CÈZANNE, Paul
Pittore, nato a Aix in Provenza il 19 gennaio 1839, ivi morto il 22 ottobre 1906. Già nel liceo d'Aix, era tormentato dalla passione del disegno e della pittura; non conobbe mai l'insegnamento della Scuola di belle arti, che attaccò tutta la vita; imparò poco a Aix; e a Parigi, ove dal 1861 si recò spesso, ricercò più che altro l'insegnamento delle tele del Louvre. Con ostinazione cercava di penetrare i segreti della tecnica dei Veneziani, soprattu̇tto del Veronese e del Tintoretto, ammirava il Delacroix e, tra i contemporanei, il Daumier, G. Courbet e il Manet. Rifiutato un suo invio al Salon del 1866, si unì agli artisti indipendenti riuniti nel famoso caffè Guerbois, difesi dallo Zola: Manet, Degas, Pissarro, Sisley, Bazille, Renoir. Vi è in lui qualcosa di romantico, meglio, di barocco, che lo ricollega alla Spagna religiosa del Ribera e specialmente del Greco, maestro che il C. fu tra i primi a comprendere. Il C. ricercava allora grandi contrasti tra i toni e l'eloquenza delle forme, che esprimeva con potenti impasti. È di quel tempo la Risurrezione di Lazzaro (1867-68), dipinta nella cosiddetta "maniera nera". È in lui il gusto delle forme liriche ed espressive proprie al genio provenzale dal Puget al Daumier. Dal 1871 al 1872 è attratto dai paesaggi della Provenza e dell'Île-de-France; l'Estaque diventa uno dei suoi soggiorni prediletti, e lo si vide pure dipingere, per varie estati (1872-77), a Pontoise e Anvers, ove lavora con il Pissarro. Intanto, regolarmente i quadri del C. sono respinti al Salon; si può dire che egli rimase completamente ignoto, sino al giorno in cui espose per la prima volta (1874) da Nadar, a Parigi, col gruppo impressionista. Il C. espose ancora nel 1877. Poi, per circa 20 anni egli rimane appartato e quasi dimenticato, partecipando solo al Salon dell'82, all'esposizione dell'89 e a una esposizione a Bruxelles nel 1890.
Lontano dal rumore e dalla réclame visse di rapimento e di esclusivo entusiasmo per la pittura. Per non perdere una mattinata di lavoro, rifiutò d'assistere ai funerali della madre, tratto che riempiva di ammirazione R. M. Rilke. Durante questi anni di incessante lavoro egli cerca con ansietà la tecnica che riprodurrà in tutta l'intensità e in tutta la freschezza la sua emozione d'artista. Guarda alla natura con l'umiltà dei primitivi: non l'interessano le variazioni quotidiane della luce, gioia e tormento degl'impressionisti, contro le cui tendenze egli reagisce, facendo rivivere la forza del tono locale. Più portato al paesaggio e alla natura morta che al ritratto, ama quanto offre toni fondamentali e immutabili. Per il C. tutto è colore; solo attraverso la pienezza del colore raggiunge la pienezza delle forme e dei volumi. Raccomanda di dipingere secondo la natura, cioè di realizzare le proprie sensazioni. Soleva dire: "Andate al Louvre, ma dopo aver visto i maestri che vi giacciono affrettatevi ad uscirne. Bisogna esaminare, a contatto con la natura, gli istinti, le sensazioni artistiche che stanno nel nostro cuore".
La sua tavolozza era andata intanto liberandosi dai neri e dalle materie spesse, per raggiungere progressivamente una squisita finezza di tocco, una limpidità d'acquerello. Incredibile la giustezza delle tonalità; ma sempre più l'artista si preoccupa della potenza delle forme, della nobiltà della composizione. Attraverso tentativi e ricerche, spesso penose, ritrovò le leggi dell'architettura pittorica: fece tornare nell'arte, fosse una semplice natura morta, il senso dell'equilibrio e della costruzione. L'arte impressionista era solo una scuola di sensazione; il C. ha saputo concepire la pittura come una cosa mentale, un'operazione intellettuale. Nella sua nella Provenza questo autodidatta raggiunge gradino per gradino la concezione classica. Riesce così a conferire anche a scene di genere (i Giocatori di carte) un carattere monumentale ed eterno, vede le cose sotto l'aspetto dell'assoluto, e da questa concezione derivano tanti tentativi di pitture decorative, di scene semipagane, ove corpi di bagnanti, di ninfe o di baccanti sollevano una nuova ondata mitologica. Queste scene soffrirono certo dell'ignoranza dell'artista e degli scrupoli del cristiano che non osava supplire alle insufficienze del disegno con lo studio del modello. Le figure del C. hanno aspetto di abbozzi talvolta un po' barbari, ma commovente è la bellezza dei ritmi e la grandiosità della composizione. Spesso i bozzetti incompleti hanno il fascino d'una maiolica persiana. Nel C. vi è qualcosa del Poussin; solo fra i contemporanei egli ha ritrovato il segreto dell'unione tra paesaggio e figura e il motto della sua arte, non sempre attuato, è "rifare del Poussin sulla natura".
Vivendo talvolta a Parigi o in casa d'amici, fra i quali in prima linea lo Zola e lo Chocquet, ma specialmente in Provenza a Aix, Estaque, Gardanne, lavorò sempre con ostinazione. Passò qualche giorno nel Belgio e in Olanda, unico suo viaggio all'estero. Nel 1890 era ancora quasi uno sconosciuto, e quando nel 1895 Ambroise Villard espose le di lui opere, il Temps poté scrivere che il suo nome era completamente ignoto al pubblico. Si può dire che cominciasse ad essere apprezzato dopo l'esposizione del 1900, alla quale presentò tre opere. A Aix, dove si stabilì definitivamente, era visitato da numerosi discepoli e ammiratori.
Con l'esposizione retrospettiva delle opere al Salon d'automne del 1906, il nome del C. diventa celebre; si rivela allora il senso della sua opera, incompresa per tanto tempo. Da trent'anni in qua, la pittura francese vive dei suoi insegnamenti; dalle sue premesse muovono Gauguin e Van Gogh, che l'avevano conosciuto ad Arles nel 1888. Dal 1905 tutte le reazioni contro l'impressionismo, tutti i tentativi e tutte le avventure intellettuali che vanno sotto il nome di cubismo, derivano dalle formule del C.; ne sono le variazioni più o meno convincenti, più o meno riuscite. I migliori fra i giovani (Asselin, O. Friesz, Waroquier, Segonzac) formano la scuola postuma del grande solitario. Particolarmente sensibile fu la sua influenza nei paesi germanici, slavi e scandinavi. Si trovano sue tele a Berlino (Nationalgalerie), a Monaco (Staatsgalerie), ad Amburgo (Kunsthalle), a Brema, ai musei di Copenaghen, d'Oslo e di Stoccolma e alla galleria d'arte moderna di Mosca. In Francia si trovano numerose tele del C. nelle collezioni di Cézanne figlio, di A. Pellerin (ritratto di Gustavo Geffroy) e di A. Vollard (ritratto del Vollard). La donazione Camondo ha assicurato al Louvre I giuocatori di carte e La casa dell'impiccato; il Luxembourg possiede una veduta di Estaque. (V. tav. CCXXXVI e tav. a colori).
Bibl.: Th. Duret, Les peintres impressionnistes, Parigi 1906; O. Grantoff, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, VI, Lipsia 1912 (con la bibl. precedente); E. Bernard, Souvenirs sur P.C., Parigi 1912; M. Denis, Théories, Parigi 1913; A. Vollard, P.C., Parigi 1914; S. Meier-Graefe, Entwicklungsgeschichte d. mod. Kunst, 2ª ed., Monaco 1914-15, III, pp. 557-93; F. Burger, C. u. Hodler, Einführung in d. Probleme d. Malerei d. Gegenwart, Monaco 1917; I.E. Blanche, De David à Dégas, Parigi 1919; L'amour de l'art, I (1920), dicembre; I. Meier-Graefe, C. u. sein Kreis, Monaco 1920; U. Ojetti, C., in Raffaello e altre leggi, Milano 1921, pp. 13-23; L. Heuraux, I Cézanne della raccolta Fabbri, in Dedalo, I (1920-21), pp. 53-70; A. Maraini, ibid., I (1920-21), pp. 186-96; Tristan-L. Klingsor, P.C., Parigi 1923; G. Rivière, P.C., Parigi 1923; G. Coquiot, Les peintres maudits, Parigi 1924; K. Pfister, C., Potsdam 1927; L. Larguier, Le dimanche avec P.C., Parigi 1928; J. Gasquet, P.C., Parigi 1930.