatrecht, Berlino 1928, p. 170 segg.; P.-E. Viard, Les pactes adjoints aux contrats en droit classique, Parigi 1928; V. Arangio-Ruiz, Istituz. di dir. rom., 3ª ed., Napoli 1934, pp. 340 segg., 386.
Diritto moderno. - Nel diritto italiano, in cui è contratto ogni accordo di volontà di due o più persone diretto a regolare rapporti giuridici fra le persone stesse, potendosi distinguere il contratto dal negozio giuridico bilaterale (o convenzione in senso lato) in quanto il primo si riferisce ai rapporti patrimoniali e l'altro ai rapporti giuridici in genere, il patto può essere inteso come una singola clausola contrattuale, o una convenzione particolare o accessoria rispetto a un contratto considerato in complesso: in tale senso si parla di patto anche nelle disposizioni del codice civile (articoli 1134, 1139, 1434, 1515, 1663, 1884). La parola patto viene però usata tuttora nel senso generale di convenzione, anche indipendente, di per sé obbligatoria, intesa come il consenso di due o più persone per formare, modificare o risolvere fra loro qualche vincolo giuridico; e, venuta meno la limitazione del concetto del contratto alla convenzione costitutiva di obbligazioni (come nel codice civile francese), il patto, reso sinonimo di convenzione, verrebbe a identificarsi col contratto. Sono assai varî i patti speciali che si possono includere in un contratto, e che sono validi in base alla libertà contrattuale, purché non siano contrarî alle leggi d'ordine pubblico e al buon costume (art. 12 disp. prel. cod. civ.). Fra gli altri patti, particolari d'un contratto o tali da costituire anche una convenzione a sé, sono notevoli: il patto commissorio, il patto di riscatto, il patto di quota lite e il patto successorio.
Patto commissorio. - Con riguardo al contratto di compravendita e a ogni altro contratto bilaterale, si dice patto commissorio quel patto per cui si viene a stabilire espressamente che il contratto si debba risolvere qualora uno dei contraenti non adempia all'obbligazione a proprio carico. Avuto riguardo alla sua origine, il detto patto si ha ordinariamente nella compravendita: in diritto romano, in base alla lex commissoria, la vendita si considerava come mai conclusa se il venditore non riceveva il prezzo entro il termine stabilito; ma il patto si potrebbe avere in ogni altro contratto, dal quale derivino obbligazioni a carico delle parti: p. es., in un contratto di enfiteusi lo si può stabilire per l'inadempimento da parte dell'enfiteuta di obbligazioni derivanti dalla legge o dal contratto. È una questione d'interpretazione di volontà il determinare, nei singoli casi, se si sia stabilito il patto commissorio, e a quali obbligazioni occorra avere riguardo, piuttosto che riprodurre la disposizione di legge circa la cosiddetta condizione risolutiva tacita. Mentre, trattandosi di quest'ultima, che per legge (art. 1165 cod. civ.) è sottintesa nei detti contratti "pel caso in cui una delle parti non soddisfaccia alla sua obbligazione", la risoluzione non può avvenire che per pronunzia del magistrato, e dal giorno di essa (ex nunc), potendo il magistrato (meno che in materia commerciale, art. 42 cod. comm.) concedere all'inadempiente una dilazione secondo le circostanze, il patto commissorio, il quale opera come vera condizione risolutiva (salva la facoltà di valersene, o meno, del contraente interessato, a cui favore esso è stabilito), produce i suoi effetti, come si dice, de iure, avvenuto e, occorrendo, accertato che sia l'inadempimento, e fa venir meno il contratto come se esso non fosse stato mai conchiuso (ex tunc). Così nella vendita, che nei casi ordinarî importa il trasferimento della proprietà dal venditore al compratore in base al solo consenso (art. 1448 cod. civ.), effettuandosi il patto commissorio, il venditore ridiventa proprietario della cosa venduta e ne può ottenere la restituzione, a rigore con gli accessorî, libera da ogni onere o peso imposto dal compratore, salve le limitazioni stabilite dalle parti o anche, nell'interesse dei terzi, dalla legge (art. 1511 cod. civ.). Nella compravendita si ha una risoluzione di diritto, intesa da alcuni come lex commissoria legale, trattandosi di cose mobili, se il compratore, entro il termine stabilito, non si presenti per ricevere la cosa, o anche se, presentandosi, non offra contemporaneamente il prezzo, dovuto senza maggiore dilazione (art. 1512 cod. civ.).
Per patto commissorio s'intende pure, nel pegno, il patto per cui il creditore, non venendo pagato il debito nel termine stabilito, sarebbe autorizzato a fare propria la cosa data in pegno o a disporne, divenendone proprietario senza farsela assegnare in pagamento dal magistrato (secondo la stima da farsi a mezzo di periti); questo patto è dichiarato nullo nel diritto italiano dall'art. 1884 capov. cod. civ., perché lo si ritiene consentito dal debitore sotto la pressione del bisogno. La nullità del patto commissorio, che dal legislatore italiano si è creduto opportuno di richiamare per il pegno commerciale (art. 459 cod. comm.) e di estendere all'anticresi con un'esplicita disposizione di legge (art. 1894 cod. civ.), non è stabilita con riguardo all'ipoteca, ragione per cui si disputa circa il patto commissorio aggiunto al mutuo ipotecario: pur essendo sostenuto nella dottrina italiana che anche in quest'ultimo il patto, di cui si tratta, si debba considerare nullo, come una naturale estensione del divieto legale e tradizionale o in applicazione di considerazioni generali, la validità del patto è invece ammessa, nel mutuo ipotecario, dalla giurisprudenza italiana prevalente, non tanto per il carattere eccezionale del divieto quanto per le differenze esistenti, anche dal punto di vista della protezione legale dei debitori, tra i casi in cui il divieto è stabilito dalla legge e l'altro caso al quale esso si vorrebbe applicare in dottrina.
Patto di riscatto. - Tale patto, inteso anche come riscatto convenzionale, giusta l'art. 1515 cod. civ., si ha nel contratto di vendita, se il venditore si riserva la facoltà di riprendere la cosa venduta mediante la restituzione del prezzo e il rimborso delle spese al compratore. Allo scopo di non lasciare incerto per un tempo assai lungo il diritto di proprietà sulla cosa venduta, il termine massimo del riscatto è di cinque anni, riducendosi a tale periodo il termine più lungo convenuto (art. 1516 cod. civ.); e si tratta di termine improrogabile e perentorio, che corre sotto pena di decadenza, anche contro gl'incapaci, restando esluse le cause di sospensione e ogni altra interruzione che non sia l'esercizio tempestivo del diritto di riscatto. Nella sostanza si ha una condizione risolutiva potestativa da parte del venditore, condizione che opera di diritto e con efficacia retroattiva. In pendenza del termine stabilito, il compratore ha sulla cosa un diritto di proprietà esposto alla risoluzione dipendente dal patto: egli non può trasferire la proprietà, o costituire altro diritto sulla cosa, che sotto la medesima eventualità cui è esposto il suo diritto (arg. art. 1976 cod. civ.); come proprietario egli può, nel frattempo, esercitare tutti i diritti e le ragioni del venditore (potendo, p. es., rivendicare la cosa da chi la detenga illegittimamente), continua il possesso del suo dante causa e può compiere la prescrizione, a favore proprio o a favore del venditore secondo che sarà o no esercitato il riscatto (art. 1521 cit. cod.). Il compratore può altresì opporre il beneficio dell'escussione ai creditori del venditore, che, esercitando con l'azione surrogatoria le ragioni di quest'ultimo, loro debitore, intendano esercitare il riscatto in sua vece (capov. cit. art.). L'esercizio del riscatto avviene con la sola dichiarazione del debitore; ma questi non può riavere il possesso della cosa venduta se non abbia restituito il prezzo e rimborsato il compratore delle spese, tanto di quelle per il contratto quanto di quelle necessarie o utili (nei limiti dell'aumento del valore; art. 1528 cod. civ.). Esercitato il riscatto, per l'efficacia reale propria di esso, trattandosi d'una condizione risolutiva, il venditore riprende la cosa libera dai diritti che il compratore avesse nel frattempo attribuito a terzi (v. capov. cit. art. 1528); e, alienata la cosa dal compratore, il venditore può esercitare direttamente il riscatto contro i terzi acquirenti "quantunque nei rispettivi contratti non sia stato denunziato il riscatto convenuto" (art. 1520 cod. civ.). La legge stabilisce pure delle regole per l'esercizio del riscatto nel caso in cui il relativo diritto spetti a più persone (più venditori, o coeredi dell'unico venditore), o si eserciti contro più persone (più compratori, o coeredi dell'unico compratore: v. articoli 1522-1527 cod. civ.).
Patto di quota lite. - Nell'art. 1458 cod. civ., oltre al divieto della cessione delle liti, ragioni e azioni litigiose, imposto (allo scopo di evitare le illecite speculazioni sulla giustizia o lo sfruttamento a danno dei litiganti) ai giudici, uffiziali del pubblico ministero, cancellieri, uscieri (oggi uffiziali giudiziarî), avvocati, procuratori o patrocinatori e notai, è stabilito, nell'ultimo capoverso, che "gli avvocati e i procuratori non possono né per loro, né per interposta persona stabilire coi loro clienti alcun patto, né fare coi medesimi contratto alcuno di vendita, donazione, permuta o altro simile sulle cose comprese nelle cause alle quali prestano il loro patrocinio, sotto pena di nullità, dei danni e delle spese". Il patto di quota lite, detto anche quotalizio, è precisamente il patto, o la convenzione, con cui l'avvocato, o il procuratore, stipulerebbe a proprio favore dal cliente un compenso in un'aliquota dei diritti che formano oggetto della lite o del procedimento in corso, da realizzarsi nel caso di vittoria; la nullità del patto è comminata poiché si vuole che chi esercita la funzione, così elevata, della difesa, o assistenza legale, non abusi della fiducia in lui riposta dal cliente per fare illeciti guadagni. Se, per fare un esempio, tra il cliente e l'avvocato si stabilisce il patto che quest'ultimo, per la difesa da lui prestata nel giudizio di rivendicazione promosso dal cliente, otterrà una parte del fondo che si vuole rivendicare, non c'è dubbio circa la nullità del patto e la responsabilità per i danni e le spese a carico dell'avvocato. La nullità non potrebbe però essere estesa oltre i limiti del patto di cui si tratta. Sarebbe quindi valida la convenzione tra l'avvocato e il cliente, con la quale venga fissato preventivamente l'onorario o si stabilisca un compenso straordinario, per la causa; e sarebbe pure valida la convenzione riguardo allo stesso oggetto della lite, se conclusa dopo che quest'ultima si sia interamente definita, o con sentenza passata in giudicato o per transazione, poiché il divieto e la conseguente nullità, mentre si debbono riferire a ciò che forma oggetto della lite o del procedimento, non si possono avere che in pendenza dell'una o dell'altro, cioè in quanto l'avvocato o il procuratore prestino in atto il loro patrocinio.
Patto successorio. - È patto successorio in generale qualunque convenzione relativa a un'eredità futura, cioè all'eredità d'una persona ancora vivente: esso viene caratterizzato dal concorso delle seguenti condizioni: deve trattarsi d'una successione futura, e i diritti che si acquistano, o formano oggetto del patto, devono ricollegarsi a tale successione, facendo parte di quell'universalità di beni che, costituendo l'eredità, si acquisterebbe a titolo successorio. Si possono avere varie specie di patti successorî: patti di istituzione, di rinunzia, di disposizione. Un patto d'istituzione si ha quando taluno, della cui eredità si tratta, mediante convenzione conclusa lui vivente, istituisce erede un'altra persona o le assegna un legato sulla propria successione futura; un patto di rinunzia è quello che contiene la rinunzia a essere erede, o ad avere un determinato legato, in una successione non ancora aperta, appunto perché riguarda una persona vivente; il patto dispositivo è quello con cui taluno disponga dei beni che potrà avere nella successione a un terzo non ancora defunto. In conformità al principio viventis nulla hereditas, i detti patti successorî sono vietati (capov. art. 1118 e articoli 954, 1380 e 1460 cod. civ.) e quindi sono nulli, perché ritenuti immorali, e anche perché (con una preoccupazione che sembra eccessiva) si è voluto sottrarre l'ereditando a ogni pericolo, dipendendo dalla sua morte la realizzazione dell'acquisto patrimoniale in base a tali patti (votum captandae mortis). Nondimeno non si potrebbe dire che il divieto dei detti patti sia assoluto nel diritto italiano, poiché qualche cosa del patto successorio si ha, senza che ci sia la nullità, nella divisione fatta dall'ascendente tra i discendenti (articoli 1044 segg. cod. civ.) specie nella stipulazione dei lucri dotali (art. 1398 cod. civ.).
Bibl.: L. Gallavresi, La condizione risolutiva tacita, Milano 1877, p. 115 segg.; G. Bonelli, Il diritto di riscatto nella compravendita e le condizioni del suo esercizio, in Foro ital., I (1895), p. 592 segg.; A. Brunetti, Del riscatto convenzionale nella compravendita, Torino 1902; F. Ferrara, Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Milano 1902, n. 53; E. Gianturco, Contratti speciali, II, Compravendita, Napoli 1905, p. 89 segg.; G. Carrara, La formazione dei contratti, Milano 1915, cap. 2°, n. 37, p. 131 segg.; G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, 7ª ed., Firenze 1924-29; N. Coviello, Delle successioni. Parte generale, 3ª edizione interamente rifatta da L. Coviello, Napoli 1932, p. 74 segg.